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Più occupazione senza prodotto, un paradosso spiegato dagli immigrati

Il ruolo degli immigrati contribuisce a spiegare i due fenomeni più eclatanti rilevati dall’indagine delle forze di lavoro per il secondo trimestre del 2005: la conferma della crescita sostenuta dell’occupazione, superiore alla crescita tendenziale del Pil, e l’aumento del divario territoriale, in particolare fra Nord e Sud. Il tasso di disoccupazione scende al 7,5 per cento. Sale l’occupazione dipendente a tempo indeterminato, smentendo i timori di “precarizzazione” del mercato del lavoro. Ma nel Mezzogiorno le donne occupate diminuiscono ancora.

La nuova indagine delle forze di lavoro, riferita al secondo trimestre del 2005, conferma le tendenze e i paradossi del mercato del lavoro italiano. Vi sono due fenomeni clamorosi. La crescita dell’occupazione sostenuta, e superiore alla crescita tendenziale del Pil, e un aumento del divario territoriale, in particolare tra il Nord e il Sud del paese. Il ruolo degli immigrati contribuisce a spiegare entrambi i fenomeni. Vediamo perché.

Effetto statistico

Rispetto al secondo trimestre del 2004, il mercato del lavoro ha creato 213mila occupati, con un tasso annuo pari all’1 per cento. Nello stesso periodo, il Pil è cresciuto di appena lo 0,1 per cento. La differenza è impressionante, e continua ormai da quasi cinque anni.
Soffermandoci soltanto sugli ultimi trimestri, la crescita degli occupati è pari a 90mila unità, con un tasso di variazione dello 0,4 per cento, quando invece il Pil è cresciuto dello 0,7 per cento. Cifre più normali. Ma come mai tutti questi nuovi occupati con così poco nuovo prodotto?
L’Istat ha ufficialmente riconosciuto nel suo comunicato che il dato dell’occupazione è “determinato soprattutto dall’incremento dei cittadini stranieri registrati in anagrafe”. In sostanza, si riconosce ufficialmente che la crescita dell’occupazione senza crescita del Pil è collegata a un effetto statistico legato ai lavoratori immigrati. Il meccanismo sembra quello che avevamo individuato nella scorsa rivelazione. Il prodotto dei lavoratori immigrati è già nelle statistiche del Pil, mentre la loro presenza non era rilevata dalle inchieste delle forze lavoro, il cui campionamento è intrinsecamente basato sulla popolazione anagrafica. E man mano che i nuovi immigrati entrano nell’anagrafe, e quindi nel campione dell’Istat, il loro peso nell’occupazione viene rilevato. Sarebbe importante capire quanta percentuale del fenomeno può essere spiegata con questo meccanismo, ma questo tipo di problematica rimane materia da ricercatori.

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Differenze tra Nord e Sud

Il secondo fenomeno riguarda la differenza territoriale. In dodici mesi, il Nord del paese ha creato 178mila posti di lavoro, mentre il Mezzogiorno soltanto 17mila. E la differenza di comportamento geografico per sesso è allarmante. Le donne occupate nel Mezzogiorno, la categoria di lavoro più sottorappresentata nel paese (con un tasso di occupazione pari a solo il 30 per cento), sono addirittura diminuite.
Anche la crescita del divario territoriale è legata al ruolo degli immigrati: è ben documentato che tendono a localizzarsi esattamente dove ci sono più posti di lavoro, ossia nel Nord del paese. Gli immigrati sono infatti molto più mobili e flessibili della popolazione residente, ed è naturale che cerchino di integrarsi dove la disoccupazione è più bassa.

Disoccupazione in calo

L’Istat ha anche confermato la buona tendenza del tasso di disoccupazione, sceso al 7,5 per cento. Nel 1998 il tasso di disoccupazione era il 12 per cento. Si è verificato un vero e proprio miracolo, anche se negli ultimi mesi il risultato è in parte spiegato da un abbandono dalle forze di lavoro di donne meridionali. Cresce anche l’occupazione dipendente a tempo indeterminato. È chiaro che a livello macroeconomico, non stiamo affatto assistendo a una “precarizzazione selvaggia” del mercato del lavoro, nonostante l’occupazione a termine sia cresciuta al 9 per cento.

