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La difesa a catenaccio dei “giocatori titolari”

La nazionale francese di calcio, che affronterà l’Italia in finale, è la più “vecchia” dei mondiali. Il riflesso di un fenomeno più generalizzato nella società francese, e non solo. Dall’analisi statistica emerge che l’età media delle squadre che partecipano a Germania 2006 è tanto più elevata quanto più è difficile per i giovani del paese di provenienza ottenere il primo impiego. I “titolari” nel mercato del lavoro come nel calcio hanno approfittato della loro posizione di forza per proteggersi dalla concorrenza, erigendo barriere che rendono difficile l’accesso alle loro posizioni.

La difesa a catenaccio dei “giocatori titolari”

In tempi di mondiali di calcio, leggiamo regolarmente statistiche sulle diverse squadre. Abbiamo così appreso che la nazionale francese ha l’età media più avanzata del torneo e che soltanto altre due squadre (non ho fatto caso ai loro nomi), in edizioni precedenti, avevano un’età media più alta di quella francese del 2006.

L’età dei calciatori e dei lavoratori

Sono un “micro-econometrico” del mercato del lavoro, uno specialista nella valutazione delle politiche pubbliche e più in generale di qualunque questione che riguardi il lavoro e la disoccupazione. Discutendo con i miei colleghi ricercatori, il mio spirito fertile ha allora elaborato una strana teoria: l’età elevata dei nostri giocatori di calcio non è altro che il riflesso di un fenomeno francese più generalizzato. Più precisamente, ai salariati “titolari” ripugna l’idea di “lasciare” il loro posto a persone più giovani, o perlomeno, le imprese francesi assumono pochi giovani. In Francia ci vuole molto tempo per ottenere un primo impiego è molto lungo, anche per chi ha più titoli di studio, e la durata della disoccupazione dei giovani è quindi tra le più lunghe in Europa. Lunga a tal punto che prendere la via dell’Inghilterra appare a molti – difficile sapere quanti con precisione, ma parecchie centinaia di migliaia è un ordine di grandezza ragionevole – una soluzione ragionevole, anche solo per costruirsi un’esperienza professionale. Insomma, per un giovane trovare un impiego in un’impresa in Francia è più difficile di quanto non lo sia in altri paesi.
Per vedere se la mia idea era confortata dai dati, ho proceduto in questo modo.
Sono andato sul sito de L’Équipe, il giornale sportivo. Vi si trovano nome, club di appartenenza ed età di tutti i giocatori di tutte le squadre partecipanti a questo mondiale. Ho calcolato per ogni squadra l’età media complessiva: di tutti i giocatori, compresi coloro che non hanno giocato – cosa che tende a deviare verso il basso l’età media dei francesi, poiché la “panchina” è tendenzialmente più giovane della formazione in campo. Come si suol dire, l’esperienza è sempre l’esperienza. Poi, sono andato sul sito dell’Ocse che mette a disposizione statistiche comparabili dei tassi di disoccupazione, d’impiego, di attività, per età, sesso, e così via. relativi a numerosi Paesi, i più sviluppati. Ho così raccolto cifre per quindici paesi, dalla Francia all’Australia, dal Giappone alla Germania. In particolare, mi sono concentrato sui dati Ocse riguardanti le difficoltà d’impiego per i giovani: tasso di disoccupazione (da 16 a 24 anni), tasso di occupazione e tasso di partecipazione. Queste statistiche permettono di isolare alcuni elementi, per metterli in rapporto diretto con il mercato del lavoro corrispondente al segmento di popolazione che ci interessa. Ho così calcolato la correlazione tra età media delle squadre partecipanti a questa coppa del mondo e tasso di disoccupazione (e tasso di partecipazione) dei giovani. Quando un paese mostra simultaneamente persone dotate di esperienza nel mercato del lavoro e nel “mercato” della nazionale di calcio, la correlazione sarà forte (positiva o negativa, secondo la variabile a essa legata).
I risultati ottenuti sono molto chiari, e desolanti: l’età media complessiva delle squadre (dei paesi membri dell’Ocse) è fortemente correlata negativamente al tasso d’impiego (-0,44) e al tasso di partecipazione (-0,44) dei giovani del loro paese, ed è correlata positivamente con il tasso di disoccupazione di questi stessi giovani (0.30).
Per ricapitolare, dall’analisi statistica, facilmente replicabile da chiunque perché i dati utilizzati sono disponibili sul web, emerge che l’età media delle squadre presenti ai mondiali di quest’anno è tanto più elevata quanto più è difficile l’accesso all’impiego per i giovani del paese di provenienza.

