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Il nuovo Tfr: Trasferimento Forzoso di Risparmio

La Finanziaria prevede che il flusso di Tfr non destinato dai lavoratori ai fondi pensione venga versato su un fondo, istituito presso la Tesoreria centrale dello Stato e gestito dall’Inps, che dovrebbe servire a finanziare le infrastrutture. Il Governo si attende di ottenere da questo intervento 5,2 miliardi di euro. E’ un modo di fare cassa ai danni dei lavoratori più giovani, un’operazione di finanza creativa che speriamo non venga accettata da Bruxelles. Si tratta di soldi dei lavoratori e i debiti sono debiti.

UN NUOVO PILASTRO PUBBLICO

Il Trattamento di fine rapporto è oggi un prestito obbligatorio dei lavoratori alle imprese. Si tratta a tutti gli effetti di soldi dei lavoratori, accantonati presso le imprese e iscritti ai bilanci di queste ultime come debiti perché, prima o poi, dovranno essere liquidati. Questi accantonamenti offrono ai lavoratori un rendimento basso, attorno al 2,5 per cento netto nel 2005. Se investiti in previdenza integrativa possono offrire rendimenti molto più elevati. Sempre nel 2005 la Covip stima rendimenti netti dei fondi pensione tra il 7,4 e l’8,5 per cento. (1)

E dal 2001 a oggi i fondi pensione hanno avuto rendimenti pluriennali più elevati del tasso di rivalutazione del Tfr.
Le riforme delle pensioni degli anni Novanta, in particolare la riforma Dini, hanno un senso solo se questo secondo pilastro di previdenza integrativa si realizzerà. I lavoratori più giovani, infatti, riceveranno pensioni pubbliche molto meno generose. Si è più volte chiarito su questo sito che i futuri pensionati – quelli a cui viene ora chiesto di contribuire ulteriormente a coprire i disavanzi correnti – avranno tassi di rimpiazzo molto inferiori a quelli attuali. Per proteggere le condizioni di vita di queste generazioni l’unica soluzione è permettere loro di ottenere rendimenti sui fondi Tfr attraverso i meccanismi propri della capitalizzazione.

UNA SCOMMESSA CONTRO IL DECOLLO DELLA PREVIDENZA INTEGRATIVA

La Finanziaria varata dal governo prevede ora di utilizzare il 50 per cento dei flussi di Tfr “inoptati”, cioè non espressamente destinati dai lavoratori ai fondi pensione, per alimentare un fondo per il finanziamento delle infrastrutture istituito presso la Tesoreria. Si prevede in questo modo di raccogliere 5,2 miliardi di euro. Il flusso annuale verso il Tfr è di circa 13,5 miliardi, dunque il flusso potenziale verso le casse dello Stato è di 6,75 miliardi (il 50 per cento di 13,5 miliardi), ciò significa che la Finanziaria “scommette” che quasi l80 per cento dei dipendenti non eserciteranno questa opzione. Si tratta, in altre parole, di una scommessa contro l’interesse dei lavoratori più giovani, che, come si è detto, hanno necessità di alimentare la previdenza integrativa per garantirsi una pensione adeguata.
È una stima, peraltro, molto generosa per le casse dello Stato. Le indagini Isae suggeriscono infatti che il 44 per cento dei lavoratori è indeciso, il 42,2 per cento intende mantenere il Tfr presso l’azienda e il 13,8 per cento ha già deciso di destinarlo ai fondi pensione. Se anche solo la metà degli indecisi decidesse di optare alla fine per la previdenza integrativa, le entrate garantite da questa operazione scenderebbero a 4,4 miliardi, se tutti gli indecisi optassero per i fondi pensione, le entrate scenderebbero al di sotto dei 3 miliardi. Questi esempi dimostrano che l’operazione rende questo esecutivo (e quelli che succederanno) cointeressato al mancato decollo della previdenza integrativa. Se il governo (come ieri dichiarato dal ministro Damiano) è invece genuinamente interessato a far decollare la previdenza integrativa dovrà in fretta trovare altre coperture per gli interventi finanziati con l’operazione Tfr. Non ci stupiremmo se un domani si decidesse di applicare il silenzio-assenso al contrario: se non dici nulla, il tuo Tfr finisce all’Inps.
Nella Finanziaria è scritto che l’Inps continuerà ad applicare le regole (dunque offrire i rendimenti) oggi previste per il Tfr gestito dalle imprese, dunque a garantire anche le stesse condizioni in termini di liquidità. Si noti che l’Inps non ha la struttura per gestire uno strumento così liquido, i trattamenti di fine rapporto non maturano con tempi facilmente prevedibili e sono utilizzati dai lavoratori per accedere a prestiti: bisognerà creare unamministrazione ad hoc. C’è quindi un costo amministrativo non indifferente e un rischio di disfunzioni per i lavoratori che avessero esigenze di liquidità.

QUALI BENEFICI PER I CONTI PUBBLICI?

E il beneficio per i conti pubblici? Positivo e significativo sul disavanzo nelle fase di avvio perché vi sono solo entrate, ma negativo nel medio periodo in quanto si crea un debito dello Stato nei confronti dei lavoratori: le liquidazioni, prima o poi, dovranno essere pagate offrendo un rendimento che oggi è solo lievemente più basso di quello dei titoli pubblici relativamente liquidi, come i Bot. Sul piano dei conti pubblici, si otterrebbe perciò una riduzione dell’indebitamento, ma non necessariamente del debito pubblico. Infatti, è difficile che il debito associato al Tfr possa essere considerato come debito implicito, soprattutto perché è esigibile dal lavoratore.
In ogni caso, il trasferimento del Tfr alla Tesoreria porta un sollievo solo di breve periodo alla finanza pubblica. È una misura che invece peserà sui conti pubblici nel futuro quando l’Inps avrà esborsi maggiori per pensioni e liquidazioni.
Il risultato: la riforma della pensioni resta incompiuta, i ritardi nello sviluppo della previdenza integrativa sono ormai incolmabili e le generazioni più giovani sono chiamate ancora una volta ad accollarsi i costi presenti e futuri.

