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La paga dell’avvocato

La stretta regolamentazione di ordini professionali e tariffe non tutela i cittadini. Nel caso degli avvocati, la parcella è strettamente legata al numero di attività svolte e alla lunghezza della causa. Un incentivo distorto che ha decretato il fallimento di ogni tentativo di riforma del processo civile che ne prevedesse lo snellimento. Con un onorario in forma fissa, invece, la semplificazione diventerebbe conveniente anche per gli avvocati. In Germania, per esempio, il compenso forfetario ha ridotto i tempi dei processi, pur conservandone tutte le garanzie.

Lo scorso 6 settembre è stato presentato un nuovo rapporto della Commissione europea in tema di concorrenzialità delle libere professioni. L’Italia non fa un bella figura: è nel gruppo di paesi, in larga parte nuovi membri, che “ha soltanto indicato che un lavoro di analisi è in corso”. Altri (Regno Unito, Danimarca e Paesi Bassi) registrano invece progressi soddisfacenti e altri ancora hanno almeno varato riforme minori (ad esempio Germania e Irlanda, che partivano però da una situazione molto migliore). Per giunta, all’inizio di luglio, la Commissione ha fatto i primi passi per avviare una procedura di infrazione nei confronti del nostro paese per l’inderogabilità dei minimi e massimi tariffari degli avvocati, ma anche degli ingegneri e degli architetti.

La dubbia utilità del sistema tariffario

Non è la prima volta che i sistemi tariffari italiani vengono messi in discussione dalla Commissione. Era già avvenuto nel 2003, quando era commissario Mario Monti.
La legittimità e persino l’utilità del sistema tariffario – insieme alla necessità di una rigida disciplina degli ordini professionali – viene strenuamente difesa sulla base della asserzione che barriere all’ingresso delle professioni e stretta regolamentazione dei prezzi servirebbero a garantire i cittadini da abusi e inettitudini professionali. I fatti però non sembrano confermare questa convinzione.
Un indice del grado di rilevanza della tutela offerta dall’ordine contro comportamenti scorretti tenuti dagli avvocati può essere rappresentato dal numero di procedimenti disciplinari avviati in media ogni anno. Secondo i dati del Consiglio d’Europa , per l’Italia il valore di questo indicatore è particolarmente basso: 2,3 procedimenti ogni mille avvocati contro i 217 della Finlandia, i 193 della Danimarca, ma anche i 44 della Grecia.
Un indicatore così basso può essere imputato a due fatti radicalmente differenti. Entrambi, però, fanno apparire poco rilevante la funzione di garanzia degli ordini riguardo la qualità del servizio. Se infatti gli avvocati italiani sono particolarmente corretti e non si determinano le condizioni per avviare procedure disciplinari, allora un ordine strettamente regolamentato non ha ragione d’essere. Se invece esistono casi di comportamento scorretto, ma l’ordine chiude un occhio e non li sanziona, allora ordini strettamente regolamentati non sono efficaci e dunque non sono molto utili.
Anche la rigida regolamentazione delle tariffe, che pure viene giustificata come forma di tutela del cliente, produce effetti molto dannosi sull’efficienza della gestione del processo, e di quello civile in particolare.
Le regole di svolgimento del processo civile (soprattutto quelle che interessano le prove e la definizione del contenuto della controversia) conferiscono ampi poteri di gestione del procedimento giudiziario alle parti e ai loro difensori. D’altra parte, gli onorari degli avvocati sono determinati sulla base di una formula definita per legge: la parcella è strettamente legata al numero di attività svolte nell’ambito del processo e pertanto alla lunghezza della causa, con una sorta di compenso a cottimo. La combinazione di questi due elementi incentiva gli avvocati a utilizzare i poteri di gestione per complicare e di conseguenza allungare il più possibile la durata dei processi. Quanto meno, non li disincentiva dall’abusare delle garanzie offerte dal processo perché non è economicamente vantaggioso perseguire la maggior snellezza possibile del fascicolo.

