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Un referendum da riformare

Innalzare il numero di firme necessarie a supporto di un referendum da 500mila a un milione, e abolire il quorum. Due semplici modifiche che portano notevoli benefici. Il costo di proporre un referendum sarebbe più alto, e di conseguenza la “qualità” o rilevanza media dei referendum aumenterebbe. Il risultato della consultazione sarebbe deciso solo dagli elettori effettivamente interessati, e non più dagli indifferenti e disinformati. Sarebbe più lineare l’analisi del voto, mentre i partiti dovrebbero prendere posizioni più chiare.

Un referendum da riformare

Domenica e lunedì i cittadini italiani sono chiamati a pronunciarsi sul referendum confermativo delle riforme costituzionali approvate dal Parlamento lo scorso anno. Le forze politiche di centrosinistra, contrarie alle riforme durante l’iter parlamentare, sono coese nell’invito ai cittadini a recarsi a votare, e a votare “no”. Sul fronte opposto, numerose forze del centrodestra, che lo scorso anno hanno approvato la legge costituzionale, sono direttamente impegnate per il “sì”. Entrambe le coalizioni giustificano la loro posizione con numerose motivazioni, ricordate spesso anche durante la campagna elettorale per le elezioni politiche.

Quorum o non quorum

C’è dunque da aspettarsi una affluenza alle urne ragionevolmente alta, potenzialmente oltre il 50 per cento degli aventi diritto. Per i referendum costituzionali il quorum non è richiesto. Ciò nonostante, la mobilitazione dei partiti politici appare massiccia, molto più di quanto lo sia stata in precedenti tornate referendarie quando, invece, il quorum era richiesto. L’ultima consultazione referendaria è stata sulla fecondazione assistita, in quel caso l’affluenza fu intorno al 25 per cento, ma si trattava indubbiamente di un tema specifico e molto diverso dalle riforme istituzionali. Consideriamo invece il più recente referendum “comparabile” all’attuale: quello del 1999 per l’abolizione delle quota proporzionale nell’elezioni dei membri del Parlamento. In quell’occasione, molti partiti, invece di persuadere i loro elettori ad andare a votare, in un senso o nell’altro, spinsero per l’astensione, e il quorum non fu raggiunto.
Come può accadere che la presenza di un quorum possa produrre un’affluenza minore rispetto a casi in cui il quorum non c’è? Perché le forze politiche, in assenza di quorum, sembrano impegnarsi per massimizzare l’affluenza alle urne?

La natura e la ‘ratio’ del referendum

Nell’ordinamento giuridico italiano, il referendum è un istituto di legislazione cosiddetta “straordinaria”, previsto dalla Costituzione quale strumento di correzione dell’attività di legislazione ordinaria, che spetta al Parlamento eletto. Una delle maggiori preoccupazioni dei padri costituenti fu di circoscrivere il più possibile il ricorso al referendum. Coerentemente, il referendum in Italia è di natura unicamente abrogativa. Inoltre, l’articolo 75 della Costituzione, stabilisce due requisiti affinché un referendum sia valido. Il primo prevede che ogni proposta debba essere appoggiata da almeno 500mila elettori. Il secondo, che un referendum è valido se si pronuncia la metà degli aventi diritto al voto, più uno. Pertanto, per essere valido, un quesito referendario non solamente deve essere sollevato da un numero significativo di elettori, ma deve essere tale da motivare ad andare a votare almeno la metà degli aventi diritto. Sebbene questi due requisiti rendano senza dubbio difficile il successo di un referendum, allo stesso tempo generano almeno due distorsioni che i costituenti, nel lontano 1946, non avevano previsto.

Cinquecentomila firme sono poche

La prima distorsione è che raccogliere 500mila firme rappresenta oggi un ostacolo non più tanto significativo come nel 1946, per cui si registra una tendenza alla proliferazione dei referendum anche su temi di scarsa rilevanza. Spesso, ai promotori non interessa tanto il successo del referendum stesso, quanto che avvenga. La sola campagna referendaria è sufficiente per dare visibilità a entità politiche di scarso peso e rilevanza numerica. Da cui l’incentivo a far politica “a colpi di referendum” e farlo dovendo raccogliere solo 500mila è piuttosto facile.
Nel 1946, con un corpo elettorale di circa 28 milioni, cinquecentomila firme rappresentavano circa il 2 per cento degli elettori. Oggi, con 48 milioni di elettori, le stesse cinquecentomila mila elettori rappresentano appena l’1 per cento dell’elettorato. Inoltre, lo sviluppo e diffusione dei moderni mezzi di comunicazione di massa e dell’informatica facilitano fortemente la mobilitazione per la raccolta delle firme rispetto a sessanta anni fa. La tabella mostra che con il passare del tempo, in Italia, la frequenza dei referendum è notevolmente aumentata, e l’affluenza radicalmente diminuita.

