Il governo ha ripetutamente annunciato il ridimensionamento dell’Irap disinteressandosi dei potenziali effetti sulle finanze regionali. Come compensare le Regioni per la perdita di gettito conseguente al ridimensionamento dell’Irap? La questione va inquadrata nella prospettiva più ampia del ridisegno complessivo della finanza regionale necessario per realizzare i principi contenuti nel nuovo Titolo V della Costituzione. La soluzione non è a portata di mano né sono state avanzate proposte plausibili. Una prospettiva possibile, non priva di controindicazioni, consiste nell’ampliamento della addizionale Irpef.

Una delle ragioni (anche se probabilmente non la principale) per cui sulla vicenda dei tagli all’Irap non sembrano ancora profilarsi sbocchi concreti è che questa imposta partecipa ad un altro dei grandi nodi ancora irrisolti dell’assetto fiscale del nostro paese: l’attuazione del federalismo fiscale.

L’Irap come tributo regionale

Come è ben noto l’Irap è un’imposta regionale. Anzi, l’Irap è attualmente, e di gran lunga, il più importante tributo regionale per gettito (63.3% delle entrate tributarie totali delle Regioni nel 2002). Inoltre la normativa riconosce alle Regioni margini rilevanti di autonomia nella fissazione dell’aliquota dell’imposta (variazione massima di un punto di aliquota corrispondente ad un gettito di circa 7 miliardi di euro per il complesso delle Regioni) e consente di differenziarla per settori di attività e per categorie di soggetti, ponendo in tal modo le basi per una concreta politica fiscale regionale
Ma è un’imposta regionale più sulla carta che nella sostanza. Da un lato, le Regioni hanno fatto ricorso in misura assai ridotta ad incrementi generalizzati dell’aliquota base (solo le Marche dal 4,25% al 5,15%), limitandosi a misure agevolative a favore di determinati settori produttivi o tipologie di soggetti (piccole e medie imprese, ONLUS, imprenditoria femminile e giovanile, cooperative sociali, ecc.), anche a causa del blocco delle possibilità di aumento imposto dal governo a partire dal 2003.
Le Regioni lamentano inoltre di soffrire di una sorta di sudditanza nei confronti del governo centrale circa la trasmissione delle informazioni indispensabili per un loro coinvolgimento nella gestione dell’imposta e nell’azione di contrasto dell’evasione. Infine, la Corte costituzionale ha più volte ribadito che l’Irap (al pari dell’Ici per i Comuni) non può essere considerato un tributo regionale in senso proprio alla luce di quanto stabilito dalla nuova Costituzione (art. 119) in quanto si tratta in realtà di un tributo previsto da una legge statale e da questa attribuito alle Regioni, con conseguente possibilità da parte dello Stato di modificarla e persino abolirla a suo piacimento.

Il dibattito sull’Irap si dimentica delle Regioni

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In questo scenario negli ultimi mesi si è sviluppato un dibattito su più tavoli, apparentemente senza coordinamento. Il governo ha ripetutamente annunciato il ridimensionamento dell’Irap disinteressandosi dei potenziali effetti sulle finanze regionali. Si è infatti discusso esclusivamente della copertura dei tagli in un’ottica nazionale (contrasto all’evasione, aumento imposte sulle rendite finanziarie e/o rimodulazione delle aliquote IVA), proponendo cioè strumenti che sembrano difficilmente attribuibili all’autonomia regionale. La mancata attenzione alla dimensione regionale dell’Irap è ancora più sorprendente se si tiene conto dell’apparente centralità del federalismo nell’agenda del governo e del fatto che da tempo lo stesso governo ha istituito una Alta commissione sul federalismo fiscale per la definizione di una proposta per il futuro assetto del finanziamento delle Regioni (tributi propri, compartecipazioni, trasferimenti perequativi) alla luce della riforma del titolo V della Costituzione.