Leggi anche:  Pensioni: l'eterno nodo della flessibilità in uscita

(1) Relazione Covip per il 2005.

Per quanto tempo ancora parleremo di Tfr, di Fabio Pammolli e Nicola C. Salerno

Il progetto di Legge Finanziaria contiene un punto positivo sullo smobilizzo del TFR: l’abbandono del prestito bancario con garanzia pubblica per compensare le imprese. Al di là di questo, il giudizio non può che essere negativo.
Agar Brugiavini fa correttamente notare come nelle previsioni sulle canalizzazioni future degli accantonamenti la Finanziaria assuma implicitamente che l’80 per cento degli aventi diritto non trasferirà il TFR ai pilastri privati: un vero e proprio auspicio di mancato decollo del pilastro privato.
Interroghiamoci, invece, sulla congruità delle compensazioni a regime: Per durata di carriera presso lo stesso datore e tasso di interesse nominale banca-impresa in linea con i valori medi correnti, il costo di integrale smobilizzo degli accantonamenti, al netto della sola deducibilità ordinaria IRES, è inferiore al mezzo punto percentuale di retribuzione annua lorda.

Per fronteggiare questo costo le imprese hanno a disposizione:

la deduzione aggiuntiva IRES-IRAP del 4-6 per cento dell’accantonamento smobilizzato, pari allo 0,10-0,15 per cento della retribuzione annua lorda (“ral“);
l’esonero dal versamento del contributo al fondo di garanzia del TFR che, al netto dell’IRES, è pari allo 0,10 per cento del ral;
l’esonero dai contributi alla Gestione Prestazioni Temporanee dell’INPS, per un complessivo pari a 455 milioni di Euro nel 2008 e 530 milioni dal 2009 in poi; circa lo 0,20 per cento del ral che, a meno di future integrazioni di bilancio, dal 2009 in poi è destinato a diminuire di pari passo con la crescita delle retribuzioni.

Sommando le agevolazioni, si ottiene un valore, pari a circa lo 0,45 per cento della retribuzione annua lorda, che è sufficiente a compensare le imprese per la fuoriuscita integrale degli accantonamenti.
La soluzione prospettata in finanziaria è insoddisfacente:

– per la copertura si continua a fare affidamento su risorse sottratte a prestazioni assistenziali, senza procedere né a una esplicita rivisitazione delle stesse, né all’individuazione di fonti di finanziamento alternative;
– le risorse della Gestione Prestazioni Temporanee dell’INPS non sono liberamente disponibili, specie se si considera la debolezza del welfare system italiano proprio su quella tipologia di prestazioni (famiglia, maternità, malattia, disoccupazione, etc.);
– dopo il 2009, di fronte alla crescita della retribuzione annua lorda, sarà necessario integrare gli stanziamenti di bilancio, per mantenere intatta la capacità compensativa allo 0,20 per cento del ral;
– infine, anche la deduzione aggiuntiva del 4/6 per cento è insoddisfacente: poiché la percentuale deducibile dipende dall’accantonamento smobilizzato, in un certo senso questa misura perpetua nella forma l’istituto del TFR, poiché costringe a continuare a far riferimento ai suoi parametri.

E’ necessario un cambiamento di rotta, capace di dare basi solide alla trasformazione multipilastro. Anche in considerazione della contenuta incidenza del costo di smobilizzo sul ral, la nostra proposta è quella di ridurre l’aliquota di contribuzione all’INPS a carico del datore di lavoro per un importo equivalente a quello del costo di smobilizzo al netto della deducibilità ordinaria IRES e del contributo al fondo di garanzia TFR. La scelta sul livello di decontribuzione potrebbe collocarsi un po’ al di sopra del suo livello medio, per tener conto anche ai casi in cui l’accesso al canale bancario è più costoso della media; potrebbe cadere, ad esempio, nell’intervallo [0,4%-0,7%]. Le pensioni e le quote di pensioni contributive dovrebbero essere corrispondentemente più basse, ma troverebbero l’integrazione dei pilastri privati, finanziati anche attraverso il TFR.

Una soluzione, questa, che presenterebbe numerosi vantaggi:

– risolverebbe definitivamente e su basi strutturali la vexata quaestio sullo smobilizzo;
– sarebbe coerente con l’obiettivo di diversificare la spesa pensionistica nelle sue componenti di finanziamento, con ciò riducendo l’incidenza delle pensioni sulla spesa sociale e liberando spazio a beneficio di altri istituti;
– responsabilizzerebbe le imprese, chiamate a concludere definitivamente la quaestio ai parametri correnti;
– responsabilizzerebbe i lavoratori rientranti nel calcolo contributivo (e quelli di transizione per la parte contributiva della loro futura pensione), che dovrebbero farsi protagonisti nell’avviare una trasformazione storica del welfare system italiano;
– proprio a fronte di questo “sacrificio”, renderebbe relativamente più facile la responsabilizzazione dei lavoratori rientranti nel criterio di calcolo retributivo (e quelli di transizione per la parte retributiva della loro futura pensione), che potrebbero essere chiamati ad accettare correzioni attuariali della pensione pubblica a seconda dell’età di pensionamento, per superare lo “scalone” introdotto dalla riforma “Maroni-Tremonti”.

