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L’economia dell’indulto

L’estensione dell’indulto ai reati economici non è soltanto un provvedimento inutile per l’alleggerimento del carico giudiziario e penitenziario. Unito alla disciplina del falso in bilancio, porterà a un azzeramento del controllo penale sulla veridicità e trasparenza dell’informazione societaria. Da’ una mano a chi sostiene il ricorso a un sistema di sanzioni di natura esclusivamente civile e amministrativa. Mentre diritto e giustizia penale sono oggi l’unico baluardo contro le forme di criminalità economica a danno dei risparmiatori e del mercato.

Approvato dalle Camere a larghissima maggioranza (per i provvedimenti di clemenza la nuova versione dell’articolo 79 della Costituzione richiede il voto favorevole dei due terzi di ciascun ramo del Parlamento), l’indulto è divenuto nei giorni scorsi legge dello Stato, comportando uno “sconto” sino a tre anni per le pene detentive e sino a 10mila euro per le pene pecuniarie, a beneficio di tutti coloro, già condannati o meno, che abbiano commesso reati fino a tutto il 2 maggio 2006.
Si tratta di un provvedimento lungamente atteso e che trova il proprio fondamento nell’esigenza di sfoltire l’ormai cronico sovraffollamento delle nostre carceri e di evitare l’ingolfamento della macchina giudiziaria, oltre che nella necessità contingente di non deludere le aspettative che si erano da tempo create all’interno della popolazione carceraria.

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Se questa doveva essere (ed effettivamente è) la ragion d’essere dell’ indulto, logica avrebbe voluto che si adottasse un provvedimento selettivo, incentrato su quelle tipologie di reati e di autori (tossicodipendenti, immigrati clandestini, eccetera) che effettivamente affollano le carceri e le aule giudiziarie. Viceversa si è imposta una misura clemenziale sostanzialmente indiscriminata, dai cui benefici rimane esclusa solo una ristretta cerchia di reati di particolare gravità e circondati da un forte allarme sociale, quali quelli legati alla criminalità organizzata e di stampo mafioso, al traffico di stupefacenti, al terrorismo nazionale e internazionale, ai reati sessuali e al traffico di esseri umani.
La prima impressione è quella di un’iniziativa legislativa affrettata e poco meditata. Sorprende, in particolare, il fatto che l’indulto sia destinato a estendersi anche a quei reati tipicamente espressivi delle più gravi forme di criminalità economica (corruzione e concussione, reati societari e fallimentari, reati finanziari, tributari, in materia di sicurezza del lavoro e di protezione dell’ambiente, e così via), rispetto ai quali non sussiste alcuna delle ragioni che giustificano il provvedimento di clemenza: non sono certo i reati economici quelli che sovraccaricano le scarse risorse umane e materiali della giustizia penale, né sono gli autori di tali reati quelli che compongono – salvo rarissime quanto clamorose (e comunque sempre di breve durata) eccezioni – la popolazione carceraria italiana.
L’estensione dell’indulto ai reati economici non è però soltanto un provvedimento inutile per l’alleggerimento del carico giudiziario e penitenziario, ma è anche una misura gravida di pesanti conseguenze negative, in termini di perdita di efficacia e di credibilità dello strumento penale in materia economica.
La concessione dell’indulto per tale categoria di reati non farà che portare acqua al mulino di tutti coloro che, da varie sponde, ripetutamente affermano la sostanziale inutilità e inefficacia dell’intervento penale in materia economica, sostenendo l’opportunità di una depenalizzazione degli illeciti economici e il ricorso a un sistema di controlli e sanzioni di natura esclusivamente civile e amministrativa. Si tratta di un orientamento che – nonostante il suo sbandierato appello a principi di matrice garantistica – va invece contrastato con fermezza, per ragioni non certo ideologiche, ma eminentemente pragmatiche: di fronte alla comprovata e perdurante insufficienza dei controlli civili e amministrativi, è difficilmente confutabile che, in Italia, l’unico efficace baluardo contro le più gravi forme di criminalità economica a danno dei risparmiatori e del mercato sia a tutt’oggi rappresentato dal diritto e dalla giustizia penale, alla cui peculiare efficacia deterrente non sembra possibile, in questa fase storica, rinunciare. La recente esperienza dei casi Cirio e Parmalat, nonché la rovente estate vissuta lo scorso anno dal sistema bancario, sono purtroppo lì a dimostrarlo.

