Quali sono state le determinanti degli scandali finanziari in Italia e nel resto d’Europa? Vi sono alcuni punti specifici del governo societario delle banche che dovrebbero avere un ruolo preminente nella lista delle iniziative di molti paesi europei, tra i quali il nostro. Anche perché un’efficiente governance bancaria è un presidio rispetto a comportamenti fraudolenti, ma anche verso i molto più diffusi casi di gestione aziendale inefficiente. In gioco non è soltanto la fiducia degli investitori nel mercato finanziario, ma l’efficienza del nostro sistema produttivo.

La cosiddetta legge sul risparmio è una buona occasione per riflettere sulle determinanti dei recenti scandali finanziari in Italia come nel resto d’Europa e per sottolineare che vi sono alcuni punti specifici del governo societario delle banche che dovrebbero avere un ruolo preminente nella lista delle iniziative di molti importanti paesi europei, tra i quali il nostro. Anche perché un’efficiente governance bancaria è un presidio non solo rispetto a comportamenti fraudolenti, ma anche rispetto a “semplici” (e molto più diffusi) casi di gestione aziendale inefficiente. In gioco non è soltanto la fiducia degli investitori nel mercato finanziario, ma l’efficienza del nostro sistema produttivo.

 

It’s the banks, stupid!

 

Per motivi storici le banche sono importanti contributori finanziari delle grandi imprese europee, e non soltanto in Italia, Germania o Francia, ma anche nel Regno Unito. (1)

A chi poi facesse rilevare che dopo tutto anche nel Vecchio continente sempre di più le famiglie finanziano direttamente le imprese, sottoscrivendone azioni e obbligazioni, bisognerebbe ricordare che spesso sono le banche, direttamente o attraverso intermediari finanziari da queste controllate, a proporre ai propri clienti azioni e obbligazioni da sottoscrivere.

In un mercato rionale, l’etichetta sulla merce esposta deve rappresentare in modo veritiero le caratteristiche del prodotto. Questo coinvolge le banche nella misura in cui esse contribuiscono alla presentazione delle informazioni sui prodotti finanziari collocati presso il pubblico.

D’altra parte, se al mercato ci va il mio maggiordomo, io devo essere sicuro che costui faccia la spesa pensando al mio interesse e non si metta invece d’accordo con il verduraio per rifilarmi derrate avariate a prezzi gonfiati. Siamo qui nella seconda fattispecie, nella quale le banche operano le scelte finanziarie per conto delle famiglie (sulla base dei vantaggi dei quali queste godono secondo Diamond e altri studiosi) che affidano loro i propri risparmi.

Insomma, le banche fanno un doppio mestiere: consigliano al padrone cosa comprare al mercato e, quando il padrone al mercato non ci vuole andare, effettuano gli acquisti direttamente per conto di quest’ultimo. Nel primo caso contribuiscono insieme all’emittente (il verduraio nella metafora) alla produzione di informazioni sulla merce; nel secondo più che altro valutano le informazioni prodotte dall’emittente-verduraio.

In tutto questo non c’è niente di male. Vi è un largo consenso tra gli economisti sull’importanza di mercati finanziari sviluppati come condizione essenziale per la crescita economica, non importa quale sia la combinazione tra mercato del credito e mercato di borsa.

È necessario però trarre tutte le conseguenze dalla nostra specialità. Per definizione, uno scandalo finanziario avviene quando qualcuno fa un uso distorto dei soldi che gli sono stati affidati da qualcun altro. Il guaio è che se le imprese investono male i soldi dei quali dispongono, questo inizialmente può benissimo passare inosservato; anzi, il fatto che adesso c’è una fabbrica che prima non c’era, contribuirà ad incrementare il prodotto interno a prescindere dalla qualità dei beni che quella fabbrica produrrà. Di solito i problemi si manifestano in un secondo momento, quando ci si rende conto che il rendimento di quell’investimento è in realtà molto basso, se non negativo. Se la fabbrica che è stata finanziata finisce per produrre – facciamo un esempio a caso – automobili che poi nessuno vuole, questo significa che la collettività ha buttato via i propri risparmi. (2)