Invece, per “paura” di affrontare un opting-out previdenziale consapevole e progettato, si stanno introducendo opting-out sociali opachi e striscianti, che non diversificano la spesa del welfare system e, al contrario, sottraggono risorse agli istituti assistenziali. Per la politica è il momento di mostrare un po’ di coraggio.

Risposte ai commenti, di Agar Brugiavini

La redazione ringrazia i molti che hanno voluto contribuire al dibattito. La lista dei commenti è lunghissima e ricca di spunti: ciascuno meriterebbe una risposta a parte o un pezzo di approfondimento: mi auguro ci sia l’occasione per dedicare una uscita a questi temi. Mi soffermerò solo su alcuni punti che per mancanza di tempo/spazio non sono stati chiariti e mi scuso di non poter rispondere a tutti personalmente.

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(1) E’ importante precisare che si parla solo del flusso di TFR e non dello stock. In altre parole l’art. 84 è relativo all’accantonamento inoptato a partire dal gennaio 2007 e non del pregresso: mi sembrava piuttosto chiaro nell’articolo, altrimenti parleremmo di cifre strabilianti che le imprese dovrebbero trasferire alla Tesoreria a una data precisa. Il punto che l’articolo cercava di mettere a fuoco è che i soldi sono dei lavoratori, non delle imprese né dello stato. Quindi se c’è preoccupazione per le imprese questa è legata ai problemi di accesso alla liquidità, che come dice anche il Ministro Damiano, si applicano solo al differenziale tra il tasso sui debiti rispetto al tasso di rivalutazione TFR e solo per una parte. Credo questo si possa risolvere con misure opportune, avendo attenzione specialmente per le piccole imprese.

(2) Nessuno ha mai parlato di trasferimento dai fondi pensione allo Stato: ci mancherebbe altro….Si dice chiaramente che si sta parlando di fondi inoptati. Sempre perché i soldi sono dei lavoratori è giusto che essi ottengano il risultato finanziario migliore per proteggere la loro vecchiaia o per accedere alla liquidità in casi di spese inattese. Siccome una parte della loro pensione è nel primo pilastro pubblico – finanziato a ripartizione e legato fortemente alla demografia e alle sorti dell’occupazione – è importante che il secondo pilastro sia slegato da questo meccanismo e sia fondato sul metodo della capitalizzazione, come dice anche la legge. Quindi credo sia importante che i lavoratori optino per i fondi pensione.
Non è vero, come un lettore commenta, che l’art. 84 non ha effetti sulla previdenza integrativa Non si può avere la botte piena e la moglie ubriaca: se tutti optano per i fondi pensione verrà a mancare una parte del “gettito” previsto – quindi che incentivi ha lo Stato a spingere per i fondi pensione ? E comunque cosa c’entrano i soldi accantonati per conto dei lavoratori a scopi previdenziali con l’investimento in infrastrutture? Non mi sembra che questo articolo della finanziaria sia motivato da una preoccupazione a sviluppare la previdenza.

(3) Sui rendimenti dei fondi pensione, la loro governance e le correlazioni dei rendimenti con gli andamenti dell’impresa si potrebbe scrivere un lungo trattato, che non era il tema di questo pezzo. Siamo d’accordo che i lavoratori hanno bisogno di garanzie. E’ ovvio che a seconda del portafoglio prescelto dal fondo si possono avere situazioni più o meno rischiose ed è anche ovvio che un rendimento più elevato si accompagna a un certo livello di rischio. Tuttavia – a meno di periodi di elevata inflazione – i fondi pensione dovrebbero avere rendimenti attesi (anche nel futuro) più elevati del tfr. Il confronto giusto, se vogliamo proprio farlo bene, è su un trentennio: è dimostrato che in Italia il differenziale di rendimento del mercato azionario rispetto al tasso privo di rischio si attesta sul 5% netto. Nel pezzo in discussione il discorso è necessariamente generale e quindi non può che fare uso di dati medi “ufficiali” recenti. Ognuno può portare un contro-esempio se cerca bene: attenzione a non focalizzare l’attenzione su un singolo fondo “aperto” che può avere costi di gestione elevati. Di questo La Voce ha anche trattato e su questo si dovevano concentrare i legislatori: come garantire a tutti i lavoratori un accesso ai fondi pensione con regole chiare, garanzie e, più importante, come fornire le informazioni complete sulla gamma delle possibilità. Inoltre un punto che sfugge a molti è che i FP offrono contratti collettivi di rendita vitalizia che altri investimenti (tfr incluso) non posseggono e quindi il lavoratore ci guadagna, in sede di accumulo del capitale se il gestore del fondo fa il suo dovere, e in sede di restituzione della rendita per via della ripartizione dei rischi. Provate ad acquistare un vitalizio con il gruzzolo ottenuto dal tfr all’età di 65 anni e vedrete che il risultato netto – tenendo conto anche dei costi di transazione ecc..- non è certamente migliore di quello di un fondo pensione. Altro discorso è come viene usato oggi quel gruzzolo: molti ci comprano la casa ai figli ecc…e quindi il mio esempio sembra poco interessante, ma per le generazioni future è fondamentale che quel gruzzolo sia usato a scopi previdenziali e che renda bene.

