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Un Reddito minimo garantito per l’Italia

I nuovi dati Banca d’Italia ci permettono di completare la ricostruzione di cosa è successo alla distribuzione del reddito negli ultimi quindici anni. Si avverte sempre più il bisogno di uno strumento di lotta alla povertà universale (basato su regole uguali per tutti) e selettivo (che subordina gli aiuti a verifiche dei redditi e dei patrimoni delle famiglie). Formuliamo proposte precise. Un Reddito minimo garantito, almeno inizialmente, non costerebbe più del secondo modulo della riforma fiscale di cui nessuno si è accorto. E coloro che sono stati sin qui dimenticati da tutti beneficerebbe grandemente di questa misura.

Un reddito minimo garantito per l’Italia, di Tito Boeri

I dati dell’ultima indagine Banca d’Italia sui redditi e la ricchezza delle famiglie italiane coprono il periodo 2002-2004. Ci permettono così di completare la ricostruzione di cosa è successo alla distribuzione dei redditi familiari nel nostro paese negli ultimi quindici anni.

Cosa è successo alla distribuzione del reddito in Italia

Le disuguaglianze del reddito e la povertà sono fortemente aumentate durante la dura recessione intervenuta tra il 1991 e il 1993. Poi non sono più diminuite. Nel 2004 l’indice di Gini dei redditi familiari equivalenti, cioè corretti per tenere conto della dimensione familiare, era pari al 33 per cento, mentre la quota di famiglie a basso reddito di poco superava il 13 per cento, valori analoghi a quelli registrati nel 2000 e nel 2002. L’Italia è così un paese in cui le disuguaglianze di reddito sono oggi più accentuate che nel resto d’Europa. I tassi di povertà relativa (la percentuale di persone con un reddito equivalente inferiore al 60 per cento di quello mediano) si mantengono più elevati che nella gran parte degli altri paesi dell’Unione Europea .
Dal 1993 in poi si è assistito in Italia a un modesto spostamento di reddito dalle classi medio-alte alla fascia più ricca della popolazione. Tra il 2002 e il 2004 è continuata la tendenza degli ultimi anni al peggioramento della posizione relativa dei lavoratori dipendenti e al miglioramento di quella dei lavoratori autonomi, probabilmente anche a seguito dei ripetuti e svariati condoni che hanno beneficiato questi ultimi, ma non i primi. Vi è stato anche un forte incremento degli affitti, che si è riflesso sugli affitti imputati a coloro che risiedono in un’abitazione di proprietà, i redditi da lavoro sono cresciuti in misura modesta e c’è maggiore instabilità dei rapporti di lavoro all’ingresso nel mercato, mentre i redditi da pensione sono aumentati. Tutto questo tende a peggiorare la condizione relativa dei giovani (che più raramente hanno case di proprietà) rispetto a quella degli anziani.

Cosa fare per migliorarla

Questa fotografia, sempre più nitida, documenta che non possiamo più permetterci di avere un sistema di protezione sociale tutto squilibrato a favore delle pensioni e privo di una rete di ultima istanza. Un’altra legislatura è passata e nulla è stato fatto per affrontare la stridente lacuna di misure contro la povertà, in grado di garantire un reddito minimo a chi cade in condizioni di indigenza e di permettere a chi è a rischio di diventare povero di vivere le trasformazioni in atto nell’economia italiana in modo meno drammatico. Gli italiani, non a caso, continuano a reagire in maniera più negativa degli altri europei a fasi recessive e sono pessimisti in modo strutturale: ritengono probabile un peggioramento della loro situazione economica non solo a breve, ma nei prossimi quattro-cinque anni. Sono paure che paralizzano molte famiglie, portano al rinvio di molti piani di investimento e impediscono il decollo di molte nuove iniziative imprenditoriali.
L’Italia necessita di uno strumento di lotta contro la povertà che raggiunga i poveri senza lavoro.
Lo strumento più appropriato a questo scopo è il Reddito minimo garantito (Rmg), uno schema oggi esistente, pur in forme diverse, in tutti i paesi dell’Unione Europea a 15 (e in diversi nuovi Stati membri), ad eccezione di Grecia ed Italia.

