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In autostrada tra buone idee, ambiguità e pistole sul tavolo

L’intervento sulla normativa che regola le concessioni autostradali, contenuta nel decreto legge che ha preceduto la proposta di Finanziaria, è animato dall’intenzione di tutelare meglio gli utenti dalle rendite monopolistiche. Cerca di rimettere ordine nel sistema di regolazione del settore, che si è prestato negli anni passati a conflitti e a interpretazioni contrastanti. Ma l’azione appare un po’ troppo unilaterale, e forse con alcuni effetti negativi sotto il profilo della prassi regolatoria. Assai meno convincente è quanto previsto per il futuro dell’Anas.

La normativa che regola le concessioni autostradali, contenuta nel decreto legge con le disposizioni urgenti che ha preceduto la proposta di legge Finanziaria, cerca di rimettere ordine nell’attuale sistema di regolazione del settore, che si è prestato negli anni passati a conflitti vivaci e a interpretazioni contrastanti. L’intenzione è buona: tutelare meglio gli utenti dalle rendite monopolistiche

Finalmente si rivede la regolazione

Iniziamo dai contenuti tecnici impliciti nel nuovo dispositivo. All’articolo 12 comma 1 del decreto si prevede che al primo aggiornamento del piano finanziario, ovvero della prima revisione della convenzione, quest’ultima sia sostituita da una “convenzione unica“, redatta dal ministro delle Infrastrutture, di concerto con il ministro dell’Economia. La maggior parte dei criteri che dovranno ispirare la convenzione unica è del tutto condivisibile. (1)
Il periodo standard di revisione tariffaria (regulatory lag) è generalmente quinquennale nella regolazione mediante price cap. Per Autostrade per l’Italia spa è stato reso decennale con una norma del 2004, la legge 47. Norma impropria perché volta a scavalcare i poteri di regolazione attribuiti al Cipe e pericolosa come precedente per altri concessionari. L’attuale proposta rende la revisione “periodica”, e c’è da augurarsi che ciò implichi il ritorno al quinquennio canonico. L’incentivo implicito all’efficienza produttiva, che consente di simulare la pressione del mercato “premiando” l’impresa capace di innovare o di ridurre i costi, attraverso il conseguimento di extraprofitti temporanei, costituisce proprio l’essenza della regolazione pubblica basata sul meccanismo di price cap. Il passato contendere con i concessionari autostradali riguardava la perpetuazione degli extraprofitti maturati oltre i cinque anni canonici, non la loro genesi e appropriazione, se realmente dovute a guadagni di efficienza e non alla mancata effettuazione di investimenti per ragioni non imputabili a ritardi del concedente o, più in generale, causati da soggetti esterni al concessionario.
Nella nuova normativa questo incentivo sembra rimanere, e in forma corretta.
Per le autostrade sarebbe addirittura auspicabile mantenere il price cap per i soli costi di esercizio, e sottrarre gli investimenti a una regolazione di questo tipo, dato che i rischi commerciali, cioè da traffico, andrebbero ricondotti al decisore pubblico. È infatti quest’ultimo che ne determina una grandissima parte (facendo o non facendo costruire infrastrutture alternative; alzando o abbassando le accise sui carburanti, eccetera), o sono determinati comunque da eventi fuori dal controllo del concessionario (andamento del Pil, prezzo del petrolio, e così via). C’è anche da definire meglio la trasparenza e la terzietà delle valutazioni dei progetti, il meccanismo dei sub-affidamenti, e la “blindatura” dei contratti. (2)

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La strategia della pistola sul tavolo

