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Le priorità della politica economica

Se si vuol discutere seriamente di crescita, dobbiamo parlare di istituzioni e di regole, non di politica industriale. Dobbiamo intervenire incisivamente per separare la politica dall’economia. Un decalogo dei buoni rapporti fra politica e affari: servono legalità e buona giustizia, rapida e prevedibile negli esiti; chiare e semplici regole per l’avvio e l’esercizio dell’attività economica; tutela della concorrenza. Ma i primi a dover cambiare i loro comportamenti sono proprio i membri delle assemblee elettive e i pubblici amministratori.

Perché non cresce l’economia italiana

economia italiana non può crescere perché mille vincoli normativi e amministrativi impediscono il cambiamento, l’ingresso di capitali e nuovi giocatori, l’utilizzo delle moderne tecnologie. L’investimento si concentra nei settori di rendita perché lì i rendimenti sono più elevati; i servizi sono inefficienti e costosi, il mercato del lavoro rigido e iniquo, la pubblica amministrazione disperatamente inefficiente. Mentre si lasciavano correre la spesa per i salari pubblici, gli acquisti della sanità e gli altri consumi pubblici, si sono tagliati gli investimenti per le infrastrutture, la ricerca e l’università. L’instabile stato delle finanze pubbliche spaventa l’economia che – vedendo che non si vuol frenare la spesa – teme nuovi aumenti d’imposte.
In queste condizioni, dare denaro alle imprese perché “facciano innovazione”, assumano, diventino grandi e quant’altro, senza cambiare i vincoli e gli incentivi che li guidano a comportarsi come si comportano, non serve a niente: come dimostra l’esperienza fallimentare di tutti i principali programmi pubblici di sgravio, sussidio e protezione alle imprese, inclusi quelli a erogazione automatica, tanto popolari tra gli utilizzatori, quanto inefficaci a elevare strutturalmente l’investimento e l’occupazione.

La malattia è nel settore pubblico

Ciò che i poli e i partiti non vogliono riconoscere è che il cuore del problema, la malattia grave dell’economia italiana, è nelle istituzioni pubbliche e nelle regole che governano il funzionamento dei mercati; il settore privato, nei suoi comportamenti distorti, ne offre solo lo specchio.
L’impresa resta piccola perché gli aiuti, i disincentivi fiscali e le regole del lavoro la spingono e restare piccola; la proprietà è concentrata, perché la pressione sociale sull’impresa è troppo forte per consentire all’imprenditore il rischio di aprire il capitale e affidare la gestione al management; aiuti, protezioni e vincoli sindacali mantengono il capitale in settori obsoleti, a discapito di quelli nuovi.
Certo, bisogna riprendere a investire in infrastrutture moderne, ricerca e capitale umano: il denaro non manca, basta smettere di sprecarlo in mille rivoli inutili. Va ridotto il cuneo fiscale sul lavoro, che può finanziarsi con l’eliminazione dei sussidi alle imprese.
Ma gli interventi per crescere riguardano soprattutto le istituzioni: servono legalità e buona giustizia, rapida e prevedibile negli esiti; chiare e semplici regole per l’avvio e l’esercizio dell’attività economica; severa tutela della concorrenza. Serve un campo di gioco aperto nel quale i giocatori possano entrare, uscire e competere liberamente, senza interventi estranei dei poteri pubblici, senza protezioni per quelli che già occupano il campo.

Il ruolo della politica

Qui però, sta il nodo cruciale. Una politica povera, invasa da incompetenti e affaristi, continua a preferire istituzioni deboli e un ambiente di regole opache, perché lì è più facile scambiare favori alle imprese e gruppi di interesse con il sostegno al proprio partito, alle proprie clientele, alle ambizioni private.
Così, l’attività legislativa è dominata dai piccoli interessi costituiti. E intanto, lievitano le retribuzioni, si moltiplicano i posti pubblici, si assegnano agli amici consulenze inutili e appalti; proliferano le società pubbliche dai nomi altisonanti “per lo sviluppo” e gli affari poco limpidi; si moltiplicano le scorrerie nel mercato con l’occupazione delle aziende pubbliche da parte di gruppi politici. La domanda pubblica potrebbe essere fonte di innovazione e nuove tecnologie, forzando le imprese a competere; invece diventa l’occasione per favorire imprese di scarsa qualità, spesso anche di corruzione.
Frequentemente, la politica è anche la prima ad agire per indebolire e aggirare le regole, quando i soggetti coinvolti appartengono alla propria sponda. Le Autorità indipendenti sono invase da personaggi di nomina politica, senz’altra qualità che quell’appartenenza. Le assemblee regionali votano leggi per consentire ai propri componenti di aggirare le incompatibilità per i posti nelle aziende sanitarie. Regioni, province e comuni, alla ricerca di elettori, impediscono il funzionamento del mercato di molti servizi con i loro regolamenti e gli interventi amministrativi.