Universalismo selettivo e riordino

Alla luce di considerazioni legate ai vincoli di bilancio pubblico, efficienza economica e capacità amministrativa, occorre introdurre in Italia un programma universale e selettivo al tempo stesso, nel senso di essere basato su regole uguali per tutti (non limitato ad alcune categorie di lavoratori come nella tradizione italiana), che subordinano la concessione del sussidio ad accertamenti su reddito e patrimonio di chi fa domanda.
La proprietà di un’abitazione con un valore “ragionevole” dovrebbe, comunque, essere esclusa dalla verifica del patrimonio, per molteplici ragioni: (a) l’illiquidità dell’investimento in abitazioni, a maggior ragione in un paese come l’Italia, in cui, soprattutto nelle zone urbane più povere, il mercato immobiliare è meno sviluppato che in altri paesi; (b) l’Italia è fra i paesi dell’Ocse con la più elevata frazione di abitazioni di proprietà (circa il 70 per cento); (c) la casa di proprietà può essere valutata esclusivamente in base al valore catastale che, come è ben noto, è molto erratico: ciò causerebbe una notevole disuguaglianza orizzontale fra individui residenti in regioni diverse, o anche nella stessa area.
Il Reddito minimo garantito dovrebbe sostituire e riordinare molti schemi pre-esistenti, integrandoli più strettamente fra di loro in modo da ridurre sprechi ed evitare che la compresenza di tanti strumenti diversi crei “trappole della povertà” (aliquote marginali di imposta effettive molto alte perché accettando un lavoro si perde il sussidio). In particolare, il Rmg dovrebbe prevedere maggiorazioni per i figli a carico (in base sia all’età, sia al numero), i familiari disabili e le famiglie monogenitore. Dovrebbe, inoltre, sostituire le pensioni sociali e le integrazioni al minimo nonché tutte le prestazioni di indennità civile (assegno di assistenza, indennità di frequenza minori, pensioni di inabilità, e indennità di accompagnamento), l’attuale assistenza sociale e i programmi per i disabili a carattere non contributivo. Sono tutti programmi con obiettivi meritevoli, ma sviluppati in modo non coordinato. Andrebbero perciò riunificati all’interno del Rmg, prevedendo maggiorazioni per ciascuna tipologia di beneficiari; in questo modo, le maggiorazioni per invalidi, soggetti non deambulanti e soggetti non autosufficienti sarebbero condizionate alla prova dei mezzi. I test patrimoniali per i soggetti invalidi dovrebbero, comunque, essere meno stringenti che nel caso degli altri soggetti.
Il Rmg dovrebbe essere progettato in modo tale da incoraggiare il lavoro part-time e il lavoro occasionale, le principali fonti di impiego per una quota consistente di potenziali beneficiari.
Per questo motivo, il Rmg dovrebbe contemplare una generosa franchigia sui guadagni, di importo fisso, e una ritenuta piuttosto bassa, dell’ordine del 60 per cento. Si dovrebbero, inoltre, prevedere misure di “reintegrazione” e di “attivazione” (aiuti nella ricerca di un impiego e sanzioni, in termini di riduzione del sussidio, a chi non collabora), con una chiara differenziazione fra tre gruppi di beneficiari: i giovani, i disoccupati di lungo periodo e i genitori single. Questi ultimi, quando con figli sotto i 6 anni, dovrebbero essere esentati dal requisito di lavoro.
Il Rmg dovrebbe essere finanziato a livello nazionale con cofinanziamento a livello locale (nell’ordine del 10 per cento) delle prestazioni pecuniarie e in natura. Inoltre, bisognerebbe affidarsi a incentivi monetari alle amministrazioni locali affinché monitorino le loro prestazioni: ad esempio, si potrebbe assegnare in via preferenziale risorse a quelle amministrazioni locali che registrano le migliori performance nella riduzione del numero di errori sia del primo tipo (famiglie eleggibili che non sono raggiunte dall’assistenza) che del secondo tipo (famiglie non eleggibili che hanno accesso all’assistenza), nonché nella implementazione delle strategie di attivazione.

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Quanto costa?

È possibile fornire stime prudenziali (probabilmente in eccesso) del costo del Rmg sotto diverse ipotesi quanto al suo ammontare e alle tipologie di redditi da considerare nel selezionare la platea dei beneficiari. Il Rmg andrebbe inizialmente introdotto a un livello abbastanza basso e poi incrementato anche in riconoscimento di un miglioramento nell’amministrazione dello strumento. Ad esempio, un Rmg a 400 euro, potrebbe costare tra 7 e 8 miliardi di euro. Il livello più alto lo si raggiunge ipotizzando che si riesca ad accertare solo l’85 per cento del reddito dei lavoratori autonomi e il 95 per cento di quello dei lavoratori dipendenti.
Un costo minore (attorno ai 4 miliardi di euro) lo si avrebbe invece nel caso in cui si aggiungesse ai redditi accertati l’affitto che l’utente dovrebbe pagare nel caso non avesse casa di proprietà. Ma, come discusso in precedenza, è preferibile non includere la casa nel patrimonio valutato ai fini della determinazione dell’eleggibilità al sussidio. La razionalizzazione e il riordino di molti schemi pre-esistenti porterebbe ad altri risparmi. In sostanza, un Rmg adatto al nostro paese potrebbe, almeno inizialmente, non costare più di quel secondo modulo della riforma fiscale di cui nessuno sembra essersi accorto. Crediamo, invece, che i poveri e coloro che sono a rischio di povertà si accorgerebbero e beneficerebbero grandemente della presenza del Rmg.

Ragioni e condizioni del Rmg, di Emanuele Ranci Ortigosa

Condivido la necessità di introdurre in Italia il Reddito minimo di garanzia, sottolineata da Tito Boeri e Claudio De Vincenti su lavoce.info.
Alla luce delle valutazioni della prima e della seconda sperimentazione nazionale del Reddito minimo di inserimento, che ho diretto, e del Reddito di cittadinanza attuato dalla Regione Campania, nella cui sperimentazione sono stato coinvolto, vorrei richiamare alcuni fatti ed esprimere mie opinioni.

I fatti

Il primo fatto riguarda il rinvio dell’introduzione del Rmi (L. 328/2000) a una normativa specifica che non è stata predisposta dall’allora Governo di centro-sinistra. Un esecutivo che ha acquisito molti meriti nella riattivazione delle politiche sociali, ma che nella fase finale della precedente legislatura ha optato per altre discutibili priorità in campo sociale.
Il secondo fatto è l’oblio imposto alla misura dal Governo Berlusconi, anche con la protratta secretazione dei rapporti di valutazione. Eppure, il Governo aveva anche fornito assicurazioni di co-finanziamento alle Regioni che avessero avviato esperienze di Rui (Reddito di ultima istanza), risultate in seguito prive di qualsiasi affidabilità.
Tali richiami rendono evidente l’importanza di forti prese di posizione a favore dell’introduzione del Reddito minimo garantito. Si tratta di una componente essenziale e particolarmente urgente, per evidenti ragioni sociali, di una riforma nella quale questa misura deve combinarsi e interagire con istituti di politica familiare e ammortizzatori sociali.
La sua sperimentazione ha evidenziato però limiti ed esigenze che non possono essere ignorati, se si vuole che il Rmg dia i risultati auspicati. Ulteriori problemi sono sorti con la riforma del Titolo V della Costituzione del 2001.

