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Il Governo delle tariffe

Il Governo non dovrebbe intervenire sui prezzi, affidati al mercato liberalizzato, e sulle tariffe, affidate alle Autorità. Invece, sui prezzi dell’elettricità l’intervento c’è stato. I consumatori se ne sono rallegrati, perché controbilancia l’effetto del caro-petrolio. Ma i benefici sono del tutto momentanei e illusori. Mentre resta la violazione di un principio. Le Autorità non esistono per assecondare le richieste congiunturali dell’esecutivo, ma per dare garanzia di indipendenza, competenza e stabilità ai cittadini e alle imprese. Un commento all’avvenuta nomina dei componenti dell’Autorità per l’energia.

Il Governo delle tariffe, di Alberto Clò e Luigi De Paoli

Nel novembre del 1995, per una fortunata congiunzione astrale tra necessità di privatizzare, pressioni a liberalizzare e crisi della politica, con la legge n. 481 – non a caso approvata sotto un Governo tecnico e dopo uno scontro parlamentare durato nove mesi – furono istituite le Autorità di regolazione dei servizi di pubblica utilità per l’energia elettrica e il gas e per le telecomunicazioni. La legge affermava che tali Autorità dovevano operare “in piena autonomia e con indipendenza di giudizio e di valutazione” garantendo “condizioni di economicità e redditività” del servizio per le imprese e “la tutela degli interessi di utenti e consumatori ” in un contesto vieppiù concorrenziale. Al Governo veniva affidato il compito di formulare gli indirizzi di politica generale indicando, in particolare, il “quadro di esigenze di sviluppo dei servizi di pubblica utilità” nell’ambito del documento di programmazione economico-finanziaria.

Chi fissa le tariffe

La legge n. 481 può essere considerata un’ottima legge che ha favorito i processi di privatizzazione e liberalizzazione dei servizi pubblici. La sua applicazione è andata, tuttavia, sempre più allontanandosi dalle iniziali intenzioni del legislatore e dal suo stesso dettato. Relativamente a molti qualificanti aspetti, ma, soprattutto, riguardo l’irrisolta questione delle intrusioni della politica in campi che le erano stati sottratti, a iniziare da interventi congiunturali specie in materia di tariffe. La tentazione della politica di riprendersi il “maltolto” – è stata in questo decennio forte sotto tutte le latitudini politiche e in qualsiasi tempo. Basta osservare ciò che è accaduto e sta accadendo in Italia: al punto che non siamo in grado di sapere con certezza quali siano (e saranno) i criteri adottati dal regolatore per fissare le tariffe di elettricità e gas, così disattendendo quelle condizioni di trasparenza e certezza che dovrebbero costituire il primo connotato di una moderna ed efficiente regolazione.
Secondo la 481, il Governo avrebbe dovuto astenersi dall’intervenire sui prezzi, affidati al mercato liberalizzato, e sulle tariffe, affidate alle Autorità. A leggere le dichiarazioni di questi giorni (“Il Governo blocca le tariffe elettriche”) e la successiva delibera dell’Autorità non sembra che le cose stiano così. Oggi i prezzi dell’elettricità sono composti da quattro categorie: costi di produzione (61 per cento), determinati attraverso le contrattazioni bilaterali e la Borsa elettrica; costi di infrastruttura (19,4 per cento), che remunerano le reti di trasmissione e di distribuzione, fissati dall’Autorità; oneri di sistema (9,4 per cento) quali incentivazioni alle fonti rinnovabili, oneri nucleari, “stranded cost”, eccetera, determinati soprattutto dal Governo; imposte (10 per cento), fissate dal Governo o dagli enti locali. Come si vede, i poteri pubblici mantengono la facoltà di decidere sul 20 per cento del costo medio del servizio elettrico.
L’intervento governativo di questi giorni ha inciso sugli oneri di sistema di sua competenza, diluendone nel tempo la piena applicazione, così da controbilanciare in parte l’effetto del caro-petrolio con benefici, tuttavia, per i consumatori del tutto momentanei (da ottobre dovrebbero scattare nuovi aumenti) e del tutto illusori (dovendo in futuro i consumatori pagare anche gli interessi). L’Autorità a sua volta ha raccolto la moral suasion del Governo ritoccando altre voci per mantenere invariati i prezzi finali. I consumatori se ne sono rallegrati, ma è la violazione di un principio che deve destare preoccupazione anche per loro. I prezzi servono, infatti, a inviare giusti segnali al mercato, consumatori o produttori che siano, non a sterilizzarli o distorcerli. Se il prezzo dei combustibili aumenta, è amaramente giusto che i consumatori lo sentano e che, se vogliono, riducano i loro acquisti, come sta accadendo per i carburanti. Invocare il risparmio dell’energia contenendone al contempo i prezzi non è un comportamento razionale.
Quanto poi alle numerose voci che compongono gli “oneri di sistema“, sarebbe opportuno che il Governo limitasse i suoi interventi per almeno due ragioni. Insieme alle imposte, contribuiscono, infatti, ad appesantire la bolletta elettrica dei consumatori italiani. È del tutto contraddittorio continuare con la litania dei costi alti dell’energia elettrica senza poi porre mano a queste voci. Come insegna la scuola della public choice, gli “oneri di sistema” sono perniciosi anche per un’altra ragione: perché provocano sprechi di risorse per la cattura di rendite da parte di pochi a spese dei più. La concessione di favori stimola le azioni di lobbying danneggiando le stesse imprese che si trovano a fronteggiare un quadro in continuo cambiamento, con difficoltà a prendere le loro decisioni di investimento. Ed è una delle conseguenze meno gradite e più indagate del processo di liberalizzazione.