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Un fenomeno sottovalutato

Della gravità e attualità del fenomeno della criminalità economica in Italia, la legge di indulto appena varata dal Parlamento non sembra invece avere adeguata consapevolezza.
Particolarmente grave appare la situazione che si è venuta a creare nei confronti delle ipotesi di falso in bilancio e in comunicazioni sociali, previste dai nuovi articoli 2621 e 2622 del codice civile: all’indebolimento del controllo penale conseguente alla riforma dei reati societari del 2002 – paragonata giustamente a una depenalizzazione di fatto – viene ora ad aggiungersi la concessione dell’indulto. Il risultato sarà un sostanziale azzeramento del controllo penale sulla veridicità e trasparenza dell’informazione societaria, a dispetto della rilevanza primaria di tale oggetto di tutela (affermata anche dalla Corte di giustizia delle Comunità europee) e della dichiarata volontà politica di restituire dignità e spessore all’intervento penale in questa materia.
La contraddizione è talmente stridente e clamorosa, che persino l’ex-ministro guardasigilli della passata legislatura ha avuto buon gioco nel rilevare con ironia che il nuovo Governo di centrosinistra, dopo aver per anni accusato la vecchia maggioranza di aver depenalizzato il falso in bilancio, non trova ora di meglio che estendere agli autori di tale reato i benefici dell’indulto. Se poi dovesse risultare che questo sia stato il prezzo politico da pagare per ottenere il voto favorevole all’indulto da parte del maggior partito di opposizione, allora si dovrebbe amaramente constatare una sorta di paradossale reviviscenza della nefasta stagione delle leggi ad personam, che si auspicava estinta con la fine della XIV legislatura.
Qualunque sia il retroscena politico , certo è, comunque, che l’indulto per i reati finanziari non rappresenta il miglior viatico per questo inizio di legislatura sul campo minato della politica del diritto e della giustizia penale. Dopo i guasti legislativi e le roventi polemiche del quinquennio appena trascorso, ci si sarebbe invece aspettati su questo terreno un’iniziativa governativa e parlamentare di ben altro spessore. Viceversa, già in sede di formazione della compagine governativa, non sembra essersi tenuto adeguato conto della gravità e serietà del problema della giustizia in Italia: non è qui in questione la figura politica e la qualità dell’attuale guardasigilli, tuttavia sarebbe stata auspicabile un’assegnazione del ministero della Giustizia secondo criteri analoghi a quelli seguiti per il ministero dell’Economia, ossia con la ricerca di una personalità tecnica di riconosciuta indipendenza e prestigio, individuata sulla base di un preciso “progetto giustizia“, del quale invece non si vedono a tutt’oggi le tracce.
Dobbiamo augurarci, sinceramente, che lo scetticismo e il pessimismo di oggi possano venire presto smentiti dai fatti.

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  1. luca

    Finalmente leggo un articolo riguardo all’indulto in cui mi trovo pienamente d’accordo e non ho nulla da obiettare. Al massimo, aggiungerei che la legge che lo regolamenta si dimentica in toto del cammino che il beneficiario dell’indulto dovrà fare una volta in libertà. Non era difficile prevedere quello che è giaà successo, cioè che molti appena usciti fuori sono tornati a delinquere, perchè non avevano molte alternative e sapevano fare solo quello. Il gesto di clemenza concesso non solo non doveva essere “erga omnes peccatorum”, ma doveva anche essere mirato ad una piena reintegrazione sociale che evitasse di ricadere in tentazione. Come? Ad sempio con lo strumento dei lavori socialmente utili, oppure con la garanzia di un paio di colloqui di lavoro, ovviamente in ambienti adatti, con datori di lavoro non intolleranti o razzisti, che magari potevano contare su un credito d’imposta da parte dello Stato in caso di assunzione di uno di questi soggetti. La ringrazio per l’attenzione!

  2. ettore

    Concordo con l’articolo ribadendo che l’indulto (per qualsiasi tipo di reato, non solo per quelli societari) è un provvedimento sbagliato, immorale, inefficace ed inutile. Sbagliato perchè mina il fondamentale principio della certezza della pena che costituisce il principale deterrente alla commissione dei reati; secondo le statistiche, in Italia, solo il 20% degli autori dei reati vengono individuati, e solo il 10% viene assoggettato a pena; se poi li scarceriamo pure, è lapalissiano che il nostro sistema giudiziario è totalmente inefficace e non svolge alcuna funzione deterrente. Per cui invece di varare l’indulto bisognerebbe organizzarsi (attraverso riforme legislative, stanziamenti di risorse, ecc) per far funzionare meglio il nostro sistema giudiziario in modo che possa adempiere alla sua funzione istituzionale. E’ inutile perchè non essendo accompagnato da misure finalizzate a risolvere i problemi di fondo del sovraffollamento, tra 2/3 anni le carceri si riempiranno di nuovo e bisognerà varare un altro provvedimento di clemenza. E’ pericoloso perchè rimette in libertà pericolosi detenuti compromettendo la sicurezza del cittadino, bene costituzionalmente tutelato. E’ immorale perchè non considera la sofferenza delle vittime dei reati, ed è una beffa per tutte le persone oneste che rispettano le leggi, anche quelle penali.
    ettore, torino