Sull’assetto societario dei FP non commento – è un punto dibattuto – ma per quel che riguarda gli investimenti di portafoglio vorrei ricordare che le regole dei nostri fondi pensione sono piuttosto stringenti sia per quel che riguarda “il muro divisorio” rispetto all’azienda di riferimento sia per quel che riguarda la composizione del portafoglio nel complesso e quindi i casi catastrofici a volte citati non dovrebbero verificarsi.

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30 commenti

  1. antonello cossiri

    Il prospettato trasferimento forzoso all’INPS del TFR non optato completa la triste storia di questo istituto.
    Nella cd “bozza Maroni” le PMI avevano almeno la possibilità di mantenere come forma di finanziamento il TFR dei dipendenti in azienda, magari offrendo ai propri dipendenti maggiori rendimenti oltre la rivalutazione. I dipendenti avevano così la possibilità di “finanziare” l’azienda in cui lavoravano, aumentandone il grado di indipendenza dal sistema bancario.
    Con i Fondi Pensione le risorse escono dal “Sistema PMI italiane” e vanno ad alimentare i circuiti di finanza internazionale. Con il Fondo INPS le risorse escono dalle aziende e vanno a finanziarie la spesa dello Stato.
    Risultato:le aziende – soprattutto le PMI – dovranno andare in banca a farsi prestare i soldi del TFR da versare a Fondi e INPS.Così saranno meno indipendenti, pagheranno più interessi, avranno meno soldi da investire e saranno meno competitive.
    Le PMI devono crescere o devono morire?
    A me questa sembra la pietra tombale della PMI italiana.

  2. Peppe Mesteca

    Sono daccordo con l’analisi esposta nell’articolo, perché invece di un trasferimento forzoso di risparmio non si pone un limite, ad esempio redditi oltre i 100.000,00 euro, oltre il quale il Tfr sia abolito? Quanto risparmierebbe lo Stato evitando di pagare indennità per stipendi già di per sé così ben remunerativi?

  3. Federico Graziani

    Il TFR è dei lavoratori. Non vedo perchè lo debba utilizzare l’azienda a costo zero.
    Meglio che le usi lo stato.
    Le aziende potrebbero chiedere finanziamenti alle banche e a queste si potrebbe chiedere (è possibile?) di applicare tassi più agevolati (visto l’inevitabile enorme aumento di richieste di prestiti).
    Inoltre ricordo un’inchiesta di Report, che faceva un quadro terribile dei fondi pensione.
    Siamo sicuri di mettere il TFR in certe mani?

  4. Anonimo

    Mi spiegate perché mai i fondi TFR. parte dei quali andranno “parcheggiati” presso un fondo destinato a finanziare le infrastrutture gestito dall’INPS, dovrabbera andare a danno dei lavoratori, come voi (mi auguro in buona ma mal informata fede) andate sblaterando?
    Pretendo una risposta, in mancanza della quale vi prego di cancellare il mio indirizzo dalla vostra rubrica.

    • La redazione

      Gentile Signore
      mi affretto a rispondere al suo messaggio “minaccioso”.
      Perchè -come ho cercato di argomentare – i lavoratori (specialmente i più giovani) hanno bisogno di avere in vecchiaia un reddito addizionale ottenuto attraverso la
      capitalizzazione, infatti le pensioni “pubbliche” saranno molto più basse.
      Vediamo cosa accade con il tfr accantonato presso l’INPS:
      – renderà – al meglio – come rendeva il tfr
      – non dovebbe avere rischi di insolvenza ma certamente ha rischi politici (chi ci garantisce che per legge non vengano cambiati i rendimenti? o che un nuovo governo non decida di liquidare il tfr solo dopo un certo periodo dalla data di cessazione del rapporto di lavoro introducendo delle finestre?)
      – l’INPS dovrà attrezzarsi per fornire la liquidità necessaria per garantire gli anticipi che sia il tfr che i fondi pensione garantiscono (ma se non ci sono fondi accumulati da dove li
      prendono? dalle tasse di noi tutti?). Oppure pensano di usare i rendimenti delle infrastrutture?

      Se quei fondi fossero confluiti ai fondi pensione avrebbero reso di più (certamente in media è così negli ultimi anni). Tra l’altro ormai esistevano tutti i presupposti per non temere rischi di insolvenza. I fondi pensione permettono anche
      degli anticipi (cioè riprendersi una parte del capitale per spese impreviste).

      Ma il punto più importante è che le infrastrutture non c’entrano nulla con accantonamenti di natura previdenziale: è solo una esigenza di cassa che vedo da parte del governo. Se avessero detto i soldi servono per costruire un sistema di informazione per i lavoratori e per far partire un secondo pilastro secondo i criteri definiti dalla UE sarebbe stato
      accettabile. Ma così finanziamo le spese correnti e aumentiamo il debito futuro dell’INPS: e quello chi lo pagherà – lei sarà pronto?

  5. piero

    Invito alla lettura attenta del comma 10 art. 84 L.f. in cui si evince che le imprese riceveranno in cambio, proporzionalmete al Tfr conferito, sgravi sui contributi previdenziali. Per il lavoratore sarebbe importante assicurare la libertà di scelta e quindi poter stornare il proprio tfr inoptato, sottraendolo sia all’azienda sia all’INPS, ai fondi di previdenza. La norma non è ancora chiara e forse converrebbe attendere decisioni in merito da parte del Governo. Certo che usare il Tfr come cash per realizzare opere per lo sviluppo mi pare inopportuno anche per i problemi che sollevate sul debito pubblico sui quali mi trovo in perfetta sintonia.

