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Autostrade, galline dalle uova d’oro e polli da spennare

Perché alcune infrastrutture, e le autostrade in particolare, sono così redditizie da scatenare
“guerre commerciali” tra soggetti pubblici e privati e conflitti tra amministrazioni locali? Si tratta spesso di rendite di monopolio, generate dalle tariffe consentite da un regolatore debole, e quindi facilmente “catturabile”. Sostanzialmente, una tassa impropria, che potrebbe rivelarsi efficiente se fosse tarata per il controllo della congestione. Quanto alla Serravalle, un privato ha lucrato enormi plusvalenze da un monopolio mal regolato.

Autostrade, galline dalle uova d’oro e polli da spennare, di Andrea Boitani e Marco Ponti

Il dibattito sulle concessioni di infrastrutture “redditizie” è ruotato in questo periodo soprattutto intorno alla congruità del prezzo pagato dalla provincia di Milano a Marcellino Gavio per acquistare la sua quota dell’autostrada Serravalle e garantirsi così la maggioranza azionaria, indipendentemente dall’altro socio pubblico, il comune di Milano, nonché sul senso che un soggetto pubblico “ripubblicizzi” un bene privato. Ma una discussione del tutto simile è in corso per la cessione di una quota di Sea, la concessionaria degli aeroporti milanesi, anche se in questo caso si tratta di una privatizzazione, per di più parziale. L’impostazione del dibattito tuttavia non sembra cogliere i nodi reali della questione. Vediamo perché.

Privatizzazioni e ri-pubblicizzazioni delle rendite di monopolio

Innanzitutto, privatizzare monopoli naturali come sono le infrastrutture, quando ancora sono in mano pubblica molti servizi che non hanno queste caratteristiche, non sembra una strategia difendibile, sia per la scarsa contendibilità “intrinseca” delle infrastrutture – con la conseguente necessità di una regolazione complessa – sia per la loro rilevanza per l’assetto del territorio. Nell’ambito di una strategia volta ad accrescere l’efficienza dei servizi, la privatizzazione di infrastrutture “strategiche” dovrebbe essere probabilmente l’ultimo passo, non il primo. Inoltre, privatizzazioni condotte con lo scopo esclusivo di massimizzare gli introiti del venditore sono puntualmente accompagnate da un assetto di regolazione debole e perciò molto aperto al rischio di “cattura” del regolatore da parte del regolato. Si può anzi dire che la “cattura” è in qualche modo scritta nel codice genetico di questo genere di privatizzazioni.
La questione della Serravalle, dunque, va inserita in un contesto più ampio. Una volta create forti rendite grazie a privatizzazioni concepite con finalità puramente finanziarie (come quella della Società Autostrade, nel 1999), si è determinata la convenienza per soggetti pubblici locali – apparentemente non così privi di risorse come lamentano, o comunque con facilità di accesso al finanziamento – a tentare la via del capitalismo. Non sembra possibile, tuttavia, vedere una strategia riconducibile all’interesse pubblico (comunque inteso o definito) in queste operazioni, ma solo allargamenti di sfere di potere di soggetti pubblici, con obiettivi non chiaramente esplicitati, ma apparentemente soltanto di carattere finanziario, e con manovre certo non molto trasparenti, che potrebbero prestarsi al consolidamento di “rapporti impropri” tra politica ed economia.

Tasse improprie

Bisogna anche chiedersi perché alcune infrastrutture, e le autostrade in particolare, siano così redditizie, e quindi appetibili, tanto che le banche sono pronte a finanziare operazioni con “leverage” altissimi. La loro redditività è anche tale da scatenare “guerre commerciali” tra soggetti pubblici e privati (e conflitti tra amministrazioni locali, come nel caso Serravalle).
L’andamento in Borsa del titolo della maggiore concessionaria privata del settore, “Autostrade per l’Italia spa”, non lascia dubbi in proposito. (1) Del resto, si tratta della terza società italiana (dopo Snam e Terna, altre due reti monopolistiche) per utile ante imposte, oneri finanziari e poste straordinarie e in Europa occupa il decimo posto tra le 454 società più redditizie (nel 2004 era al quindicesimo). Tutto ciò, ovviamente, non è connesso all’eccellenza tecnologica, commerciale, o gestionale, per quanto la guida privata abbia potuto accrescere l’efficienza della società, che comunque faceva profitti anche prima di essere privatizzata. Si tratta, in misura molto rilevante, di rendite di monopolio, generate dalle tariffe consentite da un regolatore debole, e quindi facilmente “catturabile”. Manca infatti una Autorità indipendente di regolazione nei trasporti, che pure è prevista nell’ancora formalmente vigente Piano generale dei trasporti. Siamo sostanzialmente di fronte a una “tassa impropria”: come definire altrimenti una rendita di monopolio determinata da un decisore pubblico?
Non è un tassa di per sé illegittima. Anzi, se fosse esplicitamente tarata per il controllo della congestione, sarebbe efficiente. Ma è tale probabilmente solo in presenza di quattro condizioni che sembrano irrinunciabili: che la dimensione della tassa sia esplicitata (e valutata da un soggetto terzo, o partecipato dagli utenti, per minimizzare il conflitto di interessi); che ne siano esplicitati gli obiettivi, cioè le destinazioni della tassa e non è detto che ampliare autostrade sia sempre un obiettivo sociale prioritario; che sia chiesto e ottenuto il consenso sulla tassa stessa (per esempio, secondo il modello delle “tasse di scopo” statunitensi per le infrastrutture); e infine che sia predisposto un ragionevole monitoraggio “terzo” sulla reale spesa poi effettuata con i proventi della tassa stessa.

