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Tutto quello che non sappiamo della Pac

Non è vero che la Pac è l’unica forma di finanziamento all’agricoltura. Nel nostro paese, per esempio, i trasferimenti “visibili” e “invisibili” al settore sono quattro volte superiori a quelli garantiti dal bilancio dell’Unione. Non dovremmo perciò seguire i francesi nella strenua difesa della Politica agricola comunitaria, ma farci promotori di una sua riforma che incida sulle strutture produttive e riduca i costi di produzione della miriade di aziende agricole troppo piccole per poter utilizzare efficientemente la loro dotazione di terra, capitale e lavoro.

La presidenza britannica dell’Unione Europea cerca di modificare entro il 15 dicembre il bilancio comunitario 2007-2013. Per rinunciare allo “sconto” che Margaret Thatcher ottenne nel 1984, il Governo inglese chiede che vengano trasferite risorse dall’agricoltura, che assorbe quasi la metà della spesa complessiva, ad altre destinazioni, come la ricerca e le spese strutturali.
Dai governi dei paesi membri il premier inglese ottiene risposte prevalentemente negative. Si preferisce continuare a spendere i soldi dei cittadini europei come si è fatto finora, nonostante le numerose e persistenti critiche degli ultimi decenni alla politica agricola, giudicata molto spesso inefficiente, iniqua e non sostenibile.
Come si spiega una tale divergenza fra le raccomandazioni di studiosi ed esperti e le opinioni (e decisioni) degli operatori politici nella maggioranza dei paesi europei?
Credo che la ragione principale sia da ricercarsi in una parziale e distorta informazione sulle caratteristiche della politica agricola: questa genera una carente analisi economica dei suoi effetti sul reddito dei cittadini e sullo sviluppo economico, a cui segue quasi inevitabilmente una strategia politica sbagliata e non coerente con il benessere dei cittadini europei.

Informazione parziale e distorta

Facciamo solo due esempi di parziale e distorta informazione.
Il nostro ministro per la Politiche agricole e forestali, Giovanni Alemanno, sulla proposta britannica ribadisce che “le risorse della Politica agricola comune non solo sono garantite fino al 2013 dalla riforma del 2003 della Commissione, ma rappresentano l’unica forma di finanziamento per l’agricoltura”. (1)
È un’affermazione sistematicamente ripetuta sulla stampa e sui media non solo da giornalisti, ma anche da funzionari della Commissione europea a Bruxelles e nelle capitali dei paesi membri. Peccato che sia falsa, e diffonda a cascata fra i cittadini un messaggio parziale e distorto della realtà.
Per quanto riguarda il nostro paese, basta consultare un qualsiasi numero dell’”Annuario dell’agricoltura italiana”, pubblicato dall’Istituto nazionale di economia agraria (Inea) e finanziato prevalentemente dal ministero per le Politiche agricole, per renderci conto che i trasferimenti all’agricoltura provenienti dalla Pac e garantiti fino al 2013, circa 5 miliardi di euro, costituiscono solo una parte, nemmeno maggioritaria, dei finanziamenti al settore. I trasferimenti dai nostri bilanci nazionale e regionali sono addirittura superiori, portando il totale dei trasferimenti dai bilanci pubblici a oltre 11 miliardi.
Inoltre, come l’Inea fa giustamente notare, il nostro settore agricolo beneficia ingentemente di agevolazioni fiscali, previdenziali e contributive, per una cifra che si aggira, di nuovo, sui 5 miliardi di euro. Con questi trasferimenti indiretti siamo già a tre volte i finanziamenti comunitari messi (in parte) in discussione dalla presidenza inglese.
Ma questa stima pecca ancora pesantemente per difetto. Non tiene conto infatti degli effetti della protezione alla frontiera, che fa aumentare i prezzi agricoli sul mercato interno: il maggior costo sostenuto dai consumatori, stimato ogni anno dall’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico, ammonta a una cifra grosso modo uguale alle spese del bilancio comunitario per l’agricoltura. (3)
Questi trasferimenti al settore agricolo di norma non vengono menzionati nei documenti ministeriali nazionali e nemmeno nella documentazione fornita dalla Commissione al Consiglio dei ministri dell’agricoltura quando si decide il sostegno dei prezzi agricoli per gli anni successivi. L’ammontare dei trasferimenti “invisibili” viene però sempre attentamente calcolato sia dai ministeri agricoli che dalla Direzione generale agricoltura della Commissione quando si chiedono sussidi diretti per compensare le riduzioni delle tariffe doganali concesse in sede di Organizzazione mondiale per il commercio.
Se li conteggiamo, arriviamo a oltre quattro volte “l’unica forma di finanziamento all’agricoltura”. (4) Complessivamente, il totale dei trasferimenti al settore agricolo associati alla politica agraria non è molto inferiore al suo valore aggiunto netto.