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Incentivi distorti

Gli incentivi distorti legati alla determinazione dell’onorario degli avvocati si sono rivelati un impedimento risolutivo anche nei tentativi di riforma del rito civile che comportavano una sostanziale riduzione del numero di udienze. Lo dimostra la storia del fallimento della riforma del codice di procedura civile del 1990, naufragata per la durissima opposizione degli avvocati e culminata in circa un anno di scioperi.
Una semplificazione del rito processuale senza una contestuale revisione del sistema delle tariffe, ridurrebbe le parcelle a livelli minimi: non è realistico pensare che possano essere accettate dagli avvocati. Più efficace sarebbe un onorario fosse in somma fissa – ossia completamente sganciato sia dal numero di attività svolte nel processo, sia dalla durata della causa, come accade in Germania, dove il difensore ottiene un parte rilevante del compenso anche se le parti giungono a una transazione prima dell’avvio del processo o, al massimo, entro la prima udienza. Anche per gli avvocati italiani diventerebbe così conveniente snellire al massimo il fascicolo del processo e incentivare transazioni tra le parti che pongano fine alla controversia. Il risultato finale sarebbe un consistente alleggerimento della congestione dei tribunali.
Una regolamentazione più leggera, dunque, consente risultati migliori e, a conti fatti, anche una maggiore tutela dei cittadini. Non a caso dai dati World Bank (
www.doingbusiness.org) pubblicati questa settimana, risulta che in Germania i tempi dei processi civili si riducono, benché il numero di atti procedurali imposti dalla legge sia rimasto invariato: i compensi forfetari consentono di conservare le garanzie nel processo, disincentivando parti e avvocati dall’abusarne.

(1) “Libere professioni – perseguire la riforma” http://europa.eu.int/comm/competition/antitrust/legislation/#liberal.

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16 commenti

  1. Giacomo Dorigo

    Premetto che sono daccordo con la liberalizzazione delle tariffe (come proposto nell’articolo) e dell’accesso alla professione (anche se per ragioni diverse da quelle espresse nell’articolo). Tuttavia volevo evidenziare quella che potrebbe essere una mancanza ‘logica’ nel testo.

    La bassa frequenza delle sanzioni disciplinari viene spiegata con due possibili ipotesi:
    a. alto livello di rettitudine degli avvocati italiani;
    b. lassismo dei controlli dell’ordine.
    Da ciò viene dedotto che qualunque dei due casi fosse vero, comunque l’ordine si rivelerebbe inutile (e da questa deduzione è possibile ricavare una restrizione all’ipotesi ‘a’, cioè che la rettitudine degli avvocati sia dovuta a fattori non determinati dal’ordine).

    Vorrei far notare che è stata esclusa una terza ipotesi:
    c. il ristretto accesso all’ordine comporta un’alta selezione precedente all’inizio dell’attività, per cui la condizione al precedente punto ‘a’ non è dovuta alla natura virtuosa degli avvocati, ma ai controlli in fase di accesso dell’ordine, per cui l’ordine NON è inutile.

    Personalmente non conosco nulla della situazione reale dell’ordine degli avvocati, e quindi non saprei dire quale sia l’ipotesi più adeguata, se ‘a’,’b’ o ‘c’. Tuttavia per escludere l’ipotesi ‘c’ ritengo non sia sufficiente un’indagine logica, ma sia necessario un controllo empirico.

    • La redazione

      Gentile lettore,
      L’obiezione è più che ragionevole: un filtro efficace all’ingresso da parte dell’ordine previene comportamenti scorretti. I dati però non sembrano confermare l’esistenza di un filtro sottile. Infatti l’Italia ha un numero di avvocati per abitante – 22,5 per 10.000 abitanti – largamente superiore alla stragrande maggioranza degli altri paesi europei, inclusi quelli entrati a seguito dell’allargamento secondo i dati del Consiglio d’Europa l’Italia. Solo la Spagna ( 25,9 avvocati per 10.000 abitanti) e il Lichtestein (30,1) hanno percentuali più alte mentre i paesi citati nell’articolo Finlandia (3,3), Danimarca (8,2) e Germania (14,1) le hanno decisamente più basse.