Un nuovo sistema di regole

Dunque, se si vuol discutere seriamente di crescita, dobbiamo parlare di istituzioni e di regole, non di politica industriale. Dobbiamo intervenire incisivamente a separare la politica dall’economia, ridando alla politica il ruolo suo proprio, che è quello di fissare le regole del gioco; eliminandone ogni possibilità di intervento diretto negli affari.
Ho redatto, per questo, un decalogo: dieci capitoli di interventi normativi e regolamentari che affrontano alla radice il problema delle regole e del ruolo improprio assunto dalla politica nell’economia italiana. Lo pubblico qui sperando di avviare una discussione aperta.
Se considerati individualmente, gli interventi proposti non sono una novità: quasi tutti sono già oggetto di discussione tra gli addetti ai lavori e i politici illuminati; in diversi casi, vi sono già leggi per attuare le regole proposte, ma non vengono rispettate. (1) Alcuni sono di notevole complessità e richiedono di essere precisati: ad esempio, gli interventi proposti per la sanità implicano un vero cambiamento di sistema, che deve essere approfondito. L’abolizione dello spoil system per le nomine pubbliche pone complessi problemi di transizione. La novità dell’impostazione proposta risiede, forse, nell’aver organizzato tutti gli interventi in un quadro coerente.

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Cambiare non solo le regole, ma i comportamenti

Per muovere su questa via, si pone un altro problema fondamentale: spesso, i primi ad aggirare le leggi sulla pubblica amministrazione e i poteri pubblici sono proprio i membri delle assemblee elettive e i pubblici amministratori. Se non si cambiano i loro comportamenti, ponendo la questione al centro di una campagna politica, sollecitando un severo scrutinio degli elettori, per quanto si facciano buone leggi, non si otterranno risultati.
Sarà interessante vedere se un serio dibattito può essere avviato su questo tra i poli che ci chiedono il voto.


(1)
Un interessante catalogo di interventi che mirano allo stesso fine, ma diverso dal mio, è stato elaborato da Cesare Salvi e Massimo Villone nel bel volume “Il costo della democrazia”, edito da Mondadori. Agli autori va il gran merito di aver documentato la degenerazione della politica e aver posto il problema dall’interno del mondo politico.

Il decalogo dei buoni rapporti tra politica e affari, di Stefano Micossi

1. Nomine e incarichi dirigenziali nella pubblica amministrazione

(i) Abolizione dello spoil system a tutti i livelli di governo, con la sola eccezione di una lista tassativa di posti apicali di nomina politica, ristretta a pochissime posizioni. (1)
(ii) Previsione di un congruo periodo minimo e massimo di durata per gli incarichi dirigenziali (da tre a cinque anni, come già nell’ultima versione del decreto legislativo 165/2001), e miglioramento dei meccanismi di valutazione per la conferma o la revoca.
(iii) Redazione e pubblicazione a ogni livello di governo dell’elenco dei posti di nomina pubblica, con l’indicazione dei requisiti professionali; selezione con bando pubblico in base al merito tra i candidati che posseggono i requisiti; espletamento dei bandi attraverso commissioni selezionatrici che includano persone estranee all’amministrazione e siano vincolate al rispetto di regole di motivazione e pubblicità della procedura; pubblicazione dei curriculum vitae dei vincitori.
(iv) Il personale degli uffici di diretta collaborazione degli uffici e organi politici (ministri, presidenti della Camere, eccetera) deve lasciare l’incarico al termine del mandato del referente, senza possibilità di assunzione o stabilizzazione nell’incarico in alcuna forma.