I tagli dell’Irap

Quali problemi porrà per la finanza regionale la progressiva esclusione del costo del lavoro dalla base imponibile Irap? Un primo elemento critico riguarda come ripartire tra Regioni la base imponibile Irap delle imprese multi-impianto. L’esclusione del costo del lavoro farebbe infatti venir meno il riferimento attualmente adottato, ovvero le retribuzioni del personale. In secondo luogo, la contrazione della nuova base imponibile dell’Irap ai soli profitti ed interessi passivi esaspererebbe il problema della sperequazione della sua distribuzione territoriale tra Regioni “ricche” e Regioni “povere” in quanto le produzioni a maggior intensità di capitale, il cui rendimento rimarrebbe tassato dall’Irap, sono maggiormente concentrate nelle Regioni del centro-nord (vedi tabella). Infine, il depotenziamento dell’Irap comporterebbe una rilevante riduzione del grado di autonomia fiscale per le Regioni: per mantenere lo stesso grado di autonomia, con l’eliminazione completa del costo del lavoro dalla base, l’aliquota Irap dovrebbe aumentare di 2,5 punti rispetto ad un punto attuale.

Le prospettive della finanza regionale

Come compensare le Regioni per la perdita di gettito conseguente al ridimensionamento dell’Irap? La questione va inquadrata nella prospettiva più ampia del ridisegno complessivo della finanza regionale necessario per realizzare i principi contenuti nel nuovo Titolo V della Costituzione. Le anticipazioni apparse sulla stampa sulle conclusioni dell’Alta commissione e le prese di posizione della recente Conferenza straordinaria delle Regioni sul federalismo fiscale hanno evidenziato alcune esigenze e prospettato alcune soluzioni. Un’esigenza che appare largamente condivisa è quella di garantire alle Regioni delle fonti di finanziamento meno sperequate sul territorio nazionale per ridurre la dimensione dei trasferimenti perequativi. Una seconda esigenza è quella di fornire delle fonti di finanziamento relativamente stabili e prevedibili per consentire un’efficiente programmazione delle politiche regionali. Infine, vi è la necessità di garantire un adeguato grado di autonomia fiscale per le Regioni in termini di adeguamento delle basi imponibili e delle aliquote soprattutto nella prospettiva della devoluzione di nuove funzioni di spesa. Purtroppo realizzare tutti questi obiettivi contemporaneamente è, per vari motivi, impresa assai difficile. La minimizzazione delle esigenze di perequazione si ottiene assegnando un opportuno paniere di compartecipazioni e tributi propri con basi imponibili relativamente uniformi sul territorio nazionale. Tuttavia, le compartecipazioni limitano il grado di autonomia delle Regioni non potendo queste (come nel caso dell’Iva) agire né sulla base imponibile né sulle aliquote. Un analogo problema si pone con alcune entrate che l’Alta Commissione suggerisce siano trasferite alle Regioni: tabacchi e giochi. In questo caso si porrebbe anche un problema di stabilità di gettito dato che le entrate dei giochi sono altamente variabili.
Una soluzione potrebbe essere individuata in un ampliamento dell’addizionale Irpef regionale. Si tratterebbe in particolare di ridurre la quota erariale sul gettito Irpef e aumentare corrispondentemente la quota regionale. Dato che la base imponibile Irpef e’ distribuita più uniformemente di quella Irap, si ridurrebbero la necessità di perequazione fra Regioni. Per garantire l’autonomia regionale andrebbe inoltre aumentato il margine di variazione dell’aliquota già attualmente riconosciuto (0,5%). In termini quantitativi, il massimo gettito aggiuntivo che attualmente le Regioni potrebbero raccogliere con l’Irap richiederebbe 1,9 punti d’aliquota Irpef (che si aggiungono ai già oggi previsti mezzo punto d’aliquota regionale più mezzo punto d’aliquota di addizionale comunale). La controindicazione più rilevante deriva proprio da queste ultime considerazioni: margini di variazione locali delle aliquote così rilevanti se sfruttati in misura differente tra Regioni potrebbero portare ad eccessive differenziazioni del carico fiscale Irpef in relazione alla residenza, con conseguenti problemi di mobilità, effettiva o fittizia, di alcune componenti della base imponibile (redditi di lavoro autonomo e d’impresa) e di iniquità orizzontale.

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