  6. LUCA BIANCHI

    Il problema non e’ dove accantonare il tfr
    ma:
    1) chi garantisce che i fondi pensione non facciano un bel tonfo?!
    e poi:
    2) perche’, se il tfr diventa un contributo pensionistico, questi soldi non li facciamo versare annualmente sul conto pensione del lavoratore?
    3) cosa c’e’ di strano a far gestire (custodire) i soldi dei lavoratori all’inps che gia’ gestisce un fondo di garanzia per il tfr? Anzi addirittura il tfr potrebbe essere accantonato mensilmente sugli stipendi con il mod. dm10.
    Voglio far notare che, le leggi (anche quella sul tfr) hanno un motivo d’essere. Quello del tfr era di garantire al lavoratore un accantonamento forzoso e non di dare alle aziende un fondo (anche perche’ e’ comunque un debito verso il lavoratore a scadenza incerta nel quantum ma certa nell’an). Tanto e’ stato fatto che oggi con un tfr di una normale carriera trentaciquennale l’importo e’, come dire, poco accattivante (serve a poco). Tanto vale levarlo ed aumentare i contributi a carico della ditta (si evita di creare equivoci anche contabili che comunque gia’ basilea 2 sistema benino).

  7. carlo guidetti

    Non viene valutato nella maniera più assoluta i problemi di liquidità che le imprese italiane dovranno sostenere se il 50% del tfr dovesse essere pagato dalle aziende a metà luglio. Ricordo che le imprese italiane, per lo più sottocapitalizzate, già gravate di tasse ANTICOSTITUZIONALI come l’irap, con un costo del lavoro fra i più alti del mondo, già ultra regolate da normative europee spesso deliranti, avrebbero bisogno di essere aiutate e non ulteriormente penalizzate.

  8. Stefy

    E’ da anni che i soldi del TFR facevano gola allo Stato e forse ora hanno trovato il modo per portarlo via ai lavoratori definitivamente. Però forse ci si è dimenticati del motivo per cui esiste il TFR. Soprattutto in questi tempi dove per via della flessibilità sono pochi coloro che possono dire di avere un lavoro sicuro il TFR dovrebbe servire per campare dopo che si è perso un lavoro e in attesa di poterne trovare un altro (anche perchè all’indennità di disoccupazione ne ha diritto solo chi viene licenziato e non chi ha dato le dimissioni da un posto di lavoro che per qualsiasi motivo gli sta stretto). La cosa più assurda è il silenzio dei sindacati che dovrebbero tutelare i lavoratori e che invece in questo caso danno l’impressione di essere complici di un vero e proprio furto.

  9. nico

    Un governo che si pone come “paladino” delle realta’ sociali piu’ in difficolta’ (vedi i giovani lavoratori) dovrebbe aiutarli a venir fuori dal pantano, presente e futuro, non sottrarre loro il sottraibile.

  10. Andrea

    Cara Agar,
    vorrei aggiungere un commento al tuo articolo che trovo ben argomentato. Partendo dal mio presupposto personale che il TFR non dovrebbe essere gestito ne’ da imprese ne’ dallo stato (e in questo penso conveniamo) vi e’ nella versione attuale della finanziaria almeno un vantaggio per i lavoratori in termini di diversificazione del rischio. Nonostante i rischi politici (che condivido essere considerevoli), mi sembra che il TFR gestito dalle imprese, oltre ad offrire tassi molto bassi, costituisce un’errata allocazione dei risparmi: salari e tassi di rendimento sono correlati all’andamento dell’azienda, mentre teoria economica suggerisce che questi investimenti dovrebbero fornire insurance al lavoratore. Il caso ENRON docet. Grazie per l’attenzione.

  11. michele

    In effetti i lavoratori, giovani o vecchi che siano, si troveranno di fronte ad una alternativa secca: o optare per i fondi pensione o trasferire all’Inps buona parte della propria liquidazione.
    Risulta del tutto evidente che si tratta di una operazione o di mera meccanica finanziaria intesa ad occultare parte del debito pubblico o di deviazione forzosa delle risorse verso l’INPS o verso i fondi. Il trasferimento forzoso a un soggetto che ha già dimostrato, magari non solo per colpa sua, una notevole inaffidabilità nel gestire il sistema pensionistico lascia molto perplessi. Che si immaginano i nostri governanti? Che se le lire finiranno all’INPS le potranno iscrivere a bilancio oppure impiegare per attività (le infrastrutture!) che sono quasi sempre per lo stato un puro esborso senza ritorno? Oppure che se finiranno nei fondi pensione chissà quanto frutteranno? Scordateveli i dati Covip (ma dove li han presi?). La gran parte dei fondi pensione hanno avuto in questi anni andamenti pessimi, solo in alcuni casi al di sopra di quelli dei fondi comuni di investimento che già han dato performance rovinose.
    Mediamente, non hanno neppur vagamente raggiunto il rendimento dei titoli di stato, altro che storie.
    La finanziaria, con il trasferimento forzoso del TFR, ha fatto un capolavoro: tolto soldi ai lavoratori, tolto finanziamenti alle imprese, affidato il futuro dei lavoratori a soggetti a prevalente controllo politico e già ora alle prese con voragini e manovre ripianatorie discutibili e di non poco conto.
    Così se ne va non solo la fiducia dei giovani in un futuro possibile, ma anche quella dei più adulti: io sto pensando molto seriamente di chiedere l’anticipo massimo sulla liquidazione, prima che questa finanziaria e altre future se la portino via.
    Sarebbe meglio che quel denaro fosse inglobato in busta paga e versato direttamente ai lavoratori. Decidano poi loro cosa farne, visto il contesto fumoso nel quale vivono.