Se questo fenomeno si ripete con una certa continuità, se tutte le banche di un certo paese prestano i soldi dei loro azionisti e depositanti a produttori di beni che nessuno vuole comprare se non costretto, si potrebbe dare un’interessante spiegazione del perché un paese, dopo una ventina d’anni di crescita economica molto sostenuta, improvvisamente e in maniera apparentemente inspiegabile inverte la rotta ed entra in una fase di stagnazione. È questo più o meno lo scenario che Paul Krugman ha ipotizzato per spiegare quanto è avvenuto in Unione sovietica nel secondo dopoguerra, dove agli entusiasmi del periodo kruscioviano è succeduta la stagnazione brezneviana. La logica di questa spiegazione mi sembra abbia validità generale: un paese (le sue banche, i suoi risparmiatori) che non si preoccupa di come i propri risparmi vengono utilizzati, finisce per compromettere ogni possibilità di sviluppo futuro.

La conclusione è che la specificità europea pone all’agenda della discussione nel nostro continente la corporate governance delle banche. Come dice Ross Levine, “se le banche sono caratterizzate da solidi meccanismi di governo societario, esse riusciranno ad allocare in maniera efficiente i loro prestiti e ad esercitare un’efficace sorveglianza sui loro debitori”. (3)

A questo riguardo, osservando i problemi di bilancio di alcuni tra i principali Governi europei nonché la sempre più attenta (e meritoria) vigilanza delle autorità comunitarie sugli aiuti di Stato, saremmo propensi a fare molta attenzione alle tesi di Raghuram G. Rajan e Luigi Zingales secondo i quali i Governi europei tendono a utilizzare le banche, pubbliche o private che siano, come un canale surrettizio per finanziare la spesa pubblica. (4)

 

Un elenco di priorità

 

Se osserviamo la situazione delle banche europee possiamo riscontrare un certo numero di specifiche potenziali inefficienze:

 

Mercato del controllo delle banche in Europa

Per definizione la privatizzazione è una precondizione necessaria per il funzionamento del mercato del controllo societario. Secondo le informazioni disponibili la proprietà pubblica delle banche in diversi paesi europei è ancora molto significativa. (5) Inoltre, le autorizzazioni amministrative richieste per l’acquisizione di partecipazioni rilevanti in banche europee (ed extra europee) sembrano avere avuto in alcuni casi l’effetto perverso di proteggere gli azionisti di controllo da tentativi di scalata. (6)

 

Intervento pubblico nel governo societario delle banche.

Più in generale, giudicando da quanto riportato dalla stampa e dai lavori accademici, le banche in Europa sembrano denunciare in alcuni casi fenomeni di interferenza delle autorità di governo nella politica del credito, interferenza finalizzata a indurre le banche a “intervenire in salvataggio o comunque in aiuto di imprese in difficoltà” nell’ambito di disegni di politica industriale. (7) I rischi posti dalle politiche industriali sulla competitività e stabilità del sistema finanziario europeo sono ben illustrati dal caso giapponese, la cui crisi finanziaria degli anni Novanta sembra sia stata causata o quantomeno significativamente aggravata dall’interferenza delle pubbliche autorità sul governo societario delle principali banche di quel paese. (8)

 

Governo societario delle banche cooperative e delle fondazioni bancarie

Le banche cooperative sono caratterizzate dal principio “una testa un voto” che rende molto costoso per gli azionisti controllarne la gestione con il crescere del numero degli azionisti. Riguardo alle fondazioni bancarie, queste sono caratterizzate dall’assenza di azionisti, vale a dire di coloro che hanno l’interesse a sorvegliare l’operato degli amministratori. (9)

 

Rispetto degli standard di governo societario

Da quanto si può ricavare dagli studi disponibili, non è del tutto chiaro se e in quale misura le banche europee applichino davvero gli standard di governo societario che esse dichiarano di seguire. (10)

 

Non solo scandali

Un’efficiente corporate governance delle banche non è soltanto un mezzo per prevenire scandali finanziari: mi sembra che l’argomento sia ancora più importante della pur importantissima tutela della fiducia degli investitori nell’efficienza dei mercati. Anche quando comportamenti fraudolenti non sono in discussione, un insufficiente controllo da parte dei creditori può comunque favorire una gestione aziendale inefficiente. In un momento nel quale la debolezza della “Corporate Europe” è una delle cause principali dell’alto tasso di disoccupazione e del basso livello di crescita economica di molti importanti paesi europei, la corporate governance bancaria dovrebbe essere in cima all’agenda delle riforme in questi paesi.