2. Remunerazione e incompatibilità dei funzionari pubblici

(i) Fissazione per ogni livello di limiti onnicomprensivi della retribuzione, estesi anche ai contratti a tempo, da rendere pubblici; obbligo di riversare all’amministrazione qualsiasi compenso percepito da privati a qualunque titolo.
(ii) Regole di incompatibilità che vietino ai componenti di assemblee elettive e degli esecutivi di governo a tutti i livelli l’assunzione di incarichi dirigenziali in enti, agenzie e imprese pubbliche nella loro sfera di governo per tre anni dal termine della carica; ineleggibilità dei membri di autorità indipendenti in assemblee elettive per tre anni dopo la scadenza della carica.
(iii) Regole di incompatibilità e periodi di “raffreddamento” per l’inserimento nel settore privato, dopo la cessazione di incarichi pubblici che prevedono l’assegnazione di fondi o la regolazione di attività private.
(iv) Drastica restrizione dell’esercizio di funzioni arbitrali e di consulenza dei magistrati di ogni ordine e grado.

3. Appalti e concessioni

(i) Stretta applicazione dei principi comunitari sulla trasparenza delle procedure di aggiudicazione anche per gli appalti sotto soglia e le concessioni.
(ii) Utilizzo di organismi estranei all’amministrazione per la valutazione tecnica delle offerte; severa vigilanza sui meccanismi elusivi degli obblighi di gara (Autorità lavori pubblici) e le restrizioni della concorrenza attraverso il bando (Agcm).
(iii) Chiarire nei contratti di concessione gli impegni specifici di qualità del servizio e investimento, con sanzioni definite, fino alla revoca, per il mancato rispetto.
(iv) Divieto dell’affidamento in house di pubblici servizi, salvo i casi in cui vi sia proprietà pubblica totalitaria della società e che questa sia assoggettata ai controlli contabili in vigore sulla Pa.

4. Proprietà pubblica delle imprese

(i) Applicare criteri di selezione del management in linea con le migliori pratiche di mercato (selezione, programmazione “lunga” degli avvicendamenti, eccetera).
(ii) Riserva dei posti di amministratore di nomina pubblica nei consigli di amministrazione a persone di chiara fama professionale, non provenienti dalla politica, qualificabili come indipendenti.
(iii) Limitare le interferenze politiche nella gestione ad atti formali di indirizzo dell’esecutivo, riferiti all’esercizio dei poteri societari dell’azionista pubblico, con esclusione di ogni intervento diretto nella gestione aziendale.

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5. Acquisti delle prestazioni sanitarie

(i) Scorporo dell’acquisto delle prestazioni sanitarie dalle amministrazioni regionali, e affidamento a fondi all’uopo istituiti di tipo mutualistico (non profit), o finanziario-assicurativo (for profit), che agiscano per conto dei cittadini-pazienti. Questi eserciterebbero il proprio potere di scelta aderendo a uno di tali fondi e apportando, con tale atto, il proprio contributo capitario corrisposto dallo Stato per la sanità.
(ii) Bonifica del sistema parassitario delle cliniche private e dei centri diagnostici cresciuti sotto l’ombrello del sistema pubblico, spesso di proprietà di uomini politici, amministratori e medici, rimettendo ordine nel sistema degli accreditamenti e investendo nel sistema pubblico: utilizzando a tal fine l’atto d’indirizzo previsto all’articolo 8-quater del decreto legislativo 502/1992 (modificato dal decreto legislativo 229/1999), mai emanato.

6. Legge quadro per limitare le restrizioni normative e amministrative della concorrenza

Adozione di una norma statale di inquadramento – ai sensi dell’articolo 117 della Costituzione – che vincoli tutti gli interventi di regolazione a ogni livello di governo al rispetto di principi generali di libertà di iniziativa economica e imponga limiti di necessità e proporzionalità agli interventi restrittivi della concorrenza (restrizioni all’entrata, prezzi, orari, autorizzazioni, eccetera), secondo i principi già stabiliti della Corte europea di giustizia.