Il prezzo è giusto?

Entriamo ora brevemente in merito alla cifra pagata per le azioni Serravalle: 235 milioni di euro. L’analisi condotta da Alessandro Penati (nessuna parentela con il presidente della provincia di Milano) sembra non lasciare dubbi sul fatto che la provincia di Milano abbia pagato un prezzo straordinariamente elevato, anche tenendo conto del “premio di maggioranza” che l’acquisto implicava. (2) Tuttavia, occorre ricordare che la redditività delle “imprese” autostradali è legata anche alla loro attività di costruttori. Infatti, le opere realizzate dai concessionari autostradali vengono compensate con le tariffe (un “cash flow” rapido e certo), a fronte di lavori di fatto tutti “interni” al controllo del concessionario stesso, sulla base di prezzi (e tempi) concordati con un regolatore molto debole e spesso distratto. Inoltre, tali opere (ampliamenti, raccordi e così via) costituiscono fattore cruciale per il prolungamento delle concessioni stesse, con un’interpretazione un po’ disinvolta della normativa che ne prevederebbe la messa in gara alla scadenza. (3) Comunque, nel caso della Serravalle, è evidente che un privato, grazie all’acquisto della provincia di Milano, ha lucrato enormi plusvalenze da un monopolio mal regolato. In altre parole, gli utenti sono stati “spennati”, o che ci siano forti aspettative che siano spennati in futuro.


(1)
Da quando il Cipe ha varato la delibera riguardante le tariffe autostradali per il prossimo decennio (gennaio 2004) a oggi, il titolo di Autostrade si è apprezzato di circa il 50 per cento, toccando punte del 65 per cento. Nello stesso periodo, il titolo della società Autostrada Torino-Milano è arrivato ad apprezzarsi del 100 per cento, per poi ripiegare. A tutt’oggi, comunque il suo valore è di oltre il 50 per cento superiore a quello di gennaio 2004.

(2)
Vedi “La Repubblica” del 4 novembre 2005.

(3)
Si veda il recente caso della concessione autostradale Verona-Brennero, prolungata per otto anni senza gara in base a un piano di investimenti.

Un commento all’intervento di Boitani e Ponti

di Gian Maria Gros Pietro

L’articolo di Andrea Boitani e Marco Ponti dal titolo “Autostrade, galline dalle uova d’oro e polli da spennare” ha sollevato diverse questioni relative alla privatizzazione e alla gestione delle infrastrutture che mi inducono a presentare un diverso punto di vista. Sia per il diretto interesse di Autostrade, società di cui sono presidente, sia perché il tema mi sembra degno della massima attenzione. In un momento in cui il paese ha un evidente deficit di competitività, è necessario misurare l’efficienza delle attività per loro natura non concorrenziali, e pertanto sottoposte a regolazione, comparandola con quella di analoghe attività di sistemi con i quali siamo in competizione. La misura va fatta caso per caso, e io credo sia opportuno che le imprese coinvolte vi contribuiscano con dati tecnici ed economici, da sottoporre a una pubblica verifica.

Gli utenti hanno avuto vantaggi o svantaggi dalla privatizzazione di Autostrade?

Partiamo dalle tariffe. Il sistema di aggiornamento delle tariffe oggi in vigore è stato istituito nel 1997, scegliendo tra i tanti teoricamente possibili. Se fosse stato scelto un sistema più semplice, come quelli in vigore in Francia, Spagna e Portogallo, forse lo Stato avrebbe incassato qualcosa di più dalla privatizzazione, perché gli investitori avrebbero scontato con meno diffidenza i ricavi futuri. Se fosse stato scelto un sistema più complicato, ad esempio comprendente una clausola di claw-back, lo Stato avrebbe sicuramente incassato molto di meno. Ma la scelta è ormai cosa fatta e fa parte del contratto di privatizzazione. Si tratta di vedere come è stata gestita: come si comparano le nostre tariffe con quelle degli altri paesi con rete autostradale a pedaggio, e come sono cambiate le cose dopo la privatizzazione.

Tariffe medie europee al luglio 2004 (€ cent/km)

 

Veicoli pesanti

Veicoli leggeri

Media italiana

13,4

5,4

Media Autostrade per l’Italia

12,0

5,0

Media Francia

19,6

6,9

Media Spagna

12,9

8,0

Media Portogallo

17,2

6,8

UK (M6 Toll)

52,2

14,9

Austria

32,8

Germania

14,0

È stato così anche negli anni passati: le tariffe italiane erano e sono inferiori.
Se si esamina come il regolatore ha gestito la formula per le revisioni tariffarie, dalla sua istituzione (1997) in poi, si rileva che, fino alla privatizzazione, l’aumento medio annuo delle tariffe è stato pari al 140 per cento dell’inflazione; dopo la privatizzazione, esso è stato pari mediamente al 73 per cento dell’inflazione:

Variazioni percentuali annue

                                       Tariffe ASPI             Inflazione

1997                                     2,54                          2,0

1998                                     2,30                          2,0

1999                                     3,09                          1,7

2000                                     1,55                          2,5

2001                                     1,79                          2,7

2002                                     2,21                          2,5

2003                                     1,52                          2,7

2004                                     2,26                          2,2

crescita cumulata 1997-2000 8,1397% 5,8087% rapporto: 1,40
crescita cumulata 2000-2004 9,6821% 13,2503% rapporto: 0,73

Come prevedibile, il regolatore pubblico era più benevolo con un gestore pubblico di quanto non lo sia stato in seguito con uno privato. Di conseguenza la privatizzazione ha portato un beneficio ai clienti e al sistema paese un margine di guadagno di competitività. Nel 2000 il costo del pedaggio di una vettura da Milano a Roma era di 51.500 lire; nel 2005 è di 28,7 euro. L’aumento cumulato in cinque anni è stato del 7,9 per cento. Nello stesso arco di tempo il costo di una pizza è salito del 61 per cento, quello di un pasto al ristorante del 68 per cento.

Un servizio migliore

Ma gli utenti hanno anche usufruito di un servizio migliore. Qualche esempio. Nel 2000 si impiegarono per ripavimentazioni 586mila metri cubi di materiale; l’anno scorso se ne sono impiegati 817mila (+39 per cento), di materiale migliore, perché la percentuale di nuova pavimentazione drenante è passata dal 21 al 61 per cento. Per fine 2005 arriveremo vicino al 50 per cento di copertura della rete con asfalto drenante, e per la fine del 2006 puntiamo al 70 per cento. Intanto il ciclo medio di riasfaltatura è sceso da undici anni a sei anni.
I risultati dei maggiori investimenti in sicurezza si vedono in termini di riduzione della la mortalità per milione di chilometri percorsi, passata da 1,1 nel 1999 a 0,53 nel primo semestre 2005, raggiungendo quel dimezzamento che l’Unione Europea ha proposto di raggiungere in dieci anni (la patente a punti ha aiutato, ma non ha dato gli stessi risultati sul resto della rete).
Nei giorni scorsi vi è stata polemica intorno al blocco causato dalle nevicate in alcune autostrade del nord-ovest, tra cui le nostre. Dobbiamo imparare e migliorare, registrando il fatto che gli eventi atmosferici sono diventati più acuti e il traffico è più intenso, per cui è più difficile pulire la strada mantenuta in servizio, e al minimo incidente si formano immediatamente code più lunghe che in passato. Non è infatti sufficiente che il servizio sia mediamente migliorato:

 

1994 – 1999

1999 – 2004

N° eventi neve con accumulo > 10 cm

138

149

+ 8%

Ore totali di blocco per neve

94

51

– 46%

Durata media dei blocchi per evento (minuti)

41

21

– 49%

(I due archi temporali riportati in tabella fanno riferimento rispettivamente alle stagioni invernali dal 1994-1995 al 1998-1999 e dal 1999-2000 al 2003-2004)

Il servizio privatizzato deve sia garantire un livello medio migliore di quello precedente, sia attrezzarsi nei confronti degli eventi eccezionali. A questo fine è necessario estendere il confronto con gli altri gestori europei, rispetto alle tecnologie impiegate, alle pratiche, all’impiego di mezzi, agli standard di servizio. Nello stesso tempo, su impulso dell’Anas sono allo studio parametri più penetranti di misura del livello di servizio in Italia, da considerare anche in relazione a nuove previsioni convenzionali. Questi parametri includono la fluidità del traffico, per la parte che è governabile dal gestore.
Il problema delle congestioni tuttavia richiede un indispensabile rafforzamento della infrastruttura autostradale. L’insufficienza della rete è il vero problema delle autostrade del nostro paese. Abbiamo troppo pochi chilometri di autostrada rispetto al numero di abitanti e troppi veicoli per chilometro:

La congestione del traffico penalizza la competitività delle produzioni italiane, già in difficoltà per altri motivi. E, a parità di trasporti effettuati, peggiora l’ambiente. Autostrade è un attore dotato dei mezzi tecnici e delle capacità finanziarie per affrontare il problema, nei tratti di sua competenza e con il consenso del territorio.
I dati esposti in precedenza vogliono esser l’avvio di un dibattito basato sui fatti. Altri fatti potrebbero essere ritenuti rilevanti in materia: siamo pronti a discuterne.

* Presidente di Autostrade Spa

L’insostenibile inefficienza delle tariffe

di Andrea Boitani

L’attuale sistema delle tariffe autostradali, difeso con tanta passione da Gian Maria Gros Pietro, risponde a qualche criterio di efficienza allocativa o potrebbe essere utilmente riformato al fine di migliorare il sistema dei trasporti italiani nel suo complesso? Due sono i principali aspetti problematici: l’assenza di una qualsivoglia relazione tra l’attuale sistema tariffario e la politica dei trasporti e la dubbia efficienza di un sistema di tariffe che riguarda solamente una parte della rete stradale, sebbene la più qualificata.