  2. Simona Zagaria

    Secondo l’Autore: “Più efficace sarebbe un onorario fosse in somma fissa – ossia completamente sganciato sia dal numero di attività svolte nel processo, sia dalla durata della causa”.
    Vorrei fare qualche (banale) osservazione.
    – Non si può prescindere da una commisurazione degli onorari dall’oggettivo grado di “complicazione” di una causa, pena la “non convenienza” della diligente trattazione della causa difficile/complessa da parte dell’avvocato.

    – Il numero di adempimenti effuettuati e la durata della causa cositutiscono un ragionevole indicatore (verificabile e oggettivo) del grado di complessità affrontato dall’avvocato. Considerando, ad esempio, solo il valore della causa si avrebbe l’effetto di ottenere la difesa meno accurata proprio per le cause più delicate.
    Poi, la durata della causa non è una variabile dipendente esclusivamente dal comportamento dell’avvocato. Il cliente (specie se in torto) può avere un proprio interesse all’allungamento dei tempi dei giudizi. Le disfunzioni dei tribunali (scarsità dei giudici, assenze prolungate da parte dei medesimi) contribuiscono all’allungamento dei tempi del processo civile.

    • La redazione

      Gentile lettrice,
      Il punto è proprio questo: poiché l’onorario dipende da quanto il processo si complicherà, all’avvocato non è possibile fornire un preventivo di spesa al cliente. Ciò comporta che il cliente non può stabilire se gli conviene economicamente o meno affrontare la causa, né confrontare preventivi alternativi di diversi professionisti per scegliere a chi gli conviene rivolgersi. Diverso sarebbe se si sostituisse l’attuale formula con un compenso a forfait, quale ad esempio quello adottato in Germania. E a maggior ragione se il livello di tale di tale compenso a forfait non fosse regolamentato, ma
      completamente libero. Il cliente potrebbe disporre di un preventivo, potrebbe capire se la causa gli conviene economicamente oppure no, e, se sì, potrebbe scegliere tra le diverse offerte di diversi professionisti.
      L’avvocato potrebbe scegliere strategie poco complicate e più veloci senza che l’onorario ne sia compromesso. I prezzi diventerebbero segnali di qualità. Inoltre mentre l’avvocato è un “agente informato”, perché nella sua esperienza ha visto molte volte come si artcola un processo, e
      sa valutare in anticipo grosso modo quanto si complicherà la causa – in altri termini è un protagonista di un “gioco ripetuto” -, il cliente invece è alla sua prima e forse unica esperienza e perciò tutte queste cose non le sa valutare e non può darsi un preventivo a occhio. Per questo è inefficiente – e forse anche ingiusto – che il rischio
      economico legato al gonfiarsi della parcella per una eventuale
      complicazione della causa ricada sul cliente.

  3. Suarez

    Temo che l’estensore dell’intervento si basi solo sulla lettera dei regolamenti e delle leggi ma sconosca la pratica quotidiana dell’avvocatura. Un a pratica che oramai è fatta di preventivi di intervento, che si debbono cmq agganciare al valore delle cause e da cui ben difficilmente ci si può poi scostare. Preventivi che quindi richiedono grande precisione. Esiste poi il problema (più generale per carità ma in cui rientrano anche gli avvocati, quali professionisti E imprenditori, che oggi le libere professioni sono imprese) dell’esigibilità del prezzo delle prestazioni. Detto questo soprattutto in ambito civile non conosco alcun collega realmente interessato al dilazionamento dei tempi e degli atti del processo (se non per motivi di tattica/strategia strettamente processuale)

  4. valvis

    Premesso che non sono un’avvocato, ma che condivido completamente il contenuto dell’articolo, aggiungerei una sanzione per l’avvocato che patrocina troppe cause che risultano perdenti attraverso la sospensione dell’attività per un determinato periodo: in questo modo l’avvocato seguirà solo cause ragionevolmente fondate ed i costi per il cliente sarebbero più certi.

