I saldi positivi tra contributi e prestazioni previdenziali espressi oggi dalle casse dei liberi professionisti sono un vantaggio provvisorio. La loro sostenibilità finanziaria deve essere rafforzata in modo concreto. Le riforme parametriche introdotte hanno garantito buoni risultati, ma non sono decisivi per ridare equilibrio alle gestioni. Si dovrebbe seguire l’esempio dei dottori commercialisti, che hanno sostituito la formula retributiva con quella contributiva, più equa e rispettosa del vincolo intergenerazionale.

Un’analisi economica approfondita delle più rappresentative casse di previdenza dei liberi professionisti, evidenzia una preoccupazione di fondo sui regimi previdenziali professionali e sul conseguente possibile onere a carico delle generazioni future. (1)

Ottimismo di oggi e rischi di domani

È consuetudine, infatti, ritenere che le buone performance demografiche espresse oggi dalle casse siano in parte la logica conseguenza di gestioni ancora lontane da una piena “maturità” previdenziale e i saldi positivi tra contributi e prestazioni possono considerarsi, pertanto, solo un vantaggio provvisorio.
Se a ciò si aggiunge che da più parti si preferisce insistere su formule pensionistiche che hanno ancora molto di pubblico – il metodo retributivo – senza, tra l’altro, poter contare su livelli contributivi adeguati, ne consegue che modellare le proprie regole sui rapporti favorevoli di oggi, nasconde rischi elevati per un futuro non troppo lontano. Le riserve accumulate in precedenza hanno spinto a trasformare le illusioni ottiche in facili ottimismi, ma presto o tardi gli equilibri sono destinati a peggiorare.
Ciò non toglie che la privatizzazione, ossia la trasformazione delle casse in associazioni o in fondazioni di diritto privato, sia stata vista come una importante affermazione di principio, una conquista di autonomia statutaria, nonché di maggiore libertà nella scelta dell’impiego più efficiente delle proprie riserve.
Non bisogna, però, perdere di vista un aspetto fondamentale: la garanzia delle promesse fatte agli iscritti e delle aspettative da essi nutrite. A maggior ragione in considerazione del fatto che le casse continuano a mantenere un finanziamento di sistema basato sulla ripartizione: le generazioni attive pagano le pensioni alle generazioni pensionate in base all’accordo implicito che anche quelle future faranno lo stesso con loro.

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Come garantire la sostenibilità finanziaria

La sostenibilità finanziaria degli enti previdenziali dei liberi professionisti deve essere, quindi, rafforzata in modo concreto. Lo dimostra il fatto che al momento della privatizzazione i difetti strutturali del sistema sono stati ignorati dal legislatore, il quale non è stato certamente severo nell’imporre rigore e lungimiranza alle casse. Infatti, gli obblighi di redigere bilanci tecnici con lo scopo di monitorare la stabilità delle gestioni per un “arco di tempo non inferiore a quindici anni” e di accantonare una riserva “non inferiore a cinque annualità dell’importo delle pensioni in essere” appaiono come vincoli normativi decisamente insufficienti a salvaguardare la complessità e l’evoluzione del fenomeno.
Non sembra invece aver sottovalutato il fenomeno il Nucleo di valutazione della spesa previdenziale. L’organo di controllo del ministero del Welfare ha riacceso il dibattito politico sulla previdenza professionale, esprimendo in diverse circostanze valutazioni preoccupate sul lungo periodo.
Lentamente, la solidità, la obiettività e la concretezza delle argomentazioni, spesso dettagliate in modo analitico, hanno cominciato a farsi strada anche tra gli amministratori della previdenza professionale.
Presa coscienza dell’insostenibilità di lungo periodo del sistema, le casse hanno avviato un percorso di riforma, intervenendo in modo repentino sulle aliquote contributive e di computo delle prestazioni, nonché sul periodo di riferimento della media reddituale alla quale è parametrato l’importo della pensione.
Le riforme parametriche introdotte hanno garantito buoni risultati, ma non decisivi per ridare equilibrio alle gestioni. In un sistema tarato sulla ripartizione, infatti, l’unica cura possibile rimane una radicale revisione della formula di calcolo della pensione.
A questa misura è di recente giunta, con determinazione e lungimiranza, la cassa dei dottori commercialisti. In parallelo con i “cugini” ragionieri, seppur partendo da prospettive demografiche molto diverse, i dottori commercialisti hanno saputo cogliere con tempestività i pericoli impliciti nel proprio disegno previdenziale e hanno sostituito una formula pensionistica troppo “generosa” (quella retributiva) con una più equa e rispettosa del vincolo intergenerazionale (quella contributiva).
Nei prossimi anni, potranno avvantaggiarsi dall’aver operato a suo tempo con giudizio e forte senso di responsabilità, con la speranza che altri ne seguano il virtuoso esempio.
Ristabilire l’equilibrio delle gestioni può risultare, inoltre, un buon viatico per consolidare la partecipazione delle nuove generazioni al sistema. Tuttavia, ridare solidità al disegno previdenziale rappresenta per le casse un primo passo, in attesa di trovare la via migliore per giungere a un sistema più efficiente, che sia in grado anche di garantire una copertura pensionistica adeguata ai futuri bisogni dei professionisti.

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(1)
Una valutazione quantitativa della sostenibilità finanziaria di lungo periodo delle casse di previdenza dei liberi professionisti, con particolare riferimento agli enti privatizzati con il decreto legislativo 509/94 si trova nel mio libro Autonomia a quale prezzo? Il sistema previdenziale dei liberi professionisti, edito dalla Guerini e Associati. Il volume raccoglie le analisi sull’argomento compiute presso il Center for Research on Pensions and Welfare Policies (CeRP) di Torino, un centro indipendente, da anni referente per tutte le istituzioni che si occupano di tematiche previdenziali

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