Il doppio ruolo dei pedaggi autostradali

Le autostrade rappresentano oggi il sistema più strategico del paese per la mobilità di lunga distanza, ma non solo per quella. (1) Viceversa, l’attuale assetto tariffario è esclusivamente dominato dall’esigenza di remunerazione dei gestori e di finanziamento degli investimenti. Problemi di ripartizione modale, o di tipo ambientale, o di ottimizzazione complessiva dell’uso della rete non sono nemmeno considerati.
Eppure, il tuttora vigente Piano generale dei trasporti e della logistica, seguendo le linee indicate dalla Commissione europea, prevedeva esplicitamente che il principale compito delle tariffe autostradali dovesse essere quello di promuovere l’efficiente allocazione del traffico, cioè di ridurre la congestione e accrescere la sicurezza, separando il più possibile il traffico pesante da quello delle auto, ma anche di accrescere la sostenibilità ambientale del sistema di trasporto. (2)
Nel Pgtl si manifestava scetticismo circa la concreta possibilità di procedere a un’ottimizzazione generalizzata del sistema delle tariffe. Si riteneva, invece, possibile procedere in modo graduale per muovere il sistema nella direzione auspicata.
A tale fine si suggeriva di “separare” il livello e la dinamica delle tariffe percepite dai gestori, che hanno il compito di garantire l’equilibrio finanziario degli stessi (compreso di un ragionevole rendimento sugli asset impiegati), dal livello e dalla dinamica dei pedaggi pagati dall’utenza.
Per definire gli introiti percepiti dai gestori, su cui poi applicare il price cap, il traffico previsto dai concessionari doveva essere perciò reso certo, trasformandolo in “traffico virtuale“, sulla base del quale calcolare i corrispettivi di cui i concessionari debbano godere. In questo modo, i gestori verrebbero isolati dal rischio determinato dalle scelte allocative della pubblica autorità, mentre il rischio di impresa sarebbe dovuto permanere pieno sui parametri di efficienza produttiva e qualitativa propri del price cap.
Tra l’altro, al di là delle scelte allocative, il traffico autostradale non dipende certo dall’efficienza del concessionario, ma dall’andamento dell’economia, dal prezzo della benzina, dalle alternative stradali o di altri modi di trasporto e così via: tutte variabili al di fuori del controllo del concessionario. (3) Che i concessionari si siano a lungo opposti al metodo proposto nel Pgtl e abbiano voluto mantenere su di sé un rischio sostanzialmente fuori dal loro controllo può essere legittimamente interpretato come un forte indizio che l’attuale impianto regolatorio offre abbondanti garanzie sui ricavi.

Una tariffazione generalizzata

Il secondo problema è quello dell’inefficienza intrinseca di imporre tariffe solo su parte della rete stradale, quando esistono estesi collegamenti con caratteristiche molto simili (svincoli, numero di corsie, eccetera). Anche in questo caso, le raccomandazioni europee (e il buon senso) non lasciano dubbi: occorre muoversi verso “tariffe efficienti” per l’intera mobilità su gomma. La tecnologia è già sperimentata: si tratta di sistemi satellitari che azionano “tassametri di bordo” in tempo reale, e inducono gli utenti a scelte “razionali” (almeno in relazione alla situazione presente) di orari e percorsi su tutte la rete. Occorre cioè che le tariffe rispecchino la politica complessiva dei trasporti. Ma anche la più semplice tecnologia delle “targhe elettroniche”, cioè di trasponder resi obbligatori (il costo di tali dispositivi e dei relativi “lettori” è oggi irrisorio) può estendere gradatamente il sistema di pedaggi all’intera rete stradale.
In questa direzione si muove con decisione il “Patto per la logistica“, sottoscritto l’11 luglio 2005 anche dall’associazione dei gestori autostradali (Aiscat), oltre che da Anas e da Confindustria (di cui fa parte Federtrasporto, presieduta da Gros Pietro). Tra gli interventi prioritari per l’autotrasporto, il Patto prevede proprio l’avvio di un road pricing “da estendere a interi corridoi e alle aree dei grandi centri urbani, con una differenziazione in base alla qualità delle infrastrutture” e “uno schema di pedaggi articolato in modo tale da separare il traffico passeggeri da quello merci e quindi da incoraggiare il traffico pesante nelle ore notturne”.

Un’occasione da non perdere

Dunque, l’unico vero documento di politica dei trasporti messo a punto nel corso della legislatura che sta per finire si riallaccia, sulla questione delle tariffe (auto)stradali, al Piano messo a punto nella legislatura precedente, esprimendo una continuità di indirizzi che supera la diversità delle maggioranze politiche. C’è da augurarsi che tale continuità prosegua nella prossima legislatura e che si passi finalmente dai buoni propositi all’attuazione delle misure necessarie. Certo, molto dipenderà dall’atteggiamento più o meno collaborativo dei concessionari autostradali, tra i quali va assumendo forza il nuovo capitalismo delle province, attirato dai copiosi cash flow garantiti dall’attuale meccanismo di regolazione delle tariffe. Così come dipenderà dal se e dal come verranno concretamente attuate le disposizioni della Legge finanziaria 2005 in materia di nuove strade a pedaggio e dal se e dal come verranno attuate le disposizioni della legge 203 del 2 dicembre 2005 (articolo 6 ter) in materia di subconcessioni da parte dell’Anas di tratte stradali e autostradali. Se questo complesso insieme di disposizioni non verrà semplicemente lasciato cadere o non verrà utilizzato soltanto come strumento per aggirare i vincoli europei in materia di finanza pubblica, o per costituire una nuova concessionaria pubblica da collocare sul mercato in un prossimo futuro, potrebbe presentarsi l’occasione di un cambiamento significativo e nella giusta direzione del sistema di tariffazione della rete stradale e autostradale. Sarebbe bene non perderla.

