L’economia italiana ha ripreso a crescere. L’ultima e più autorevole conferma arriva dall’Istat. Non bisogna però dimenticare che l’Italia continua a essere il fanalino di coda dell’Europa. E proprio questi timidi segnali di ripresa potrebbero allentare l’impegno politico su due fronti: il risanamento dei conti pubblici e lo sforzo di riforma. Non mancherà la tentazione di evitare provvedimenti che pur non gravando sul bilancio dello Stato hanno costi politici elevati. Ma sono passaggi obbligati per riportare la produttività su un sentiero di crescita elevato.

L’economia italiana ha ripreso a crescere. I segni di un’inversione del ciclo si sono moltiplicati negli ultimi mesi. L’ultima e più autorevole conferma arriva dall’Istat. Il prodotto interno lordo è cresciuto di più di mezzo punto nel primo trimestre del 2006. Anche la produzione industriale, nonostante un leggero rallentamento nel mese di marzo, sembra avere decisamente invertito il suo trend negativo. Fatturato e ordinativi continuano poi a registrare progressi, in particolare sui mercati esteri.

ANCORA PRESTO PER RALLEGRARSI

Ma non vi è motivo, ancora, per rallegrarsi. La crescita del primo trimestre sconta in parte un effetto di rimbalzo dopo il dato deludente del trimestre precedente. Anche nel 2005, il prodotto interno aumentò nel secondo trimestre a un tasso altrettanto elevato, accendendo così molte speranze, che si spensero però rapidamente nei trimestri successivi.
È vero che nelle previsioni di primavera della Commissione europea, l’economia italiana dovrebbe quest’anno crescere dell’1,3 per cento, dopo una crescita pressoché nulla nel 2005. È anche vero che, alla luce del nuovo dato dell’Istat, tale previsione potrebbe essere rivista lievemente al rialzo. Rimane il fatto che, come ci ricorda di nuovo la Commissione, l’Italia continua a essere il fanalino di codadell’Europa. È un linguaggio inusitatamente duro quello utilizzato da Bruxelles: fotografa, però, la realtà di un paese che non solo continua a perdere terreno rispetto all’Europa – il divario con il resto dell’Unione dovrebbe attestarsi anche quest’anno all’1 per cento – ma che, proprio per l’incapacità di affrontare i propri problemi strutturali, finisce per rallentare la crescita di tutto il continente.
Il rischio maggiore è che questi timidi segnali di ripresa allentino l’impegno politico su due fronti: il risanamento dei conti pubblici e lo sforzo di riforma. Sul primo tema, la dinamica più favorevole del Pil dovrebbe accompagnarsi a una crescita più rapida delle entrate, già evidente nei dati disponibili per i primi mesi dell’anno. Anche così, però, il quadro rimane allarmante. Il disavanzo rischia di attestarsi nel 2006 su livelli superiori al 4 per cento, senza alcun miglioramento quindi rispetto al 2005. Soprattutto, poi, per il secondo anno consecutivo il rapporto debito Pil registrerà un’ulteriore crescita. Il tempo per risanare i conti pubblici si è fatto breve, come ricordava qualche settimana fa il Governatore della Banca d’Italia. Il bilancio pubblico ha tratto grandi benefici dal livello inusitatamente basso dei tassi di interesse, ma il costo marginale del debito sta crescendo rapidamente. La combinazione di debito elevato, crescita anemica e basso avanzo primario evidenzia la vulnerabilità dei nostri conti pubblici a variazioni dei tassi di interesse.
Il problema non è se attuare o meno una manovra aggiuntiva in corso d’anno. Misure temporanee e concitate, volte principalmente a tamponare la falla dei nostri conti pubblici, finirebbero solo per sottolineare la situazione di emergenza della nostra finanza pubblica, facendo poco o nulla per affrontare il problema alla radice. Gli effetti sulle aspettative degli operatori non potrebbero quindi che essere negativi. Il primo compito del prossimo Governo sarà quello di porre mano a misure che frenino la crescita della spesa pubblica soprattutto di parte corrente, obiettivo clamorosamente fallito dal precedente esecutivo. I margini non mancano. Per fare un solo esempio, nei prossimi anni saranno sempre più numerosi i dipendenti pubblici che raggiungeranno l’età di pensionamento, offrendo così un’opportunità straordinaria di rinnovare e ristrutturare la funzione pubblica e contestualmente di ridurre la spesa per il personale.

RIFORME DA ATTUARE

La ripresa dell’economia potrebbe anche indurre il nuovo Governo ad allentare lo sforzo di riforma, una tentazione particolarmente forte per quei provvedimenti che pur non gravando sul bilancio dello Stato hanno nondimeno costi politici elevati. La riforma delle professioni, la liberalizzazione dell’energia, la privatizzazione di partecipazioni non strategiche (perché mai dobbiamo continuare a finanziare le inefficienze dell’Alitalia sia come utenti sia come contribuenti?), l’apertura del mercato dei servizi pubblici locali, la maggiore concorrenzialità in settori come i taxi e le farmacie hanno indubbiamente costi politici nel breve periodo, ma segnalerebbero alla Commissione europea, ai nostri partner a Bruxelles e soprattutto ai mercati l’impegno a riformare la nostra economia e a renderla strutturalmente più competitiva. Sono passaggi obbligati per riportare la produttività su un sentiero di crescita elevato.
Anche il taglio degli oneri sociali contribuisce a rendere più competitive le nostre produzioni, ma pesa su un bilancio già stremato, mentre i suoi effetti benefici rischiano di essere solo temporanei se non sono sostenuti da misure volte a rilanciare la crescita della produttività.

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