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I privilegi fiscali delle coop

Con la riforma del diritto societario e la Finanziaria 2005 la quota esente da imposte degli utili delle cooperative a mutualità non prevalente è stata limitata al 30 per cento. Nasce quindi uno stock azionario nella disponibilità dei soci. Sembra coerente con la normativa dare piena trasferibilità alle azioni, anche per evitare una ulteriore concentrazione del rischio per il socio. Si può pensare a un fondo, gestito da intermediari specializzati, che raccolga azioni provenienti da varie cooperative ed emetta titoli il cui rendimento dipende dall’andamento medio delle azioni.

Nell’affaire Unipol-Bnl un aspetto secondario che però viene costantemente ricordato è che le cooperative godono di privilegi fiscali; questi discendono dalla natura “mutualistica” dell’impresa, ma divengono un privilegio non giustificato se le cooperative invadono l’altrui campo. Sembra opportuno qualche chiarimento a questo proposito.

Riforma del diritto societario e riserve indivisibili

Una normale impresa (cioè di tipo capitalistico) si finanzia con capitale proprio e con debiti. Il capitale sociale più le riserve “sono”, per quota parte, degli azionisti delle spa o dei soci delle srl. Se la società si scioglie il capitale proprio sarà diviso tra essi. Nel caso dell’impresa cooperativa la situazione è diversa: a parte i debiti, il capitale proprio della cooperativa si divide tra una parte che è “di proprietà” dei singoli soci, ed una parte, “le riserve indivisibili”, che sono della cooperativa in quanto tale, ma non sono dei singoli soci. Se la cooperativa si scioglie, le riserve indivisibili vanno ad un fondo nazionale di finanziamento del settore cooperativo.
Fino alla recente riforma, le riserve indivisibili erano del tutto esentate dalla tassazione e, anche per questa ragione, costituivano uno degli strumenti principali di finanziamento delle cooperative. Uno studio realizzato dall’Ufficio Studi della Lega delle cooperative su un campione di 34 cooperative di cui 8 di consumo e 26 di lavoro nel periodo 1993-1999 ha evidenziato come le riserve indivisibili rappresentassero una quota variabile tra l’84-85% (cooperative di servizi e di costruzioni) ad oltre il 90% (cooperative di produzione e lavoro e, soprattutto, cooperative di consumo).
La riforma del diritto societario del 2003 ha modificato, in particolare, la definizione di cooperative a mutualità prevalente (art. 2545 del codice civile); in sostanza, adesso, le cooperative di consumo sono considerate a mutualità prevalente se le vendite ai soci superano quelle ai non soci mentre le cooperative di lavoro (cioè quelle di produzione e lavoro e quelle di servizi) sono considerate tali se l’insieme delle retribuzioni dei soci supera quello degli altri lavoratori. Nel frattempo Tremonti, all’inizio della legislatura, aveva provveduto ad innalzare le imposte pagate dalle cooperative, con un maggior esborso che nel triennio 2002-2004 ha superato il miliardo di euro. Con la finanziaria 2005 la quota esente degli utili destinati a riserva indivisibile dalle cooperative a mutualità non prevalente è stata limitata al 30%, mentre per le altre arriva al 70% (con trattamenti più favorevoli per quelle agricole e per quelle sociali, che in verità di utili ne fanno ben pochi). Precedenti modifiche avevano riguardato la disciplina fiscale dei ristorni ai soci (vedi riquadro) che, coerentemente con la filosofia mutualistica, sono stati resi notevolmente più convenienti.
Il sistema di tassazione non sembra peraltro ben armonizzato con il codice civile. Logica vorrebbe che la quota esente fosse proporzionale alla quota di prevalenza dell’attività dei soci (di consumo o di lavoro). Ma, comunque sia, è chiaro che solamente una parte degli utili accantonati a riserva indivisibile si troverà in esenzione d’imposta; ora se su di una parte di utili, piccola o grande che sia, si versano imposte, gli utili sui quali è stata versata l’imposta dovrebbero rientrare in quelli che, in ultima istanza, fanno capo ai soci. Se vogliamo si tratta di una variazione sul tema della “no taxation without representation“.

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Struttura del capitale e governance