(1) Secondo alcune stime, il 78 per cento del traffico pesante sulla rete gestita da Aspi ha origine e destinazione nella stessa Regione.

(2) Si vedano, in particolare, il libro bianco Fair Payment for Infrastructure Use del 1998, e il libro verde Towards Fair and Efficient Pricing in Transport del 1996.

(3) In aggregato, il traffico autostradale cresce grosso modo a un tasso pari a quello di crescita del Pil, moltiplicato per 1,5.

Investimenti sregolati

di Marco Ponti

Gran parte dei flussi economici che caratterizzano le concessioni autostradali, sia come spese che come ricavi da tariffa, sono commisurati agli investimenti (nuove tratte, ampliamenti e così via). Proprio la regolazione degli investimenti, però, presenta anomalie significative. Il price cap infatti dovrebbe agire anche su questi, in modo da indurre il gestore a effettuare tutti e soli quelli remunerativi, riuscendo così a lucrare extraprofitti, anche se temporanei.

Verso il piè di lista

In realtà, gli investimenti autostradali formalmente sono al di fuori di tale tipo di regolazione, e sono “richiesti” dal concedente (Anas) al concessionario, e poi remunerati in tariffa a un prezzo concordato ex-ante. Al concessionario, di fatto, rimane il solo rischio industriale, come per qualsiasi appalto pubblico: se spunterà costi minori di quelli concordati lucrerà extraprofitti, altrimenti incorrerà in perdite. Il sistema di remunerazione sta però evolvendo verso un “piè di lista”, con conseguente eliminazione anche del rischio industriale: in tariffa sono riconosciute al concessionario solo le spese realmente sostenute e documentate, anche per evitare gli inconvenienti di ricavi elevati in assenza di investimenti corrispondenti, fenomeno accaduto in modo clamoroso negli anni passati.
Anas formalmente esegue analisi del tipo costi-benefici per le singole opere, ne determina priorità, tempistica, e coerenza con la pianificazione generale. Sembrerebbe il “dominus” del processo, e il concessionario solo un docile esecutore di volontà politiche. Sarebbe dunque una struttura di “command and control” molto tradizionale, in antitesi rispetto a meccanismi di regolazione incentivante. E una struttura che non prevede nemmeno meccanismi di estrazione di “rendite informative”, che richiederebbero la combinazione strategica di remunerazioni “fixed price” e “cost plus“.

Qualche interrogativo

Il contesto nel quale vengono effettuati gli investimenti autostradali non è affatto quello di normali appalti in gara di opere pubbliche: siamo all’interno di un assetto con due soli attori, predefiniti e reciprocamente vincolati, senza alcuna autorità “terza” di regolazione, e quindi estremamente proclive a fenomeni di “cattura”. Come sono decisi i prezzi unitari o gli standard? Come sono raccordate le scelte di investimento autostradali con quelle, per esempio, ferroviarie? Quale è la possibilità di soggetti terzi di analizzare e contestare costi e analisi di fattibilità?
Un caso interessante, sotto questo profilo, è quello dell’autostrada tirrenica Livorno-Civitavecchia. Per rendere fattibile un investimento altrimenti ingiustificabile, il voluminosissimo studio di fattibilità effettuato, assumeva vincoli futuri di velocità sulla strada esistente di 30-40 km all’ora. Questa assurda quanto cruciale assunzione – la strada statale Aurelia consente oggi velocità autostradali per gran parte del tracciato – era descritta in non più di tre righe di testo. (1)
L’attuale piano di investimenti di Autostrade per l’Italia spa per 4,5 miliardi di euro, di fatto, è stato presentato dal concessionario: si fa un po’ fatica a credere che le decisioni siano state interamente prese da Anas, e che il concessionario ne sia un semplice esecutore. Certo, potrebbe trattarsi di un fortunato caso di “fruttuosa collaborazione” tra regolatore/concedente e regolato/concessionario. Ma se si parte dalla consolidata ipotesi della teoria economica per cui i soggetti (pubblici o privati che siano) sono mossi da obiettivi “egoisti”, le “fruttuose collaborazioni” sembrano più facilmente interpretabili come “cattura” (senza alcuno stigma morale). Anche altri piani di investimento sembrano formulati direttamente dai concessionari per ottenere il prolungamento senza gara della concessione, come ad esempio nel caso recente della Brescia-Padova. Sembra davvero impossibile non vedere qui in atto fenomeni difficilmente riconducibili all’interesse pubblico.
Ma anche in termini teorici, remunerare gli investimenti per via tariffaria apre rilevanti problemi di efficienza: vi sono aspetti legati alle perdite di benessere collettivo connesse al fatto che le autostrade sono un monopolio naturale. (2)
E anche l’eventuale quota di intervento pubblico a fondo perduto dovrebbe rispondere a criteri di efficienza, collegati alle politiche di trasporto complessive, al costo-opportunità marginale dei fondi pubblici, e così via [link Boitani]. Infine, se fossero considerazioni ambientali a indurre una politica di finanziamento degli investimenti autostradali basata sulle tariffe più di quanto accada, per esempio, nel settore ferroviario, ciò dovrebbe avvenire esplicitando i costi ambientali relativi caso per caso, tenendo conto dell’elasticità della domanda e di altri fattori.

