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Una ricognizione fra il tecnico e il politico

Tre i messaggi chiave del rapporto della Commissione Faini: la situazione dei nostri conti pubblici è molto difficile, e più grave di quella descritta nella Trimestrale di cassa; avrebbe potuto essere peggiore senza l’ombrello dell’euro; la Ragioneria generale dello Stato è un organismo troppo soggetto ai condizionamenti della politica. Bene, dunque, potenziare i servizi bilancio di Camera e Senato e dotarsi subito di strumenti per fare tagli selettivi della spesa delle amministrazioni pubbliche. Anche perché la manovra non deve essere solo sulle entrate. Discutibili, invece, la scelta della Commissione di valutare la fattibilità politica di alcuni interventi, e di formulare una forbice di valori per il tendenziale.

Una ricognizione fra il tecnico e il politico, di Tito Boeri e Pietro Garibaldi

La Commissione presieduta da Riccardo Faini (membro della nostra redazione attualmente in aspettativa per incarichi istituzionali) ha completato i lavori di ricognizione sullo stato dei nostri conti pubblici. La “due diligence” serviva a fare chiarezza sullo stato della finanza pubblica e a permettere al nuovo Governo di programmare la politica fiscale. Il ministro dell’Economia, Tommaso Padoa-Schioppa, ha immediatamente annunciato che una manovra aggiuntiva è, a questo punto, “inevitabile”.
Proviamo a sintetizzare i messaggi chiave contenuti nel rapporto della Commissione Faini e a valutarne il contributo, anche alla luce delle dichiarazioni del ministro Padoa-Schioppa.

I messaggi chiave del documento

Ci sono tre messaggi tecnici e uno tecnico-politico.
Il primo messaggio è che la situazione dei nostri conti pubblici è peggiore di quella descritta nella Trimestrale di cassa elaborata quando Giulio Tremonti era ministro dell’Economia. Come minimo dovremmo avere un deficit del 4,1 per cento nel 2006, con uno sforamento di 3,4 miliardi di euro.
Il disavanzo, questo il secondo messaggio, dovrebbe comunque attestarsi largamente al di sotto del 5 per cento paventato da alcuni giornali nelle ultime settimane. Quindi la situazione di finanza pubblica è molto difficile. Poteva essere peggiore senza l’ombrello dell’euro. Ma questo non può proteggerci dalla grandine. È già in atto un peggioramento dei conti (valutabile in 1,25 miliardi di euro) dovuto all’aumento dei tassi di interesse sul debito pubblico.
Il terzo messaggio è che la Ragioneria generale dello Stato è un organismo troppo soggetto ai condizionamenti della politica. Un’indicazione pari allo 0,3 per cento di rischi di efficacia (misure che non dovrebbero “sortire l’effetto iscritto a bilancio”) rappresenta una parziale sconfessione dell’operato della Ragioneria generale, che soltanto pochi mesi fa ha fissato il suo bollino sulla Finanziaria. Forse, la Commissione europea avrebbe dovuto aspettare prima di approvare la manovra varata dal precedente Governo. In ogni caso, si sente sempre più il bisogno di rafforzare l’operato del servizio bilancio di Camera e Senato nel monitoraggio dei conti pubblici .
A questi tre messaggi se ne aggiunge un altro, di natura più politica. Il documento indica che esiste un saldo pari allo 0,2 per cento di tagli con rischi di attuazione. Si tratta di misure che, mettendo in pericolo “l’occupazione, gli investimenti e il funzionamento della pubblica amministrazione”, imporrebbero “oneri aggiuntivi per far fronte a queste problematiche”. Si va in questo giudizio al di là di una semplice ricognizione dei conti pubblici a legislazione vigente. Si decide invece di mettere in luce le implicazioni di determinate scelte di politica fiscale. In ogni caso, questo 0,2 per cento non può essere letto come un buco di bilancio, bensì come una scelta di politica fiscale che un esecutivo può sottoscrivere o meno.