Le esigenze cruciali

1. Il Rmg va definito nella Conferenza Stato-Regioni e deve impegnare le Regioni nella sua promozione e nell’accompagnamento nel territorio, e, in qualche misura, anche gli enti locali sul co-finanziamento.
2. L’improponibilità costituzionale di fondi statali sociali trasferiti con vincolo di destinazione – dovuta alla riforma del Titolo V – può essere superata definendo i livelli essenziali dell’assistenza sociale. In breve, le risorse statali Rmg confluirebbero nel fondo sociale statale e i livelli impegnerebbero le Regioni a un minimo di spesa pro capite per tale misura.
3. Il Rmg deve essere introdotto al più presto, ma può anche prevedere tappe progressive. Tale progressione non deve però prevedere l’accantonamento iniziale delle misure di inserimento sociale perché ciò rischierebbe di far regredire la misura entro il tradizionale assistenzialismo, privo di promozionalità.
4. Data la sua dimensione di inserimento e promozione sociale, il Rmg non può essere gestito da piccoli o medio-piccoli comuni, privi delle competenze professionali e della rete territoriale necessaria. Va gestito a livello di ambiti territoriali, impegnando le Regioni a un forte accompagnamento, diretto o tramite le province.
5. L’introduzione del Rmg implica una cruciale scelta di politica sociale, intesa ad affidare al sistema territoriale la funzione della gestione degli interventi (monetari e non) e dei servizi. Si tratta di un cambiamento radicale rispetto all’attuale situazione in cui oltre l’80 per cento della spesa socioassistenziale è assorbita da misure monetarie erogate centralmente, a seguito di una verifica iniziale di alcuni specifici requisiti di varia natura ma senza alcuna valutazione di insieme del soggetto destinatario e del suo contesto di appartenenza, senza progettazione personalizzata, monitoraggio e controllo sullo specifico utilizzo a vantaggio del destinatario, senza possibilità di offrire un diverso intervento che risultasse più appropriato al caso, senza valutazione di risultato. Il loro carattere assistenzialistico è accentuato dal non essere orientate ad attivare nel beneficiario capacità di gestione e superamento del bisogno. E, infine, risultano anche poco eque in termini distributivi.
6. La sperimentazione del Rmi ha evidenziato che per assolvere alle funzioni a esso affidate il sistema dei servizi territoriali necessita di sviluppo adeguato sul piano organizzativo e professionale. Su questo terreno si manifesta uno dei più gravi ritardi del Meridione, generatore di ulteriori disparità, che va affrontato con specifiche iniziative programmatorie e finanziarie, concordate tra Governo e Regioni, e verificate nei loro esiti. Sono operazioni di sviluppo complesse, di medio periodo, che quindi è urgente attivare tempestivamente, graduando anche le attribuzioni di funzioni alle capacità effettive via via maturate. La definizione dei livelli essenziali di assistenza in campo sociale è componente fondamentale di tale strategia.
7. Lo sviluppo della rete dei servizi è essenziale anche per valorizzare la riqualificazione dei rapporti fra amministrazione e cittadini che l’esperienza del Reddito minimo d’inserimento ha evidenziato, in termini di tendenziale superamento di un rapporto paternalistico, se non clientelare, fra questuante ed elargitore, e di proposizione di un rapporto più corretto di verifica dell’esistenza dei requisiti relativi a un diritto, di successiva analisi della condizione familiare e negoziazione di eventuali misure di inserimento, su cui stipulare reciproci impegni. Maggior trasparenza e dignità quindi sia per il richiedente che per l’operatore, e promozione di una cultura di cittadinanza anche in realtà che ne erano molto lontane.
8. Non poche difficoltà sono legate alla prova dei mezzi. L’Isee fa riferimento alle posizioni fiscali e queste in Italia sono notoriamente poco affidabili. Oltre che rigore e collaborazione fra le diverse amministrazioni competenti, occorre anche qualche ulteriore strumento di controllo. In Campania, per il Reddito di cittadinanza, a fronte dei molti Isee di valore zero si è costruito un indicatore di controllo legato a dati di consumo. La via è problematica, ma il nodo non può essere eluso, e questa coraggiosa sperimentazione può risultare assai interessante se attentamente valutata.
9. Rispetto ai redditi da considerare vanno incluse tutte le erogazioni assistenziali di cui la famiglia beneficia mentre va dedotto l’affitto, che espone a oneri assai consistenti. La scala di equivalenza deve assegnare peso adeguato a componenti fragili per includere, quindi, elementi di politiche familiari e assistenziali. Condivido anche che si debba incoraggiare il lavoro atipico, con gli strumenti cui Boeri accenna.
10. È essenziale che l’istituto del Rmg venga monitorato in maniera adeguata, senza le lacune che la valutazione ha registrato nelle sperimentazioni, per procedere ad aggiustamenti, correzioni, integrazioni in progress.

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Da ultimo le stime sul costo. Per le sole erogazioni economiche, assumendo le regole e i criteri della sperimentazione, abbiamo stimato (considerando gli affitti deducibili) una spesa di 3,2 miliardi di euro. La ratio di adesione dei potenziali beneficiari considerata è più bassa di quella ipotizzata da Boeri che, anche alla luce delle esperienze estere, mi pare difficilmente raggiungibile in fase di avvio. Si deve comunque considerare che su tale fondo dovranno affluire le risorse oggi impegnate dalle misure nazionali da cancellare, una volta assicurata la continuità delle tutele per i beneficiari, e che essa consentirà agli enti locali risparmi sulle loro attuali erogazioni monetarie.
Per tali ragioni una politica che assuma con serietà le scelte indicate non comporterebbe costi aggiuntivi inaccettabili. Anzi. E il rapporto costi-benefici sarebbe senz’altro ben superiore dell’attuale.

Reddito Minimo: gli aspetti redistributivi, di Cristina Dell’Aquila e Alessio Liquori

L’utilità sociale di uno strumento come il “reddito minimo di inserimento” nel contrastare il fenomeno della povertà e della marginalità sociale di alcune fasce della popolazione è stata ampiamente argomentata da Boeri e De Vincenti e non può che essere ampiamente condivisa.
Alcune considerazioni più attente, invece, si impongono con riguardo agli effetti redistributivi di tale strumento. Boeri, infatti, ripropone l’introduzione del RMI partendo soprattutto da considerazioni di carattere distributivo, ma l’impatto redistributivo della misura risulta fortemente condizionato dalla configurazione che lo strumento assume sotto molteplici aspetti e, segnatamente:
1) le modalità di finanziamento
2) le modalità di calcolo del beneficio
3) il quadro istituzionale