Altre anomalie regolatorie

Ma vi è un’altra anomalia rilevante, dovuta all’arbitrarietà delle dimensioni dei concessionari. Un investimento effettuato da un concessionario che ha una rete estesa viene recuperato in tariffa “distribuendo” l’aumento tariffario sull’intera sua rete. Un investimento di pari entità effettuato da un concessionario piccolo, invece, deve essere recuperato con incrementi unitari di tariffa molto maggiori, o addirittura essere pagato in parte dall’erario, per evitare shock tariffari o cali drastici di domanda per effetti di elasticità. Si possono immaginare le implicazioni distributive e di efficienza allocativa di questo aspetto delle tariffe, legato solo a un fattore “storico” quale le dimensioni delle concessioni.
Si pongono quindi, come riflessione “storica”, ma forse non inutile, significativi problemi di “dimensione minima efficiente”. Passando da una struttura concessoria pubblica a una privata, quali analisi sono state fatte per definire le dimensioni efficienti delle concessioni? Perché mai scegliere quelle “storiche”, e non dimensioni più elevate, o inferiori? (3) Non sarebbe stata best practice frazionare molto le reti – fare uno “spezzatino”, secondo un termine corrente -, lasciando poi al mercato determinare aggregazioni, cioè eventuali economie di scala? O di nuovo ha prevalso il discutibile obiettivo del “campione nazionale”, che è emerso anche nelle recenti vicende del sistema bancario italiano, e che sembra essere l’”ultima spiaggia” prediletta dai difensori del monopolio? (4)
In conclusione, sembra difficile trovare argomentazioni sia di efficienza economica (assenza di incentivi regolatori), che di efficienza allocativa (assenza di strategie di massimizzazione del surplus sociale) nell’attuale struttura del finanziamento degli investimenti autostradali. La sensazione è che si tratti sostanzialmente di un dispositivo di prelievo di risorse più “indolore” di altri, nella misura in cui fino ad oggi gli utenti e i contribuenti non hanno manifestato resistenze particolari, se non forse in relazione ad alcuni recenti disservizi. Ma sarà sempre così?

(1) In realtà, fenomeni di “gold plating”, o “effetti Averch-Johnson” sono del tutto verosimili in un meccanismo così “chiuso”.
(2) “Deadweight losses”, che postulerebbero almeno una riflessione su di un meccanismo di tariffazione del tipo Ramsey-Boiteaux.
(3) Si veda anche la ricaduta di questo problema sulla remunerazione degli investimenti.
(4) Per rimanere nel settore dei trasporti, si pensi anche al caso di Alitalia o di Fs.

Autostrade per il benessere degli italiani

di Giuseppe Coco

Nelle settimane passate lavoce.info ha ospitato uno scambio di opinioni alquanto interessante sulla privatizzazione e sulla performance generale del sistema autostradale tra tre noti economisti, di cui uno è il presidente del consiglio di amministrazione della maggiore concessionaria autostradale.

La scarsità delle informazioni

In primo luogo, colpisce la dovizia di dati con i quali il presidente di Autostrade ha risposto alla tesi di Andrea Boitani e Marco Ponti. Perché sia possibile un dibattito sui costi e sui benefici del sistema autostradale, è necessario che l’informazione sul settore sia pubblica. Invece, la reperibilità di dati oggettivi, compresi gli incrementi tariffari, risulta spesso problematica, se non per via privata. Questo discorso vale in maniera più pregnante per le convenzioni tra le società concessionarie e l’Anas. La natura dei contratti stessi, in quanto concessioni di una infrastruttura di interesse pubblico, rende necessaria la trasparenza e pubblica “dibattibilità” delle loro caratteristiche. Tuttavia, la trasformazione dell’Anas in spa, ha reso possibile, secondo alcuni giuristi, la “privatizzazione” anche del rapporto concessorio, e la tradizionale “riservatezza” della pubblica amministrazione italiana, qui intesa in senso lato, ha trovato una modalità ulteriore di esprimersi.
La premessa è utile per chiarire che, allo stato, il dibattito pubblico non può che essere falsato. Un regolatore o un economista che voglia sostenere che, ad esempio, la “x” del price cap sia stata fissata in maniera impropria o che il sistema di regolazione della qualità è straordinariamente generoso, si trova di fronte alla oggettiva difficoltà di documentare le proprie affermazioni, come invece ha potuto fare, con puntiglio e correttezza, Gian Maria Gros-Pietro.

Un sistema tariffario generoso?