7. Autonomia e vincolo di bilancio degli enti pubblici

(i) Fissare, attraverso accordi negoziali, stabili obiettivi programmatici per l’indebitamento corrente e l’ammontare del debito totale degli enti di governo decentrati e di tutti gli enti pubblici, quali le università, che ricevono fondi statali o per i quali lo Stato è chiamato al ripiano dei disavanzi (patto di stabilità interno).
(ii) Regolare per legge le procedure di insolvenza di tali enti pubblici, sulla scorta di quanto già previsto per i comuni, escludendo il ripiano da parte dello Stato o qualunque altra forma di garanzia statale sull’indebitamento.
(iii) Sanzionare gli amministratori insolventi con la decadenza immediata dalla carica e l’interdizioni da nuovi incarichi amministrativi per cinque anni.

8. Regole comuni di trasparenza della qualità dei servizi e degli amministratori

Per tutte le amministrazioni e le gestioni di aziende pubbliche occorre istituire sistemi di trasparenza e pubblicità, basati sul confronto sistematico delle prestazioni di amministrazioni simili (benchmarking):
(i) della qualità dei servizi: puntualità, qualità, costi, grado di soddisfazione degli utenti.
(ii) della qualità delle gestioni: risultati di bilancio; fissazione degli obiettivi e verifica della realizzazione.

9. Un’Autorità indipendente di controllo dei conti di tutte le amministrazioni pubbliche e le assemblee elettive

Il rispetto delle regole di cui sopra – in particolare quelle sul vincolo di bilancio degli enti pubblici e quelle di nomina e incompatibilità per i posti pubblici – e lo scrutinio della qualità della spesa e delle gestioni dovrebbero essere affidati a un’autorità indipendente di controllo dei conti pubblici, istituita presso il Parlamento, dotata anche di penetranti poteri ispettivi.

10. Finanziamento dei partiti e della politica

(i) Approvare una legge sul finanziamento dei partiti che riservi la parte maggioritaria dei rimborsi a chi abbia ottenuto a livello nazionale un consenso significativo (per esempio 4 per cento dei voti espressi).
(ii) Ampliare la possibilità di finanziamento privato dei partiti, nel rispetto di regole di piena pubblicità (senza soglie di esclusione dall’obbligo di pubblicità), con severe sanzioni per i casi di violazione.
(iii) Limitare il numero dei membri delle assemblee elettive e le loro retribuzioni; impedire, attraverso codici etici, procedure speciali di approvazione e meccanismi di pubblicità, la moltiplicazione dei “benefici” degli eletti degli enti di governo nazionali e decentrati (patto di stabilità interno).


(1)
Servirà una norma transitoria per la conferma o rimozione dei nominati dell’ultimo giro e per la fissazione delle loro remunerazioni secondo i principi indicati al punto 2i.

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12 commenti

  1. Giorgio Panizzi

    Credo che il decalogo vada completato con una riconsiderazione dei livelli elettoralei. Per brevità: 1- stabilire che i Consigli Provinciali siano eletti in secondo grado dai consiglieri comunali; 2- nei comuni superiori, ad es., ai 200 mila abitanti non può essere eletto consigliere comunale o sindaco chi non ha fatto almeno una ‘legislatura’ nei consigli di zona; 3-collegare il finanziamento dei partiti al controllo formale delle procedure interne delle elezioni e del bilancio ad una authority pubblica eletta dal Parlamento; 4-ridurre le indennità negli enti locali per favorire il volontariato e selezior veri interessi politici e civici: 5- separare sempre le elezioni politiche da quelle amministrative (quindi NO al demagogico election day) in modo che si possano scegliere le persone e non solo i simboli. Riconsiderando insieme tutta l’ingegneria elettorale e comportamentale dei commis pubblici, eletti o nominati o selezionati per concorso, potremmo avvicinarci a definire regole dove la giusta ambizione personale non vada scissa dalle assunzioni di responsabilità e dalla ricerca di effetti politici e amministrativi validi per tutti. Giorgio Panizzi

  2. Roberto C.

    Sono convinto che la riforma più urgente nel paese consista nell’eliminazione dei privilegi. Questa risulterebbe più efficace nel far funzionare il mercato che tante riforme di “politica industriale” le quali, sempre più spesso, sono tese ad imbavagliare i mercati.