Modalità di finanziamento

L’impegno finanziario dell’intervento è di misura non trascurabile, considerati i vincoli che gravano sul bilancio pubblico, benché le previsioni di Boeri appaiano esagerate: l’ordine di spesa annua, secondo le stime effettuate dai valutatori indipendenti ai tempi della sperimentazione (a disposizione di chi le volesse consultare), dovrebbe essere più vicino a quello calcolato da De Vincenti (intorno ai 3 mld. di euro). Il punto, però, non sta nel costo della misura, che appare decisamente sostenibile rispetto ai risultati attesi, quanto nelle modalità di finanziamento. Un RMI finanziato totalmente dalla fiscalità generale potrebbe avere un impatto redistributivo in fondo debole. I dati Bankitalia a cui Boeri si riferisce, infatti, evidenziano uno squilibrio nell’incidenza del prelievo fiscale che, negli ultimi anni, ha favorito determinate categorie di contribuenti e sfavorito altre. Per questo diventa importante interrogarsi anche su come finanziare il RMI e non solo su a chi e come darlo: l’idea è che il prelievo fiscale necessario a finanziare il RMI dovrebbe incidere sulle categorie di contribuenti che hanno visto aumentare le loro quote distributive.
Alcuni dei possibili interventi grazie ai quali si potrebbe reperire il gettito necessario – e su cui sarebbe interessante avviare una discussione – sono i seguenti: 

a) un aumento dell’aliquota unica sulle plusvalenze (portandola a un livello non inferiore al 20% e sostenibile sui mercati internazionali);
b) la reintroduzione della tassa di successione, con un profilo di forte progressività;
c) l’introduzione di una tassa di scopo appositamente studiata;
d) l’introduzione di forme forfetarie di tassazione dei redditi di determinate categorie o (meglio) delle imprese “incapienti” (che dichiarano un VA nullo o negativo);
e) un aumento dell’ICI sulle seconde case, in particolare per finanziare le spese di gestione del RMI a carico dei comuni.
Alcuni dei possibili interventi grazie ai quali si potrebbe reperire il gettito necessario – e su cui sarebbe interessante avviare una discussione – sono i seguenti: 

a)  un aumento dell’aliquota unica sulle plusvalenze (portandola a un livello non inferiore al 20% e sostenibile sui mercati internazionali);
b)  la reintroduzione della tassa di successione, con un profilo di forte progressività;
c)  l’introduzione di una tassa di scopo appositamente studiata;
d)  l’introduzione di forme forfetarie di tassazione dei redditi di determinate categorie o (meglio) delle imprese “incapienti” (che dichiarano un VA nullo o negativo);
e)  un aumento dell’ICI sulle seconde case, in particolare per finanziare le spese di gestione del RMI a carico dei comuni.

Calcolo del beneficio

Sulla necessità di mettere a punto una robusta prova dei mezzi e di considerare l’introduzione del RMI come l’occasione per ridisegnare in senso universalistico il sistema degli ammortizzatori sociali non è il caso di ritornare, viste le argomentazioni già svolte da Boeri e De Vincenti.
Un elemento di cui ci sembra rilevante tener conto nella definizione delle caratteristiche principali della misura, non citato negli interventi precedenti, è la presenza in Italia di elementi di forte differenziazione territoriale del costo della vita; nella determinazione delle soglie di accesso alla misura, quindi, potrebbe essere opportuno introdurre misure perequative legate a un criterio di Parità del Potere d’Acquisto. Tale ipotesi dovrà tuttavia al contempo tener conto di quell’insieme di elementi legati ai vantaggi localizzativi che, a esempio, derivano alle regioni centro-settentrionali dal poter beneficiare di una migliore dotazione di infrastrutture e di servizi immateriali.

Quadro istituzionale
Rappresentando l’RMI uno schema di protezione in grado di intervenire nelle situazioni di maggior bisogno, è fondamentale che la definizione dei criteri di accesso e le risorse da assegnare alla misura si stabiliscano a livello centrale. Si dovrà tuttavia tener conto dell’importanza che assume la conoscenza della realtà locale per una realizzazione efficace della misura.
La riforma del sistema di assistenza sociale (L. 328/00) stabiliva che gran parte delle funzioni in materia di servizi sociali spettava ai Comuni, lasciando alle Regioni compiti di programmazione e di indirizzo e allo Stato la ripartizione delle risorse e la definizione dei livelli minimi e uniformi di assistenza; si tratta di capire, pur in attesa degli esiti del referendum confermativo, come la questione della devoluzione intervenga nel ridefinire le competenze tra Stato, Regioni e EE.LL. Anche nella questione del cofinanziamento Stato-Regioni non si devono trascurare gli obiettivi di perequazione territoriale, altrimenti si corre il rischio di rafforzare le caratteristiche socio-economiche dei contesti di appartenenza, con le Regioni “più ricche” inevitabilmente “più generose” nella concessione del beneficio e nella sua misura.

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Sommario 12 gennaio 2006

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Due pareri sulla TAV

29 commenti

  1. Giorgio Andretta

    Sono nauseato a forza di ripetere la proposta del Reddito di Cittadinanza che si trova all’interno del progetto
    “Antropocrazia”. Compulsabile sul sito http://www.bellia.com fino dal lontano 1992, adesso T. Boeri ha scoperto l’acqua calda, Vi ringrazio per avermi risposto solertemente a tutte le mie indicazioni, ma forse non merito la stessa attenzione di Boeri!

    • La redazione

      Quello proposto non è il reddito di cittadinanza. Costerebbe troppo!

  2. Ugo Celauro

    Egregio prof. Boeri,
    ci spiega perché chi ha solo un reddito deve pagare imposte con percentuali a 2 zeri, mentre chi ha un patrimonio di pari valore deve pagare un’Ici al 7 per mille?
    Non sarebbe meglio equiparare il reddito al patrimonio, sommarli entrambi e sottoporre il totale ad un’unica aliquota?
    Per equiparare il reddito di qualsiasi origine al patrimonio, basterebbe depurarlo delle spese di produzione ed ottenere un netto da considerare incremento patrimoniale e, quindi, omogeneo al patrimonio preesistente.
    Quanto deve durare ancora questo disordine nella gestione delle imposte?

    • La redazione

      Ma quante volte dovremmo tassare il patrimonio? Tutti gli anni? Non capisco. In ogni caso non c’è bisogno di introdurre nuove tasse per finanziare il RMG.