  12. Michele

    Da suo studente, penso che questo provvedimento metterà in ginocchio le pmi italiane, in quanto sono d’accordo che il tfr appartiene ai lavoratori ma questo era utile perchè sopperiva come fonte di finanziamento alla mancanza di un mercato efficiente dove è presente un razionamento dei capitali.

  13. Enrico Zanon - Vice coordinatore Giovani della Margherita del Veneto

    Ho 26 anni e lavoro da un anno. Avevo letto che questa misura serviva per finanziare i “picchi” di spesa dell’Istituto, non avevo letto di infrastrutture. Io mi sono già attrezzato con una previdenza integrativa e utilizzerò il mio TFR per sostenerla.
    Il provvedimento in Finanziaria secondo me è un forte stimolo per i giovani a sottrarre i propri soldi sia all’azienda che allo Stato per provvedere alla propria vecchiaia.
    Lo Stato ha perfettamente ragione nell’avocare a sè i soldi dei lavoratori distratti o poco previdenti, appunto.
    Mi dispiace che il governo abbia fatto male i conti e che i saldi non saranno realizzati.
    Il lavoratore silente (o “dormiente”) comunque non perde alcuno dei diritti acquisiti, né la possibilità di tornare sui propri passi.

  14. Eugenio Angelillo

    Avrei qualche perplessita’ sull’impostazione di questo intervento
    In primo luogo a me risulta che il TFR gia’ maturato non viene toccato, quindi si discute di quello futuro
    In secondo luogo mi pare che il trttamento economico per la parte che andra’ all’INPS e quella all’impresa e’ identico.
    Come mia personale considerazione, da lavoratore dipendente, preferirei, qualora non optassi per i fondi pensione, che i miei soldi fossero utilizzati per infrastrutture (tipo le ferrovie per migliorare i servizi dei pendolari) e garantiti dallo stato, piuttosto che gestiti dalla mia azienda che potrebbe spenderli in benefit per i suoi manager e quindi fallire lasciandomi senza posto e senza TFR.

  15. Pierpaolo Sette

    Gentile Professore,
    Condivido il suo articolo e le sue riflessioni. Personalmente ritengo che tutte le scelte di politica economica debbano essere valutate con un’ottica di lungo periodo (non credo che nel lungo periodo saremme tutti morti) e non solo con una visione ferma al breve periodo.
    L’idea mi pare dannosa per le Pmi perchè le costringerà a rivolgersi al costoso mercato dei capitali, rendendo anche vano per queste il vantaggio dato dal taglio del cuneo fiscale.
    Per i lavoratori attuli forse non cambierà poi molto, tuttavia come ben dice lei saranno sempre le generazioni future a dover pagare dazio. Probabilmente le idee basate sui ”conti generazionali ” in economia hanno insegnato poco, e risolvere i problemi sarà sempre la scelta meno dolorosa rispetto a quellapiù comoda di traslarei problemi alle generazione future.
    Cordiali saluti,
    Dr. Pierpaolo Sette

  16. PIERLUIGI

    A me sembra che:

    1) il lavoratore che ha deciso di non aderire ai fondi pensione ha tutto da guadagnare dal passaggio del TFR all’INps, in quanto il rischio di insolvenza o di non rispetto del contratto (come lascia maliziosamente intendere l’autrice) sono decisamente minori del rischio di default di qualsiasi impresa italiana;
    2) le imprese, anche se non si voglino considerare le compensazioni previste, perdono ben poco e cioè la differenza tra il tasso sul TFR (3%) e tasso sui prestiti bancari (tra il 4,69% – prestiti ad 1 anno sui piccoli prestiti – e il 5,77% – tasso sui conti correnti attivi); dunque se valgono i 5 mld di Euro di flusso “sottratto” la perdita si riduce tra 80-130 mln di Euro. Evidentemente si fa l’ipotesi che non vi siano difficoltà a reperire finanziamenti bancari; ma sfido chiunque a dimostrarmi che in Italia vi sia razionamento del credito (ho pronte valanghe di articoli che lo dichiarano defunto da tempo);
    3) le imprese di assicurazione ci rimettono parecchie opportunità di business e questo mi sembra che spieghi gran parte del clamore suscitato dal provvedimento; vorrei solo far notare che in Svezia, patria del contributivo puro, i lavoratori possono decidere di far gestire i propri soldi dall’INPS locale (evidentemente lì le compagnie di assicurazione non hanno tutta questa capacità di influenza).

    Auguri.

  17. Gerardo

    Il Tfr ha rappresentato la maggiore scommessa di questo. Naturalmente il termine scommessa è da intendere con tutti i suoi risvolti di aleatorietà: Bruxelles, quote di adesione dei lavoratori, opposizioni all’ultimo sangue e via dicendo. Partendo dal presupposto che le aspirazioni governative sono temibili, anche perché tremo al pensiero che il Tfr degli operai possa finire nei cantieri della Salerno-Reggio Calabria e domani, chissà, del Ponte sullo Stretto (sono di Salerno e spero che un giorno i miei nipotini vedranno quest’opera compiuta).
    Il quesito che volevo porre al professore, piuttosto, è sul rendimento dei fondi pensione. Al pari di Michele non credo che i dati Covip possano essere convincenti; d’altra parte sono fondi a basso rischio e con una gran parte di componente obbligazionaria, in cui credo e spero non rientreranno i bonds della Turchia e del Brasile. A questo punto volendo avvantaggiare il lavoratore si potrebbe incrementare semplicemente il tasso di rendimento che paga l’impresa annualmente (un classico euribor+spread). Dico questo perché mi intristisce terribilmente (e in questo concordo col governo) che enormi flussi di capitale debbano finire in fondi che per andare bene finiscono in obbligazioni delle solite AAA lasciando scoperto l’intero sistema produttivo. Non sarebbe possibile scovare nuove forme di investimento, ad esempio dieci anni fa si parlava di circuiti finanziari (borse) locali.
    Dei fondi un po’ venture se vogliamo.

