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Nella giusta direzione, ma resta un tampone

La manovra di finanza pubblica è ora molto diversa da quella presentata a settembre. Si è scongiurato il pericolo di una Finanziaria elettorale. Ma le previsioni di tagli alle spese e maggiori imposte per quasi 28 miliardi si realizzeranno? E saranno permanenti? L’impressione è che nei tagli vi sia ben poco di strutturale. Sulle entrate pesa il punto interrogativo del gettito della lotta all’evasione. L’eredità per la prossima legislatura resta pesante. Soprattutto, c’è bisogno di eliminare l’opacità e la frammentarietà dell’informazione sulle attività pubbliche.

La lettura della versione aggiornata del “Programma di stabilità per l’Italia”, presentata negli scorsi giorni alla Commissione europea, consente di fare il punto sull’ultima manovra di finanza pubblica di questa legislatura, licenziata dal Parlamento alla vigilia di Natale. Il quadro d’insieme è molto diverso da quello presentato il 30 settembre, grazie alle integrazioni apportate dal Governo nel corso dell’iter di approvazione: la dimensione dell’intervento correttivo di riduzione del disavanzo è passata da 11,5 a 20,3 miliardi di euro, vale a dire dallo 0,8 all’1,4 per cento del Pil. Non era dunque infondata la valutazione negativa che avevamo dato del progetto iniziale del Governo, giudicandolo del tutto insufficiente a conseguire l’obiettivo di portare il disavanzo al 3,8 per cento del Pil.

Non è una Finanziaria elettorale

A conti fatti, comunque, va dato atto al ministro dell’Economia di essersi fatto carico di una situazione difficile e di aver costruito, seppure faticosamente e probabilmente sotto la pressione della Commissione europea, un quadro di insieme della manovra che va nella giusta direzione. In particolare, è da rimarcare il successo nell’aver scongiurato la Finanziaria elettorale che molti pronosticavano come esito inevitabile: gli interventi che comportano maggiori spese nel 2006 sono limitati a 3,9 miliardi, cui si aggiungono 2 miliardi di riduzione del cuneo contributivo sul costo del lavoro e 1,7 miliardi di altre agevolazioni fiscali (in gran parte proroghe di leggi già in vigore). Nell’insieme, 7,6 miliardi di maggiori spese e minori entrate. A questi si contrappongono misure di contenimento, tra maggiori entrate e minori spese, per 27,9 miliardi, che comporterebbero un effetto netto di riduzione del disavanzo di 20,3 miliardi.
Grazie a queste misure, secondo il Governo, il disavanzo nel 2006 scenderebbe al 3,5 per cento del Pil, al di sotto dell’obiettivo del 3,8 per cento che ci si era prefissati a settembre (e in forte diminuzione rispetto al 4,3 per cento previsto per il 2005).
Comprensibile l’apprezzamento del commissario europeo Joaquin Almunia per lo sforzo importante, in linea con l’impegno preso nell’Ecofin del luglio scorso di riportare il disavanzo al 3 per cento del Pil nel 2007. Ma, come lo stesso Almunia ha ricordato, ora si tratta di vedere la concreta attuazione delle misure varate.

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Impegni realizzabili?