  3. Ugo Celauro

    Egregio prof. Boeri,
    ci spiega perché chi ha solo un reddito deve pagare imposte con percentuali a 2 cifre, mentre chi ha un patrimonio di pari valore deve pagare un’Ici al 7 per mille?
    Non sarebbe meglio equiparare il reddito al patrimonio, sommarli entrambi e sottoporre il totale ad un’unica aliquota?
    Per equiparare il reddito di qualsiasi origine al patrimonio, basterebbe depurarlo delle spese di produzione ed ottenere un netto da considerare incremento patrimoniale e, quindi, omogeneo al patrimonio preesistente.
    Quanto deve durare ancora questo disordine nella gestione delle imposte?
    Sarebbe un grande passo in avanti risolvere prima di tutto il problema del prelievo fiscale, escludendo considerazioni che sono da prendere in esame solo dopo avere risolto in maniera equa la questione di base, cioé dove prendere i soldi.

    • La redazione

      Si trova sempre una scusa per non intervenire a favore dei poveri. Ricordo che si poteva finanziare l’rmg rinunciando al secondo modulo della riforma fiscale. Bene comunque aumentare la tassazione delle rendite finanziare e rivedere gli
      estimi catastali.

  4. Simone Sereni

    Gent.mo prof. Boeri,
    Rmg o meno, la riforma del sistema di welfare verso una riduzione dello sbilanciamento a favore degli over 60 mi sembra drammaticamente urgente. Forse perché ho 33 anni…
    Per mera esperienza personale, legata alla mancata iscrizione di mio figlio ai nidi comunali, ho però un dubbio sui vantaggi da concedere ai cosiddetti nuclei monoparentali in genere.
    Mi perdoni se sconfino un po’.
    Si tratta di una condizione altrettanto difficile (mi dicono alcuni esponenti delle istituzioni) da rilevare di quella relativa alle case di proprietà (ad avercela!) che esponeva più sopra.
    È vero che generalmente si tratta di famiglie in situazione di disagio, nel caso di ragazze-madri o ragazzi-padri in specie che meritano cura e tutele, ma spesso si tratta di coppie di fatto che, almeno reddito alla mano, non avrebbero affatto bisogno di essere sostenute e potrebbero arrangiarsi diversamente (vale per gli asili ma credo anche per il Rmg). Che però dichiarano di essere “soli” ed avere, per es., figli carico. E quindi usufruiscono di servizi (o sussidi) pubblici che potrebbero invece essere determinanti per altri cittadini o famiglie in condizioni di disagio che ne restano escluse.

    Che ne pensa? Come aggirare questa lacuna tecnica (e culturale)?

    Grazie

    • La redazione

      La concessione del rmg e subordinata a prova dei mezzi che terrà conto delle effettive disponibilità delle famiglie monoparentali. Il livello basso del trasferimento esclude, credo, la possibilità che questo possa incentivare in modo significativo la struttura dei nuclei famigliari.
      Cordiali saluti

  5. Antonio Piccolo

    Gent.mo Professore, la sua proposta valida moralmente, presenta molti problemi e rischi.
    Intanto mi sembra diseducativa nei confronti dei giovani.
    Per quale motivo un giovane del sud dovrebbe cercare un lavoro al nord a 800 euro al mese quando potrebbe starsene a casa senza far nulla mantenuto dai genitori magari a loro volta in pensione? Mi è stato riferito che nei paesi mitteleuropei che Lei cita vaste masse di giovani maghrebini poco inseriti vivono senza far nulla a spese dello stato creando i ben noti disordini che abbiamo visto recentemente in Francia. E possiamo immaginare cosa succederebbe nel nostro meridione patria delle pensione false e di tanta ben nota illegalità.
    Invece io penso che sia necessario sostenere massicciamente con forti detrazioni fiscali le famiglie, soprattutto quelle numerose, che pagano le tasse regolarmente magari tenendo conto di fattori importanti come la casa in proprietà vero spartiacque tra benestanti e poveri.

    • La redazione

      Grazie per il suo commento. Il livello basso del sussidio (serve a innalzare il reddito di un individuo a 400 euro, quindi può essere anche di pochi Euro) e le politiche di attivazione servono proprio a impedire che il sussidio possa scoraggiare la ricerca di lavoro. Non vedo peraltro masse di giovani meridionali che vanno oggi al Nord in cerca di lavoro. Semmai rimangono a casa coi genitori, l’unico ammortizzatore sociale di cui oggi dispongono.

  6. Alberto Lusiani

    Ritengo che le disuguaglianze relative di reddito siano artificialmente gonfiate dalla natura duale dell’economia italiana, dove redditi e costi della vita variano di un fattore circa due tra Nord e Sud. In questo modo molti redditi meridionali gonfiano artificialmente in numero dei poveri, calcolato in rapporto al reddito medio nazionale, pur assicurando un tenore di vita medio se confrontato col reddito medio della regione di residenza. Sarebbe meno fuorviante calcolare le disuguaglianze relative di reddito in aree piu’ omogenee, e quindi separando nord e sud d’Italia. Differenze geografiche di reddito e costo della vita esistono anche in altri paesi europei, ma in Italia sono ampiamente maggiori per entita’ e come percentuale di popolazione coinvolta.
    Riguardo al reddito minimo garantito, si tratta di una buona intenzione destinata pero’ ad avere conseguenze perverse in Italia, dove verrebbe fissato da politici e sindacalisti ad un livello uguale per tutti, come gli stipendi degli insegnanti statali, con la conseguenza che
    – a sud incentiverebbe ancora piu’ di oggi il ricorso al lavoro nero, con conseguente evasione fiscale e contributiva
    – a nord sarebbe insufficiente
    Il reddito minimo garantito risponderebbe ai bisogni reali dei cittadini solo se fossero soddisfatte diverse condizioni:
    – dovrebbe essere ridotta la diffusione dell’illegalita’, del lavoro nero, e dell’evasione fiscale e contributiva, che impedisce di distinguere i poveri veri dalla massa dei ricchi evasori
    – il livello del reddito minimo dovrebbe essere commisurato al costo della vita locale e non dovrebbe disincentivare la ricerca di un’occupazione
    – la gestione dovrebbe essere regionale (o provinciale) e finanziata localmente, per contrastare la tentazione di usare finanziamenti statali, pagati da altre regioni, per sovvenzionare propri falsi poveri locali (che sono veri elettori).

