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Quote rosa in modica quantità

Il nuovo Governo ribadisce l’intenzione di approvare una legge per garantire l’ingresso delle donne in politica. Se da una parte le quote riservate permetterebbero di aumentare subito la rappresentanza femminile nelle sedi istituzionali, esiste anche il rischio di avere donne scarsamente qualificate in ruoli importanti. Una possibile soluzione è l’introduzione di quote modeste, ma via via crescenti. Le donne interessate avrebbero così il tempo di acquisire l’esperienza e le competenze necessarie allo svolgimento dell’attività politica.

Il disegno di legge sulle “quote rosa”, respinto dal Parlamento nella scorsa legislatura, prevedeva l’obbligo per i partiti che si presentano alle elezioni politiche di inserire nelle liste elettorali almeno una donna ogni tre uomini. Delle “quote rosa” si è tornati a parlare in occasione della presentazione del nuovo Governo: sei le donne ministro, poche rispetto a quelle promesse (otto), ma più di quelle presenti nel Governo Berlusconi (due). Lo stesso Prodi, nel giorno della votazione della fiducia al Senato, ha ribadito l’intenzione di approvare “una legge per garantire quote precise per l’ingresso delle donne in politica“.

Perché le quote

Sono due, a nostro avviso, le questioni centrali. La prima, se e perché vi sia bisogno di interventi regolatori per allargare la partecipazione e rappresentanza femminile nelle sedi istituzionali quali il Governo, il Parlamento, i consigli regionali, provinciali e comunali. La seconda, se le “quote rosa” rappresentano un modo efficace di raggiungere quell’obiettivo.
Perché le donne sono poco rappresentate nelle cariche politiche e istituzionali? Ci sono almeno tre possibili ragioni. Primo, è possibile che le donne abbiano una preferenza per altri tipi di occupazione e per “natura” siano meno propense all’attività politica rispetto agli uomini. Secondo, sono gli uomini a ricoprire le posizioni di rilievo all’interno dei partiti politici e a controllare le candidature alle cariche pubbliche, ed è possibile che le donne siano vittime di discriminazione. Una terza possibilità è che le donne possiedano in scarsa, o comunque insufficiente, misura esperienza e competenze necessarie a emergere in politica, e ciò impedisce loro di competere con gli uomini ad armi pari.
Le preferenze individuali senz’altro giocano un ruolo, ma questa spiegazione non ci pare interamente soddisfacente. Uno studio dell’Unione interparlamentare (www.ipu.org), presentato alle Nazioni Unite, rivela che su un totale di 187 nazioni, l’Italia si colloca all’ottantanovesimo posto, subito prima dell’Indonesia, con una percentuale di presenza femminile dell’11,5 per cento alla Camera e dell’8,1 per cento al Senato. (1) In testa alla classifica ci sono Ruanda e Svezia, con percentuali superiori al 45 per cento, seguite da tre altri paesi scandinavi (Norvegia, Finlandia, Danimarca), e quindi da Olanda, Cuba e Spagna. In molti casi le elevate percentuali sono raggiunte anche in assenza di quote riservate alle donne, sembra quindi poco plausibile che le differenze internazionali siano totalmente dovute a diverse preferenze femminili nei vari paesi. Esiste peraltro una forte domanda da parte delle donne italiane di maggiore rappresentanza nelle sedi istituzionali, confermata da uno studio dell’Istat: il 62,9 per cento delle donne ritiene che sia necessaria una maggiore presenza di donne in Parlamento, contro il 44,6 per cento degli uomini. In effetti, il fallimento del disegno di legge sulle quote rosa in un Parlamento a larghissima maggioranza maschile, conferma che esiste una forte resistenza da parte degli uomini a liberare spazi per le donne.
La discriminazione e le insufficienti competenze in campo politico sono facce della stessa medaglia. Se esiste discriminazione, ciò significa che a parità di altre condizioni (intelligenza, esperienza, eccetera) un partito politico preferisce candidare un uomo piuttosto che una donna. Di conseguenza, gli incentivi per le donne a partecipare in attività che accrescano la loro esperienza e le conoscenze politiche sono ridotti. Il risultato è che a causa della discriminazione maschile, le donne non solo sono sottorappresentate nelle cariche di partito e pubbliche, ma si impegnano meno in attività politiche. (2) Lo studio Istat riporta che solo il 47,9 per cento delle donne si informa settimanalmente di politica, contro il 64,6 per cento degli uomini. Inoltre, le donne partecipano meno degli uomini ai cortei (4,4, contro il 6,7 per cento) e ai comizi (4,6, contro 9,3 per cento), e la quota di donne che dà soldi o svolge attività gratuita per un partito è appena il 2,6 per cento, contro il 6,3 per cento degli uomini. Lo studio riporta altresì che l’astensionismo femminile alle elezioni politiche è superiore a quello maschile.