Barriere contro i giovani

La Francia illustra benissimo questo risultato , ma lascio l’incombenza al lettore.
Inghilterra è un esempio altrettanto eccellente, però in un senso opposto. In Inghilterra per un giovane (anche se francese) è facile trovare impiego nel calcio, come in altri settori (anzi, soprattutto in altri settori). Ma è altrettanto facile per i giovani inglesi arrivare alla nazionale di calcio. Infatti, Eriksson, l’allenatore svedese della squadra, ha “osato” convocare Scott Carson,20 anni, e Aaron Lennon,19 anni, e addirittura un altro ragazzo di 17 anni.
Quali sono le spiegazioni possibili? Ne darò due. La prima corrisponde a una teoria che affascina le “business schools”: l’assunzione di rischio in un progetto a lungo termine per cui l’imprenditore assume persone con poche referenze, non è valorizzata in Francia. Per capirci: si attendono risultati rapidi e si cambia allenatore quando questi non sono soddisfacenti. Qualunque sia la strategia a lungo termine, l’investimento nei giovani non ha legittimità in questo contesto, poiché quel che conta è il loro rendimento immediato, necessariamente limitato, anche se quello futuro potrebbe essere molto elevato. In questa prima ipotesi, il titolo di studio riveste un ruolo di segnale molto forte, dato che l’esperienza personale non ha avuto tempo per svilupparsi.
Una seconda teoria – con la quale concordo, lo confesso – è la seguente: “i titolari” hanno approfittato della loro posizione di forza per proteggersi dalla concorrenza, erigendo barriere che rendono difficile l’accesso alle loro posizioni e restringendo quindi la concorrenza che potrebbe danneggiarli. Esempi del genere abbondano. La legge Royer, votata il 31 dicembre 1973, cercava di proteggere i piccoli commercianti del centro. Il risultato è chiaro: il provvedimento ha sì protetto i piccoli commercianti, ma soprattutto ha protetto le grandi superfici che per prime sono entrate in questo mercato dalla concorrenza di nuove forme di distribuzione, che oggi incontrano le maggiori difficoltà ad aprire.
Numerose categorie professionali sono riuscite a mettere in atto “numerus clausus” per proteggersi dall’ingresso dei giovani. Così, i nostri futuri veterinari andavano fino a poco tempo fa a formarsi in Belgio, che era così debole da non avere lo sbarramento del numero chiuso. Gli esempi si possono moltiplicare all’infinito. Abbiamo costruito, collettivamente, barriere al fine di lasciare i nostri giovani alla porta. E ci siamo riusciti, sul mercato del lavoro come nella nazionale di calcio.
La prossima tappa è per la nazionale il passaggio ai 35 minuti (per mezzo tempo). Proprio come per le 35 ore, che sembrano aver beneficiato i lavoratori meglio impiegati e remunerati (i quadri, per esempio, mentre i ritmi di lavoro si sono deteriorati per molti altri). Se le partite avessero questa durata, i più anziani tra i nostri giocatori potrebbero esprimersi al meglio. Far sì che la Fifa adotti una simile regola è un obiettivo sul quale i francesi devono impegnarsi, per promuovere il loro modello sociale.

Leggi anche:  Quante medaglie vinceremo a Parigi?

