Un decreto legge accoglie le ripetute richieste di Alitalia di intervento dello Stato per ridurre i costi aeroportuali e del controllo del traffico aereo, i cosiddetti “requisiti di sistema”. Non si hanno ancora stime precise degli effetti sui conti dei gestori aeroportuali e di Enav. Anche il comune di Milano dovrà rifare i conti sul valore della sua quota della privatizzando Sea. Potrebbe essere l’occasione per ripensare alla contraddizione tra tutela delle rendite monopolistiche come concessionari e difesa degli interessi degli utenti-cittadini.

La Sea, la società del comune di Milano concessionaria degli aeroporti di Malpensa, Linate e che possiede una quota del gestore di Orio al Serio, è finalmente in vendita (per il 33 per cento). L’ultima controversa valutazione ufficiale stima il valore di questa quota in circa 600 milioni di euro. Ma operazioni finanziarie di rilievo hanno anche riguardato Aeroporti di Roma, mentre quasi tutte le concessioni aeroportuali sono ormai state estese per quarant’anni, senza gare, nonostante il reiterato parere contrario dell’Antitrust. È stata anche approvata da poco una norma che prevede l’affidamento in gara alla scadenza dei quaranta anni di concessione. Curioso: se la competizione è giudicata implicitamente “cosa buona” dal legislatore, perché rimandarla a tempi remotissimi?
La situazione assomiglia sempre più a quella delle concessioni autostradali: nessuna competizione e alta redditività per i monopoli, con poco convinto rammarico generale sul peso delle rendite dei settori protetti dell’economia, e sul conseguente spostamento di risorse private dal rischio imprenditoriale a impieghi più sicuri e oggetto di intenso negoziato politico.

La redditività in aeroporto

La redditività degli aeroporti dipende criticamente dalle tariffe che le società di gestione praticano ai vettori aerei, e, in funzione dei vettori serviti, dal traffico passeggeri, grazie a servizi quali parcheggi, ristorazione, e attività commerciali varie.
Le tariffe “lato aria”, cioè per i vettori aerei, sono regolate dal ministero dei Trasporti. Una regolazione necessaria, dal momento che la possibilità per i vettori di scegliere gli aeroporti è limitatissima (solo in Lombardia vi sono numerosi aeroporti a ragionevole distanza l’uno dall’altro) e alcuni sono obbligati a operare in un aeroporto da pressioni politiche di vario genere (come per il trasferimento di molti voli intercontinentali di Alitalia da Roma Fiumicino a Milano Malpensa).
Purtroppo, l’attuale assetto della regolazione fa sì che le tariffe non incentivano l’efficienza, anzi. La Sea, per esempio, dichiarò pubblicamente che con i propri profitti era in grado di costruire la nuova Malpensa senza sussidi, né prestiti della Banca europea degli investimenti, cui era ricorsa solo “in quanto erano disponibili”. Il Cipe, attraverso il suo organo di consulenza per la regolazione (Nars), determinò qualche anno fa un dispositivo di price cap sulle tariffe per le compagnie aeree. L’applicazione di un price cap richiede una contabilità industriale, per la quale il Nars tracciò le linee guida. Ma il Nars non è un’autorità indipendente e non ha poteri sanzionatori. I concessionari si limitarono dunque a non fornire alcun dato che rendesse applicabili le nuove tariffe (che avrebbero infatti dovuto scendere sensibilmente negli aeroporti maggiori, a beneficio dei vettori aerei, e infine dei passeggeri). E si noti che il modello di price cap proposto era tra i più favorevoli ai concessionari: regolava solo una quota dei ricavi (quelli “lato aria”), mentre in altri paesi le rendite dei concessionari vengono regolate includendovi anche quelle “lato terra”.

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Le conseguenze di un price cap

Rendite e inefficienze incidono drammaticamente sul settore aereo, e Alitalia ha chiesto ripetutamente interventi dello Stato per i cosiddetti “requisiti di sistema”, cioè interventi per ridurre i costi aeroportuali e del controllo del traffico aereo effettuato da Enav.
I nodi di una regolazione mancata, o almeno molto carente, vengono al pettine nel peggiore dei modi, mentre il cappio si stringe intorno alla gola della (stremata) compagnia aerea di bandiera. Così, il 5 ottobre il Governo ha approvato un decreto legge, col quale vengono ridotti i corrispettivi che i vettori pagano all’Enav, applicando – recita il comunicato stampa del Consiglio dei ministri – un sistema di determinazione degli stessi in linea con le più recenti prassi per l’offerta dei servizi pubblici”. Sarà un price cap? Difficile rispondere prima di aver letto il testo del decreto.
Il comunicato parla anche di diritti aeroportuali calcolati in base a criteri stabiliti dal Cipe “che tengano conto, tra l’altro, dell’inflazione programmata e degli obiettivi di recupero di produttività assegnati ai gestori”. Sembra proprio un price cap. Inoltre, viene eliminata la consuetudine (davvero bizzarra) dell’applicazione di royalty sui carburanti ai vettori aerei da parte di gestori aeroportuali e si impone la ripartizione dei costi della sicurezza tra gestori aeroportuali e vettori. Infine, lo Stato riduce del 75 per cento il canone di concessione pagato dai gestori, imponendo che i minori costi si traducano in minori diritti aeroportuali corrisposti dai vettori, e trasferisce a Enav la quota percepita dallo Stato sull’addizionale dei diritti d’imbarco, anche in questo caso con obbligo di trasferire i minori costi in minori tariffe per i vettori.
Gli effetti di questo decreto sui conti dei gestori aeroportuali e di Enav non sono ancora stati stimati in modo attendibile. La milanese Sea ha già lamentato un impatto “devastante” sulle sue capacità di investimento. Ma, soprattutto, è l’assessore al bilancio del comune di Milano che dovrà rifare i conti sul valore della sua quota privatizzanda. Chissà che non sia l’occasione per ripensare alla contraddizione esistente tra il tutelare le proprie rendite monopolistiche come concessionari e difendere gli interessi degli utenti, in gran parte propri cittadini, comprimendo nello stesso tempo, attraverso costi eccessivi o rendite improprie, lo sviluppo dei servizi aerei, frequentemente essenziali per la competitività dei territori interessati.
Resta da dire che una regolazione incentivante appropriata non si improvvisa, di norma, con un decreto legge emanato in condizioni di emergenza. E che la salvezza di Alitalia non passa certo soltanto per i requisiti di sistema, nella perdurante assenza di un disegno strategico condiviso.

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