  3. Alessandro Ferino

    L’ottimo articolo di Stefano Micossi mi ha ricordato un tema che credo sia sempre più attuale e che è stato di recente affrontato da De Rita e Diotallevi sul Il Sole 24 Ore, ossia l’ipertrofia dell’apparato statale. Il proliferarsi di enti strumentali, comunità montane, enti ed amministrazioni territoriali, ecc. sta provocando il “progressivo sfarinamento” delle sedi decisionali.
    La mia considerazione si accompagna ad una domanda provocatoria: a cosa servono al giorno d’oggi le province? Non saremmo forse in grado di combattere il debito pubblico ed al contempo migliorare l’efficacia del processo decisionale territoriale senza questa forma di rappresentanza intermedia oramai priva di significato?
    Saluti.

  4. Luca Verbo

    Sottoscrivo l’articolo principale e tutti i commenti. Aggiungo che il problema primo che secondo me è alla base di questa asinocrazia, inefficienza, incompetenza ecc. ecc. è di forma mentis.
    Mi spiego meglio. L’italiano standard commette tante piccole illegalità ogni giorno: dalle file alle poste con scorciatoia, ai biglietti degli autobus non acquistati, al resto in più non restituito, ai beni pubblici supersfruttati senza importarsene nulla se altri non possono usufruirne ecc. ecc. ecc. Ci sarebbe bisogno di una rivoluzione educativa fatta dalle famiglie ma soprattutto dalla scuola fin dai primissimi anni. Da li parte tutto. Se non si agisce la, continueremo a considerare la raccomandazione uno schifo quando se ne avvalgono altri, ma a giustificarla quando “serve” a noi, a considerare la politica come una chiave che ha accesso da per tutto, che tutto può, a valutare le persone non in base a quello che sanno o a come lo sanno, ma per lo status al quale appartengono. Continueremo a ritenere lecito che l’università, l’istituzione per eccellenza del sapere e della conoscenza, sia un bocconcino prelibato dei baroni che la usano per i loro vassali, valvassini, valvassori a mo di azienda dove il capo decide chi assumere, con la sostanziale differenza che non sta utilizzando soldi suoi, ma nostri; continueremo a ritenere lecito che il politico decida il personale della pubblica amministrazione, che quest’ultimo si senta onnipotente e non controllato perchè unto dal signore, continueremo a giustifiare l’inerzia, l’insolenza, l’incapacità quando venga da un “forte” e dare invece addosso al povero sfortunato appartenente allecategorieprotette (lex 104). Potrei fare 1000 esempi, ma rimando alla vita quotidiana di ognuno di noi. Concludo con la proposta di introdurre meccanismi legislativi virtuosi che premino i comportamenti giusti. E’ l’unico modo, in attesa del cambiamento, di ottenere qualcosa dall’uomo medio.

  5. Gianni

    Si può concordare quasi su tutto. Credo però completamente sbagliato il punto sul finanziamento dei partiti. Non va eliminato il contributo pubblico, tantomeno vanno messe soglie! Creerebbero disparità illogiche. Va cambiata la natura del contributo. Anzichè erogazioni in denaro, in servizi (luoghi di riunione, manifesti, materiale di propaganda, strumentazioni informatiche ecc.) Così le strutture potrebbero essere utilizzate anche da semplici cittadini, associazioni, circoli culturali ecc. Ne risulterebbe un potenziamento dell’hardware del sistema democratico complessivo, con una spinta alla democrazia diretta e non solo a quella delegata, che mi pare essere il problema principale per tutti i sistemi politici, ma di cui quasi nessuno parla.
    Poi va bene la massima trasparenza dei contributi privati, cui andrebbe però anche fissata una soglia, per evitare che alcuni si comprino i partiti, il che, anche se fatto in modo trasparente, non mi parrebbe giusto.