  5. Alberto Camellini

    gentile autrice,
    nella risposta al commento che mi precede ha sostenuto che “…i dati però non sembrano confermare l’esistenza di un filtro sottile. Infatti l’Italia ha un numero di avvocati per abitante – 22,5 per 10.000 abitanti – largamente superiore alla stragrande maggioranza degli altri paesi europei, inclusi quelli entrati a seguito dell’allargamento secondo i dati del Consiglio d’Europa l’Italia. Solo la Spagna ( 25,9 avvocati per 10.000 abitanti) e il Lichtestein (30,1) hanno percentuali più alte mentre i paesi citati nell’articolo Finlandia (3,3), Danimarca (8,2) e Germania (14,1) le hanno decisamente più basse…”
    Francamente questa tesi non mi convince.
    Penso cioè che il raffronto non sia da fare rispetto al numero di professionisti negli altri paesi. Mi sembrerebbe infatti più indicativo se gli abilitati venissero paragonati in rispetto al numero di laureati in giusrisprudenza, non rispetto a quanti esercitino la professione rispetto al numero di abitanti.
    Questo per due ordini di ragioni:
    1) che in Italia generalmente non sono presenti limiti (quale il numero chiuso) alla laurea in giurisprudenza e questo comporta un alto numero di laureati;
    2) che molti dei laureati, pur aspirando ad esercitare la professione, rinuncino perchè non in grado di superare il concorso e quindi neanche concorrano.
    In definitiva il numero dei professionisti penso non sia una parametro affidabile.
    Piuttosto mi sembrerebbe più persuasivo il numero di avvocati rispetto a quanti, potenzialmente, potrebbero esserlo, quindi i laureati in giurisprudenza.
    Per quanto riguarda la mancanza di concorrenza provocata dalle tariffe, credo sia un falso problema.
    Il sistema è bloccato da problemi di natura amministrativa (nomero di giudici, cancellieri, computer….) non tanto dalla procedura che, in fondo, risulta narcotizzata dai rinvii a 2 o 3 anni.

    • La redazione

      Gentile Lettore,
      non condivido la sua opinione che il rapporto avvocati su laureati sia
      un buon indice di filtro. Non la condivido perché per essere valida
      presuppone che il controllo sull’adeguatezza – peraltro della
      correttezza professionale – dei candidati l’abbia già fatto
      l’università, il che è tutto da dimostrare. Il numero degli avvocati per
      abitante invece pur non avendo alcuna pretesa di essere una
      inconfutabile verifica empirica della qualità del filtro all’ingresso
      operato dall’ordine, dà le dimensioni della ampiezza dei soggetti
      interessati dal controllo: i provvedimenti disciplinari in Italia sono
      in numero modesto e mi sembra ardito supporre che il controllo sociale
      funzioni su cerchie non ristrette al punto da dissuadere ex ante da
      comportamenti scorretti .

      Quanto alla rilevanza delle disfunzioni dal lato dell’organizzazione
      dell’offerta di giustizia (computer, organizzazione amministrativa degli
      uffici giudiziari etcc. ,)dagli studi che ho condotto non sono emerse
      essere determinanti. Può trovare una documentazione più articolata di
      questa conclusione in precedenti miei articoli pubblicati su questo sito
      e in modo particolare in quello intitolato “troppi incentivi al processo
      lungo” e nel dibattito con i lettori che ad esso è seguito e che pure
      può trovare su questo sito.

  6. Marco Solferini

    Gentilissima Autrice,
    sono presidente per l’area di Bologna di un Associazione di Praticanti e Giovani Avvocati denominata Anpa, apprezzo il Suo intervento che stimola una seriosa autocritica al sistema che parta da una razionalizzazione responsabile dei contenuti nel merito di una fattispecie che certamente interessa le garanzie liberali e pluraliste di tutti i concittadini. La prego tuttavia di comprendere anche che, per la storicità (oltre 2000 anni trascorsi) e la tipicità del territorio Italiano che, con realismo, non si presta ad una oggettivizzazione similare a quella dei colleghi Tedeschi, la questione dovrebbe essere oggetto di un tavolo orientato al dialogo, in particolare avvalendosi del pregiato intervento delle nostre Illustri menti che il mondo accademico/universitario correttamente arruala come Professori per il sacro compito formativo. Conciliando cioè le giovanili esigenze dia pprendimento con il realismo tipico delle quesioni lavorative. Le vere riforme infatti non nascono dal disagio bensì dal libero apprezzamento responsabile e illuminato di coloro che si prefiggono il bene comune.