  18. Maurizio Pia

    Salve,
    ho tentato di leggere il testo del disegno di legge finanziaria ma non son riuscito a trovare dove si parli della destinazione del 50% del TFR inoptato al fondo infrastrutture e della relativa previsione di entrata di 5,2 mld di euro. Per cortesia potrebbe indirizzarmi?
    La ringrazio e saluto cordialmente

    • La redazione

      art. 84 della finanziaria. Il testo completo non è facile da trovare – il
      Sole del 3 otobre ha tutti gli articoli

  19. yuri gargiulo

    Personalmente mi sento più sicuro se presto soldi allo Stato piuttosto che a gestori di fondi, che si riempiono la bocca di espressioni anglofone molto cool, ma poi, spesso, navigano a vista nelle scelte di portafoglio. i fondi pensione avranno anche avuto un rendimento dell’8% nel 2005, ma nel 2000 che rendimenti hanno o avrebbero avuto? e che rendimenti registreranno dopo lo scoppio della prossima bolla? inoltre, col trasferimento forzoso (ma poi: il parcheggio di questi fondi presso le imprese non è altrettanto forzoso per i lavoratori?!) del tfr a fondi per i LLPP, si potrebbe pensare di far partecipare in parte i lavoratori creditori ai rendimenti scaturenti dalla costruzione di infrastrutture, dal momento che queste sono sempre più spesso realizzate in project financing o date in concessione.

  20. davide guerra

    L’articolo mi pare un processo alle intenzioni, poichè si dà per scontato che il governo operi al fine di ostacolare i fondi pensione, il che è tutto da dimostrare.
    E’ vero che lo Stato in tal modo contrae un debito, ma tale che non lo dovrà restiruire tutto insime, ma solo quando un certo lavoratore sarà in condizione di esigere il rimborso.
    Nelle condizioni di sfascio in cui il precedente governo ha lasciato le infrastrutture, questa operazione può rilanciare il lavoro ed avere un effetto positivo sullo sviluppo del Paese.

  21. Andrea battista

    Concordo ovviamente con l’analisi di fondo.
    Solo una specificazione tecnica: sembrerebbe (ma il condizionale é d’obbligo, anche se confermato dal fatto che il meccanismo di devoluzione della Maroni non cambia per nulla) che il versamento al fondo INPS riguardi il 50% del fondo che non viene, tacitamente o espressamente, devoluto ai fondi di previdenza complmentare.
    Il fatto non cambia il segno dell’operazione ma ha due effetti di rilievo:
    1) Rende le aziende comunque cointeressate almeno parzialmente all’esercizio della sola opzione che genera entrate per l’INPS, cioé l’espresso rifuito di versare ai fondi pensioni il tfr.
    2) Rende le stime del governo ancora più ottimiste, “perdendo” ogni vantaggio dal silenzio assenso in termini di entrate.

    Pro futuro, oltre ad una modifica del meccanismo di silenzio assenso come indicato nel testo, un’altra possibilità di evoluzione di questo impianto é il coinvolgimento dell’INPS nella previdenza complementare: anche questa un vecchio rottame, che ogni tanto torna a galla.
    Padoa Schioppa preannuncia correzioni, vediamo in che direzione.

  22. Vito ayroldi

    Prendiamo il Fondo Cometa come esempio rappresantativo. Cometa, dopo l’introduzione del multicomparto, ha quattro linee di investimento. Nel 2005 il «monetario plus» ha ottenuto un rendimento netto del 2,93%. La linea «sicurezza» 2,63%, la linea «reddito» ha raggiunto il 6,6% e infine la linea «crescita» sta sul 10,36%. E’ chiaro che rendimenti più alti sono legati a profili di rischio diversi e che non possono assolutamente considerarsi ordinari e nemmeno fissi. Questi invece sono i rendimenti dello stesso fondo nel periodo da lei considerato:
    2001 + 0,23
    2002 – 2,27
    2003 +4,05
    2004 +3,91
    Fonte: Fim-cisl
    Le lascio l’utile esercizio di calcolare l’interesse medio composto.

  23. giuseppe

    Il tfr è un fondo accantonato dalle aziende e rivalutato ogni fine anno secondo un indice 75% sul costo più 1,5, e iscritto a debito nel bilancio aziendale, in caso di fallimento è garantito da un fondo previdenziale INPS finanziato da lavoratori e azienda.
    Lo stato dovrebbe garantire le stesse condizioni pertanto subentra come debitore verso i lavoratori se non erro negli ultimi anni il rendimento del tfr è stato superiore al rendimento dei titoli di stato, e allora quale vantaggio economico ricava lo stato da questa operazione?

  24. gianfranco

    Io vedo nei commenti delle prese di posizione ideologiche soprattutto da parte di post comunisti che ovviamente vedono di buon occhio il trasferimento all’ INPS piuttosto che ai fondi pensione. Secondo me il problema e’ un altro. Da un punto di vista, diciamo “morale”, non condivido assolutamente il trasferimento all’INPS (di cui mi spiace non mi fido più) oltretutto per fare cassa dall’altro credo che togliere la possibilità di far confluire il t.f.r. nei fondi aperti sia profondamente illiberale; credo infatti che sia questo il nocciolo della questione, vale a dire permettere tutte le possibili opzioni, lasciando poi al singolo lavoratore scegliere quella a lui più idonea visto che lo scopo è quello di creare una pensione complementare per lui. Invece lo scopo è diventato far cassa per i governi e in subordine non scontentare Confindustria oppure ingrassare i sindacati mediante i fondi di categoria. Potrei anche essere d’accordo , perchè ci sono sicuramente tante persone che la pensano diversamente da me, a patto però che ci sia, come detto, la maggior scelta possibile.