  6. Lorenzo Sandiford

    Sono d’accordissimo sulla tesi che i problemi principali dell’Italia riguardino il sistema delle istituzioni pubbliche.
    Con una sola sfumatura diversa: credo che l’arretratezza delle imprese non sia solo lo specchio della disastrosa situazione delle istituzioni pubbliche. Lo è in gran parte, sì, ma non del tutto; nel senso che anche le imprese ci hanno messo del loro a creare questa situazione di declino, per mancanza di competenze e aggiornamento. Così come non va sottovalutata la componente culturale, di mentalità degli italiani, per i quali tutto si basa sull’amicizia e all’amico non si può negare mai niente. In ogni caso, sono d’accordo, il cuore del problema, da cui partire per risolvere la situazione è il sistema pubblico; senza cambiamenti come quelli indicati nel decalogo non si potrà mai migliorare la situazione.
    Riguardo al decalogo, sono d’accordo con uno di coloro che mi ha preceduto nei commenti: la proposta relativa al finanziamento dei partiti non è convincente, ci vogliono dei tetti massimi se non vogliamo dei partiti schiavi delle lobbies.
    Ci sono altri dettagli che non mi convincono del tutto, ad esempio riguardo agli stipendi delle cariche pubbliche, che secondo me devono restare abbastanza alti per allettare i migliori e per limitare il rischio di corruzione. Oppure, sul capitolo delle incompatibilità, ci vorrebbe una maggiore precisazione dei tipi di conflitti di interessi che rendono incompatibili per certe cariche. Comunque, al di là dei dettagli, la direzione di marcia è quella giusta.
    Speriamo serva a qualcosa.
    Lorenzo Sandiford

  7. Roberto Napoletani

    Sono d’accordo con l’ottimo intervento di stefano Micossi e vorrei porre l’accento su alcune questioni.
    a) La pubblica amministrazione è ipertrofica, questa osservazione è verissima.
    Purtroppo, è un vezzo italiano che ciclicamente si ripropone, quanti enti inutili, che dovevano essere soppressi, sono ancora in vita ? Tantissimi.
    Non voglio entrare nella questione dell’utilità delle Province, che forse oggi sono gli enti più utili tra quelli considerati inutili, mi riferisco al proliferare di Consorzi di enti locali, di Spa, e di Società consortili, patrimoniali ed altro, che spesso servono solo ad aggirare il patto di stabilità, creando delle scatole vuote e, però, dispendiose.
    b) Il sistema delle spoglie va riformato. E’ assolutamente necessario ed urgente farlo prima che la p.a. arrivi ad un collasso irreparabile.
    La vulnerazione della Costituzione, operata dalle leggi Bassanini, ha avuto ed avrà ancora degli effetti dissoloturi di tutte quelle buone pratiche amministrative che si era cercato di riprendere agli inizi degli anni 90.
    La separazione della politica dalla gestione è, tra l’altro, assolutamente incompatibile con questo sistema, perchè permette alla politica di governare anche la gestione delle cose minute senza averne nessuna responsabilità. Ormai gli effetti di questo sistema sono sotto gli occhi di tutti.
    Luigi Einaudi, affermava già nel 1949 che i pubblici funzionari, per ben operare, avrebbero dovuto avere una grande professionalità, si riferiva ad una grande scuola della pubblica amministrazione ed al rispetto della scelta tramite concorso pubblico prevista nella Costituzione, e l’assoluta indipendenza dalla politica….
    Dunque, o si vuole la separazione dei ruoli politici e gestionali, come ritengo giusto, e si scelgono i funzionari con l’obiettività di un serio concorso pubblico oppure si lascia questo sistema, ma con piena assunzione di responsabilità anche dei Politici che scelgono -intuitu personae- i funzionari e i dirigenti.

  8. Matteo Olivieri

    L’analisi non è solo precisa ma direi quasi enciclopedica. Dubito del fatto che si possa ormai individuare l’origine di mali nella pervasività della politica o invece nella sudditanza interessata dei capitali.
    Una cosa è certa: la meritocrazia è un miraggio, troppo distante per lasciare, a bocce ferme, una speranza concreta di risollevarsi. L’iniezione di capitali esteri è una delle poche concrete prospettive che ci si paventano. Anche alcuni potentati locali dovranno abbassare la cresta.