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La scelta dell’arbitro

Il peggio si verifica, comunque, quando il Governo deborda con la sua influenza anche sulle voci di prezzo che dovrebbero essere determinate dal mercato o dall’Autorità di regolamentazione. Nel passato, sia recente che più lontano, il Governo lo ha fatto per ottenere condizioni tariffarie favorevoli all’Enel per sostenere il collocamento di quote azionarie. Altro aspetto che rende l’istituzione delle Autorità e la separazione tra attività di indirizzo politico e attività amministrativa così precaria sta nel mancato completamento delle privatizzazioni. Le Autorità indipendenti sono fatte per regolare imprese private. Fino a quando le imprese erano pubbliche, il Governo interveniva in altro modo per controllare il loro operato. Il fatto che esse abbiano ancora come azionista di controllo lo Stato rischia di falsare il gioco. Come azionista, il Governo desidera, infatti, che facciano buoni profitti per incassare lauti dividendi e massimizzare i ricavi della loro eventuale cessione. Se l’arbitro-Autorità è insensibile a queste esigenze, il Governo cerca di influenzarne le decisioni e ha i mezzi per farlo. Un’intrusione che risulterà tanto più facile quanto più l’indipendenza e la competenza delle Autorità sono deboli.
Questo rimanda alla fondamentale questione della composizione delle Autorità. La legge 481 afferma che: “I componenti di ciascuna Autorità sono scelti tra persone dotate di alta e riconosciuta professionalità e competenza nel settore”. Se si guardano i curricula dei nove membri dell’Autorità per le comunicazioni recentemente nominati, si vede che ben cinque erano parlamentari e che in numero ancor più piccolo possono dimostrare “alta e riconosciuta professionalità e competenza nel settore”. All’Autorità per l’energia finora le cose erano andate meglio, ma sempre più forte è il rischio che anche qui le cose possano deteriorarsi. Da un anno il Governo non è stato in grado di deliberare la nomina di tre suoi componenti (su cinque): per disaccordo sui nomi e, insieme, per colpevole trascuratezza istituzionale. Un’Autorità poco competente sarebbe vista come poco indipendente e solo autoritaria, non certo autorevole. Si produrrebbe, così, un danno ai consumatori ben maggiore degli effimeri benefici che il rinnovato interventismo della politica si illude d’aver loro assicurato. Circa il funzionamento delle Autorità vale la pena di fare un’ultima notazione. La legge istitutiva prevedeva anche che “al fine di consentire una equilibrata distribuzione sul territorio italiano degli organismi pubblici che svolgono funzioni di carattere nazionale, più Autorità per i servizi pubblici non possono aver sede nella medesima città”. L’intenzione evidente era anche quella di tenerle lontane da Roma per rafforzarne la loro indipendenza. Col tempo però il carattere centripeto della capitale sembra aver preso il sopravvento, almeno per quanto riguarda il funzionamento dei vertici delle Autorità medesime. Forse anche un po’ di distanza geografica potrebbe aiutare a riprendere lo spirito iniziale: le Autorità, pur dovendo dialogare anche con il potere politico, non esistono per assecondare le sue richieste congiunturali, ma per dare garanzia di indipendenza, competenza e stabilità ai cittadini-utenti o consumatori e alle imprese.

