Raddoppiare gli aiuti all’Africa non è il modo più efficace di ridurre la povertà. Anzi se il G8 dovesse trovare un improbabile accordo su questo tema, per molti paesi africani i problemi potrebbero aumentare. E’ necessario, invece, canalizzare meglio le risorse destinate alla lotta alla povertà. Con impegni concreti dei paesi donatori per l’armonizzazione e l’efficacia degli aiuti, l’adozione di strategie specifiche per ottenerne l’assorbimento effettivo, una maggiore attenzione al rapporto fra aiuti e democratizzazione e a forme di finanziamento innovative.

Questa settimana i leader delle sette nazioni più ricche del pianeta e della Russia si incontrano a Gleneagles, in Scozia, con un’agenda che il Governo inglese ha definito con molta chiarezza: si parlerà (soprattutto) di Africa e di cambiamento climatico.
Per quel che riguarda l’Africa, l’agenda include tre argomenti cruciali: il raddoppio degli aiuti allo sviluppo, la cancellazione totale del debito multilaterale e l’abolizione di barriere al commercio internazionale che danneggiano i paesi poveri. In parte, queste politiche si rifanno alle raccomandazioni del rapporto della
Commission for Africa creato e presieduto da Tony Blair. In parte, sono una riposta alle richieste della campagna “Make Poverty History” lanciata da un gruppo di organizzazioni non governative, e dai concerti “Live8” organizzati da Bob Geldof la settimana scorsa. D’altra parte, negli ultimi mesi, Tony Blair e Gordon Brown hanno investito molto tempo e molte energie nel premere affinché il G8 si concentrasse sul problema africano, dando vita a un’impressionante macchina di marketing e propaganda.

La questione degli aiuti

Difficilmente l’obiettivo di raddoppiare i flussi della cooperazione allo sviluppo sarà immediatamente raggiunto, anche se vi sono state importanti dichiarazioni d’intenti. A fine maggio, i ministri europei si sono impegnati a raddoppiare gli aiuti all’Africa entro il 2010 e a raggiungere il traguardo dello 0,7 per cento del Pil entro il 2015. Purtroppo, sia Germania che Italia hanno aggiunto una clausola che condiziona il loro impegno a disponibilità finanziarie che difficilmente esisteranno, visti i problemi di bilancio in cui già si trovano. Anche il Giappone si è impegnato a raddoppiare gli aiuti all’Africa nei prossimi tre anni.
Gli Stati Uniti sono stati i più restii a raccogliere l’invito britannico, insistendo sul fatto che l’amministrazione Bush ha già raddoppiato gli aiuti all’Africa. La
Brookings Institution ha recentemente dimostrato che ciò non è vero e che per la maggior parte il sostegno addizionale proveniente dagli Usa consiste in aiuti alimentari per interventi umanitari, che non contribuiscono alla riduzione della povertà nel lungo periodo. Per ora, inoltre, non vi è accordo su come finanziarie l’aumento degli aiuti: le proposte sono varie, dalla International Finance Facility di Gordon Brown alla tassa sui biglietti aerei proposta da francesi e tedeschi.

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Più problemi che soluzioni

Ad ogni modo, anche se gli aiuti all’Africa fossero effettivamente raddoppiati, non vi è alcuna garanzia che sarebbero il modo più efficace di ridurre la povertà. In realtà, sono in molti a pensare che questo potrebbe creare ulteriori problemi per molti paesi africani. Un briefing paper recentemente pubblicato da Overseas Development Institute ne riassume alcuni.
In primo luogo, l’entrata di grandi quantità di valuta estera può complicare la gestione macroeconomica facendo aumentare il tasso di cambio e perdere competitività ai prodotti per l’esportazione. Inoltre, la volatilità e imprevedibilità degli aiuti può causare ulteriore instabilità macroeconomica.
In secondo luogo, a livello istituzionale, molti paesi africani non sono preparati ad assorbire un grosso aumento di risorse. I sistemi di gestione finanziaria e i meccanismi per garantire che risorse aggiuntive vengano spese in maniera efficace non sono affidabili nel migliore dei casi, mentre nel peggiore possono facilmente essere vittime della corruzione. Inoltre, in paesi come l’Etiopia o il Rwanda, dove già oggi gli aiuti rappresentano più del 20 per cento del Pil, un ulteriore aumento potrebbe creare problemi di controllo democratico e di incentivi alle riforme.
In terzo luogo, in molto paesi esistono limiti concreti di capacità tecniche e manageriali, soprattutto nelle risorse umane che forniscono servizi pubblici necessari alla riduzione della povertà. Mentre risorse addizionali possono facilmente essere utilizzate per costruire nuove scuole e ospedali, la formazione di insegnanti e dottori richiede molto tempo e un’ottica di lungo periodo, in particolar modo nei paesi severamente colpiti dall’Aids.
Infine, il comportamento stesso dei paesi donatori può creare grossi problemi nella gestione degli aiuti aggiuntivi. In molti paesi africani sono attive più di trenta agenzie di cooperazione, bilaterali e multilaterali, con le ovvie conseguenze sui costi che il Governo ricevente deve sostenere soltanto per poter produrre tutti i rapporti necessari, ricevere tutte le missioni provenienti dalle capitali, e mantenere buoni rapporti diplomatici. In molto casi, già oggi questo significa che la maggior parte del tempo dei funzionari pubblici è dedicata alla gestione dei rapporti con i donatori. Se gli aiuti raddoppiassero, la situazione potrebbe facilmente peggiorare, a meno che non vengano adottate drastiche misure di riforma del sistema della cooperazione internazionale allo sviluppo.

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Le misure da adottare

La sfida per i leader del G8, pertanto, non è soltanto quella di dedicare maggiori risorse alla lotta alla povertà in Africa, ma anche di adottare metodi migliori per canalizzarle, che possano ridurre considerevolmente l’impatto dei problemi appena descritti. Alcune delle misure che potrebbero essere introdotte includono:

1. Impegni concreti, soprattutto da parte dei paesi donatori, nel raggiungimento degli obiettivi contenuti nella
Dichiarazione di Parigi sull’armonizzazione e l’efficacia degli aiuti.
2. Strategie specifiche per creare le condizioni necessarie per l’assorbimento effettivo degli aiuti aggiuntivi con un’ottica di lungo periodo, paese per paese e settore per settore.
3. Maggiore attenzione alle variabili politico-istituzionali e al rapporto fra aiuti e democratizzazione, per evitare che maggiori aiuti provochino peggioramenti nella qualità della governance dei paesi riceventi.
4. Introduzione di modalità di intervento innovative, come co-finanziamenti pubblico-privato per lo sviluppo delle infrastrutture, o sistemi di trasferimenti diretti di risorse a individui e famiglie che vivono al di sotto della soglia di povertà.

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