 

*Banca d’Italia e Commissione europea. Le opinioni qui espresse sono esclusiva responsabilità dell’autore e non impegnano in alcun modo la Banca d’Italia o la Commissione europea.

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(1) Vedi Bart, Caprio and Levine, The Regulation and Supervision of Banks Around the World. A New Database, February 2001. Facendo riferimento al contributo finanziario delle banche in Europa soltanto sotto forma di capitale di credito, il totale dei prestiti bancari (total bank assets) misurati come percentuale del Pil è pari al 313 per cento in Germania, al 311 per cento nel Regno Unito, al 315 per cento in Belgio, al 147 per cento in Francia e al 150 per cento in Italia, mentre negli Stati uniti tale valore raggiunge soltanto il 66 per cento.

(2) Certo, è sempre possibile che il governo intervenga a obbligare i cittadini ad acquistare comunque quelle automobili, ad esempio limitando le importazioni dall’estero, magari dichiarando di volere dare modo alle industrie nazionali di svilupparsi, temporaneamente sia chiaro, al riparo dalla competizione. Oppure di voler reagire al “dumping sociale” di un qualche paese emergente. Non ci si deve però meravigliare se a quel punto la qualità delle automobili prodotte scende ulteriormente. È in base a questa logica che i cittadini della Repubblica democratica tedesca si sono dovuti accontentare per decenni delle ormai mitiche Trabant.

(3) Ross Levine, “The Corporate Governance of Banks: A Concise Discussion of Concepts and Evidence”, July 2003, p. 2, http://www.gcgf.org

(4) Ci riferiamo al loro libro “Salvare il capitalismo dai capitalisti”, Il Mulino, 2004.

(5) Vedi ancora Barth, Caprio and Levine, 2001.

(6) Vedi Bart, Caprio, Levine, “Bank Supervision and Regulation: What Works Best?”, Journal of Financial Intermediation, 2004, e il volume di recentissima pubblicazione “Rethinking Bank Regulation: Till Angels Govern”, Cambridge University Press, dicembre 2005. Vedi pure Beck, Demirgüç-Kunt, Levine, “Bank Supervision and Corporate Finance”, Nber Working Paper 9620.

(7) Luca Enriques, “Bad Apples, Bad Oranges: A Comment from Old Europe on Post-Enron Corporate Governance Reforms”, 38 Wake Forest Law Review, 2003, p. 914. Vedi anche Levine 2003, p. 3 : “…many government regulations adversely distort the behavior of bankers and inhibit standard corporate governance processes.”

(8) Vedi M. Aoki, “Note on the Role of Banking in Developing Economies in the Aftermath of the East Asian Crisis”, 1999: “The prolonged slump of the Japanese Economy is also largely due to the credit crunch caused by the bad debts problem that engulfed the banking sector. A collusive alliance between the banking regulator and the banking sector, as well as between the security regulator and the securities industry, is considered to have brewed the problem over time, although it is now being broken down. So there seems to be an emerging consensus even in this region regarding the need for transparent, autonomous regulations of the financial sector.”

(9) Vedi P. Santella, Banche cooperative o fondazioni bancarie? Un’analisi di corporate governance delle banche di credito cooperativo; Bancaria, novembre 2001.

(10) Vedi Oecd, “Survey of Corporate Governance Developments in Oecd Countries”, 2003, p. 31-35. Il documento è disponibile sul sito www.oecd.org. Per quanto riguarda l’Italia vedi anche P. Santella, G. Paone C. Drago, “How Independent Are Independent Directors? The Case of Italy”, disponibile su www.ssrn.com

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