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Una marcata variabilità
Innanzitutto, tornano utili due osservazioni.
- Il recente, vistoso infortunio in cui è incorso l‘Istat nel calcolo dell‘indice di gennaio 2003, con l‘errata collocazione appunto a gennaio invece che a febbraio di una riduzione dei prezzi di vendita di farmaci e con la pronta rilevazione dell‘errore da parte di utilizzatori esterni, è, non paradossalmente, la migliore riprova di queste caratteristiche di rigore metodologico e di trasparenza (vedi Guiso).
Ma come dare conto del(l
‘asserito) divario fra l‘inflazione misurata dall‘Istat e quella percepita dai consumatori? Vi è un punto che, a mio avviso, non è stato messo bene in luce. Sottostante a una dinamica media dell‘inflazione che negli ultimi mesi si è attestata attorno al 2,8 per cento (in termini di variazione rispetto ai corrispondenti mesi dell‘anno precedente), vi è una marcata variabilità.- Essa risalta nitidamente anche se ci si limita al livello nazionale (e si prescinde quindi dalle differenze territoriali), e si guarda alle differenze nella dinamica dei prezzi per grandi capitoli di spesa e, con un maggiore dettaglio, per alcune voci di prodotto nel comparto alimentare. Il prospetto che segue è significativo, e non necessita di particolari commenti.
Non c
‘è dunque motivo di sorprendersi se, per uno specifico bene in uno certo punto di vendita di un certo Comune, si registrano incrementi di prezzo anche molto alti. Data la marcata variabilità appena evidenziata, essi sono del tutto compatibili con la dinamica media registrata dall‘indice dei prezzi al consumo.Per falsificare l
‘affermazione “Tutti i cigni sono bianchi“, basta un cigno nero (dato che, con certezza, sia un cigno e sia nero). Ma possiamo ragionare in maniera analoga in tema di inflazione? La vecchina che esclama: “Dal mio pescivendolo, sottocasa, le vongole sono cresciute del 40 per cento. Che cosa ci vengono a raccontare? Altro che aumenti del 2-3 per cento! Qui tutto costa una volta e mezza quel che costava prima!“: ebbene, fa riferimento a un dato di fatto vero, ma dice una cosa falsa. Questo modo di argomentare guardare a un solo bene, comprato in uno specifico negozio, in un dato giorno , se applicato all‘indice dei prezzi al consumo, è palesemente privo di senso.Questi i dati di fatto. Ad essi va aggiunto che la percezione dell
‘inflazione è un processo sociale, che da un lato sconta asimmetrie e imperfezioni percettive (siamo sensibili allo stesso modo a variazioni dei prezzi in aumento e in diminuzione? e a variazioni nei prezzi di beni acquistati di frequente e raramente?) e dall‘altro è influenzato dai media‘ e dagli opinion makers. Quel che è accaduto, e in parte continua ad accadere, nel dibattito nostrano sull‘inflazione rimanda proprio a fattori di questo tipo: in particolare, a media‘ e opinion makers che, invece di favorire una divulgazione obiettiva e una discussione argomentata, hanno aperto il vaso di Pandora delle percezioni e degli umori irrazionali.L
‘indagine EurispesA dare corpo all
‘opinione di un‘inflazione vistosamente più alta di quella misurata dall‘indice dei prezzi al consumo, è stata sovente invocata l‘indagine “Caro cibo“ condotta dall‘Eurispes nel dicembre 2002. Lodevolmente, l‘Eurispes ha messo a disposizione, nel proprio sito Internet, una nota di presentazione sull‘indagine (chiunque può scaricarla versando il simbolico obolo di un Euro) che da sola inficia l‘attendibilità dei risultati. Restando agli aspetti salienti, e affiancando le citazioni con qualche scarno commento, risulta quanto segue.- Circa la dimensione dell‘indagine: “Numero di rivendite contattate: 304. Numero interviste valide: 182“. Commenti: Il 40 per cento delle rivendite contattate si è rifiutato di rispondere: che tipo di selezione vi è stato? I punti di vendita sono 182, a fronte degli oltre 4.800 dell‘Istat.
Un
‘ultima notazione. L‘attendibile stima di un tasso d‘inflazione tendenziale dell‘ordine del 2,8 per cento non è motivo di ottimismo. Da parecchi mesi l‘inflazione italiane è tornata ad essere più alta della media europea, con uno differenziale di 0,4-0,6 punti percentuali (cioè, dell‘ordine del 20 per cento), che per di più tende a dilatarsi. Il segnale è chiaro: vi è il rischio di ulteriore, progressiva perdita di competitività del paese.
Per saperne di più
In allegato la presentazione di Ugo Trivellato al seminario tenutosi a Padova il 24 febbraio.
Informazioni sull’indagine Eurispes sono scaricabili dal sito http://www.eurispes.it/sitoeurispes/default.htm al costo di un Euro.
In allegato, la composizione del consiglio direttivo dell’Istituto.
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