  7. Maurizio Cardaci

    C’è un aspetto che non è stato preso in considerazione. L’autotutela. Nella mia esperienza personale ad esempio su 10 cause di recupero credito almeno 8 un normale cittadino è in grado di sostenerle e seguirle. Con costi enormemente inferiori.
    In Italia non è possibile a causa di una legge restrittiva che vieta al cittadino e/o all’azienda l’autututela stessa, a totale beneficio della corporazione degli avvocati.
    L’esempio americano è illuminante.

  8. luigi fazzo

    Analisi come questa partono da un presupposto indimostrato: cioè che la tariffa “a prestazione” costituisca un incentivo (o un non-disincentivo) a prolungare la durata delle cause. Questo forse valeva decenni fa, quando gli avvocati esercitavano in regime di semi-monopolio, e quelli meno seri dicevano “causa che pende, causa che rende”. Oggi la concorrenza è tale che non scontentare il cliente è diventato importantissimo. Da parte sua il cliente si è fatto più avveduto, chiede spiegazioni, verifica, ragiona. E dal punto di vista dell’efficiente allocazione delle proprie risorse produttive (visto che da più parti ci stanno insegnando che l’avvocato è un imprenditore), è più conveniente per un avvocato risolvere più rapidamente una vertenza, anche se incassa di meno.
    Siamo d’accordo: l’attuale sistema tariffario degli avvocati va riformato, perché è talmente rigido che per forza di cose esso viene spesso eluso, “sfondandolo” in entrambe le direzioni: chiedendo e ottenendo compensi più alti dei massimi teorici, oppure scendendo sotto i minimi per accontentare (o accaparrarsi) il cliente. E siccome gli avvocati si rendono conto che è paradossale non poter fornire al cliente un attendibile preventivo dei costi di una lite, la predeterminazione del compenso a forfait è nei fatti abbastanza frequente.
    Ed è altrettanto vero che il controllo effettivo dell’Ordine sul rispetto della deontologia da parte degli iscritti è, oggi, poco più che una formalità.
    Ma non buttiamo via il bambino con l’acqua sporca. Le ragioni del sistema attuale sono per buona parte ancora valide. Discutiamo pure di onorari a forfait, di patto di quota lite, di liberalizzazione dell’accesso alla professione. E però continuiamo, per favore, a tenere ben presenti gli effetti tragici che i meccanismi ultraliberisti hanno avuto, ad esempio in sistemi come quello americano, sulla professione dell’avvocato, e quindi sul sistema giustizia e sul concreto accesso ad esso da parte dei cittadini.

  9. Rosario Nicoletti

    A commento dell’articolo, da condividere in ogni parola, mi sia concesso raccontare una storia vera, illustrativa della efficacia della giustizia in Italia e della utilità delle tariffe professionali. In un condominio, uno dei condomini cita in giudizio l’amministrazione per presunti danni derivanti da dispersione di acqua da condutture condominiali. La citazione ha luogo dopo più di quattro anni dal (preteso) avvenimento. Il condominio nomina un avvocato per la difesa sostenendo l’insussistenza del fatto, non essendone stato mai informato. Successivamente l’amministrazione (misteri dell’amministrazione dei condomini) sostituisce l’avvocato, senza tuttavia sollevare dall’incarico il primo avvocato. La causa si trascina per circa cinque anni (non sono in grado di dire in che cosa consistessero le udienze), e si conclude nell’unico modo possibile: si respinge la domanda di risarcimento perchè non esiste dimostrazione del fatto. Con la sentenza, come spesso accade, – non si capisce per quale motivo – le spese vengono compensate. Il condominio, trascinato in una causa temeraria, paga le proprie spese legali che sono quelle relative a due avvocati: infatti, l’avvocato numero uno, che mai ha informato il “cliente” della sua esistenza (ed assistenza) nel corso della causa (l’amministratore del condominio è intanto cambiato più volte), presenta regolare parcella a tariffa (circa tremilacinquecento euro). Ogni ulteriore commento è superfluo.