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Requiem per le Authority, di Alberto Clò e Luigi De Paoli

Venerdì 15 luglio il Consiglio dei Ministri ha indicato i tre nomi dei componenti dell’Autorità per l’energia mancanti da quasi un anno. La notizia è passata quasi completamente sotto silenzio. Al più, i media vi hanno dedicato un breve trafiletto con l’indicazione dei tre nomi: l’on. Antonello Cabras (DS), l’on. Giovanni Dell’Elce (Forza Italia e Sottosegretario) e Ludovico Gilberti (candidato nelle due ultime elezioni per la Lega Nord). Déjà vu, si dirà, in quanto queste indicazioni fanno seguito a non dissimili nomine all’Antitrust e all’Autorità per le comunicazioni.
Riteniamo che non per questo ci si possa rassegnare alla spartizione politica di organismi di tutela dei consumatori e di garanzia del mercato e della libertà di iniziativa economica (e, alla fine, di libertà tout court).
Destra e sinistra appaiono tristemente unite nel calpestar forma e spirito della legge 481 del 1995 che prevede che “i componenti di ciascuna Autorità sono scelti tra persone dotate di alta e riconosciuta professionalità e competenza nel settore” e che non possano avere “incarichi elettivi o di rappresentanza nei partiti politici”. Sul primo requisito ogni commento sarebbe imbarazzante. Sul secondo non tarderanno le dovute dimissioni. Ma quando il legame tra l’origine dell’incarico e la matrice politica degli incaricati è così palese da diventare quasi esclusivo, che garanzie di indipendenza (anche dalla politica) vi possono mai essere?
Non resta, per concludere, che la debole speranza che le Commissioni parlamentari, chiamate per legge ad esprimere parere vincolante sulle proposte di nomina governative, sappiano risolvere il dubbio se la politica debba riprendere il pieno e diretto controllo dei settori regolati e del mercato oppure se debba essere rispettato un diverso equilibrio dei poteri che ridia piena dignità ed autonomia ad Autorità sempre meno indipendenti e sempre meno credibili.

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  1. Edoardo Croci

    L’attuale governo ha perso l’occasione storica di creare una nuova classe dirigente che indirizzasse il Paese sulla strada della modernizzazione, dell’efficienza e della liberalizzazione.
    Quasi tutte le nomine “tecniche” nei posti chiave di regolazione del sistema economico e di gestione della cosa pubblica sono state occupate da politici in pre-pensionamento o – che è anche peggio – da alti dirigenti della pubblica amministrazione, che assumono sovente la veste di controllori e controllati.
    In buona sostanza il sistema politico-burocratico si chiude sempre di più in se stesso, secondo una logica autoreferenziale, perdendo di vista i bisogni reali del Paese.
    L’opposizione fa lo stesso, anzi fa di peggio. Partecipa alla lotizzazione a livello nazionale e promuove le clientele a livello regionale e locale.
    Purtroppo in assenza di un’opinione pubblica e dei media in grado di esercitare un ruolo di critica e controllo il sistema non si autoriformerà.

  2. Claudio Montini

    Condivido quanto commentato. Per alcune semplici ragioni : in primo luogo, perchè sono vicende del tutto casalinghe, quelle di inserire in organi teoricamente indipendenti dal governo, membri che di fatto non possono esserlo per natura.
    In secondo luogo : è verissimo che solo l’opinione pubblica potrebbe sollevare critiche abbastanza forti tali da garantire una svolta in vicende simili, ma se questa non viene informata è ovvio che le potenziali polemiche restino tali. Tutto ciò, nel nostro sistema, è anche ovvio. Il premier italiano, che direttamente e indirettamente controlla il 90% delle televisioni nazionali, può facilmente gestire l’opinione pubblica. In Italia, infatti, è dimostrato che la stragrande maggioranza dei cittadini ha come mezzo informativo la televisione.
    Concludendo, il male italiano è tutto legato ad una classe dirigenziale che non ha più nessun interesse nel paese, non si ricercano traguardi importanti e prestigio nazionale, ma gli occhiali si infilano per cercare la poltrona più comoda.

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