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L’entità della quota

In questo scenario, introdurre per legge quote di candidature riservate alle donne aumenterebbe senza dubbio, e da subito, la rappresentanza femminile nelle sedi istituzionali (in misura dipendente dalla legge elettorale). Tuttavia, le quote riservate potrebbero anche avere effetti poco desiderabili.
Gli avversari delle quote rosa, per esempio, sottolineano il rischio di avere donne scarsamente qualificate in ruoli importanti come quelli di parlamentare, consigliere regionale o comunale. Emma Bonino lo ha recentemente ricordato: “(…) quando nel 1976, non per legge ma per scelta politica, tutti i capilista del partito radicale erano donne, verificammo la ridicolaggine. Fu difficilissimo non dover ricorrere a certe signorine che non avevano requisiti politici, o di intelligenza, difetti che si riscontrano naturalmente anche tra le donne, oltre che tra gli uomini”. (3)
Anche ammettendo che la società nel suo insieme derivi un beneficio dalla presenza di un numero maggiore di donne in Parlamento, è chiaro che il costo di promuovere a importanti cariche politiche individui poco qualificati sarebbe piuttosto elevato.
È importante, pertanto, stabilire quali sarebbero gli effetti delle “quote rosa” sulla partecipazione ad attività che accrescono l’esperienza e le competenze in politica delle donne. La risposta dipende in maniera cruciale dall’entità della quota.
Esiste un certo numero di donne, penalizzate dalla discriminazione maschile, che avrebbero le qualifiche adatte a ricoprire incarichi di partito o pubblici: se la quota riservata è relativamente modesta, le candidate verranno presumibilmente dal bacino di donne qualificate. In questo caso, le maggiori possibilità di accedere alle cariche genererebbero maggiori incentivi per le donne a investire in esperienze e competenze politiche.
Ma se la quota è troppo elevata, sarà necessario, per soddisfarla, nominare o candidare donne con qualifiche inadeguate. Le posizioni dedicate alle donne non saranno più una risorsa scarsa, ci sarà meno competizione per ottenerle, e quindi un minor incentivo a investire per mostrarsi migliore dei concorrenti. Anche donne non qualificate avranno accesso a candidature o cariche pubbliche con relativa facilità.
Una possibile soluzione sarebbe l’introduzione di quote dapprima modeste, ma via via crescenti. Le donne interessate avrebbero così il tempo di acquisire l’esperienza e le competenze necessarie. (4) Inoltre, si arriverebbe a un punto in cui un numero sufficiente di donne ha incentivi a impegnarsi per accrescere le proprie capacità politiche. E la necessità stessa di avere quote rosa stabilite per legge verrebbe meno.

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(1) Queste cifre si riferiscono alla passata legislatura. Nell’attuale Parlamento, le donne rappresentano il 14 per cento alla Camera e il 13 per cento al Senato.
(2) Il lettore interessato è invitato a vedere l’articolo di Coate and Loury: “Antidiscrimination Enforcement and the Problem of Patronization”, pubblicato nel 1993 sull’American Economic Review, dove questa teoria è presentata formalmente.
(3) http://web.radicalparty.org/pressreview/print_right.php?func=detail&par=13693.
(4) Come accennato sopra, gli effetti delle quote rosa dipendono anche dalla legge elettorale. Per esempio, con il sistema elettorale attuale, proporzionale con liste bloccate, l’importanza di introdurre quote rosa non troppo elevate è maggiore rispetto a un sistema proporzionale con la possibilità di esprimere preferenze. Infatti, se una donna è collocata in una “zona alta” di una lista bloccata, avrà la quasi certezza di essere eletta, e di nuovo si indebolirebbero gli incentivi a impegnarsi per accrescere le proprie capacità politiche.

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19 commenti

  1. chiara saraceno

    Gli autori sembrano dare per scontato che il problema della competenza si ponga solo per le donne. Non mi sembra che gli uomini abbiano sempre messo i più competenti tra loro a ad occupare il circa 90% di tutti i posti che hanno riservato per se stessi. I governi passati e presente sono lì a dimostrarlo. Ridurre la “quota blu”, più che razionare quella “rosa” mi sembrerebbe un indispensabile e urgente strumento per aumentare le possibilità di avere governanti competenti.