Gli indifferenti e i disinformati decidono per tutti

La seconda distorsione, dovuta al quorum, è che anche quando il tema del referendum è rilevante, il suo risultato è pesantemente condizionato dal fatto che ai contrari all’abrogazione (vale a dire, quelli che si recano alle urne e votano “no”) si mischiano gli indifferenti e i disinformati.
È una fonte di distorsione poiché spesso il tema del referendum interessa una frazione relativamente piccola di cittadini, la quale può vedere il proprio desiderio o legittimo interesse frustrato semplicemente perché la maggioranza degli elettori è indifferente alle sue istanze, o non è sufficientemente informata da prendere posizione. Pensiamo, per esempio, ai recenti referendum sulla procreazione assistita. Una nonnina lucana di novant’anni, con sei figli e venti nipoti, ragionevolmente non è andata a votare. Ma perché deve di fatto decidere per giovani coppie che non possono avere figli con metodi “naturali”?

Proposta di riforma

Presentiamo qui una semplice proposta di modifica all’articolo 75 della Costituzione della Repubblica italiana (Parte seconda, Titolo I, Sez. II). La modifica consiste nell’innalzare il numero di firme necessarie a supporto di un referendum da 500mila a un milione, e nell’abolire il quorum:
All’articolo 75, comma 1, sostituire le parole: “quando lo richiedono cinquecentomila elettori” con le seguenti: “quando lo richiedono un milione di elettori”.
All’articolo 75, comma 4, sopprimere le parole: “se ha partecipato alla votazione la maggioranza degli aventi diritto, e”.
L’articolo 75, così modificato, diviene:

Articolo 75

È indetto referendum popolare per deliberare la abrogazione, totale o parziale, di una legge o di un atto avente valore di legge, quando lo richiedono un milione di elettori o cinque Consigli regionali. (1)
Non è ammesso il referendum per le leggi tributarie e di bilancio, di amnistia o di indulto, di autorizzazione a ratificare trattati internazionali.
Hanno diritto di partecipare al referendum tutti i cittadini chiamati ad eleggere la Camera dei deputati.
La proposta soggetta a referendum è approvata se è raggiunta la maggioranza dei voti validamente espressi. La legge determina le modalità di attuazione del referendum.

Effetti della riforma

Gli effetti diretti di questa riforma sono due. Il primo: il costo di proporre un referendum sarebbe più alto, e di conseguenza un numero minore di quesiti referendari verrebbe proposto: la “qualità” o rilevanza media dei referendum aumenterebbe. Il secondo: il risultato del referendum sarebbe deciso solo dagli elettori effettivamente interessati, e non più dagli indifferenti e disinformati.
Vi sarebbero inoltre anche altri benefici effetti collaterali. Innanzitutto, l’abolizione del quorum renderebbe più chiara e lineare l’analisi del voto. Con il quorum, infatti, è resa difficile dal fatto che ai contrari si mescolano in maniera non facilmente discernibile gli indifferenti e i non informati. Ancora una volta, il dibattito intorno ai recenti referendum sulla fecondazione assistita è un esempio perfetto di quanto sia difficile e si presti molto facilmente a strumentalizzazioni di parte. Lo stesso si può affermare riguardo al referendum sull’abolizione della quota proporzionale per le elezioni di Camera e Senato: possiamo sensatamente affermare che il 50,4 per cento degli aventi diritto che non sono andati a votare siano contrari all’abolizione della quota proporzionale?
Forse ancora più importante, l’abrogazione del quorum spingerebbe i partiti a prendere responsabilmente una posizione, fornendo all’elettorato informazioni preziose e precise non solo sullo specifico tema referendario, ma anche per la formazione di un’opinione più consapevole per le elezioni politiche. Oggi, il quorum spinge i partiti politici a non esprimersi dinanzi a un referendum, magari su questioni spinose che potrebbero far perdere voti.
Senza il quorum e col venir meno dell’incentivo a far campagna per il non voto, paradossalmente più persone potrebbero andare a votare. Il referendum costituzionale potrebbe essere il primo esempio.