  7. Olimont

    Egregio Prof. Boeri,
    condivido senza riserve l’idea esposta nel Suo articolo, ma Le segnalo l’eterno e anomalo problema italiano, quando si tratta di attribuire benefici (o esenzioni) economiche legate al reddito: l’evasione e elusione fiscale, concentrata nelle ben note categorie, che porta come conseguenza non solo un minor gettito fiscale, ma anche una sperequazione nell’attribuzione dei benefici che facilmente possono essere attribuite in modo distorto (vedasi chi sono gli aventi diritto ai posti gratuiti negli asili). E’ quindi un cane che si morde la coda: chi evade “sembra” più povero e riceve benefici. Chi è “inchiodato” dal lavoro dipendente, guadagna di meno, paga più tasse e corre il rischio di “finanziare” strumenti di sostegno economico che vanno a…. chi evade le tasse e appare povero o nullatenente.
    Quindi gli strumenti di sostegno economico basati sulla rilevazione del reddito non possono correttamente operare senza una contemporanea, sostanziale (e improbabile) riduzione dell’evasione fiscale.

  8. Matteo Olivieri

    Osservando i dati proposti nell’analisi citata dal prof. Boeri ci si accorge, dall’esperienza di spesa e di reddito di un normale cittadino, di come oltre alla fascia di povertà spesso causata dalla mancanza di un lavoro ne esiste un’ altra dovuta all’erosione del potere di acquisto ed un’altra ancora dovuta ai casi particolari.
    Con ogni evidenza se si parla di Reddito minimo garantito è necessario semplificare sui criteri di selezione: il disoccupato proprietario di un immobile è povero per la mancanza di liquidità che spesso non apre prospettive di investimento in formazione, attenzione alla professionalità o semplice spirito di iniziativa nella ricerca del lavoro. Il meccanismo di perequazione su base locale inserirebbe un ulteriore semplificazione nei criteri, delegando le amministrazioni locali nell’erogazione e nel cofinanziamento delle condizioni disagiate, frenando la bieca assistenza con una riduzione dei premi.
    L’esclusione delle altre due fasce di povertà si potrebbe limitare con interventi diversi, con i patti per l’affitto comunali e misure che limitino l’erosione del potere d’acquisto.
    Infine ricordo che tra i tanti motivi per cui nell’Occidente
    del mordi e fuggi, dell’evasione e della poca legalità (non a caso sono Italia e Grecia gli unici due paesi a latitare sul rmg)
    la disponibilità di poveri perchè senza alcun reddito fa comodo a chi si arricchisce sul lavoro nero, sulle attività malavitose e su ogni genere di posizione dominante nella contrattazione del salario.
    Dare a queste fasce una possibilità di integrazione o sussistenza limitirebbe più di ogni altro strumento il ricorso al cappio al collo.
    Auguri prof. Boeri, auguri rmg

  9. Alberto

    Il reddito di ultima istanza deve servire per aiutare l ‘industria ad avere lavoratori a costo zero o a costi Cinesi, solo così l’Italia può ripartire.
    Mi spiego: dare 300euro a chi non lavora, dare 700-800 euro (lo stato finanzia con sgravi fiscali) all’azienda che dà lavoro a un disoccupato, o una persona in mobilità. Dove trovare i soldi? Aumento tasse 2ª casa, attuali ammortizzatori sociali e aiuti alle aziende riformati, aumento del Pil da esportazione perchè le aziende si trovano ad avere lavoratori a costo dimezzato. Questo è il nuovo miracolo economico, sostenere disoccupati e aziende in un colpo solo, aumentando il know-out nazionale. Meditate, fate due conti e poi ditemi cosa risulta. Saluti

  10. Civic

    Gentile prof. Boeri,
    sono d’accordo con lei ma le sue proposte sono valide in teoria, nella pratica avvanteggerebbero i più ricchi. Faccio parte di una famiglia con 2 redditi da lavoro dipendente, arriviamo senza agi alla fine del mese. Eppure per lo Stato, siamo ricchi, ricchi. Il suo RMG andrebbe a finanziare i “poverelli”, i commercianti, i lavoratori in nero, le migliaia di titolari di ditte individuali. Ma lei l’ha mai letto un bilancio di un’impresa italiana? Fa ridere! Il vero problema della finanza pubblica in Italia è l’emersione della base imponibile! Senza risolvere prima questo nodo le sue tanto auspicate riforme sarebbero inutili, anzi dannose, perché andrebbero a favore di tutti quei poveretti con BMW e casa al mare (e ce ne sono tantissimi mi creda). Troppe distorsioni e ingiustizie. Mi piacerebbe una sua risposta in merito. Con stima,

    suo Civic

    • La redazione

      L’economia sommersa non esiste solo in Italia. Anche in paesi con un’evasione fiscale più estesa della nostra esistono redditi minimi garantiti. Sono stati sperimentati anche in paesi molto più poveri, in America Latina. Si tratta di fare accertamenti delle disponibilità andando al di là delle dichiarazioni dei reddditi, ma analizzando i consumi e i beni di proprietà delle famiglie che fanno richiesta del trasferimento. Cordiali saluti

  11. Sospiro

    Egregio Prof. Boeri
    posto che sono d’accordo circa il Rmg mi domando se in realtà, sia in ambito europeo sia nei diversi stati membri, si vada in una direzione opposta rispetto a ciò che lei indica nell’articolo. Infatti la mia sensazione è che si tenda sempre più a limitare i diritti maturati nel mercato del lavoro da parte degli individui e trasferirli invece verso quelli di cittadinanza. Ciò permetterebbe, in un constesto di sempre maggiore presenza di immigrati, in Italia così come in Europa, di eliminare i problemi “fastidiosi” della precarietà così come della coesione sociale e quindi del conflitto sociale. Di fatto mettendo alla porta gli immigrati dal welfare europeo. Ciò garantisce una riduzione del conflitto sociale e un maggiore consenso elettorale. Inoltre i lavoratori immigrati sono sicuramente più deboli nel mercato del lavoro e non hanno la capacità di farsi sentire nella cosiddetta “cabina elettorare”. La prego di non considerarla una provocazione piuttosto, credo, come una costatazione della realtà degli ultimi anni in Italia così come in altri paesi europei (es. Francia) dove le manifestazioni sono sempre più caratterizzate da una minore partecipazione ma più radicalizzate. Nella speranza di essere stato chiaro.