Per quanto riguarda il merito, un punto centrale appare la spiegazione della sorprendente performance del titolo Autostrade (poi Autostrade per l’Italia). Cosa giustifica, in soli quattro anni e mezzo, per tre dei quali peraltro l’indice Mibtel crollava, il (più che) triplicarsi del valore di una impresa in un settore tradizionale e con tariffe regolate? Molte ragioni indubbiamente, tra le quali anche una maggiore efficienza nei business non regolati, la proiezione internazionale dell’impresa, il cambiamento nella sua struttura e i bassi tassi di interesse. Ma difficilmente, data la dimensione del rialzo, si può escludere una certa generosità del sistema tariffario. La privatizzazione si è quindi risolta in un significativo trasferimento di ricchezza.
Gros-Pietro ammette che, se il sistema tariffario fosse stato più “semplice”, il prezzo di privatizzazione avrebbe potuto essere più elevato. Con ciò implicitamente, a mio parere, ammette che anche la lettera del sistema regolatorio italiano definito nel 1997 era aperta a una serie di possibili interpretazioni, in particolare in merito alle modalità della revisione tariffaria quinquennale, a fronte delle quali il prezzo di privatizzazione ha scontato anche l’eventualità che la revisione avvenisse attraverso l’applicazione del cosiddetto claw back.
A questo proposito giova ricordare che non esistono varie possibilità, tutte corrette, di applicare il price cap, come sembra suggerire Gros-Pietro. La “fissazione” del prezzo per un periodo (regolatorio) temporaneo, che consente legittimamente alle imprese regolate profitti supernormali nel breve-medio periodo, non può che essere compensata da aggiustamenti della tariffa a scadenza del periodo. (1) E questo perché nel lungo periodo i guadagni di efficienza realizzati attraverso la formula di incentivo devono essere trasferiti all’utenza. Come in un settore competitivo una posizione di vantaggio temporaneo di una impresa viene gradualmente erosa dalla concorrenza, nei monopoli regolati il margine di sovraprofitto sui costi deve essere messo in questione, a scadenza, dal regolatore.

I confronti internazionali e intertemporali

Gian Maria Gros-Pietro, per sostenere la sua tesi, fa riferimento a confronti internazionali. I dati che riporta appaiono indubitabili. Andrebbe però precisato che sulle tariffe di alcuni paesi pesano in maniera consistente le remunerazioni per investimenti fatti di recente (il caso più clamoroso è ovviamente la M6 inglese, interamente di nuova costruzione). La rete di Aspi, invece, è stata realizzata svariati decenni fa, il suo costo è interamente recuperato e solo recentemente è stato avviato un programma di investimenti di cui, infatti, gli utenti italiani iniziano ad accorgersi per gli effetti non trascurabili sulla tariffa.
Inoltre, nel valutare gli effetti della privatizzazione sul sistema economico, Gros-Pietro assume che la dinamica delle tariffe, qualora la società fosse rimasta pubblica, sarebbe stata analoga a quella precedente al 1999. E trascura il fatto che le entrate da tariffa sarebbero rimaste, di fatto, nella pertinenza della collettività.
La prima congettura non è sufficientemente provata. Il price cap prevedeva una applicazione di incrementi sulla base di una dinamica predeterminata, anche se variabile in funzione di parametri da verificare anno per anno. Ovviamente, la verifica di questi parametri altera il rapporto tra dinamica tariffaria e inflazione, ma non è legata alla proprietà pubblica/privata dell’impresa. Inoltre, ai fini di una valutazione più completa, sarebbe utile avere una idea di quello che la revisione tariffaria del 2003-4 ha comportato per il presente e comporterà per il futuro. La serie degli incrementi tariffari confrontati con l’inflazione dovrebbe perciò essere “allungata” al 2005 e 2006. (2)
Quanto alla seconda congettura, va detto che il calcolo dei guadagni per la collettività ha un carattere molto più complesso di quello che scaturisce dal semplice confronto tra due tassi di incremento delle tariffe. Bisognerebbe costruire un controfattuale credibile su una serie di variabili del tipo effettuato in interessanti esercizi sul Regno Unito. (3)
I dati sulla dinamica delle tariffe potrebbero indurre il lettore poco informato a concludere che la Aspi abbia in effetti realizzato guadagni di efficienza miracolosi nel corso del quinquennio analizzato. A fronte di tariffe reali in calo, il valore del titolo esplode. L’ipotesi non è però pienamente supportata dai dati sui costi operativi nei bilanci. D’altronde, come spiega Gros-Pietro, Aspi ha effettuato più interventi di manutenzione rispetto al passato.
A chi voglia capire cosa è successo davvero si consiglia la lettura del documento presentato da Vito Gamberale, amministratore delegato della società, alla Ubm IX Italian Conference e pubblicato sul sito di Aspi. (4) Vi si enfatizza una crescita del traffico al ritmo di circa il 3 per cento all’anno e, di conseguenza, delle entrate di circa l’8 per cento (slide 6). Ciò spiega quale sia la principale fonte della crescita miracolosa di questi anni. Ai lettori e utenti lascio il giudizio su chi debbano essere i beneficiari ultimi, a scadenza di periodo regolatorio, delle maggiori entrate dovute a un aumento consistente del traffico.

E la qualità?