Leggi anche:  Populismi: simili nella tattica, diversi nelle strategie di governo


(1)
Così come nel 1946, riteniamo che anche oggi la richiesta della promozione da parte di cinque consigli regionali rappresenti una barriera sostanziale, pertanto non è necessaria una modifica.

Tabella

TABELLA 1 – RISULTATI COMPLESSIVI REFERENDUM 1946-2005

Data

Tema

Elettori

Votanti

% votanti

SI (%)

2/6/1946

Repubblica o Monarchia

28005449

24947187

89.1

54.3

12/5/1974

Scioglimento del matrimonio

37646322

33023179

87.7

40.7

11/6/1978

Ordine pubblico

41248657

33489688

81.2

23.5

11/6/1978

Finanziamento pubblico partiti

41248657

33488690

81.2

43.6

17/5/1981

Ordine pubblico

43154682

34257197

79.4

14.9

17/5/1981

Ergastolo

43154682

34277194

79.4

22.6

17/5/1981

Porto d’armi

43154682

34275376

79.4

14.1

17/5/1981

Interruzione gravidanza 1

43154682

34270200

79.4

11.6

17/5/1981

Interruzione gravidanza 2

43154682

34277119

79.4

32.0

9/6/1985

Indennità di contingenza

44904290

34959404

77.9

45.7

18/6/1989

Mandato Costituente Parl.Europeo (consultivo)

46552411

37560404

80.7

88.0

3/6/1990

Disciplina della caccia

47235285

20482359

43.4

92.2

3/6/1990

Accesso dei cacciatori ai fondi privati

47235471

20274101

42.9

92.3

3/6/1990

Uso dei pesticidi

47232383

20364370

43.1

93.5

11/8/1997

Responsabilità civile del giudice

45870931

29866249

65.1

80.2

11/8/1997

Commissione Inquirente

45870409

29862670

65.1

85.0

11/8/1997

Localizz. Centrali nucleari

45869897

29862376

65.1

80.6

11/8/1997

Contributi Enti Locali

45870230

29871570

65.1

79.7

11/8/1997

Divieto partecipazione ENEL

45849287

29855604

65.1

71.9

18/4/1993

Competenze USL

47946896

36845706

76.8

82.6

18/4/1993

Stupefacenti sostanze psicotrope

47946896

36911398

77.0

55.4

18/4/1993

Finanziamento pubblico ai partiti

47946896

36896256

77.0

90.3

18/4/1993

Casse Risparmio Monti Pietà

47946896

36856051

76.9

89.8

18/4/1993

Ministero delle Partecipazioni Statali

47946896

36851158

76.9

90.1

18/4/1993

Elezione Senato della Repubblica

47946896

36922390

77.0

82.7

18/4/1993

Ministero Agricoltura e Foreste

47946896

36868634

76.9

70.2

18/4/1993

Ministero Turismo e Spettacolo

47946896

36863866

76.9

82.3

9/6/2001

Riduzione preferenze Camera

47377843

29609635

62.5

95.6

11/6/1995

Rappresentanze sindacali (rich.massimale)

48458754

27730224

57.2

50.0

11/6/1995

Rappresentanze sindacali (rich.minimale)

48458754

27702339

57.2

62.1

11/6/1995

Pubblico impiego

48458754

27795464

57.4

64.7

11/6/1995

Soggiorno cautelare

48458754

27740783

57.2

63.7

11/6/1995

Privatizzazione RAI

48458754

27807196

57.4

54.9

11/6/1995

Autorizzazioni al commercio

48458754

27739462

57.2

35.6

11/6/1995

Trattenute contributi sindacali

48458754

27753466

57.3

56.2

11/6/1995

Legge elettorale (comuni)