  12. rob

    Trovo il reddito minimo garantito iniquo, inutile e pericoloso.
    Iniquo perche’ sarebbe percepito da proprietari di case, con modestissima pensione di commerciante e milioni in Svizzera, oppure da disoccupati figli di famiglia agiata. Mentre non andrebbe al semplice lavoratore stipendiato, inquilino.
    Inutile perche’ i 400 euro proposti finirebbero dritti in tasca ai commercianti, che potrebbero alzare cautamente i prezzi come hanno sempre fatto in presenza di aumenti salariali.
    Pericoloso perche’ il solo modo di finanziarlo e` quello di aumentare ulteriormente le tasse, fra le piu’ alte del mondo, a cui siamo soggetti, mentre l’Europa intera (dalla Scandinavia alla Germania) le riduce.
    Sarebbe invece interessante un Servizio Minimo Garantito, dove pasti, alloggio e cure di base vengono forniti gratuitamente in strutture idonee.
    Non provoca inflazione non iniettando nuova liquidita`, non teme abusi perche’ i falsi poveri non sarebbero interessati (a differenza dei 400 euro che vengono sempre bene) e non richiede complessi accertamenti patrimoniali, essendo aperto a tutti.

    • La redazione

      Lei dimentica che i) il reddito minimo garantito è sottoposto a prova dei mezzi e, dunque, non andrà alle categorie da lei menzionate, e ii) è associato anche a prestazioni in natura (tipo pasti) che non possono comunque essere fornite indiscriminatamente, come lei propone, perchè fonte di sprechi e perchè le esigenze di minori, non autosufficienti, etc. sono molto diverse. Inoltre non vedo perchè i suoi servizi, a differenza del RMG, non richiederebbero aumenti di tasse. Peraltro non indispensabili. Basterebbe riequilibrare la spesa sociale.

  13. Vito Piepoli

    Giusta la proposta del reddito minimo garantito. Resta da capire dove s’intendono inserire questi cittadini. Se nel mondo del lavoro oppure nella società civile (dalla quale quindi si esclude la società incivile o malavita). Premesso che non credo ci si riferisca alla prima opzione, vorrei soltanto far presente che se una condizione di sociabilità fosse garantita da questa proposta credete veramente la società incivile, rappresentata a tutti i livelli politico-economici, si lascerebbe scappare le masse sempre più cospicue di poveri (assoluti e relativi) che sono alla base del loro potere? La storia del Mezzogiorno dovrebbe forse insegnare qualche cosa sulla reale fattibilità, al di là del dato economico, di questa proposta civilizzatrice. Certo poi bisognerebbe anche evitare che la gente spenda tutti i soldi in oggetti alla moda, che nella maggior parte dei casi non appartiene alla produzione nazionale e quindi non si riuscirebbe se non ad innescare per lo meno a rimpinguare il flusso di reddito speso verso le nostre produzioni….ma questo credo sia un altro discorso. La questione principale credo sia proprio una volontà politica molto carente.
    P.S. Che relazione ha questa sua proposta con la legge d’iniziativa popolare sul reddito minimo d’inserimento, portata avanti dai DS, che giace in Parlamento?

    • La redazione

      Il reddito minimo di inserimento è stato “sperimentato” malamente nella scorsa legislatura ed era rivolto principalmente ai giovani. Non sostituiva le altre prestazioni, come qui proposto. La proposta di legge in questione mantiene questa impostazione e si base sull’autocertificazione anzichè su di accertamenti da parte delle amministrazioni che erogano il sussidio.

  14. Pierre Giordani

    Caro Prof. Boeri,
    credo si stia perdendo un punto importante. Negli anni in Italia, così come è successo in altri paesi prima, si è assistito ad una paurosa divaricazione della forbice salariale tra i vari livelli retributivi. E’ giusta? Fa bene? Le carriere dirigenziali hanno un peso sempre maggiore nella divisione della torta. Dietro questa tendenza ci sono le solite considerazioni sui meccanismi di incentivi che voi economisti predicate. E’ vero sono utilili al fine di spingere il dirigente a produrre valore, ma quando si arriva a questi differenziali di salario tra dirigenza e lavoratore base ci sono una serie di ritorni negativi che non considerate. Cercherò di esemplificarne un paio.
    Vede, il punto è che voi uomini di cattedra e di politica spesso ignorate quale sia il reale senso della vita comune. Sa quanto arriva a guadgnare un anestesista? Ed un dirigente amministrativo? Le differenze sono mostruose. Ma poi questi incentivi “monetari” sono i soli incentivi possibili? Non sarebbe meglio giocare sul “punire severamente” la deviazione dalla regola, piuttosto che premiare la “non deviazione” con super-premi di produzione?
    Questa forbice disincentiva i livelli di lavoro piu’ bassi azzoppando la produttività in quasta fascia. Esempio: quando posso mi siedo in una stanza vuota e mi metto ad ascoltare musica godendo al pensiero che sto recuperando sul divario salariale col mio capo. I miei colleghi fanno lo stesso, mio fratello in banca idem. Inoltre si comprime la gran parte della popolazione lavorativa per i quali (compreso me) un incremento del reddito al margine si tradurrebbe in incrementi di consumi. Se riuscissi a guadagnare cento euro in più al mese comprerei piu’ musica, libri ed andrei a nuoto perché ho problemi di schiena ma al momento non me lo posso permettere. Il mio capo che se ne fa di cento euro in piu’ quando ne guadagna gia’ seimila e passa?
    Cordialmente,
    Pierre Giorgi

    • La redazione

      Se è per quello ci sono differenze non da poco anche fra stipendi dei docenti universitari e managers. Comunque la proposta del reddito minimo garantito non ha nulla a che vedere con questi divari retributivi. Si tratta solo di prevenire che chi ha salari molto bassi cada in condizioni di indigenza.