    • La redazione

      Grazie mille per il commento. Ovviamente non riteniamo che
      tutti gli uomini impegnati in politica abbiano le necessarie
      competenze. Probabilmente, le scarse competenza derivano
      dagli scarsi incentivi a migliorare le proprie competenze
      politiche vista la vasta disponibilità di spazi per la
      presenza maschile. Temiamo dunque che, forzando la presenza femminile nel brevissimo periodo, si stimolerebbe una partecipazione non solo di uomini incompetenti ma anche di donne incompetenti. Francamente, e proprio in nome di una parità sessuale, non ci sembra che sostituire un uomo
      incompetente con una donna incompetente, sia un
      miglioramento per le donne e per la società. Quote rosa
      inizialmente limitate e crescenti nel tempo, potrebbero
      invece generare gli incentivi giusti sia per le donne che
      per gli uomini, aumentando la competizione per un numero
      limitato di posizioni. Ulteriori considerazioni sono presenti in risposta a un commento nella sezione “lettere”.

  2. anna mantovani

    L’idea che in Italia poche siano le donne che partecipano, rispetto ad altri paesi dove non sono previste, analogamente all’Italia, le quote rosa, in quanto esprimono una preferenza per altre attività e ruoli, è teoria molto pericolosa. La sociologa esperta in tema di presenza femminile e di quote rosa, Bianca Beccalli, ha definito tale teoria della preferenza l’espressione di un liberalesimo individualista. In realtà c’è da chiedersi quali siano le vere ragioni della preferenza, e cioè se non sia tale preferenza l’espressione di un contesto culturale e sociologico in cui la donna riveste un ruolo in cui le vengono assegnate in modo pesante tutte le funzioni di educazione e cura, con scarsa spartizione dei compiti con il soggetto maschile: finché le funzioni tipicamente femminili verranno gestite, all’interno delle mura domestiche, da donne con contributi minimi maschili, l’effetto sarà che il tempo per guardare fuori resterà sempre ai margini.
    Si tratta di una questione di cultura e di organizzazione sociale. Le quote potrebbero servire anche a questo, a tirare fuori di casa, in modo forzoso, quelle che non hanno il coraggio di farlo, non perché prive di strumenti o interessi, ma perché schiacciate dal peso e dalla responsabilità della famiglia, e abituare per converso la componente maschile a creare quella struttura di supporto altrimenti debole.

    • La redazione

      La ringraziamo per il commento. I dati riportati
      nell’articolo mostrano che la scarsa partecipazione si
      accompagna a un desiderio diffuso di maggiore coinvolgimento nella vita politica da parte delle donne. Ne deriva quindi che non c’è bisogno di soluzioni forzose, ma più semplicemente di definire gli incentivi opportuni.

  3. Massimo Marnetto

    Non sono del tutto d’accordo con gli autori, perché ritengo il presupposto – chiamiamolo “dichiarazione Bonino” per comodità – non convincente.
    Infatti, non mi risulta che le donne preparate a compiti attualmente esercitati da uomini siano così scarse, che un correttivo “rosa” potrebbe superare il loro numero e aprire, così, anche a quelle inadeguate.
    Anzi, nella mia esperienza vedo molte donne di qualità che rinunciano a rivendicare il loro riconoscimento – soprattutto nel versante lavorativo – perché questo significherebbe dichiarare una “guerra dei 100 anni” nelle loro aziende.
    Io “forzerei” aziende e partiti a quote rosa significative (50%?) concentrata all’inizio di un periodo limitato a 3-5 anni, salvo poi tornare alla libera competizione.
    Questo consentirebbe l’emersione dei “talenti-latenti” in una fascia temporale protetta abbastanza ampia da consentire il consolidamento di posizioni di vertice e adeguata visibilità pubblica.
    Dopo di che, acquisito il vantaggio compensativo “a termine”, le donne dovrebbero guadagnarsi sul campo considerazione e fiducia, soprattutto delle altre donne.
    Quando si vuol far partire una macchina, la spinta forte si dà all’inizio; poi, se l’auto si mette in moto vuol dire che il motore funziona e non ha bisogno di altro; se non si accende, il problema è più serio.