Un giudizio

Il documento è molto utile in quanto permetterà una discussione più informata e meno velenosa che nella passata legislatura sulla situazione presente al cambio della guardia. Il buco viene fissato al massimo nello 0,6 per cento del Pil a cui si aggiunge uno 0,2 a “rischio di attuazione”.
È discutibile la scelta di valutare la fattibilità di certi interventi, come i tagli alle spese di personale per collaborazioni, all’Anas o alle Ferrovie dello Stato. Questo compito spetta alla politica. Un documento tecnico può riconoscere che i tagli orizzontali creano problemi al funzionamento della pubblica amministrazione, avendo effetti difficilmente prevedibili. Bene allora elencare queste disfunzioni (ad esempio, è vero che non ci sono fondi per le commissioni di maturità?) e spiegare come si arriva a quantificarle nello 0,2 per cento del Pil. Oppure, meglio astenersi dall’offrirne una stima e richiedere un esame approfondito del bilancio delle società partecipate (Anas e Ferrovie dello Stato) e delle implicazioni della “regola del 2%”, che contempla tagli indiscriminati e, formalmente, uniformi. Ma un documento tecnico non può trattare le scelte di politica fiscale varate dal Parlamento nella passata legislatura come un buco di bilancio.
Discutibile anche la scelta di formulare una forbice di valori per il tendenziale, vale a dire i saldi a legislazione vigente. È chiaro che le poste di bilancio sono soggette a notevole incertezza. Ma un organismo tecnico come la Commissione Faini e la Ragioneria dovrebbero formulare previsioni puntuali, come altre volte sottolineato su questo sito, oppure cercare almeno di dire quale di questi valori è ritenuto maggiormente probabile. Forse il valore medio?

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La manovra

Il ministro Padoa-Schioppa ha affermato che, a questo punto, la manovra aggiuntiva sui conti pubblici sarà inevitabile. È una scelta conseguente, che tiene conto del rischio di un ulteriore declassamento del nostro debito. Giusto anche l’obbligo di rientrare imposto la scorsa settimana alle Regioni responsabili degli sfondamenti.
Importante che la manovra non sia solo sulle entrate. Non sono queste le responsabili del peggioramento dei conti pubblici rispetto alla Trimestrale. Al contrario, il gettito nel 2006 è sin qui andato meglio del previsto. Nello sconfessare giustamente la politica dei tagli uniformi, bisogna allora approntare fin da subito le strutture di monitoraggio necessarie per procedere ai tagli selettivi.
Lo sforamento delle Regioni è in larga misura legato agli incentivi perversi messi in essere da un decentramento di capacità di spesa, senza decentramento di amministrazioni e di responsabilità fiscale. Non basterà riscrivere le regole del Patto di Stabilità interno. Occorrerà anche, nella discussione della riforma costituzionale, impegnarsi in un disegno di semplificazione amministrativa che includa, tra gli altri interventi, l’abolizione delle province.

Censure sorprendenti, di Luigi Spaventa

Sorprendono le censure mosse da Tito Boeri e Pietro Garibaldi alla “Sintesi dei risultati della verifica dei conti pubblici 2006” compiuta dalla Commissione ministeriale presieduta da Riccardo Faini.

 

Prima censura (non in ordine di esposizione): è discutibile la scelta di indicare una forbice di valori (4,1-4,6 per cento) per l’indebitamento a legislazione vigente; la Commissione avrebbe dovuto formulare previsioni puntuali, oppure cercare di dire quale valore è il più probabile. Singolare affermazione, poiché gli economisti, per ottime ragioni, hanno sempre diffidato delle previsioni puntuali e poiché le previsioni più serie indicano sempre un ventaglio di valori. La Commissione ci dice: 4,1 per cento, con un upside risk dello 0,3; e con un ulteriore upside dello 0,2, se il Governo decide che alcuni tagli previsti producono effetti non sopportabili (e comunque costosi in termini di penali, come nel caso di una chiusura di cantieri per mancanza di cassa). Mi pare un procedimento del tutto corretto e ben più affidabile della scrittura di una cifra secca senza se e senza ma.

 

Seconda censura: “è discutibile la scelta di valutare la fattibilità di certi interventi”; si tratta di un compito che spetta alla politica e “un documento tecnico non può trattare le scelte di politica fiscale varate dal Parlamento (…) come un buco di bilancio”. Appunto. Il documento non tratta quelle scelte come un “buco di bilancio”. Dice solo: caro Governo, caro Parlamento, sappiate che alcuni dei tagli previsti generano problemi gravi e che, se volete evitare questi problemi, occorre mettere mano al portafoglio per uno 0,2 per cento del Pil al fine di coprire gli oneri aggiuntivi. Si tratta di una ricognizione tecnica necessaria, per porre la politica di fronte ad alternative precise.

 

Terza censura: la Commissione non spiega come si arrivi a quantificare i rischi di attuazione nello 0,2 per cento del Pil. Ma perché non si legge il titolo del documento commentato? “Sintesi eccetera”. Il rapporto, presumo più corposo, di cui il documento è la sintesi, deve ancora venire.