  15. Alessandro Morelli

    Da tempo sono convinto, e non sono il solo, che il PIL non è adeguato a rappresentare interamente e da solo un indice attendibile del benessere di un Paese, benché sia indubitabilmente e più facilmente misurabile rispetto ad altre costruzioni di maggiore fantasia. Ritengo però che il progresso del PIL, per fornire una misurazione significativa ai fini del benessere complessivo e non solo della misurazione in termini di valori assoluti, dovrebbe essere sempre accompagnato almeno da un secondo indice: l’indice di concentrazione del reddito. Una evoluzione positiva di entrambi gli indici renderebbe maggiore giustizia ai criteri di equità sociale cui un Paese civile dovrebbe tendere.
    Se a questa visione più completa si potesse affiancare anche un reddito minimo garantito ed un sistema di rilevazione del grado di copertura dei bisogni fondamentali dei percipienti, sono convinto che sarebbe più sotto controllo la direzione del Paese e sarebbe minore il grado di conflittualità sociale. Qualunque soluzione che non prevedesse una ottimalità di questi parametri potrebbe essere considerata efficace ma non efficiente.
    La nostra Italia, attualmente, è poco efficace e ancor meno efficiente.

  16. conti

    Forse ci vuole un po’ più di coraggio politico.

    Partiamo dai principi generali:
    Costruire una economia di cittadinanza basata sul credito-persona (e non sul debito).
    Quindi credito di cittadinanza da affiancare a politiche non invasive (dal punto di vista della psicologia sociale) di sostegno al reddito come il reddito minimo di inserimento o di invalidità.
    Il termine garantito mi sembra da applicarsi al credito piuttosto che al reddito.
    Come trovare la copertura?
    Semplicemente negoziando con la Banca d’Italia e (tramite coordinamento europeo) con la BCE la base monetaria sociale che spetterebbe a tutti i cittadini secondo le costituzioni vigenti.

  17. IL Grillo Parlante

    1/2) Ineccepibile il diagnostico che emerge da questo articolo. Ritengo però che le soluzioni proposte siano nettamente sbagliate. Sotto ogni punto di vista. Il reddito minimo garantito è uno strumento volto a mettere una toppa "a valle" ad un problema che risiede "a monte", nei meccanismi che portano alla generazione del valore (per gli addetti ai lavori sto parlando -anche- di remunerazione dei fattori produttivi). Ebbene, diamo una volta tanto adito alla teoria standard neoclassica, quella degli economisti "di acqua dolce"…siamo in un sistema di mercato, di libero mercato, molto bene…facciamolo funzionare. Il fatto evidente è che l’utilità marginale della ricchezza è decrescente. Quindi, per il corretto funzionamento di un sistema capitalistico di tipo consumistico, e non di accumulazione, una cattivia distribuzione della ricchezza non è sun problema sociale. E’ innanzitutto un problema "tecnico" che mette a repentaglio la corretta allocazione delle risorse. Oggi sono presenti cumuli consistenti di "ricchezza non goduta", che ingolfano il sistema, portandolo al debito.

  18. IL GRILLO PARLANTE

    Resta da capire come fare a mettere la maggior parte dei cittadini in condizione di consumare, di comprarsi una casa senza erodere le ricchezze accumulate dai nonni? Occore agire per tempo sull’opinione pubblica e far capire che parlare di redistribuzione della ricchezza e di meritocrazia non corrisponde ad argoemntare con spirito vetero-comunista. Si tratta bensì di salvare il capitalismo dalla superbia. Questo non è un pensiero ideologico, bensì utilitaristico. 1) guidi il merito per la velocità di crescita dei singoli redditi 2) il livello di utilità effettiva ci dirà fin dove poter arrivare nella remunerazione delle capacità 3) una tassazione leggera sui patrimoni e sui redditi bassi, una tassazione pesante sui redditi e sui patrimoni eccessivi, quelli non goduti insomma, dai quali non può essere tratta alcuna utilità. 4) detassare i redditi ed i patrimoni reinvestiti in attività produttive 5) tutto il resto va reso disponibile per investimenti, ricerca e sviluppo della società civile, oltre a dover essere reso d’aiuto per chi non può meritare perché non in condizione di farlo, a titolo di politiche di sostegno che si trasformerebbero guarda caso in consumo

  19. Marco Piano

    Salve Prof. Boeri, volevo sapere come ha ottenuto la stima di 7-8 miliardi per il costo del RMI o meglio quale soglia di povertà ha applicato. Perchè la sua stima diverge da quella di De Vincenti (5 miliardi con RMI di 390 Euro)? La ringrazio per la disponibilità e l’attenzione che potrà riservare.Ovviamente la soglia di povertà è fissata in 400 Euro. Volevo sapere la stima delle famiglie potenzialmente beneficiarie.

  20. Antonio Antonelli

    In un suo commento dice che il "reddito di cittadinanza", da offrire a tutti, costerebbe troppo. In base ai dati sembrerebbe di no. Garantire 500 euro al mese a tutti i cittadini, con un sistema fiscale progressivo, che accentui le imposte sopra la media del reddito ( 29000 euro l’ anno pro capite, 116000 in una famiglia di 4 persone ) , mi sembra assolutamente sostenibile. Il reddito di base si sommerebbe agli altri redditi, e in un sistema fiscale sensato la maggioranza dei cittadini ne avrebbe un vantaggio, una minoranza nemmeno se accorgerebbe. Se si ritiene, come è giusto, che anche una persona ricca acceda al servizio sanitario gratuitamente, perchè si suppone che vi contribuisca generosamente con una imposizione sensata, lo stesso dovrebbe valere per il diritto ad un reddito di cittadinanza. Sarebbe giusto darlo anche a Marchionne, che con le sue entrate, con una imposizione fiscale sensata, potrebbe garantire la sostenibilità di diverse centinaia di redditi di cittadinanza. Io faccio il medico, molte mie pazienti abortiscono perché non possono mantenere i figli, molti miei pazienti vanno i comunità, costosissime per lo stato, per ragioni economomiche, Dov’ è il vantaggio?

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