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E il guardiano dei conti si ritrovò solo

  1. Claudio Resentini

    Egr. professore,
    nessun miracolo. Il tasso di disoccupazione (che ricordiamoci bene, è solo un indice statistico basato su indagini campionarie) diminuisce perchè sta cambiando il modo di percepire la disoccupazione da parte di addetti ai lavori e disoccupati ed il modo di rilevarla. Un tempo bastava non avere un lavoro ed essere iscritti all’Ufficio di Collocamento per essere considerati disoccupati. Oggi non è più così e se non si cerca autonomamente un lavoro perchè scoraggiati per le troppe porte in faccia si viene cancellati dagli elenchi dei Centri per l’Impiego che non hanno certo lavoro da dare ai disoccupati visto che le imprese con l’eliminazione delle liste di collocamento e della chiamata numerica, possono ormai assumere chi vogliono. Così quelli che un tempo erano disoccupati e aspettavano un lavoro dal Collocamento (tanti, in Italia) oggi sono “diventati” inattivi.
    Non le sarà sfuggito che l’aumento annuale degli inattivi (+ 131.000 pari allo 0.9%) mette in ombra in termini assoluti e percentuali l’incremento delle forze di lavoro (+ 127.000, pari allo 0.5)
    Nessun miracolo, prof. Garibaldi. Solo una rivoluzione culturale: se non hai lavoro e nessuno ti da una possibilità è colpa tua. Sei un inattivo, non un disoccupato.
    Ecco l’altra faccia (il trucco statistico dell’aumento dell’occupazione l’ha già spigato lei) del “miracolo” occupazionale italiano.
    Cordiali saluti

  2. Claudio Resentini

    Per distrazione ho confuso due termini:
    è l’aumento annuale delle degli inattivi (+ 131.000 pari allo 0.9%) che mette in ombra in termini assoluti e percentuali l’incremento forze di lavoro (+ 127.000, pari allo 0.5), e non viceversa.
    Mi scuso per l’errore.

  3. Rino Fruttini

    E’ chiaro il perchè del fenomeno: il reddito dei nuovi occupati, soprattutto extracomunitari, non va a consumi, ma a rimesse valutarie verso l’estero, per mantenere i parenti rimasti nei luoghi di origine (nazioni dell’ est europeo, Magreb, sud est asiatico). Basterebbe far congiungere le famiglie e le tendenze di PIl e consumi sarebbero coerenti.
    Perugia, 26/09/’05
    Rino Fruttini

  4. A. Balzan

    Gentile Professore,

    faccio fatica a capire la connessione tra immigrati regolari e aumento occupazione.
    Facciamo un esempio:
    se in Italia nel 2004 c’erano 1000 attivi e 900 occupati ne risultava un percentuale di occupazione del 90%, se nel 2005 fossero arrivati 100 immigrati (che per essere visti dall’Istat devono essere regolari, e con le nuove regole per essere regolari devono avere un lavoro ufficiale) gli attivi sarebbero diventati 1100 e gli occupati 1000 con una percentuale degli occupati che da 90% passa a 90.9%.
    Ora quindi per avere un aumento degli occupati di 0.9% occorre un delta di immigrazione del 10% in un anno.
    Non misembra che questo sia il caso!
    Mi dica se sbaglio?
    Vorrei inoltre sapere come i dati ISTAT da lei commentati tengono conto dei vari strumenti Cassa Integrazione, Mobilità, Prepensionamento, tutte voci che a mio avviso andrebbero aggiunte a quella dei disoccupati.
    Rimane inoltre da chiarire come vengono definiti gli ‘inativi’, che come sottolinea un altro commento, possono essere considerati in modi molto diversi.
    Per concludere un PLI in diminuzione e un’occupazione in crescita rimangono a mio avviso due dati senza senso e qualcuno ci sta prendendo in giro.
    Distinti saluti, A.Balzan