    • La redazione

      Gentile Massimo. Grazie per il commento.
      La sua osservazione riguardo alla attuale presenza di donne capaci in politica,
      è del tutto coerente col nostro argomento. Al momento,
      proprio a causa della discriminazione, le donne devono
      dimostrare in media capacità e doti superiori rispetto a
      quelle richieste ai loro colleghi maschi. Tuttavia,
      l’attuale forte discriminazione fa sì che anche donne
      potenzialmente capaci risultano disincentivate ad
      impegnarsi, partecipare e accrescere le proprie competenze
      politiche. Imporre per legge una maggiore partecipazione
      potrebbe consentire anche a queste donne di emergere.
      Tuttavia, come sottolineato nell’articolo e in risposte ad
      altri commenti, quote rosa eccessivamente elevate
      diluirebbero gli incentivi di cui sopra, riducendo anziché
      aumentando il talento delle donne impegnate in politica.

  4. Stefano Machera

    Introdurre “quote rosa”, oltre a essere secondo me un’iniziativa, questa sì, discriminatoria, comporterebbe inevitabilmente una maggiore disomogeneità nei candidati e non risolverebbe nulla.
    Le “quote”, comunque intese, introducono rigidità nelle scelte che penalizzano la qualità, e francamente non se ne sente davvero il bisogno. Nella migliore delle ipotesi, emergerebbero donne che riprodurrebbero la stessa logica di selezione degli uomini, e quindi perché aspettarsi che siano migliori? Piuttosto, se si vuole un rinnovamento, si cambi il modo in cui i candidati vengono scelti: si estenda il sistema delle primarie, alle quali candidati uonini e donne si confronterebbero più ad armi pari.

  5. Gianluca Cocco

    Penso che la scarsa rappresentanza femminile nelle istituzioni sia ascrivibile soprattutto a vecchi retaggi culturali che vedono le donne non idonee a svolgere attività politica e che esse stesse continuano ad accettare. Garantire per legge questa rappresentanza è qualcosa di talmente indegno e offensivo per le donne che solo chi è interessata a ricoprire posti di potere o chi è poco intelligente potrebbe accettare.
    Saluti

  6. Liliana Cerutti

    La ministra norvegese delle pari opportunità Karita Bekkemellem, in una intervista riportata sul Il Sole 24 Ore dell’8.3.2006, così si esprime: «………la legge sulle pari opportunità del 1985 impone almeno il 40% delle donne nelle commissioni parlamentari. Ora le donne in politica in Norvegia rappresentano il 44%. Per ora pensiamo che la legislazione sia sufficiente, ma siamo pronti ad agire se sarà necessario anche in altre aree…». Non è perciò questione di “quote rosa offensive”. Si tratta di prendere atto serenamente di una situazione reale di discriminazione sociale e di difficoltà per le cittadine in politica e di mettere in atto soluzioni, come è normale che facciano i governi nelle democrazie contemporanee.
    E come è salutare che anche il governo italiano faccia al più presto (come invitava Michele Serra su un “Amaca” di qualche giorno fa, quando è uscita la lista dei ministri).

  7. Marcella

    Anzitutto grazie per il servizio di ottima levatura informativa che il Vostro sito offre. Veniamo alle cosiddette quote rosa
    Non ho, per molti anni ritenuto utile alla causa
    della rappresentanza di genere, portare avanti un disegno di legge per statuire la rappresentanza stessa, ma a seguito delle troppe tante aspettative deluse mi sono dovuta ricredere.
    Il governo Prodi, nasceva con promesse precise, ripetto al precedente, e più di una volta ci siamo pubblicamente sentite grantire un 30% minimo di presenza di donne nella futura legislatura.
    Ecco che i risultati parlano da soli.
    Non sono state inserite donne, eccetto una, Livia Turco, in Ministeri con portafoglio.
    La Bindi, donna di sicura competenza nell’ambito delle politiche inerenti la sanità, è stata messa a gestire la Famiglia, la Finocchiaro esperta di diritto e giustizia è capogruppo, e via dicendo.
    Sembra quasi che abbiano messo tutti i nomi in un barattolo ed abbiano estratto a caso gli incarichi da assegnare.
    Ma la cosa ancor più sorprendente è non aver dato alcun incarico alla Sbarbati, unica donna Segretario Nazionale, dei Repubblicani Europei, riconosciuta dai più per la sua indiscutibile competenza nel comparto scuola.
    Forse è il caso che molti comincino a sostenere la necessità delle quote rosa poiche diversamente
    queste risorse umane e professionali che fanno parte dell’attuale maggioranza si troveranno comunque ad occupare ‘ strapuntini’ se non addirittura nulla.