  25. Antonio De Franco

    Il passaggio del TFR all’INPS è una misura per finanziare il dirigismo dei sindacati nostrani.
    Ma di cosa stiamo parlando? Non stiamo parlando del carrozzone Inps?
    Non esistono dati sul rapporto tra prestazioni erogate e costo amministrativo del servizio INPS. Perché? Perché questi dati non si rendono pubblici?
    Di cosa si ha paura?
    Per quale sorta di bontà assoluta dovremmo dare dei soldi in più all’INPS senza conoscere il grado di efficienza e di produttività dei suoi servizi amministrativi? Per poi dover rilevare costernati quello che tutti oggi prevediamo e che non diciamo per paura cioè che parte dei soldi del TFR saranno serviti per pagare gli abnormi costi della disamministrazione Inps.
    Anziché fare…delle analisi econometriche e dei rendimenti facciamo un pò di politica economica con la “P” maiuscola. Si vuole dare il TFR all’INPS? Bene, vada ma ad una condizione: le pensioni minime (raddoppiandole ed assorbendo quella che oggi si chiama “sociale”) devono essere fiscalizzate cioè spettano a tutti i cittadini raggiunto il limite d’età indipendentemente se hanno versato o non versato i contributi (così è in Inghilterra). La previdenza viene liberalizzata per cui il cittadino può optare tra previdenza statale e previdenza privata eliminando il principio della obbligatorietà – pilastro dell’attuale assetto previdenziale italiano -del pagamento dei contributi all’INPS.
    L’aumento delle pensioni sociali al livello delle minime a valere per tutte quelle già erogate: le risorse occorrenti si trovano con le seguenti misure: a) eliminare il finanziamento dei patronati; b) eliminare il finanziamento dei CAF; c) ridurre del 35% i costi amm.ne INPS.
    Antonio De Franco

  26. yuri gargiulo

    In riferimento al commento di Antonio De Franco: onestamente non ho capito che cosa c’entri il trasferimento del tfr all’inps (che è una sostituzione del debitore, per altro con costituzione di un fondo separato) coi costi amministrativi del suddetto ente…per tradizione in italia tutto viene spiegato con la inefficienza della PA.
    piuttosto: una cosa razionale (ma di fatto impossibile) da fare sarebbe scorporare le prestazioni assistenziali da quelle previdenziali, facendole gravare sulla fiscalità generale come succede in altri paesi civili.

  27. Antonio De Franco

    Rivendico l’analisi logica a supporto delle mie valutazioni non rappresentando alcuno stereotipo italiota. C’è poco da capire quando si rinuncia ad usare la propria testa: la redditività del Fondo TFR sarà al netto dei costi amministrativi della sua gestione; costi che oggi sono ridottissimi ma che con l’INPS lieviteranno in modo straordinariamente abnorme assorbendo e annullando la redditività del Fondo che garantirà a mala pena il riconoscimento della sorte capitale versata.
    Il dramma è proprio che la previdenza è attratta monopolisticamente nella sfera della P.A.: un fatto assurdo che va rivoluzionato!
    La stessa separazione tra assistenza e previdenza è poca cosa se prima non si prende atto che vi è buona parte di ciò che oggi viene definito e trattato come previdenza e che in realtà è assistenza: le pensioni minime. Le pensioni minime (non sto parlando delle sociali) vengono tenute nell’ambito della previdenza per far giocare i funzionari dell’INPS a fare gli attuariali così da giustificare gli enormi costi della gestione INPS.
    Qui non si tratta di trovare un capro espiatorio; vi è qualcosa di più serio: le dinamiche della P.A. in Italia è strumento della azione di sfruttamento e oppressione per permettere alla minoranza privilegiata di attuare il trasferimento di ricchezza dai più ai pochi.
    Quando ci organizzeremo per combattere questa lotta di classe al contrario così che potremo difendere i nostri redditi mandando gambe all’aria il buonismo della concertazione???

  28. Gianfranco Cerea

    I dati e le verifiche empiriche dimostrano che la previdenza complementare in Italia:
    a) riguarda sostanzialmente gli addetti delle grandi imprese;
    b) è sconosciuta tra le piccole e le piccolissime, che caratterizzano la nostra economia.
    c) stenta persino a diffondersi tra i dipendenti pubblici ( si veda la marginalità delle adesioni al fondo degli insegnanti)
    Le ragioni sono diverse. In particolare il ruolo centrale del sindacato, nell’attività di promozione e diffusione, fa si che la previdenza possa arrivare dove il sindacato è presente. Dove il sindacato è assente, a decidere non è tanto il lavoratore – tipicamente con scarso potere contrattuale – quanto invece il datore di lavoro.
    Le reazioni fortissime contro il trasferimento del 50% del TFR all’Inps sono la dimostrazione evidente dell’avversione degli imprenditori – soprattutto più piccoli – alla “perdita” di questi capitali (figuriamoci se gli stessi favoriranno adesioni ai fondi che comportano la perdita del 100%). Il governo sembra intenzionato ad una retromarcia, soprattutto nell’interesse delle piccole imprese. Se ciò avverrà, l’esito non sarà certo lo sviluppo della previdenza complementare.

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