Performance del mercato del lavoro per i giovani nei paesi Ocse. (16-24 anni)

 
 

Tasso di disoccupazione giovanile

Tasso di partecipazione giovanile

Età media della squadra

Tasso d’occupazione giovanile

Paesi

 

1984

1994b

2004

1984

1994b

2004

Coppa del Mondo 2006

2004

 

Germania

10.9

8.2

11.7

57.9

56.0

47.5

26.39

41.92

Germania

Australia

15.9

16.2

11.7

69.2

68.4

67.2

27.96

59.37

Australia

Corea

8.9

7.2

10.0

36.4

37.2

34.7

26.72

31.20

Corea

Spagna

41.8

42.9

22.0

56.7

49.4

49.2

25.61

38.37

Spagna

Stati Uniti

13.9

12.5

11.8

67.7

66.4

61.1

27.8

53.90

Stati Uniti

Francia

24.5

27.5

22.7

44.5

30.4

34.1

28.52

26.37

Francia

Italia

32.9

30.5

23.5

44.1

40.7

35.6

28.26

27.21

Italia

Giappone

4.9

5.5

9.5

43.8

47.6

44.2

26.31

39.99

Giappone

Paesi Bassi

25.2

10.2

7.8

50.6

61.7

71.0

26.48

65.4

Paesi Bassi

Polonia

..

32.6

40.8

..

41.5

33.9

26.74

20.03

Polonia

Portogallo

19.0

14.1

15.3

65.9

47.2

43.6

27.52

36.92

Portogallo

Repubblica Ceca

..

8.7

20.4

..

52.0

35.8

28.52

28.54

Repubblica Ceca

Regno Unito

19.7

16.1

10.9

75.6

70.1

67.4

25.26

60.07

Regno Unito

Svezia

7.9

22.6

17.0

66.0

53.6

51.5

27.48

42.78

Svezia

Svizzera

..

6.0

7.7

..

68.0

67.1

25.30

61.98

Svizzera

Protéger les «joueurs» en place

Protéger les «joueurs» en place

 

 

En ces temps de coupe du monde de football, nous entendons ou lisons régulièrement des statistiques sur les diverses équipes. Récemment, nous avons ainsi appris que l’équipe de France possédait la moyenne d’âge la plus élevée du tournoi. En outre, il était précisé que seules deux autres équipes étrangères (je n’ai pas noté leurs noms), lors d’éditions précédentes, avaient eu une moyenne d’âge plus élevée que notre équipe de France de 2006. En discutant avec mes collègues chercheurs, je suis «micro-économètre» du marché du travail, spécialiste de l’évaluation des politiques publiques et plus généralement de toute question portant sur l’emploi et le chômage, mon esprit fertile s’est mis à échafauder une théorie saugrenue : l’âge élevé de nos joueurs de football n’est que le reflet d’un phénomène plus général en France. Plus précisément, les salariés en place répugnent à « laisser » leur poste aux personnes plus jeunes, ou tout au moins, les entreprises françaises embauchent peu de jeunes. Le délai nécessaire à l’obtention d’un premier emploi est très long en France, même pour les plus diplômés, la durée du chômage des jeunes est une des plus longues en Europe. A tel point que le départ en Angleterre est pour beaucoup (difficiles à connaître précisément, plusieurs centaines de milliers est un ordre de grandeur raisonnable) une solution attirante, voire la seule si l’on désire se constituer une expérience professionnelle. Répétons le encore, sans préjuger des raisons d’un tel phénomène mais j’y reviendrai plus loin, il est plus difficile en France pour un jeune de trouver un emploi dans une entreprise que ce n’est le cas dans d’autres pays.

Pour voir si cette idée était déjà dans les données, j’ai procédé ainsi. Je suis allé sur le site de l’Equipe, le journal sportif. On y trouve les noms, club, et âge de tous les joueurs de toutes les équipes participant à ce mondial. J’ai calculé pour chaque équipe l’âge moyen de l’équipe (de tous les joueurs, y compris ceux qui n’avaient pas participé, ce qui tend à « biaiser » vers le bas l’âge moyen pour la France car le banc est plus jeune que ceux sur le terrain, l’expérience, toujours l’expérience). Puis je suis allé sur le site de l’OCDE qui permet de disposer de statistiques comparables des divers taux de chômage, activité, par âge, sexe,… pour de nombreux pays (les plus développés). J’ai ainsi pu récupérer des chiffres pour 15 pays, de la France à l’Australie, du Japon à l’Allemagne. Des données de l’OCDE, je me suis concentré sur les chiffres traitant des difficultés d’emploi des jeunes : taux de chômage des jeunes (16 à 24 ans), taux d’emploi et taux d’activité des jeunes. Ces statistiques permettent de cerner des éléments de la situation vis à vis du marché du travail du segment de la population qui nous intéresse. Et j’ai ainsi calculé la corrélation entre âge moyen des équipes présentes à cette coupe du monde et taux de chômage (et taux d’activité) des jeunes. Ainsi, dès lors qu’un pays manifestera simultanément pour les personnes dotées d’expérience sur le marché du travail et sur le « marché » de l’équipe nationale de football, la corrélation sera forte (positive ou négative, selon la variable qui lui est reliée). Les résultats que j’obtiens sont très clairs, et désespérants : l’âge moyen des équipes (les pays membres de l’OCDE) est très fortement corrélés (négativement) avec le taux d’emploi (-0.44), et le taux de participation (-0.44) des jeunes de leur pays et très positivement avec le taux de chômage de ces mêmes jeunes (0.30).