  8. marcello maxia

    L’applicazione meramente matematica delle “quote rosa” nelle liste delle candidature non affronta il vero problema a monte. E’ veramente garantito oggi l’accesso delle donne ai vertici dei partiti? in modo particolare con il sistema elettora attuale si rischia di utilizzare le quote per garantire ai vertici dei partiti, in sede di redazione delle liste, di garantire l’elezione a mogli, figlie fidanzate etc, castrando le aspirazioni di persone capaci e politicamente “pure”. sarebbe bello che in partiti e sindacati fosse garantita ai vertici la presenza delle donne, nei veri centri decisionali. Attualmente invece mi pare che si attui la scandalosa prassi di avere in seno agli organi la responsabile della “politica delle donne”, liquidando così tutta la faccenda.

  9. Gianluca Cocco

    I partiti, ad ogni livello istituzionale, formano le candidature attingendo generalmente dai propri iscritti. Come si può parlare di quote se la distribuzione per sesso degli iscritti è mascroscopicamente concentrata tra i maschi? Ho militato per anni in un partito e le iscritte, non solo non erano discriminate in termini di attribuzione di cariche interne, ma venivano forzatamente prese in considerazione in sede di candidature. Se le donne nutrissero in massa un forte interesse per la politica non credo che subirebbero delle discriminazioni. Le quote costituiscono una forte discriminazione nei confronti delle donne e offendono la loro dignità.

  10. Marila Guadagnini

    Non ritengo che l’adozione di misure per garantire l’ingresso delle donne in politica comporti il rischio di avere donne poche qualificate nei luoghi decisionali. Innanzitutto perchè oggi sono numerose le donne che hanno competenze e qualificazioni adeguate. Il numero di donne laureate tende superare quello degli uomini, senza contare che le ragazze si laureano in tempi più brevi dei ragazzi e con un miglior risultato. Le donne sono ormai presenti in molte professioni ad alta qualificazione e non si capisce perché siano assenti nella politica. In secondo luogo, negli altri paesi europei, dove la rappresentanza femminile è cresciuta in modo consistente negli ultimi anni, là dove supera il 40%, non si riscontra una “dequalificazione” delle assemblee elettive. Nè tale effetto si ritrova in paesi come la Francia e il Belgio, dove le leggi elettorali prevedono “quote” per garantire un più equo accesso delle donne alle sedi decisionali. Ritengo importante che il nuovo governo si impegni a ridimensionare l’esistente quota (90%) di presenza maschile per dare un segnale forte di una volontà di rinnovamento della classe politica, dando spazi di espressione a energie e idee nuove.

    • La redazione

      Gentile Marila, grazie del suo interesse. Nel nostro
      intervento, e in alcune repliche a precedenti commenti,
      facciamo notare che se, da una parte, le donne mostrano
      interesse pari agli uomini in numerosi settori, dall’altra
      parte questo non sembra accadere riguardo all’interesse per
      la politica. Le restrizioni (di fatto) alla presenza
      femminile, piu’ forti nella rappresentanza politica che in
      altri contesti, sono un potente disincentivo ad ‘investire’
      in competenze politiche.
      Inoltre, il nostro intervento non e’ in opposizione alla
      preseza di quote rosa, che invece riteniamo utili. Noi
      cerchiamo solo di considerare i possibili rischi di una
      imposizione, in un’unica misura, di quote troppo elevate.
      Nei paesi da lei citati, l’aumento della preseza femminile
      nell’arena politica e’ avvenuto piu’ gradualmente,
      consentendo cosi’ alle donne, secondo il nostro
      argomento, di migliorare le proprie competenze e di
      competere per posizioni inizialmente scarse, e poi piu’
      abbondanti.

  11. antonio gesualdi

    Quale titolo avete di “esperti” di quote rosa visto che dai
    vostri curricula sembra che vi occupiate di altro. Ma,
    comunque, l’articolo non è male.
    Io sostengo che è indecente proporre la parità uomo-donna e
    poi stabilire delle quote. Se è parità deve essere fifty-
    fifty.
    Le donne (in questo caso parliamo delle italiane) chiedono
    la rappresentanza politica non vogliono rappresentare la
    parità, che è un’altra cosa. Non ho letto di rivendicazioni
    di parità nelle sale operatorie (sia per i medici che per i
    malati), o di parità nel campo della costruzione di ponti o
    di strade tra ingegneri maschio e femmina ecc. Quindi si
    tratta, semplicemente, di una parità di genere. Il femminile
    è, nella maggior parte dei paesi del mondo, circa la metà
    del maschile (leggermente anche di più) e quindi vorrebbe
    essere rappresentato in quanto tale. Non c’è altra via, né
    logica né politica, dunque di una rappresentanza di genere
    metà-e-metà. Sulla questione delle competenze del femminile
    rispetto al maschile neppure ci si può soffermare.
    Domanda a voi “esperti”: nelle società dove il genere
    femminile è, invece, in minoranza la rivendicazione è
    altrettanto possibile?