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Comunque, Boeri e Garibaldi, letto il documento Faini, avrebbero dovuto dirci di quale dimensione, a loro avviso, dovrebbe essere la “manovra aggiuntiva”: dello 0,3 per cento, se si riconosce solo la cifra puntuale? O dello 0,6, se ci si vuole anche coprire dallo upside risk del primo ordine? O dello 0,8, se si vogliono evitare costi come quelli derivanti dalla interruzione degli investimenti? Discutiamo di questo.

Aspettando i dettagli, di Tito Boeri e Pietro Garibaldi

Ringraziamo Luigi Spaventa perché ci permette di chiarire alcune affermazioni contenute nel nostro intervento.

Sulla prima critica (possiamo chiamarla critica anziché “censura”?), evidentemente siamo stati poco chiari, perché ciò che chiede Spaventa è esattamente ciò che intendiamo noi quando scriviamo “quali di questi valori è ritenuto maggiormente probabile. Forse il valore medio?”. Come già in passato sostenuto su questo sito (xx), quando si fornisce una gamma di previsioni, è utile offrire una qualche distribuzione di probabilità. Per intenderci: siamo più vicini al 4,1, al 4,4 o al 4,6 per cento? Questo permetterebbe non solo a noi (come ci chiede Spaventa), ma soprattutto al decisore di stabilire meglio l’entità della manovra.
Certo, con un elenco dettagliato delle norme in questione (seconda e terza critica) si potrà discutere con maggiore cognizione di causa di cosa significhi “a rischio di attuazione“. Fin quando questo elenco non verrà reso pubblico, dobbiamo accontentarci del riferimento al taglio di 25mila collaborazioni coordinate e continuative nella Pubblica amministrazione. Non entriamo nel merito della desiderabilità di questo taglio (anche se sarebbe ora di abolire i co.co.co nella Pa), ma non vorremmo che ogni riduzione di personale nel pubblico impiego possa essere definita, un domani, inattuabile sulla base di questo principio.

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10 commenti

  1. francesco pavese

    Il problema dei controlli e della soppressione di enti superflui involge tutta la p.a.
    Negli enti locali devono essere rafforzati i controlli esterni sulle politiche di gestione di bilancio e contemporaneamente ridotto l’asservimento della classe dirigente alla amministrazione di turno.
    E’ chiaro che obiettivi ,come il contenimento delle spese e riduzione incarichi,presuppongono una classe dirigente libera di agire per perseguire obiettivi precisi ma questo è impossibile laddove questa classe dirigenziale sia nominata dalla classe politica perchè chiaramente per assicurare la sua conservazione perseguirà non l’obiettivo generale del contenimento dei costi e delle spese ma gli obiettivi della classe politica locale che lo ha nominato.
    Parimenti per l’eliminazione degli enti superflui ,essendo questi enti erogatori di spese e conseguentemente di consensi, appare difficile una loro soppressione mentre è auspicabile il trasferimento di funzioni ,come nel caso delle province,ai comuni o alle stesse regioni a seconda che si tratti di funzioni sovraprovinciali o subprovinciali.

  2. Domenico Napolitano

    Che la Commissione Faini ( Vostro membro di redazione, in aspettativa, per impegni istituzionali) giunga a delle conclusioni, tutte da verificare a consuntivo, mi lascia perplesso perchè sospetto essere di parte. Non essendo un addetto ai lavori, non mi resta che aspettare le posizioni di organismi tecnici, indipendenti dal momdo politico.
    Il ministro Padoa-Shioppa, persona di altissimi meriti sul campo, ritiene e trova la Vostra adesione di Readzione, inevitabile la manovra aggiuntiva. Riconosce che le entrate 2006 non sono andate male e quindi, non responsabili del peggioramento dei conti pubblici.
    Bisognerà operare sulle uscite. Io, napoletano, sò quanto la sanità e non solo, contribuisce al peggiramento dei conti pubblici e in termini quantitativi e in quelli qualitativi, erogando, facendo salve alcune pregevoli situazioni locali, mediocri servizi. Quindi, mi viene spontaneo un sorriso amaro, sugli effetti che i provvedimenti necessari, produrranno sulla base elettorale del presente Governo di sinistra-centro.
    Poeticamente è sognabile la quadratura del cerchio, realisticamente è solo una aspirazione virtuale. Sarò curioso di registrare la posizione della Vostra Redazione, sulle prossime puntate, previste sull’argomento.
    Cordialmente
    Domenico (Mimmo) Napolitano

  3. Alessio Laguda

    Vorrei lanciare una proposta alla “Voce” è possibile stimare quanto può risparmiare lo stato dall’abolizione delle provincie per poi confrontarlo con l’aumento di spesa che dovrebbero sostenere comuni o regioni per adempiere alle funzioni ora tenute dalle provicie??? E probabile che il saldo sia positivio e di tanto, inoltre ci sarebbe una semplificazione dello stato, ma secondo voi questo risultato sarebbe possibile in tempi brevi. 2 o tre anni almeno per attivare tutte le procedure necessarie???