  3. Giorgio Pedrotti

    Oltre dieci anni di “giustizialismo” e “tintinnar di manette” non hanno certo ridotto la criminalità finanziaria. Laicamente si dovrebbe dedurre che la prospettiva del carcere non induce ad astenersi dal delinquere chi desidera fare i soldi in modo illegale (così come non è mai stato un deterrente la pena di morte). Forse sarebbe opportuno studiare altre pene per reati finanziari e simili: divieto di intrattenere conti correnti bancari, divieto di amministrare o dirigere società, arresti domiciliari dopo il lavoro, ecc: vale a dire pene che incidano sullo “status” sociale della persona condannata, senza l’inutile gogna del carcere. In carcere dovrebbero finire solo le persone che commettono delitti contro la persona (violenze, omicidi, sequestri, rapine con feriti o morti, ecc.) e i casi di recidiva più gravi, per tutti gli altri reati.
    In questo modo si risparmierebbero molti soldi che servono a mantenere in carcere persone che potrebbero invece lavorare per risarcire i danni arrecati alla società. E si risparmierebbero i soldi per costruire carceri più decenti di quelle oggi in esercizio. Se subisco una truffa, personalmente, desidero essere risarcito e sapere che il truffatore viene messo in condizione di non nuocere. Per ottenere ciò, nella stragrande maggioranza dei casi, non serve mettere il reo in prigione.

  4. Giovanni Moser

    Non c’è speranza. Prendiamo atto che alla classe dirigente italiana non importa un bel nulla dei risparmiatori e degli investitori non istituzionali.
    I cittadini stiano buoni nel loro parco buoi e ai furbetti del quartierino facciamo un bel monumento in piazza. All’inaugurazione suonerà anche la banda della Guardia di Finanza. Che pena.

  5. Francesco Castracane

    Concordo con quanto scritto dall’autore.
    Ma sarebbe forse necessario aprire una riflessione sulla necessità di una generale riforma della giustizia. Da quando comincio ad avere ricordi coerenti, sento sempre dire che la giustizia andrebbe riformata. Come mai periodicamente si devono progettare amnistie e indulti?

  6. Raffaello Morelli

    Concordo con il giudizio che l’indulto sia stata un’iniziativa non selettiva, affrettata e poco meditata. Sono un po’ perplesso su alcune argomentazioni usate.

    In primo luogo, sfoltire il sovraffollamento delle carceri è stata la scusa non l’esigenza, poiché se l’obiettivo fosse stato questo si sarebbe dovuto cominciare dall’affrontare l’aspetto del numero abnorme dei detenuti in attesa di giudizio ( il doppio dei fruitori dell’indulto), questione che tocca un importante punto di principio e che esplicherebbe effetti anche in futuro .

    In secondo luogo, è purtroppo eufemistico scrivere che non si vedono le tracce di un progetto giustizia, quando il programma di governo non solo non prevedeva l’indulto in questi termini ma addirittura aveva sbandierato la volontà politica di non avere clemenza per il cancro delle corporazioni finanziarie.

    In terzo luogo, questa mancanza di clemenza per le corporazioni finanziarie è giusta dal momento che corruzione, concussione, falsi in bilancio, aggiottaggi e analoghi delitti sono reati gravi che impediscono il corretto funzionamento del mercato, economico e politico-istituzionale. Ma innanzitutto deve essere essere vissuta nella dimensione dei comportamenti politici, civili e sociali. Pensare di contrastare tali reati affidandosi all’unico efficace baluardo costituito dal diritto e dalla giustizia penale, significa aprire la strada all’ossessione giustizialista che è stata ed è fonte di tanti guai e contraddizioni. Primo dei quali è fornire a chi commette quei reati un argomento depistante per fingersi perseguitati.

    Con i migliori saluti
    Raffaello Morelli

  7. Sergio Francese

    L’indulto si è reso alla fine necessario per non deludere le aspettative di alcune migliaia di carcerati che da alcuni mesi attendevano una misura di tal tipo. Siamo però alle solite: nel nostro paese nessun governo, nessuna coalizione, sia essa di sinistra o di destra, ha il coraggio di emanare riforme strutturali capaci di risolvere alla radice il problema di cui un settore della vita pubblica soffre. Tra qualche tempo le carceri italiane saranno di nuovo sovraffollate. Potremo, secondo voi, prevedere un successivo indulto? Con quali conseguenze per la credibilità del nostro sistema penale?

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