Pour résumer l’analyse statistique, que tout un chacun peut refaire puisque les données sont sur le web, l’âge moyen des équipes présentes à la coupe du monde de football est d’autant plus élevé que l’accès à l’emploi des jeunes de leur pays est difficile.

Pour illustrer ce résultat, on peut utiliser l’exemple de la France. Je laisse ce soin à chaque lecteur. L’Angleterre est un excellent exemple, mais dans un sens opposé. Il est facile pour un jeune de trouver un emploi en Angleterre (même s’il est Français d’ailleurs) dans le football comme ailleurs (surtout ailleurs, en fait). Mais, il est aussi facile pour des jeunes de se glisser dans l’équipe d’Angleterre de football. Ainsi, Eriksson, l’entraîneur Suédois de l’équipe a «osé» faire appel Scott Carson, 20 ans ou à Aaron Lennon, 19 ans, voire à un jeune de 17 ans.

Peut on aller plus loin que ce constat. Quelles sont les explications possibles? J’en donnerais deux. La première correspond à une théorie qui a de l’attrait dans les business schools: la prise de risque telle que l’entrepreneur peut la concevoir dans un projet de long terme – et donc l’embauche de gens ayant peu de références – n’est pas valorisée en France. On attend des résultats rapides et on change d’entraîneurs dès lors que les résultats ne sont pas satisfaisants. Toute stratégie de long terme en peut se mettre en place, et l’investissement dans les jeunes n’a pas de légitimité dans ce cadre car leur rendement immédiat est faible même si leur rendement futur peut être très élevé. Ainsi, dans cette explication, le diplôme joue un rôle de signal très fort dès lors que l’expérience personnelle n’a pas eu le loisir de se développer.

Une deuxième théorie, qui a mes faveurs, je l’avoue, est la suivante: les personnes en place ont profité de leur position de force pour se protéger de la concurrence en érigeant des barrières rendant l’accès à leur position difficile, en restreignant la concurrence qui pourrait leur nuire. De tels exemples abondent. La loi Royer, votée le 31 décembre 1973 cherchait à protéger les petits commerçants de centre ville. Le résultat est clair: il a protégé les petits commerçants mais il a surtout protégé les grandes surfaces entrées les premières sur ce marché de la concurrence de nouvelles formes de distribution qui ont les plus grandes peines à ouvrir aujourd’hui. De nombreuses professions ont réussi à mettre en place des « numerus clausus» pour se protéger de «l’afflux» de jeunes. Ainsi, nos futurs vétérinaires allaient s’éduquer en Belgique (jusqu’à une date récente) car ce pays avait la faiblesse de ne pas avoir de numerus clausus. Les exemples peuvent être multipliés à l’infini. Nous avons collectivement construit des barrières afin de laisser nos jeunes à la porte. Et nous avons réussi, sur le marché du travail comme apparemment en équipe de France de football.

L’étape suivante, pour l’équipe de France, est le passage aux 35… minutes (par mi-temps). Comme pour les 35 heures qui semblent avoir bénéficié aux personnes les mieux installées et les mieux rémunérées (cadres, par exemple, alors que les rythmes de travail se sont détériorés pour de nombreux autres). Une telle durée permettrait aux plus âgés de nos joueurs de s’exprimer au mieux. Le passage d’une telle législation auprès de la FIFA est un but vers lequel les français doivent tendre pour promouvoir leur modèle social. 