  4. michele

    Sulla relazione di Faini, sono perplesso sia perchè mi pare alquanto affrettata la valutazione delle rendicontazioni esaminate sia perchè, come rileva Boeri ma evidenziano anche altri commenti, si ha l’impressione che operi una forzatura politica precipitosa allo stato delle cose.
    Quel che più mi lascia perplesso, però, ed è osservazione che riguarda Faini ma anche Boeri e LaVoce nel suo complesso, è il fatto che il rapporto tecnica/politica, chiamto di fatto in causa, non sia per niente chiarito.
    La connotazione “tecnica” del sito, insomma, è assunta quasi come un postulato: ma è ormai da tempo dimostrato, in campi del sapere anche apparentmente lontani tra loro (filosofia e fisica, ad esempio) che ad un ipotetico sapere tecnico che opera “disgiunto” dall’oggetto che analizza è di gran lunga preferibile (non tanto per scelta ideologica, quanto per correttezza…) un sapere che dichiari i suoi presupposti analitici, il suo punto di vista e via dicendo.
    La querelle è complessa e non può ssere liqidata in poche righe, trattandosi del problema di quanto l’osservatore “produca” l’evento mentre lo osserva o comunque interferisca con i suoi strumenti in quanto va verificando.
    Tuttavia, penso, sarebbe bene la si affrontasse. Testi o interventi che non esplicitano gli assunti significa che o li danno per scontati anche quando non sono chiari, o li incorporano in un concetto di tecnicità che, per voler esser asettico e iperconcreto, diventa invece sovente assai metafisico. Non si tratta, ovviamente, di rimettere in campo discussioni sul primato della tecnica o della politica, ma sugli intrecci genetici che derivano da entrambe e danno luogo a ibridi poco comprensibili e, anche, ripetitivi.
    cordiali saluti

  5. Antonio Contis

    Non capisco a cosa servono, visti i poteri di Regioni e Comuni.
    In Sardegna ne hanno istituito 4 nuove, per far cosa non si sa e per giunta non sanno nominarne il Capoluogo: Carbonia/Iglesias – Tempio/Olbia – Sanluri/Villacidro – Tortolì/Lanusei.E’ tutto un gioco di poltrone ed il cittadino…..paga.
    Cordialità.

  6. Gheorghius

    Dove può un governo (di centrosinistra) trovare la forza politica di riequilibrare le finanze pubbliche, dopo che il centro-destra nel 2001-2006 ha dimostrato che – quando è al governo – vuole e può ridistribuire agli “amici” i risparmi di bilancio faticosamente ottenuti dal governo precedente? Occorrono allora regole stabili, se possibile condivise, forse costituzionali; ed una “Authority sul Bilancio Pubblico” che lasci alla politica mano libera sulla composizione della spesa e delle entrate, ma non sui saldi del bilancio pubblico e sulle regole contabili. Altrimenti, nel migliore dei casi, resteremo per decenni in una situazione finanziaria precaria. Con tutti i rischi democratici connessi ad un problema distributivo di dimensione macroeconomica (questo è il problema politico) permanentemente irrisolto. Cari amici della “Voce”, vi chiedo un po’ più di coraggio e di fantasia in questa direzione.