Qualche riflessione in più merita la questione delle relazioni tra disciplina fiscale, evoluzione del capitale delle cooperative e governance. In sostanza, nelle cooperative, a seguito della riforma, la struttura patrimoniale risulterà (almeno) tripartita: accanto alle tradizionali riserve indivisibili, vi saranno le riserve divisibili e le quote di capitale distribuite ai soci a titolo di ristorno. Le cooperative prevalenti (fra le quali molte delle grandi cooperative di consumo) presumibilmente continueranno a privilegiare l’accumulo di riserve indivisibili e detassate per il 70% del loro ammontare, con poche o nulle concessioni ai soci o ai terzi finanziatori. Le cooperative non prevalenti (e quelle prevalenti che vogliono “premiare” i soci per aumentare la produttività o fidelizzare la clientela, ovvero che vogliono aprirsi al mercato) si orienteranno maggiormente al ristorno (finanziato con utili detassati) e all’accumulo di riserve divisibili (accumulate con utili tassati).
In merito alla prima opzione, cioè l’utilizzo del ristorno, lo studio della Lega delle cooperative citato in precedenza ha prodotto interessanti risultati. Va considerato che se, da un lato, il ristorno rappresenta un’interessante opportunità per le cooperative, o almeno per alcune di esse, dall’altro lato rappresenta anche un costo, perché si tratta di capitale che va adeguatamente remunerato. I risultati del predetto studio, tuttavia, indicano come, specie per le cooperative di consumo e per quelle di produzione e lavoro, un recupero di efficienza e/o un incremento delle quote di mercato tutto sommato contenuto potrebbe consentire un’adeguata remunerazione del ristorno dei soci. Le quote del capitale sociale potrebbero essere rappresentate da appositi titoli (simili alle già note azioni di partecipazione cooperativa, APC) che potrebbero conservare i vantaggi fiscali solo circolando tra i soci. Un’adeguata circolazione di questi titoli potrebbe quindi essere garantita solo con una politica di forte ampliamento della base sociale (la cosiddetta politica delle “porte aperte”).
Più complessa, ed anche in certa misura futuribile, è la seconda strada, quella della rinuncia totale ad ogni vantaggio fiscale, quindi tassazione degli utili e loro eventuale accumulo a riserva divisibile. Gli utili e le riserve divisibili potrebbero poi essere destinati all’emissione di titoli destinati ai soci ed ai non soci, presumibilmente attraverso degli intermediari specializzati, in modo da ottenere un risk sharing, particolarmente opportuno per i soci delle cooperative di produzione e lavoro. Si pone in questo caso, tuttavia, il problema della trasformazione della struttura di governance della cooperativa che, senza violare i principi della mutualità (specie se questa è prevalente), consenta l’adeguata rappresentazione degli interessi dei terzi proprietari di questi titoli.

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Il ristorno nelle società cooperative

Il ristorno è una modalità tipica di distribuzione della ricchezza prodotta dalle società cooperative. Esso assume normalmente due forme principali:
-nelle cooperative di lavoro (produzione e lavoro e servizi) il ristorno rappresenta una modalità di integrazione della retribuzione complessiva corrisposta ai soci-lavoratori;
-nelle cooperative di consumo il ristorno rappresenta invece una modalità di restituzione ai soci-consumatori di una parte del prezzo dei beni o servizi acquistati.
Il ristorno è quindi un elemento importante del funzionamento di un’impresa cooperativa che, attraverso di esso, può compiutamente realizzare lo scopo sociale, concretizzando il vantaggio mutualistico dei soci. Infatti, nelle cooperative di lavoro il ristorno consente ai soci-lavoratori di ottenere una remunerazione maggiore rispetto a quella ottenibile nel mercato del lavoro, mentre nelle cooperative di consumo il ristorno consente ai soci-consumatori di acquisire beni e servizi a un prezzo inferiore rispetto a quello corrente sui corrispondenti mercati.
Nonostante il ristorno assuma dunque un ruolo centrale, fino ad anni molto recenti il suo utilizzo da parte delle principali imprese cooperative è stato di scarsa rilevanza. La principale (sebbene presumibilmente non l’unica) ragione di tale fenomeno andava ricercata nell’onerosità fiscale e contributiva dell’operazione di ristorno relativamente ad altre modalità di utilizzo del risultato economico, in particolare all’accumulo di riserve indivisibili. A seguito delle modifiche intervenute negli ultimi anni, il ristorno è divenuto una forma di remunerazione dei soci più conveniente rispetto al passato. In particolare, il Decreto legge n. 63/2002, convertito dalla legge 112/2002, di “progressivo adeguamento ai principi comunitari del regime tributario delle società cooperative” ha disposto che i ristorni destinati ad aumento del capitale sociale non concorrono a formare il reddito imponibile e il valore della produzione netta dei soci. In altri termini, la cooperativa può utilizzare degli utili per incrementare il capitale sociale ed attribuire tale incremento ai soci a titolo di ristorno (ad integrazione della retribuzione o come sconto sugli acquisti) senza che né i soci, né la cooperativa stessa subiscano alcuna tassazione su questi utili.

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  1. Trenti Giorgio

    La cooperativa a mutualità non prevalente può rinunciare totalmente ad ogni vantaggio fiscale, assoggettando a tassazione gli utili e accumulandoli a riserva divisibile.
    Gli utili sui quali è stata versata l’imposta fanno capo ai soci.
    Il socio può incamerare il valore insito nell’azione vendendola liberamente.
    Occorre modificare il Codice civile, prevedendo che alle cooperative a mutualità non prevalente non si applichi l’art. 2530 comma 1.

  2. Franco Mazzi

    Vi chiedo cortesemente se potete informarmi se nel frattempo ci sono state modifiche al regime fiscale dei “ristorni”, in particolare se la tassazione dei “ristorni” è pari all’imposta del 26%.

    • Francesco

      Penso che ci si riferisca al caso di rimborso delle APC AZIONI PARTECIPAZIONI COOPERATIVE in capo al socio ed a suo tempo assegnate allo stesso e vincolate per “tot” anni. Anche a me risulterebbe che vengano tassate con aliquota al 26% e non cumulate alla tassazione IRPEF anche se sembra che questa procedura venga messa in dubbio dagli organi preposti agli accertamenti. Sarebbe interessante capire e trovare un chiarimento al riguardo.

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