Quale grado di fiducia si può avere che si realizzino le previsioni di tagli alle spese e maggiori imposte per quasi 28 miliardi? E, soprattutto, che essi abbiano carattere permanente, in modo da segnare veramente una tappa di avvicinamento verso l’obiettivo del 3 per cento nel 2007 e non l’ennesimo intervento tampone?
Se guardiamo ai tagli alla spesa (17,1 miliardi nel 2006) l’impressione è che in essi vi sia ben poco di strutturale: i risparmi nella spesa per consumi intermedi delle amministrazioni non si sono mai realizzati in modo duraturo nel passato, sembra illusorio pensare di ridurre uno stanziamento per la sanità che finora si è sempre rivelato insufficiente, come dimostrano gli annuali interventi dello Stato a ripiano dei disavanzi pregressi, le riduzioni della spesa in conto capitale sono in buona parte esplicitamente rinvii di spese già decise.
La valutazione più realistica è che di tutti questi tagli solo una parte relativamente piccola si materializzerà nel 2006 e comunque la spesa ritornerà nel 2007 sul suo livello tendenziale. Delle maggiori entrate (in tutto 10,8 miliardi), un grosso punto interrogativo riguarda il gettito della lotta all’evasione, dell’incremento delle riscossioni e della programmazione fiscale con accluso condono, complessivamente circa 2,6 miliardi. Tra l’altro, il condono per gli anni 2003 e 2004 comporta la rinuncia alla normale attività di accertamento, in contraddizione con l’incremento di gettito previsto dalla finanziaria sotto il capitolo della lotta all’evasione. Insomma, non si è probabilmente molto lontani dal vero se si dice che questa manovra lascia le cose esattamente come stanno. Non le peggiora, e questo per una sessione di bilancio pre-elettorale può essere interpretato come un successo che, ripetiamo, non era affatto scontato. Probabilmente, se si guarda al punto in cui eravamo a settembre, non si poteva fare di più.
eredità per la prossima legislatura è comunque pesante. Alla fine del 2005 il rapporto tra debito pubblico e Pil tocca il livello di 108,5, tornando a salire (di due punti, dal 106,5 del 2004) per la prima volta dopo dieci anni. Nel 2006, secondo le stesse previsioni del Governo (che scontano la completa realizzazione della manovra), la riduzione sarebbe solo di mezzo punto e comparirebbe di nuovo il divario tra cassa e competenza che nel 2005 sembrava si fosse azzerato.
Come se ne potrà uscire? Bisognerà abbandonare l’illusione di questi ultimi anni che sia possibile ridurre la spesa fissando tetti finanziari senza intervenire sulle dimensioni e le caratteristiche delle attività pubbliche. Ad esempio, bisognerà chiedersi se non valga la pena di abolire le province, invece di crearne di nuove, interrogarsi se il paese possa permettersi un’università in ogni contrada, se l’agricoltura debba continuare a non pagare imposte, se si possa proseguire a spendere per l’ordine e la sicurezza il 25 per cento in più della media europea e così via.
Prima ancora, per poter scegliere c’è bisogno di trasparenza, di eliminare l’opacità e la frammentarietà che caratterizza l’informazione sulle attività pubbliche, un vero svantaggio competitivo per il nostro paese. Un solo esempio, tra i tanti possibili: l’Unione Europea fissa, attraverso l’Eurostat, regole comuni per la redazione dei conti pubblici in venticinque paesi. In Italia a trent’anni di distanza da una legge che lo imponeva (la riforma del bilancio del 1978) non si è ancora riusciti a ottenere che venti Regioni redigano i loro bilanci in un formato omogeneo. Il risultato? L’Annuario della finanza locale pubblicato dall’Istat nel marzo 2005 riporta “entrate e spese dei bilanci consuntivi di Regioni, Province e Comuni per l’anno 2000”.

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  1. Donatella Accidenti

    Lavorando all’interno delle amministrazioni ci si rende conto che molti dei risparmi sulle spese correnti previsti dalla finanziaria sono degli specchietti per le allodole europee, o degli accorgimenti che ci portano piuttosto indietro nei rapporti tra l’amministrazione ed il cittadino. Dovremo probabilmente applicare una moderna legge sul procedimento amministrativo, che ci obbliga, giustamente, a fare un sacco di comunicazioni a tutti gli interessati quando i rispettivi ministeri ci tagliano le spese postali per cifre anche superiori al 50% (ovviamente senza aver reso utilizzabile ed aver diffuso, nel frattempo, il sistema della posta via mail certificata ).
    Non è facendo i conti della serva che si risparmia, ed in un’ottica di lungo periodo l’abitudine a tamponare i problemi, facendo i conti della serva, non aiuta lo sviluppo.
    Sembra che dagli sbagli del passato non abbiamo imparato granchè!

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