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Carente analisi economica

Con informazioni così carenti provenienti dalle massime fonti istituzionali su parametri fondamentali per la quantificazione degli attuali interventi pubblici in agricoltura, sarebbe molto sorprendente se i responsabili della politica agricola a tutti i livelli – comunitario, nazionale, regionale e locale – potessero formulare analisi corrette degli effetti. È molto più comprensibile che vengano accettati per buoni i luoghi comuni sull’argomento formulati spesso da strenui (ma molto interessati) difensori della Pac, come il Governo francese, e diffusi su tutto il territorio dell’Unione.
Analisi molto più dettagliate e documentate vengono raramente citate, almeno sui nostri media.
Uno studio molto recente stima che lo smantellamento del sostegno dei prezzi agricoli unito a una utilizzazione più efficiente di molte risorse attualmente spese in agricoltura, entro dieci anni aumenterebbe il Pil dell’Unione di 140 miliardi, cioè dell’1,2 per cento. Sarebbero principalmente i ceti più poveri della popolazione a beneficiarne con un aumento del loro standard di vita quattro volte superiore all’incremento percentuale goduto dai cittadini più ricchi. (5)
Chi ha qualche perplessità sui risultati di modelli econometrici così imponenti come quelli utilizzati nello studio può però facilmente intuire che gran parte della spesa agricola ha una produttività marginale negativa per la nostra collettività. Basti pensare che si spendono circa 1.800 milioni di euro all’anno per indurre gli agricoltori a non coltivare circa il 10 per cento della loro superficie arabile. Spendere soldi dei contribuenti per ridurre l’uso delle risorse naturali disponibili non può che peggiorare l’efficienza del nostro sistema economico abbassando il benessere complessivo dei cittadini europei.

Quale strategia politica

Purtroppo distorte informazioni di base e cattiva analisi economica non possono che partorire una sbagliata strategia politica.
È evidente a tutti che l’attuale politica agricola è stata sistematicamente voluta e sostenuta dai francesi, capeggiati più di recente da Jacques Chirac che ha bloccato molte proposte positive della Commissione europea. I francesi sono grandi esportatori netti di prodotti agricoli e i maggiori percettori dei sussidi comunitari all’agricoltura, hanno perciò spesso identificato l’espansione della Pac con i loro interessi nazionali, anche se in pratica coincideva solo con l’espansione dei loro interessi agricoli, non certo con quelli di tutti i francesi.
D’altro canto, gli inglesi non sono “angioletti” servitori del benessere collettivo dei cittadini europei: comprensibilmente, perseguono anche loro l’interesse nazionale, vendendo cara la riduzione dello “sconto” di bilancio di cui hanno goduto finora. Dobbiamo però ammettere che le loro proposte di riforma del bilancio e della Pac sono più coerenti con il benessere collettivo di quanto non siano le posizioni francesi.
Il nostro Governo dovrebbe evitare di far parte del codazzo dei paesi mediterranei al seguito delle posizioni francesi. Dovrebbe invece tentare di convincere il Governo inglese che non è possibile rivedere la Pac senza una riforma delle strutture produttive che riduca i costi di produzione della miriade di aziende agricole troppo piccole per poter utilizzare efficientemente la loro dotazione di terra, capitale e lavoro. Questo aspetto essenziale viene spesso dimenticato dai britannici, forse perché il loro paese ha già strutture produttive agricole abbastanza efficienti e non trarrebbe molti benefici da una politica che trasferisca fondi dalla sezione garanzia alla sezione orientamento del Feoga, che è compresa nelle politiche strutturali dell’Unione Europea. (6) Attualmente, gli aiuti alla ristrutturazione delle imprese e agli investimenti sono quasi inesistenti: costituiscono pochi punti percentuali di una spesa agricola complessiva che viene invece distribuita prevalentemente a pioggia e senza seguire criteri di efficienza, di equità e sostenibilità.
Il Governo italiano sarebbe nelle condizioni di proporre una riforma del bilancio comune e della Pac migliore di quelle in discussione in quanto i nostri interessi nazionali si identificano largamente con gli interessi dei cittadini dell’intera Unione. La prospettiva di utilizzare parte degli attuali finanziamenti all’agricoltura per politiche strutturali, ma pur sempre nel settore agricolo, dovrebbe essere un elemento determinante per ammorbidire le posizioni dei Governi più soggetti all’influenza delle loro lobby agricole.
Si potrebbe così ottenere una convergenza fra gli interessi di una grande maggioranza di addetti agricoli e gli interessi di tutti gli altri cittadini europei.