  7. Luca

    Concordo con altri commenti: abolire le Province. Ecco 6 ragioni per farlo.
    1) Perche’ abolendo le province possiamo risparmiare da subito almeno 2 miliardi di euro l’anno (vale a dire quasi l’1% di IVA) solo in stipendi di consiglieri, gestione assemblee, rimborsi elettorali etc.; senza contare i risparmi a lungo termine di funzioni duplicate, di immobili etc.
    2) Perche’ uno dei grandi problemi dell’Italia è cosituito dall’enorme personale politico elettivo:
    circa 300.000 persone tra parlamentari,consiglieri regionali, provinciali, comunali e municipali.
    Persone che vivono (spesso lussuosamente) di politica e che spesso hanno come primo vitale interesse quello di mantenere i loro privilegi e che allo scopo moltiplicano senza limite leggi, regolamenti, commissioni, enti, uffici, insomma burocrazia. Abolendo le Province mandiamo a casa circa 10.000 politici di professione (e forse qualcuno si mettera’ a fare qualcosa di produttivo, chissa’).
    3) Perche’ l’Italia e’ (credo) l’unico paese al mondo in cui ogni punto del territorio è sottoposto a ben sei camere elette :
    Parlamento Europeo, nazionale, regionale, provinciale, comunale e (nelle grandi citta’) municipale
    (e fuori dalle citta’ non manca mai una “Comunita’ Montana”).
    Un carrozzone che è l’origine e l’archetipo di tutti gli altri. Sei legislazioni, sei centri di spesa, sei generatori di regolamentazione spesso superflua o conflittuale, sei campagne elettorali con relativi rimborsi gonfiati,
    sei tappezzamenti di faccioni elettorali, etc etc.
    4) Perche’ la funzione principale delle province
    e’ rimediare uno scranno a qualche politico senza di meglio da fare. A trasferire le altre (poche, qualche fiera paesana e qualche inaugurazione fuori citta’) a comuni e regioni si fa presto.
    5) Perche’ l’abolizione diminuirebbe i conflitti politici e di competenza tra comuni, province e regioni.
    6) Per risparmiare almeno qualche spalmata di manifesti elettorali (a spese nostre).

  8. marco baldassari

    La stima del 4% con i delta dovuti ai rischi e’ una impostazione chiara, se vengono spiegati meglio i meccanismi che determinano i maggiori costi, proprio per fornire un supporto decisionale chiaro per tutti, sulla base del quale orientare le scelte politiche.

    E’ apprezzabile che il documento sia in italiano scorrevole e leggibile, come fortemente voluto da Padoa-Schioppa, molto importante per la trasparenza e la comprensione delle scelte politiche.

    Ho notato che le maggiori entrate, impreviste, coprono appena i maggiori costi della sanita’, che gia’ e’ ridotta all’osso, con servizi ancora insoddisfacenti e personale molto scontento.
    Credo sia fondamentale, anche per la prospettive di medio termine, che la sanita’ concentri gli sforzi sulla motivazione del personale a realizzare obiettivi di efficienza e qualita’ del servizio, che porti alla riduzione della spesa. Si deve entrare nel merito dei processi e riorganizzarli in modo da ridurre i tempi di attesa dei pazienti e il tempo sprecato in lavori inutili da parte dei medici. Ospedali centri diagnostici e medici di base devono lavorare insieme in modo coordinato, per intervenire e indirizzare i pazienti prima di entrare in ospedale. Maggiore assistenza domiciliare e sostegno preventivo, possono ridurre la spesa farmaceutica, migliorando la qualita’ totale del servizio percepito. Sopratutto l’informazione ai medici e ai pazienti deve sfruttare le nuove tecnologie, perche’ sia disponibile e accessibile l’informazione che consente a ciascuno di compiere scelte di efficienza e riduzione dei costi.

    Un analogo lavoro di riorganizzazione dei processi deve coinvolgere la pubblica amministrazione nel suo complesso, partendo proprio dalla razionalizzazione delle province/comuni e grandi metropoli, in modo da avere strutture efficienti e omogenee.

    Prima di fare scelte politiche, si deve rendere lo stato efficiente, per dare ai politici e ai cittadini uno strumento utile, non un Leviatano.

  9. paolo andreoli

    Sono Consigliere Provinciale per il PRC, ho fatto il Sindaco per 21 anni. Sono convinto che le Province sono da sopprimere per le segunti ragioni:
    1 – la loro funzione di coordinamento è solo un’attribuzione nominalistica utile a giustificarne solo teoricamente l’esistenza, ma priva di sostanza.
    2 – Non è un costo da pagare alla democrazia, perché il 90% e oltre dei cittadini non sa nemmeno che esiste.
    3 – ha una struttura di bilancio fragilissima: per la parte corrente regge per 3/4 sulle tasse derivate dal mercato degli autoveicoli, agli investimenti provvede vendendo patrimonio.
    4 – le Province costano 20 md. di € l’anno: è ragionevole ritenere che, attribuendone le funzioni e il personale a Comuni e Regioni e bloccando il turnover, a riforma consolidata si risparmi circa il 30%, cioè circa 7md. di € annui.
    5 – da ridiscutere lo status delle Province (e Regioni) autonome: una necessità all’alba della Repubblica, un anacronismo oggi.
    E le Prefetture a seguire o, meglio, insieme…

  10. Gianni

    Le province andrebbero decisamente abolite in quanto sono enti inutili e costosi. Ritengo che in quanto ad inutilità siano seconde solo alle Comunità Montane. Purtroppo però credo che non ci siano le condizioni politiche per attuare un simile provvedimento.

    Gianni Giavesoni

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