  9. Renato Foresto

    Egregio professor Micossi,
    ho letto il Suo decalogo per uscire dal pantano e osservo:
    – non é impossibile un nuovo robusto taglio della spesa
    corrente, ne siamo già stati capaci, irrealistico mi pare invece il taglio della spesa improduttiva, ossia dei privilegi rimasti,con Prodi e successori, pressoché intatti. Il taglio generalizzato per recuperare qualche decimo del PIL serve per non affondare, lo sviluppo avverrà soltanto col taglio dei privilegi.
    Un esempio é dell’On. R.Costa: con la stessa mansione di infermiere c’é chi prende uno, chi due e chi tre. Come ridurli tutti a uno?
    – C’é una filza di servizi comunali assolutamente uguali (anagrafe, polizia, ufficio tecnico…) che si danno a costi nettamente diversi.
    E’ diversa la sensibilità sociale o si tratta di sprechi belli e buoni?
    La legge 142/1990 ha introdotto la figura del Revisore come garante anche della produttività della spesa comunale, dell’efficienza, e per la verità nei loro certificati non mancano generiche positive affermazioni per casi anche molto diversi, gettando nebbia anziché chiarezza. Basterebbe tanto poco per ottenere chiarezza, basterebbe che non fosse il controllato a nominare il proprio controllore.
    – Siamo informati dei malanni dello Stato ma anche della
    difficoltà di adeguata cura. Da molti anni l’FMI ( e ora anche Bruxelles) lamenta la spesa a ruota libera degli Enti locali, ma i comuni non sono affatto un monolito, in molti di loro sopravvive l’ antico rigore amministrativo: indichiamoli ad esempio per tutti gli altri. Si può rinnovare lo Stato partendo dalla periferia.
    Trana (To) 6.3.06
    Renato Foresto

  10. Francesco

    Gentile prof. Micossi, ho letto attentamente il suo interessante articolo sulle priorità della politica economica ed il decalogo allegato. Ritengo che quanto da lei affermato sia validissimo dal punto di vista dei contenuti. Il problema risiede, come lei tra l’altro sottolinea, nei benefici di cui godono le istituzioni e gli attori presenti al loro interno e nella mancanza di norme che regolamentino il loro operato. Come può pensare un elettore, come me e come tanti altri, che a cambiare le regole sia proprio la classe dirigiente che gode di questi benefici? la pubblica amministrazione non è ormai immobilizzata da un conflitto di interessi cronico? e, soprattutto, la classe dirigente ha davvero interesse a fissare delle regole trasparenti che consentano a tutti di poterli giudicare?

  11. Stefano Parravicini

    Caro Prof. ho letto con molto piacere ed interesse il suo articolo ed il suo decalogo.

    Concordo con molti degli argomenti esposti e con i punti affrontati, eccetto che con la proposta di un Ente autonomo per il controlloi dei conti pubblici.
    Per questo già esistono enti come la Corte dei Conti e la Ragioneria dello Stato e la Commissione Europea.

    Le sue proposte tuttavia presuppongono un cambiamento spontaneo della testa degli italiani, prima che degli eletti, che peraltro riflettono gli elettori, e presuppongono una riforma, anch’essa spontanea, della Pubblica Amministrazione. Non ci credo.

    Vorrei sottoporre una proposta volta a modernizzare questo Paese ed a scardinare alla noce i privilegi e le inefficienze che dominano ineluttabilmente la Pubblica Amministrazione, prima causa della inefficienza del Paese:

    abolizione dell’art. 18 dello Statuto dei Lavoratori, ovviamente anche per la P.A., e creazione contestuale di nuovi ammortizzatori sociali volti ad aiutare chi veramente cerca un nuovo lavoro, compreso l’ outplacement.

    Cordiali saluti
    Stefano Parravicini

  12. Elio Gullo

    Grazie Prof. Micossi per lo stimolo.
    Concordo in linea di massima sul decalogo e, sebbene la ragione sia propensa al pessimismo, non è detto che occorra cambiare la testa agli italiani (o ai dipendenti pubblici) per provare ad adottarlo.
    Ci vuole però determinazione e coraggio. Nel corso della legislatura 1996-2001 la PA ha avviato un cambiamento che era difficile ipotizzare solo pochi mesi prima.
    Non spariamo però sul dipendente pubblico: non sono (siamo) troppi, la percentuale è simile in Francia e Germania, non guadagnano (guadagniamo) troppo, anzi molto poco. Sicuramente lavorano (lavoriamo) male.

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