48458754

27814402

57.4

49.4

11/6/1995

Orari esercizi commerciali

48458754

27788647

57.3

37.4

11/6/1995

Concessioni TV nazionali

48458754

28133946

58.1

43.1

11/6/1995

Interruzioni pubblicitarie

48458754

28164078

58.1

44.3

11/6/1995

Raccolta pubblicità TV

48458754

28139312

58.1

43.6

15/6/1997

Privatizzazione

49054410

14790505

30.2

74.1

15/6/1997

Obiezione di coscienza

49054410

14860894

30.3

71.7

15/6/1997

Caccia

49054410

14817553

30.2

80.9

15/6/1997

Carriere dei Magistrati

49054410

14791735

30.2

83.6

15/6/1997

Ordine dei Giornalisti

49054410

14735975

30.0

65.5

15/6/1997

Incarichi extragiudiziari magistrati

49054410

14812238

30.2

85.6

15/6/1997

Soppressione del Ministero politiche agricole

49054410

14742261

30.1

66.9

18/4/1999

Abolizione voto proporzionale Camera

49309060

24447521

49.6

91.5

21/5/2000

Rimborso spese per consultazioni

49067694

15796834

32.2

71.1

21/5/2000

Abolizioni voto proporzionale Camera

49067694

15918748

32.4

82.0

21/5/2000

Elezione del CSM

49067694

15634781

31.9

70.6

21/5/2000

Ordinamento giudiziario

49067694

15681225

32.0

69.0

21/5/2000

Incarichi extragiudiziari dei magistrati

49067694

15696528

32.0

75.2

21/5/2000

Licenziamenti

49067694

15953385

32.5

33.4

21/5/2000

Trattenute associative e sindacali

49067694

15800947

32.2

61.8

15/6/2003

Reintegrazione dei lavoratori

49554128

12645507

25.5

86.7

15/6/2003

Servitù coattiva

49554128

12667178

25.6

85.6

13/6/2005

Procreazione assistita 1

*

*

25.9

89.2

13/6/2005

Procreazione assistita 2

*

*

25.9

89.9

13/6/2005

Procreazione assistita 3

*

*

25.9

88.8

13/6/2005

Procreazione assistita 4

*

*

25.9

78.2

 

 

 

 

 

 

Fonte: Ministero degli Interni. * Sui referendum del 2005, il sito internet del ministero riporta solo le percentuali ma non i numeri degli aventi diritto o dei votanti.

Contenti tutti. O nessuno, di Nicola Lacetera e Mario Macis

La riforma della Costituzione su cui i cittadini italiani sono chiamati a esprimersi nel referendum confermativo del 25 giugno riscrive quasi i due terzi (50 su 81) degli articoli che compongono la seconda parte della Carta del 1948. La riforma, presentata al Parlamento sotto forma di disegno di legge del Governo e approvata dalla sola maggioranza di centrodestra, consiste di due provvedimenti centrali, la cosiddetta “devolution” e la sostituzione della forma di governo parlamentare con un “premierato forte”, e di svariate altre modifiche, dall’eliminazione del bicameralismo perfetto alla riduzione del numero dei parlamentari.

Perché il “pacchetto”

Queste misure appaiono in buona misura indipendenti, è perciò lecito domandarsi per quale ragione siano state presentate congiuntamente. Vediamo i pro e i contro del proporre agli elettori riforme eterogenee in un pacchetto unico da “prendere” o “lasciare” in blocco.
Per farlo, ci serviremo della teoria economica del “bundling“: un’azienda prende due o più prodotti, che potrebbero essere venduti singolarmente, e li vende invece insieme, in un “pacchetto”. Gli esempi sono numerosi: Microsoft Office, per esempio, contiene Word, Excel e Power Point; un “happy meal” da MacDonalds include hamburger, patatine e bibita. Anche un cd musicale può essere visto, come una “pacchetto” di canzoni: compriamo il cd dell’ultimo festival di Sanremo perché ci sono due o tre canzoni che ci piacciono, e pur di ottenerle siamo disposti a comprare l’intero pacchetto. Se ai consumatori piacciono canzoni diverse, può essere conveniente per l’impresa che ne possiede i diritti di distribuzione vendere l’intero pacchetto su un cd piuttosto che singolarmente.
Questa logica può essere riproposta nel caso del “pacchetto” di riforme costituzionali predisposto da Silvio Berlusconi e dalla sua maggioranza. Il pacchetto offre la “devolution“, cara alla Lega Nord, e il “premierato forte“, da sempre accarezzato da Alleanza nazionale. Altre modifiche, come la riduzione del numero dei parlamentari, sembrano invece rivolgersi all’elettorato in generale. È interessante notare come molto spesso gli esponenti del centrodestra, nelle loro dichiarazioni ai giornali e specialmente in televisione, nell’invitare i cittadini a votare “sì” al referendum mettano l’accento proprio queste riforme “minori”, dalla riduzione dei parlamentari allo snellimento dell’attività legislativa che si otterrebbe dall’abolizione del bicameralismo perfetto.