  5. Claudio Resentini

    Egr. sig. Balzan,
    in attesa di una replica dell’autore, se permette le spiego io l’arcano.
    Restando al suo esempio, i 100 immigrati non sono “in più”; già c’erano, ma l’indagine campionaria non li rilevava, come già sottolineato dal prof. Garibaldi. Nessun aumento reale dell’occupazione, dunque, ma semplicemente un aumento della capacità di rilevazione dell’occupazione straniera che, le posso garantire, qualsiasi adetto ai lavori sapeva essere enormemente sottostimata in precedenza. praticamente quando si parlava di occupazione, disoccupazione ecc. lo si faceva senza tenere in considerazione gli stranieri. A lei sembrerà incredibile, ma è così!
    Ma le dirò di più: stante le innovazioni introdotte con le nuove modalità di rilevazione ISTAT e con le nuove modalità di funzionamento dei servizi per l’impiego c’è da aspettarsi un continuo incremento “statistico” (non reale) dell’occupazione ed una continua diminuzione (sempre statistica) della disoccupazione ancora per parecchio tempo. Avrà di che beneficiare di questa meraviglia statistica anche il prossimo governo, di qualunque colore sia.
    Se non crede a me chieda a qualcun’altro che conosce i meccanismi dell’indagine ISTAT sulle forze di lavoro. Le confermerà la mia “profezia”.
    Cordiali saluti.

  6. paolo borghi - Livorno (paborghi@iol.it)

    Piano piano, i dati della New Forza Lavoro, dispiegano metodologie e nuove informazioni, arrivando a spiegare sempre meglio questo dannato e invertito rapporto PIL/Occupazione.
    A questo punto ulteriori considerazioni
    Primo. Se la occupazione che cresce è nei servizi – a bassa produttività quindi e collegata ai consumi più che agli investimenti-, se i gruppi sociali che pompano l’occupazione sono gli extra-comunitari, non sarebbe importante andare oltre cercando di spiegare a favore di chi si sta sviluppando la nuova occupazione (che sappiamo non buona e poco qualificata e non facciamo abbagliare per questo alla crescita lenta del tempo indeterminato per altro tirata dal lavoro indipendente). In questo senso starei molto attento ai migranti interni e ai loro figli che possiedono una specifica posizione sui mercati sia al nord che al centro.
    Secondo.I segnali sugli inattivi che non cercano attivamente lavoro sono per il Sud concentrati sulle donne (che evidentemente non possono perdere tempo a cercare quello che non c’è!), ma per il centro e per il Nord sono meno chiari (anche se anche qui ci sono molte donne).
    Da questa riserva pero’ viene in genere la occupazione di moltissimi posti di lavoro (confermando che la riserva dei disoccupati che cercano attivamente è sempre più chiusa in un vero e proprio reticolato).
    Ad ogni modo sia della prima riserva (gli inattivi quando non sono occupati) sia dalla seconda (gli attivi inoccupati) occorerebbe sapere meglio e di più. Con le percentuali di lavoro nero che girano e con le tante rendite diffuse in Italia, sarebbe interessante cominciare a spiegare perchè la popolazione attiva ha un totale di occupati+Disoccupati attivi molto bassi, tale da far impallidire qualsiasi altro paese dell’Europa che non sia mediterraneo e più che altro di cosa vivono quelli che si possono permettere di non lavorare e di non cercare lavoro.
    Saluti. paolo borghi – responsabile Centro Impiego Bassa Val di Cecina – Livorno

  7. Ernesto

    Da un po’ di tempo mi domando quale senso abbia parlare di occupazione/disoccupazione. Esattamente come per il PIL, quando l’occupazione aumenta siamo esortati a sorridere e viceversa quando diminuisce siamo tenuti a rattristirci.
    Un occupato che venga “totalizzato” come tale quando è “atipico” e che percepisce uno stipendio da fame è una presa in giro.
    Una persona che fa due lavori e che anche così facendo arriva a mala pena a fine mese esemplifica chiaramente quallo che intendo dire.
    Una piena occupazione di questo tipo si sarà d’accordo è molto vicina ad una società non certo auspicabile.

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