    • La redazione

      Grazie mille del suo interesse e dei suoi commenti.
      La nostra “esperienza” non riguarda le quote rosa in se’.
      Siamo economisti, e nell’articolo cerchiamo di applicare la logica del ragionamento economico al tema delle quote rosa,
      al fine di contribuire all’analisi in maniera razionale, senza ideologia o preconcetti.
      Riteniamo che le quote rosa possano essere utili, e
      cerchiamo di considerare i possibili rischi di una imposizione, in un’unica misura, di quote troppo elevate.
      Ci sembra desiderabile che l’aumento della preseza femminile
      nell’arena politica avvenga, ma in maniera graduale, consentendo cosi’ alle donne di migliorare le proprie competenze e di competere per posizioni inizialmente scarse,
      e poi piu’ abbondanti.

  12. venturoli massimiliano

    Sono peronalmente contro un provvedimento legislativo come le “quote rosa”, che fissi, per legge una ” quota di candidate” per ogni Partito. Però, considerato che, il problema della poca rappresentanza politica, del genil sesso, nel Parlamento Italiano deriva da un problema culturare. Cioè un problema che rileva delle carenze di esperienza politica da parte delle donne, una discriminazione ” strisciante” nella società Italiana, una cultura religiosa ” disciminatoria “. La cui soluzione è in una formazione culturale più ” aperta ” delle nuove generazione, rispetto il ruolo della donna nella società. Ma per questa ” rivoluzione ” ocorrono almeno due generazioni.
    In questo caso per accelerare questa ” rivoluzione “, e garantire “durante il travaglio culturale” una giusta rappresentanza alle donne, potrei acettare l’ introduzzione delle quote rosa.
    Sperando di poter ” cancellare”, suddette ” quote”, appena la socitetà sceglierà in modo autonomo anche le donne come politici.
    In sostanza le ” quote rosa ” le acetto, solo e solamente, se verrànno viste ed interpretate, come un ” mezzo per far crescere più velocemnte ” la società Italiana riguardo l’ argomento. E non come un “diritto acquisito” per il sesso, e non per la competenza .
    Sarebbe molto utile ” competere ” alla pari, positivamente, tra sessi!
    Venturoli Massimiliano

  13. Nicola

    Gli autori hanno tralasciato un tema che ritengo fondamentale.
    La decisione di partecipazione alla vita publbica e quindi anche alla vita politica del proprio paese nasce da una particolare visione del mondo e della propria dignità. Il che vuol significare che una persona decide di partecipare soltanto se ha la piena consapevolezza che il suo interevento può contribuire a migliorare la società.
    La limitata partecipazione delle donne in politica non è, pertanto, dovuta ad un perverso meccanismo strozzatura che impedisce loro di intervenire, ma anche ad una scarsa consapevolezza della loro dignità, della loro possibilità, proprio in quanto donne, di poter apportare non soltanto particolari competenze professionali o tecniche ma anche umane, di visione della vita.
    Un saluto.
    Nicola

  14. daniele a.

    Buongiorno,
    Anch’io credo che il tema della partecipazione femminile alla politica, come del resto al mercato del lavoro stesso, sia di vitale importanza. Credo, allo stesso tempo, che una soluzione coercitiva non possa risolvere in pieno il problema della discriminazione, e anzi può portare con se effetti distorti. Stabilire un cap basso, significherebbe designare poche possibilità con caratteristiche specifiche, e, dato il fatto che la natura delle cariche stesse non consiste in accesso meramente meritocratico e data la propensione maggiore a che sia soddisfatto il mero requisito della partecipazione femminile, potrebbe non portare ad una autoselezione ne ad una selezione efficiente.
    Un cap alto, che come tale possa riguardare cariche più eterogenee e non solo troppo elevate o troppo basse, potrebbe creare incentivi alla mobilità verticale tra cariche e posizioni.
    Concordo con Voi, comunque su molti aspetti dell’articolo e Vi ringrazio per lo spunto interessante.

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