Le preferenze degli elettori

Avrà successo il referendum? Dipende dalle preferenze degli elettori. Il Governo Berlusconi, approvando il pacchetto di riforme costituzionali con la sola maggioranza di centrodestra, ha reso necessario il referendum popolare confermativo: ha così fatto una scommessa molto rischiosa sulle preferenze dell’elettorato italiano. Infatti, diversamente dal caso del cd musicale (se una canzone non ci piace basta non ascoltarla) o di MacDonalds (se vogliamo, possiamo acquistare solo le patatine fritte), il pacchetto di riforme della Costituzione va acquistato e “consumato” in blocco. In altre parole, se vogliamo che ne sia adottata una, dobbiamo necessariamente accettare che siano adottate anche le altre.

Proviamo a esprimere tutto ciò in termini formali. Supponiamo che un “pacchetto” sia composto di due beni, che vanno acquistati insieme oppure non acquistati affatto. Per un dato consumatore, il primo bene ha valore a, e il secondo ha valore b. Il consumatore, supponiamo, può essere di due tipi, il primo tipo e il secondo tipo. A seconda del tipo, rispettivamente, il consumatore accetta di comprare se:

1. min(a, b) > H

2. max(a, b) > K

Se il consumatore ha preferenze del “primo tipo”, è disposto ad acquistare il pacchetto se il bene che per lui ha minor valore (ad esempio, il primo bene, di valore a) comunque supera la soglia minima H. Questo consumatore non vuole che nessun bene abbia un valore troppo basso, ed è disposto a rinunciare al valore del bene preferito (il secondo bene, di valore b) se il bene meno preferito ha per lui un valore troppo basso.
Un consumatore del “secondo tipo” è invece interessato che almeno un bene (e non necessariamente entrambi) superi una minima soglia critica K di valore. Se ciò accade, questo consumatore è felice di comprare tutto il pacchetto. Riprendendo l’esempio precedente, il consumatore che compra un cd perché gli piacciono solo due o tre canzoni, e si disinteressa del tutto delle altre, ha preferenze del secondo tipo.
Coloro che hanno redatto la riforma costituzionale hanno scommesso che almeno i membri della ex maggioranza parlamentare fossero più vicino al secondo tipo. Il deputato di Alleanza nazionale, si è pensato, ama così tanto il premierato che non si preoccupa se, per averlo, dovrà digerirsi anche la devolution, a cui magari è fortemente avverso e che mai avrebbe votato, se fosse stata presentata da sola.
La scommessa in Parlamento è stata vinta, e la maggioranza ha votato il pacchetto di riforme costituzionali.
Per quanto riguarda il referendum, gli esponenti del centrodestra sembrano assumere che l’intero corpo elettorale ragioni come i parlamentari. Da qui il richiamo, di volta in volta, a singoli aspetti della riforma che potrebbero trovare molti d’accordo.
Ma cosa succede se la maggioranza degli elettori (indipendentemente dalla loro appartenenza politica) vogliono che nessun punto della riforma sia, dal loro punto di vista, troppo negativo? Chi è d’accordo con la fine del bicameralismo perfetto, ad esempio, potrebbe rinunciarci, votando “no” al referendum, pur di non veder approvata le devolution.

Il Governo Berlusconi ha scommesso di fare “contenti tutti” mettendo insieme tante riforme non legate l’una all’altra. Rischia invece di non far contento nessuno. Proporre più riforme insieme aumenta la probabilità che almeno una di queste piaccia a ciascun elettore, ma al tempo stesso espone al rischio che l’elettore eserciti una sorta di “diritto di veto“, bocciando la riforma in blocco solo per una parte particolarmente sgradita.