Un giudizio sulla adeguatezza dell’applicazione del sistema tariffario, come si è configurato nella prima revisione tariffaria anche attraverso le modifiche introdotte dalla legge 47/04, non può essere espresso senza discutere le caratteristiche e i parametri della regolazione, contenuti purtroppo solo nelle convenzioni. In particolare, bisognerebbe poter discutere, oltre che della correttezza di effettuare o meno la revisione tariffaria, almeno della “x”, della remunerazione della qualità e delle previsioni di traffico. È a questi parametri e al modo in cui sono stati calcolati che Gros-Pietro dovrebbe far riferimento per dimostrare il guadagno della collettività. Potrebbe altresì essere utile ricordare che tra le tante norme vantaggiose per le concessionarie, tra cui Aspi, la legge 47/04 stabiliva anche, come contrappeso, la necessità di rivedere il sistema della remunerazione della qualità “entro sei mesi” (da febbraio 2004), forse perché giudicato troppo generoso o basato su indici solo indirettamente legati alla qualità del servizio. Sarebbe quindi utile sapere quale sia a oggi il sistema di regolazione della qualità di Aspi, se ha subito variazioni a seguito del disposto di legge, e in che misura gli incrementi tariffari di questi anni siano dovuti a miglioramenti della “qualità”.

(1) In misura da definire a seconda del peso relativo che si attribuisce ad obiettivi di incentivo e di efficienza allocativa.
(2) A questo proposito, sarebbe utile sapere direttamente dal presidente l’entità dell’incremento tariffario applicato, date le differenze riscontrate dai mezzi di informazione su tratte diverse, difficilmente attribuibili agli arrotondamenti. (3) Per tutti si veda il recente Florio, M. ‘The Great Divestiture’, The MIT Press
(4) Confrontare i documenti che le società presentano per la business community con quelli che esse presentano alla opinione pubblica o ai regolatori è un esercizio sempre fruttuoso.

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  1. Alessandro Abati

    Non condivido molto la tesi per cui le infrastrutture non andrebbero privatizzate in quanto monopolio naturale. Perché parlando di opere “Indispensabili” ad uno Stato, forse ci riferiamo a quelle che già appartengono al demanio inalienabile, mentre “strategiche” avrebbero titolo d’essere solo quelle capaci di apportare un vantaggio competitivo al sistema Paese. Dunque, non tutte le opere infrastrutturali e non tutti gli assi viari.
    In aggiunta, le infrastrutture sono un mezzo per soddisfare gli obiettivi crescenti di una nazione di erogare servizi per la crescita e lo sviluppo del territorio ed i suoi abitanti. Ma non il fine. E se l’obiettivo principe è una visione di crescita, ottenibile con una qualità/quantità di servizi finali, un Paese moderno deve passare da una attività di “rowing” a quella di “steering” dell’Economia: focalizzando le sue politiche ed i suoi sforzi sul livello e la definizione degli outputs finali e non solo sulla proprietà dei fattori chiamati a produrli.
    Sposo in pieno la seconda parte dell’analisi. Il Paese è dotato di un articolato regulatory-framework settoriale, ma difetta di un vero “regolatore” dei trasporti, che sia super-partes e che, nel tutelare soprattutto i tax-payers, controlli il connubio pubblico-privato: che potrebbe essere virtuoso/sinergico, ovvero, divenire squilibrato per pesi/forze negoziali diversi in gioco.
    In merito alla necessità di un’Authority sui trasporti, spacchetterei gli assi viari in ciò che sono e a cosa servono. Così che l’aspetto opera civile sia ricondotto all’alveo di controllo dell’esistente Autorità llpp, mentre per la funzionalità di servizio viario ci si possa richiamare ai settori elettrico, idrico o comunque tariffabili (usiamo Autorità esistenti). L’intera materia va riportata ad Enti Regolatori capaci di pareri vincolanti su meccanismi di incentivazione, applicazione delle proroghe (si veda Direttiva Costa-Ciampi).
    Insomma, dateci un vero Guardiano del pollaio.

  2. pangloss

    Sarebbe bene utilizzare metriche di rendimento di una concessione piu’ ragionevoli che l’andamento in Borsa dei titoli (Vostra Nota 1), in quanto esso puo’ essere influenzato da contingenti fluttuazioni dei tassi di interesse e dei premi al rischio. Dal 1/1/04 Abertis (concorrente spagnolo) e’ cresciuta del 114%, ASF (concorrente francese) e’ cresciuta del 86%, piu’ delle concessionarie italiane, benche’ le straniere non abbiano firmato il IV atto aggiuntivo. Da quando la ECB ha considerato di rialzare i tassi di interesse, l’andamento di Borsa delle concessionarie ha ripiegato e i titoli autostradali sono tra i peggiori del listino italiano quest’anno. Forse che i fattori da considerare siano altri, guardando al fatto che in Europa la remunerazione delle autostrade italiane non sembra poi cosi’ anomala?

  3. Emilio Roncoroni

    Convengo con le note dei commentatori all’intervento di Gros Pietro. Alle osservazioni critiche ne aggiungerei anch’io una. Il fatturato di qualsiasi società é il frutto della moltiplicazione del prezzo unitario del servizio o del bene venduto , per le quantità trattate. Se la tariffa a km é bassa in Italia rispetto ad altri paesi europei, ma se il fatturato di Aspi al contrario cresce, allora signifca che tanti mezzi continuano a utilizzare la rete autostradale favorendo la crescita dei ricavi del gestore.
    Invito infine a dare una rapida occhiata al bilancio di Aspi in particolare al rapporto reddito operativo su fatturato, al rendiconto finanziario, e infine al fatto che a fronte di un sensbile aumento del rapporto debito su mezzi propri per finanziare l’operazione di rafforzamento del controllo sulla società da parte dei vecchi azionisti, la valutazione in termini di rating non sia assolutamente stata compromessa.

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