  10. Luca

    Il problema è variegato e molto complesso. Sono stati brillantemente messi in luce moltissimi aspetti. A me piacerebbe metterne in evidenza 2 che sono tra loro interconnessi: il primo riguarda l’eccessiva disaparità di retribuzione all’interno della stessa categoria dovuta fondamentalmente all’assenza di un vero sistema meritocratico all’interno della professione e al totale abbandono della categoria nelle mani del mercato, per cui si trovano bravissimi avvovati che muoino di fame e tanti non all’altezza miliardari e il secondo riguarda l’assoluta liberalizzazione della categoria: per cui in un paese povero di 2000 abitanti si trovano anche 7 avvocati a fronte di caste superprotette, come quella dei notai e dei farmacisti, che non devono fare i conti con nessun tipo di concorrenza agendo nel loro territorio in regime di monopolio. Il tutto quando ci sono in Italia 60000 farmacisti abilitati ad attendere la morte di qualche loro collega più fortunato. La domanda che mi pongo è la seguente: è giusto che nel nostro paese, ma non in Europa, un avvocato con 4, 5 anni di professione debba strappare clienti alla concorrenza per non morire di fame e farmacisti e notai si trovino dal primo giorno di esercizio della professione con 2000 clienti in tasca?

  11. federico ferro-luzzi

    La nuova disciplina del processo societario dimostra ineluttabilmente come non si possa ipotizzare un sistema efficiente basato su di una tariffa fissa, indipendente cioè dall’attività svolta. Nel processo societario, infatti (semplificando), è stato posto in essere un sistema di scambio di memorie tra avvocati sino a quando uno dei due non decide che non vi sia nulla più da aggiungere e chiede di andare innanzi al giudice per la sentenza. E’ di tutta evidenza che se l’avvocato venisse pagato a forfait, non avrebbe nessun motivo per proseguire la fase di esatta configurazione della fattispecie: e il tutto si esaurirebbe in due memorie (attore e convenuto) e via, davanti al giudice per la sentenza.
    La verità è che basterebbe e avanzerebbe: (i) un consiglio dell’ordine maggiormente attento sotto il profilo sanzionatorio; (ii) una pubblicità effettiva sulle tariffe minime; (iii) una effettiva condanna alle spese per la parte soccombente, cosa che ormai non avviene più (i giudici, per ragioni che sfuggono all’umana comprensione, ormai compensano per regola).
    f.f-l

  12. giorgio

    esperienza personale
    il mio avvocato, in una causa di lavoro (sono dipendente), ha calcolato la sua tariffa – a sentenza emessa – come se il valore della causafosse 750.000,00 €, contro un valore effettivo inferiore a 50.000,00€. Poiché ho pagato prima di verificare la congruità dell’onorario, l’Ordine degli avvocati mi obietta che il controllo dell’onorario può essere fatto solo preventivamente!
    A che serve l’Ordine? A occhio e croce a tutelare gli iscritti non la correttezza di comportamento!

  13. responsabilitaavvocati.com

    Le tutele per i clienti dei causidici esistono da tempo; si tratta semplicemente di applicarle. La corte di Strasburgo si è già espressa e ha sancito che “la rappresentanza o l’assistenza di un avvocato non garantiscono la difesa legale effettiva”. Ne deriva che l’utente dovrebbe potere presentare il proprio caso personalmente o attraverso un delegato liberamente scelto. Gli avvocati, a loro volta, dovrebbero essere liberi di stabilire le tariffe che desiderano; allo stesso tempo, gli utenti devono essere liberi di evitare la categoria forense e i danni che la stessa tende, di frequente, a causare. Allo stesso modo ci sentiamo di appoggiare l’esistenza dell’albo professionale; l’albo forense potrebbe essere paragonato ad una sorta di ‘lista somari’ dalla quale gli utenti avrebbero la possibilità di ottenere i nominativi di quei soggetti da evitare per la consulenza, l’assistenza e la rappresentanza tecnico-giuridica.

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