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(1)
Comunicato stampa del 6-12-2005

(2) Capitolo relativo alla spesa e consolidato in agricoltura.

(3) Oecd (2005) “Agricultural Policies in Oecd Countries: monitoring and evaluation”, Paris. Nel 2004 il Consumer Support Estimate stimato dall’organizzazione è stato di 51,8 miliardi di euro mentre la spesa di bilancio per l’agricoltura è stata inferiore ai 50 miliardi.

(4) Vedi anche S. Tarditi,Consumer Interests in the Common Agricultural Policy” , Università di Siena, quadro 3-13.

(5) Oxford Economic Forecasting (2005-10) “Trade liberalisation and Cap reform in the Eu”. La ricerca si riferisce a 87 raggruppamenti geografici di stati e 57 settori economici.

(6) Si veda ad esempio il recentissimo studio del governo inglese sulla Pac: HM Treasury, DEFRA (2005-12) A vision for the Common Agricultural Policy.

 

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  1. Massimo Sainati

    Carissimo Dott. Tarditi,

    Oltre a queste assurdità “macro” sarebbe interessante e tristissimo andare ad analizzare anche quelle “micro”.
    Che peraltro proprio nei contributi orientamento hanno spesso le loro espressioni peggiori.
    Cosa dire del peso delle società di consulenza per l’struzione delle pratiche, spesso ben oltre il 10% del contributo ricevuto ? Soldi buttati, nella migliore delle ipotesi.
    Oppure, incredibile a dirsi, cosa dire del fatto che non viene effetuata nessuna discriminante o verifica sul destinatario finale dei fondi ? Una impresa agroindustriale di proprietà estera (perchè no, USA) può essere normalmente ammessa ai fondi. Il risultato finale è una esportazione netta di fondi europei a beneficio del bilancio di società extracomunitarie. La verifica è facile.
    Non ci siamo proprio ….
    Con i più cordiali saluti
    Massimo Sainati

    • La redazione

      Grazie per il commento.
      Lei tocca un argomento molto interessante, il fatto che questi finanziamenti al settore agricolo in gran parte finiscono per non beneficiare gli addetti agricoli ma altre persone che spesso hanno poco a che fare con l’agricoltura. Lei cita i compensi a volte eccessivi alle società di consulenza ed i finanziamenti a società agroindustriali extracomunitarie che possono aumentare i loro profitti ed avere una scarsa ricaduta nel territorio dell’Unione Europea.
      Secondo uno studio OCSE(1) solo l’11% dei trasferimenti generati dal sostegno dei prezzi di mercato finisce nelle tasche degli addetti agricoli, il resto viene percepito dai proprietari fondiari, dai fornitori di materie prime e mezzi tecnici all’agricoltura, da persone estranee all’agricoltura. Se da un lato questa informazione ci conferma quanto sia carente la relazione fra strumenti politici e presunti obiettivi della PAC, d’altro lato il coinvolgimento di interessi non strettamente agricoli contribuisce anche a spiegare quanto sia difficile riformare la politica agricola.
      Dobbiamo inoltre tener presente che secondo alcune stime, almeno la metà dei trasferimenti al settore agricolo in ultima analisi non aumenta il reddito degli agricoltori, ma può considerarsi uno spreco di risorse. Questo spreco può essere palese (es.: distruzione di eccedenze di produzione, sussidi al set-aside, che non sono certamente congiunturali ma sono conseguenza delle distorsioni del sistema dei prezzi agricoli, gran parte delle spese amministrative connesse, sostenute non tanto dall’amministrazione comunitaria quanto dalle amministrazioni nazionali e regionali) oppure vanno a pagare maggiori costi di produzione dovuti alla mancata ristrutturazione di larga parte delle attuali imprese agricole(2).
      Sono d’accordo con lei ….”non ci siamo proprio”.

      1- OECD (2002) The incidence and income transfer efficiency of farm support measures, AGR/CA/APM(2001)24/FINAL
      2- Cfr. ad esempio Tarditi, S. (2003) Consumer Interests …..(2003) capitoli 6 e 9

  2. Massimo Giannini

    L’agricoltura nell’ Unione Europea a 25 paesi
    – impiega meno del 5% della forza lavoro
    – rappresenta meno del 2.5% del PIL
    ma
    – assorbe ancora il 46% del budget comunitario.