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11 commenti

  1. Alberto

    Il quorum ha la stessa funzione del numero legale.
    Se venisse abolito, gli organizzatori del sì farebbero di tutto per andare solo loro a votare, facendo passare sotto silenzio il referendum, senza tentare di spiegare le loro ragioni…in questo modo sarebbero quasi sicuri di vincere, e questo porrebbe le basi per “imboscate” legislative da parte di piccoli gruppi ben organizzati (cacciatori…).
    Mi sembra invece più sensato accorpare i referendum con le elezioni politiche, europee o amministrative, smettendola di dire che l’uno interferisce con le altre. Vedo che negli Usa c’è l’election day senza grossi problemi.

    • La redazione

      Grazie del suo intervento. La proposta di alzare il numero
      di firme necessarie per promuovere un referendum e’ volta
      prorpio ad evitare abusi dell’istuto referendario strsso.
      Abolizione del quorum e innalzamento del numero di firme
      sono, in altre parole, strettamente complementari. Riguardi
      al rischio che un referendum passi “sotto silenzio” per
      volonta’ di una parte, l’idea ci sempra improbabile in un
      sistema democratico. Se esistono forze interessate a
      votare “no”, esse avranno gli incentivi e i mezzi per far
      valere la loro posizione. L’accorpamento di un referendum ad
      altre elezioni ci pare molto sensato. tuttavia, i cicli del
      parlamento non necessariamente coincidono con le tornate
      referndarie, quindi si riproporrebbe il medesimo problema.

  2. Oreste Parise

    Mi sembra furoviante parlare di referendum alla vigilia di una consultazione. Si confonde l’art. 75 con l’art. 138. Abrogare una legge in vigore e riformare la Costituzione sono due ipotesi completamente diverse. Sarebbe opportuno eliminare il quorum nel primo caso ed introdurlo nel secondo, poiché le modifiche costituzionali devono avere un ampio consenso. Questo mi pare particolarmente importante nel caso venisse approvata la “devolution”, con un parlamento assoggetto al Premier.

  3. luciano steve

    Abolire il quorum potrebbe essere considerato drastico. Inoltre, il vero problema non è tanto la vecchietta lucana, quanto la strategia di astensionismo attuata negli ultimi referendum dai “no”: questa strategia è in pratica in grado di far fallire qualunque referendum. Proporrei quindi di fissare un quorum di voti favorevoli, invece di un quorum di voti validi. Il quorum di voti favorevoli dovrebbe essere il 25% più uno degli aventi diritto al voto. Questo vanificherebbe le strategie astensioniste, e allo stesso tempo assicurerebbe che un referendum possa essere approvato solo se sono favorevoli tanti cittadini quanti ne sarebbero (al minimo) necessari se fosse in vigore l’attuale quorum sui votanti.

    • La redazione

      Grazie del suo commento. Ci sembra che la sua proposta
      cerchi di risolvere simili disotrsioni a quelle che
      evidenziamo nel nostro intervento. La sua proposta tuttavia
      ci appare come piu’ macchinosa e arbitraria della nostra:
      perche’ un quorum al 25% e non, ad esempio, al 30%?

  4. Michele Giardino

    Difficile dissentire, ma manca qualcosa. La tavola statistica (ottima!). oltre a dimostrare che lo strumento referendario è stato usato eccome (c’è chi sostiene il contrario) conferma per un verso, con l’evidente e forte calo dei votanti intorno ai primi anni 90, che l’elettorato diffida di chi gli chiede di sostituirsi al Parlamento, ma anche che invece gradisce pronunziarsi sui grandi temi. Ho paura però (spero davvero di sbagliare) che domenica prossima su questa riforma costituzionale, non solo scandalosa, ma anche follemente “politica”, e quindi irrazionale, voteremo in pochi, nonostante sia importantissima. Alcune ragioni sono le vostre. Una che invece manca, ed è invece essenziale, è che la risposta “si o no” va bene solo per quesiti molto semplici e schematici, non certo per 54 articoli della Cost., o peggio! Nè l’art. 138 ha colpe! Gli abusi dell’istituto vanno prevenuti anche sotto questo profilo, mi pare.

