Il testo della Finanziaria prevede l’istituzione di un fondo per indennizzare i risparmiatori danneggiati dai crack finanziari, obbligazioni argentine comprese. Molto probabilmente finirà per risolversi in una distribuzione generalizzata delle risorse. Una scelta sbagliata perché non tiene conto di principi base fondamentali per il fisiologico funzionamento di un mercato finanziario, come l’oggettiva rischiosità di alcune operazioni. Accantonata invece la class action, lo strumento più adatto per far valere le ragioni dei risparmiatori “traditi”.

Sarebbe da ingenui stupirsi del fatto che una Legge finanziaria di fine legislatura contenga norme dotate di un buon grado di demagogia, che guardano soprattutto alle prossime scadenze elettorali.
E sarebbe da ingenui stupirsi del fatto che, con un disegno di legge sulla tutela del risparmio dagli esiti ancora incerti, si vada a pescare in quel “popolo dei risparmiatori traditi” che ha vissuto sulla propria pelle le conseguenze dei recenti dissesti.
Il problema è però che, quando si ha a che fare con i mercati finanziari, occorre evitare misure superficiali e poco meditate, pena il rischio di innescare processi degenerativi che finiscono con il danneggiare lo stesso “popolo” che, a parole, si vuole proteggere.

Il risarcimento

Il testo della Legge finanziaria all’esame del Parlamento prevede l’istituzione di un apposito fondo per indennizzare “i risparmiatori che, investendo sul mercato finanziario, sono rimasti vittime di frodi finanziarie e che hanno sofferto un danno ingiusto non altrimenti risarcito”. Hanno diritto all’indennizzo anche coloro che sono stati colpiti dal default delle obbligazioni argentine. Il fondo viene alimentato dai depositi bancari dormienti, quelli cioè rimasti inattivi per lungo tempo e non rivendicati dai titolari, e definiti da un regolamento ministeriale.
A prescindere dalle incertezze circa l’entità di questi depositi e la reale possibilità di acquisirli (in altri ordinamenti la materia per la sua delicatezza e per la sua incidenza sul diritto di proprietà è disciplinata dalla legge e non da un regolamento ministeriale), è evidente che nessuno può mettere in dubbio le manifestazioni di buona volontà per garantire un ristoro ai tanti investitori che hanno subito gravi perdite. E infatti questa norma si è finora sottratta ai tradizionali fuochi d’artificio tra maggioranza e opposizione che caratterizzano la battaglia parlamentare sulla Finanziaria.
C’è però da chiedersi come materialmente possa avvenire l’indennizzo.
In Italia sono sorte numerose vertenze giudiziarie avviate dai titolari delle obbligazioni: in questo caso è il giudice a decidere sulla correttezza del comportamento di chi ha venduto i titoli e sul risarcimento del danno.
La norma della Finanziaria presuppone, quindi, che coloro che non sono ricorsi al giudice o che in sede giudiziale non hanno avuto adeguata soddisfazione possano rifarsi sul nuovo fondo.
Ma non è assolutamente chiaro in che cosa consista il danno ingiusto e soprattutto chi debba accertarne l’effettiva esistenza e stabilire l’ammontare del rimborso.
Il rischio è che una valutazione affidata alla pubblica amministrazione, e sottratta a una giurisdizione con le necessarie caratteristiche di terzietà, finisca con il risolversi con una distribuzione generalizzata delle risorse (poche o tante ancora non si sa) disponibili, a prescindere da una seria e indipendente verifica sulla esistenza dei presupposti per il ristoro.
Sarebbe questa una scelta profondamente sbagliata perché non tiene conto di alcuni banali e fondamentali principi, sicuramente scomodi e “poco popolari” in questo momento, ma che rappresentano la base per il fisiologico funzionamento di qualsiasi mercato finanziario.

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Non tutti gli investitori sono uguali

Al contrario di quanto avviene per i depositi bancari che generano un vero e proprio obbligo di restituzione, quando si effettuano operazioni di investimento esiste una naturale e oggettiva rischiosità, legata a molteplici fattori quali ad esempio le caratteristiche e l’andamento degli emittenti, le variazioni dei tassi di interessi.
L’investitore vanta un diritto a essere effettivamente informato sui rischi che corre, per fare scelte realmente consapevoli in rapporto alle sue condizioni. A sua volta, chi offre servizi di investimento si deve comportare con correttezza e trasparenza.
Una volta realizzate queste condizioni ciascuno è, e deve essere, nella condizione di rischiare, e cioè di guadagnare, ma anche di perdere: senza questa condizione il mercato finanziario non avrebbe ragione di esistere.
Nelle recenti vicende si sono indubbiamente manifestati comportamenti patologici non solo degli emittenti, ma anche degli intermediari, ed è giusto sanzionare tali comportamenti risarcendo quegli investitori che si sono trovati nel portafoglio, in maniera assolutamente inconsapevole, prodotti ad alto rischio.
Ma non tutti sono uguali: c’è anche chi ha volutamente rischiato per realizzare alti guadagni scommettendo sull’andamento dei mercati.
Eventuali operazioni di rimborso generalizzato, da un lato rappresenterebbero una autentica manna dal cielo per gli speculatori, dall’altro si trasformerebbero in una sorta di escamotage per evitare di distinguere e sanzionare le responsabilità di chi non si è comportato nel rispetto delle regole di correttezza e trasparenza.
Senza considerare l’ovvio pericolo di comportamenti opportunistici in grado di pregiudicare il corretto andamento dei mercati, qualora si ingenerasse la convinzione che gli eventuali default, non solo degli emittenti privati, ma anche degli Stati sovrani potrebbero comunque essere “protetti” da una nuova forma di garanzia in ultima istanza.
In un clima reso incandescente sia dalla innegabile rilevanza sociale dei grandi dissesti, sia dalle prossime scadenze elettorali, non si può certo pretendere dal legislatore eccessiva lungimiranza, ma questa materia meriterebbe almeno un po’ di prudenza, e soprattutto un serio impegno a realizzare una efficace tutela del risparmio, non con ambigue scorciatoie, ma con provvedimenti chiari, trasparenti e incisivi.
Ad esempio c’è da chiedersi per quale motivo, nonostante le numerose proposte parlamentari, sia stato frettolosamente abbandonato uno strumento come la class action: la procedura, opportunamente disciplinata, può invece rappresentare la strada maestra per far valere le ragioni dei risparmiatori nella loro sede naturale e cioè davanti a un giudice.

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