    Se qualcuno ancora nega l’inefficiente allocazione delle risorse o é in malafede o fa semplicemente politica senza alcuna analisi economica, in particolare una qualsiasi analisi costi/benefici.
    Non si vede come in presenza di risorse scarse la priorità venga ancora data all’agricoltura.
    Dire che la PAC passerà al 30% del budget comunitario entro il 2013 é poco ambizioso soprattutto quando i benefici per uno smantellamento della PAC sono a livello Europeo e mondiale superiori ai costi…

    • La redazione

      Grazie del commento.
      Per evitare di incorrere in grossolane semplificazioni, come fanno spesso i sostenitori della PAC, dobbiamo però fare le opportune distinzioni fra le svariate forme di intervento pubblico utilizzate dalla politica agricola.
      La tabella (in allegato all’articolo n.d.r) tratta da “Annuario dell’Agricoltura Italiana 2004” dell’Istituto Nazionale di Economia Agraria (INEA), appena presentato il 19-12-05 al Ministero dell’Agricoltura, ci offre un quadro molto utile, ancorché parziale delle principali forme di intervento.
      Le spese più discutibili sono i tre miliardi e mezzo di aiuti alla produzione, a cui occorre aggiungere una cifra certamente maggiore (sui 5 miliardi per l’Italia) di trasferimenti al settore ottenuti attraverso la protezione del mercato comunitario, valori calcolati ogni anno dall’OCSE per l’Unione Europea nel suo complesso.
      Questi aiuti in parte sono ancora legati alla produzione, ed in quanto tali distorcono i prezzi di mercato e sono responsabili della maggior parte degli sprechi di risorse attribuibili alla PAC. Generano infatti una logica perversa di investimenti sbagliati da un lato e di misure volte a limitare la produzione dall’altro. Per la parte di aiuti e trasferimenti che si sta “disaccoppiando” in questi anni dalla quantità prodotta sorge il problema della loro giustificazione logica e della sbagliata ridistribuzione del reddito che generano. Perché consumatori e contribuenti dovrebbero trasferire questo danaro agli agricoltori più ricchi senza alcuna chiara motivazione, ed in proporzione al livello di sostegno dei prezzi di mercato goduti nei decenni scorsi? E’ evidente che le giustificazioni “ambientali” portate ufficialmente a difesa di questi trasferimenti non reggono in nessun modo. Le politiche agro-ambientali devono essere mirate e proporzionate ai benefici che generano per la collettività, benefici che non hanno alcuna relazione con gli aiuti e trasferimenti in questione e che sono in larga parte già oggetto di politiche agro-ambientali specifiche.
      Per le altre forme di sostegno al settore agricolo indicate nella tabella non possiamo dare giudizi frettolosi, sommari ed approssimati, anche se l’eccesso di risorse nel settore agricolo è palese e, in linea di massima, potrebbe far concludere che sarebbe meglio spendere il denaro pubblico in altre direzioni E’ certamente meglio però esaminare e valutare ogni politica separatamente, e per quanto possibile correttamente, in un ottica non corporativa ma di benessere per tutta la collettività.

  3. Mario Parisi

    Se consideriamo gli stipendi dei dipendenti degli enti di sviluppo agricolo, degli assessorati, degli ispettorati agrari, dei caa ecc. il costo complessivo della PAC credo che salirebbe a non meno di 23 miliardi.
    Sarebbe più economico se dessimo ad ogni agricoltore un sussidio di euro 10.000/anno ed abolissimo tutto il resto, rispariemmo non meno di 5 miliardi, ottenendo maggiori risultati.

    • La redazione

      Grazie per il suo intervento.
      Capisco il suo stato d’animo. Per essere completi i costi amministrativi cui lei accenna, da un lato dovrebbero essere analizzati meglio per considerare solo quelli direttamente legati alla PAC, dall’altro bisognerebbe includere anche i costi amministrativi che lo stato sostiene per esigere i fondi del bilancio pubblico che vengono poi spesi nella politica agricola. Questi costi legati al prelievo fiscale sono ovviamente sostenuti per ogni spesa pubblica, non solo per la PAC.
      L’alto ammontare di spesa pubblica nel settore agricolo lascia perplessi, comunque è fortemente criticabile solo quando le risorse pubbliche sono spese male, senza vantaggi proporzionalmente elevati per gli agricoltori e con un danno complessivo per la collettività. Su questo tema di fondo valgono le considerazioni già espresse nelle risposte ai precedenti commenti di Massimo Giannini e Massimo Sainati.

  4. Martino B.

    L’analisi è estremamente interessante e completa. Rimane l’inquietante domanda del perchè non venga fatta propria dai governi.
    Mi permetto di aggiungere solo una considerazione: portiamo sulle spalle anche la responsabilità di condannare chi vive lontano dal cappello protettivo della PAC al sottosviluppo e non di rado agli stenti. Non vorrei fare del populismo di bassa lega, però credo che bisognerebbe avere la coscienza di cosa comportano le nostre azioni, anche per chi non vive a casa nostra e, magari, ha la pelle di un altro colore.

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