    • La redazione

      Molte grazie per il suo commento. Per una riflessione su una
      riforma composita che i cittadini devono o accettare o
      respingere “in blocco” rimandiamo a un articolo in
      lavorazione, previsto per un’uscita futura de laVoce.

  5. Marco Della Croce

    Caratteristiche dell’istituto referendario sono,tra le altre,la cogenza per le forze politiche e la straordinarietà .
    Le due direttrici di riforma proposte dall’articolo le coinvolgono entrambe.
    Inizierei dalla cogenza:
    La Corte Costituzionale,con indirizzo costante(anche se con critiche della dottrina e con comportamenti delle Camere che spesso la disattendono),sostiene che dall’esito referendario sorga un vincolo giuridico che non consente al legislatore di disvolere quanto deciso dal referendum che (sent.n.468 del 1990).
    Cogenza confermata anche dall’ordinanza n.9 del 1997 che consente la difesa del risultato referendario,contro una legge che ripristina la normativa abrogata,attraverso un ricorso in via incidentale alla Corte stessa.
    La ratio di questo vincolo,che,de facto,fa del risultato referendario norma parametro nei giudizi di legittimità costituzionale,è da ricercarsi anche nella previsione del quorum.Quale cogenza,anche solo di carattere politico ancorprima che giuridico, avrebbe, per il parlamento, una norma abrogata,ad esempio,dal 18%dei cittadini?Non intaccherebbe ciò lo spirito del Referendum?
    De iure condendo mi sembra invece auspicabile l’innalzamento del numero di firme necessarie per proporre un referendum. Questo comporterebbe probabilmente un netto abbassamento delle proposte riconsegnando al referendum una delle sue caratteristiche precipue:la straordinarietà.
    Questa (straordinarietà),oltre a proposte di referendum più appassionanti e di ricezione immediata per il cittadino,se percepita,come fu nel caso del divorzio o dell’aborto,porterebbe sicuramente un maggior numero di aventi diritto alle urne.Ritengo,pertanto,che con una sola medicina si possano curare entrambi i mali.
    Saluti
    MDC

  6. Michele Olivieri

    Concordo con la tesi degli autori che 500’000 firme sono oggi una soglia troppo bassa e della conseguente necessità di innalzarla per riservare l’abrogazione di leggi tramite referendum solo a casi di particolare rilievo.

    L’obiettivo primario dell’istituto referendario credo debba però essere quello di costituire un deterrente contro una legiferazione chiusa nelle stanze del potere che contrasti con la reale volontà della maggioranza degli elettori.

    Pertanto occorre rendere effettivamente “accessibile” il referendum in tali casi eccezionali e sia quindi necessario modificare insieme con il numero di firme anche il meccanissmo di valutazione dell’ammissibilità del quesito referendario.

    Infatti il rischio di dover investire nella raccolta di un milione di firme senza sapere se il quesito sarà poi ritenuto leggittimo dalla Consulta (e viste alcune recenti controverse valutazioni il tema non è secondario) limiterebbe l’accesso al referendum solo ad organizzazioni con disponibilità finanziarie elevate (sindacati, partiti maggiori, associazioni imprenditoriali) che hanno già notevoli capacità di influenzare il processo legislativo, limitando invece notevolmente le possibilità di promuovere referendum “d’opinione” basati sulla motivazione di gruppi trasversali di elettori.

  7. Davide Tondani

    Ritengo più che ragionevole la vostra proposta, ma con due correttivi:

    a. 1,5 milioni di firme invece che solo 1, una cifra giustificabile su parametri demografici, molto meno se si tiene in conto la maggiore informazione ricevuta dagli elettori e il livello culturale raggiunto dagli stessi nel corso dei decenni.

    b. Quorum pari al 50% del numero degli elettori presentatisi alle ultime elezioni della Camera. In tal modo le strategie elettorali non possono più tenere in conto – come disgustosamente è già avvenuto – dell’astensionismo fisiologico, una pratica davvero lesiva della democrazia

  8. Marco Arrigoni

    Piena sintonia, ma mancherebbe comunque la possibilità di indire un referendum sulle leggi di ratifica dei trattati. Nulla di francese, ma correttezza democratica.
    Certo, sarebbe meglio se confermativo, vista la natura di questi particolari atti.

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