 

Francis Kramarz, chercheur au Crest, professeur chargé de cours à l’Ecole Polytechnique.

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  1. Paolo Pasqualis

    Tanto per stare al gioco (se l’ho capito bene, sperando di non confondermi tra calcio e disoccupazione): la qualità ne ha guadagnato!
    Accidenti, proprio come dicono i professionisti!
    Francia e Italia in finale, le squadre con età più elevate (=barriere all’accesso?!).

  2. antonio gesualdi

    Intanto complimenti per l’analisi. Io sono un giornalista molto critico nei confronti de La Voce perché ritengo che i cosiddetti “esperti” sono tali quando si rivolgono al vasto pubblico soltanto se attraverso la mediazione giornalistica. Ovvero bisogna che essi accettino il contradditorio o perlomeno le domande più scomode possibili.
    Quanto ai calciatori io ho analizzato la provenienza di coloro che militano nella serie A (gli amici di Mappemonde in Francia l’hanno fatto per i francesi). Per l’Italia si tratta di giovani “coltivati” nell’area del bergamasco e soprattutto nelle regioni “rosse” del Centro Italia. Di fatto si riesce a produrre in Toscana, Umbria ed Emilia-Romagna (ma anche in Lombardia) un calciatore di serie A ogni 15.500 giovani tra i 15 e 24 anni. Nel Meridione, addirittura, 1 ogni 46.000. Come si vede si tratta di un “prodotto” che è scarso (o che viene tenuto scarso, ma questo è un altro discorso) per poter essere venduto a caro prezzo. Siete voi economisti che insegnate questa regola :-)))
    Dunque è evidente che una volta fatto un campione si tenti di sfruttarlo il più a lungo possibile. E oggi sono disponibili algoritmi per insegnare ai portieri a parare i rigori e anche bio-medicine per il fisico. Vi siete dimenticati Cannavaro attaccato ad una flebo? A prescindere da cosa contenesse la flebo.
    Quanto tabella pubblicata c’è il caso inglese, ma c’è anche quello polacco o quello spagnolo. E dunque il ragionamento non regge. L’età media della squadra, poi, ha uno scarto massimo di 3 anni circa. Troppo poco per dire che ci sono barriere di accesso generazionali. Solo la Svizzera ha una forte correlazione con il tasso di occupazione giovanile. Ma a questo punto è chiaro che è un caso.
    Damanda: ma chi lo dice che l’età dei calciatori (se è vero che si alza) non dipenda, invece, dalla forte riduzione delle classi demografiche 15-24 anni che accomuna tutti i paesi? Società di vecchi avranno squadre più vecchie.

  3. federico russo

    Credo ci sia un errore di validità nella misura che lei utilizza.
    Per testare la sua affascinante teoria non bisogna considerare la difficoltà dei giovani ma la loro discriminazione nei confronti degli anziani.
    Quindi non il tasso di disoccupazione dei giovani ma la differenza tra questo e quello dei più anziani.

  4. michele

    La Francia aveva semplicemente la squadra più vecchia ai mondiali perchè questi giocatori erano stati negli ultimi anni i più forti in assoluto per un paese che mai aveva vinto nel giro di 2 anni una coppa del mondo e un campionato europeo.Se si andasse ad analizzare nel dettaglio si vedrebbe che i risultati calcistici hanno influito molto di più che un ipotetico indicatore economico.Le convocazioni dell’Inghilterra sono state decise più da necessità tecniche che da opportunità strepitose offerte dall’isola anche nello sport ;tanto più che a decidere le sorti della nazionale dei bianchi è stato fatale l’insistenza dell’allenatore Erikson nel convocare l’ex talentoprodigio ormai 27 enne Owen benchè infortunato, piuttosto che lanciare veramente le giovani promesse di sua maestà.L’Articolo è divertente ma inconcludente e anche un pò ridicolo dal momento che nel calcio più che in altri settori l’esperienza di giocare ad alti livelli anche per molti anni si acquisisce con il talento manifestato in un palcoscenico seguito e visto da milioni di appasionati.

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