Tuttavia, il cambiamento unilaterale dell’interpretazione delle regole in atto, per quanto ben progettato, comporta una conseguenza negativa, immediatamente fatta notare da Aiscat. (3)
Si tratta di un segnale che aumenta il “rischio regolatorio” per tutti i privati che intendessero in futuro collaborare finanziariamente con soggetti pubblici, attraverso meccanismi di “Project Financing” e simili. Un più alto rischio di modifiche unilaterali dell’interpretazione di contratti di natura privata ha un ovvio costo per lo Stato: i privati chiederanno di cautelarsi maggiormente, e quindi aumenteranno i costi della loro collaborazione. Né va sottovalutato il costo per i regolati di frequenti reinterpretazioni legislative del meccanismo regolatorio. E tuttavia, sembra che l’interpretazione di oggi sia assai più corretta di quella di due anni fa. Non bisognerebbe ora fare nuovi dietrofront.
Al comma 6 dell’articolo 12 è però contenuta l’”arma letale”: se i concessionari non vorranno adeguarsi al nuovo modello di “convenzione unica”, perderanno la concessione e la gestione tornerà all’Anas. Punto e basta. C’è da augurarsi, come scrive Massimo Mucchetti, che si tratti di una “pistola messa sul tavolo” dal ministro per negoziare da posizioni di maggior forza con un interlocutore che certo debole non è. Ma è sperabile che non si voglia veramente sparare con quella pistola. Anche perché spazi reali per una definizione negoziale di migliori regole per il settore ve ne sono molti, coinvolgendo le Regioni, ed estendendo i contenuti industriali, oggi modesti, dell’attività dei concessionari. Le aree potenziali di innovazione gestionale e tecnologica sono davvero molte: dalle concessioni di intere reti sub-regionali ai sistemi avanzati di tariffazione

Poca chiarezza sull’Anas

Va rilevata anche la persistente ambiguità concettuale sul futuro ruolo dell’Anas, di cui si occupano sia il decreto sia il disegno di legge Finanziaria. Nel decreto (articolo 12, comma 5) si confermano ad Anas le competenze di regolazione delle concessionarie autostradali, rafforzandone e precisandone i poteri, senza peraltro togliere all’ente quelle di gestione diretta (anzi potenzialmente estendendole con la clausola della “pistola sul tavolo”). Nel disegno di legge Finanziaria, invece, viene proposto un Anas regolatore distinto da Anas gestore, con la possibilità di costituire “un’apposita società” dedita alla vigilanza e controllo sui concessionari autostradali. E qui proprio non si capisce cosa si voglia: innanzitutto la costituzione di tale società è solo possibile (come si evince dall’espressione “in caso di costituzione della predetta società” inserito nel testo laddove si parla di attribuzione delle risorse). E poi, perché mai la vigilanza e il controllo sui concessionari autostradali non dovrebbero essere collegati alla loro regolazione e attribuiti (tutti insieme) a un’Autorità indipendente, invece che a una “società”? Tra l’altro, almeno su questo punto, il programma elettorale dell’Unione era chiarissimo.
Occorre urgentemente regolare in modo coerente e unitario tutte le infrastrutture di trasporto: questo era nelle dichiarazioni e nel programma dell’attuale governo, ed è scritto nell’ancora vigente Piano generale dei trasporti, che ci si ripropone di aggiornare. Si spera non vi siano passi indietro, che il decreto, soprattutto per la parte riguardante Anas, venga migliorato, e che la costituzione di un’Autorità indipendente e competente sia avviata al più presto, pena una frammentazione di strategie e di politiche pubbliche pericolosa non solo per questo settore.

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(1)
Articolo 12 comma 2.
(2) Vi è stata una lunga battaglia proprio per minimizzare le “revisioni prezzi”, in passato assai frequenti negli appalti pubblici e che si sono sempre tradotte in gravi inefficienze e sfondamenti di ogni preventivo di costo delle opere.
(3) Acronimo di Associazione italiana società concessionarie autostrade e trafori.
(4) Sul Corriere della Sera dell’8-10-2006.

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  1. m banca

    Effettivamente tutti coloro hanno collaborato nella acquisizione, ristrutturazione e finanziamento della operazione autostrade e tutte le riunioni private di investors si trovavano continuamente di fronte all atteggiamento trionfale del management che non nascondeva di ottenere un free cash flow spettacolare grazie ai mancati investimenti ed a un sistema tariffario molto generoso.
    Nella comunità finanziaria di londra sono tutti d’accordo che sia giusto ricondurre il regalo tariffario ad sistema di price cap piu rigido e a beneficio del cittadino, che ha finanziatio la costruzione della rete.

  2. Giovanni Fazio

    L’articolo espone gli aspetti positivi della proposta di revisione del rapporto tra Stato concedente e società concessionarie della rete autostradale, e poi si sofferma su alcuni punti di frizione con AISCAT (il cui Presidente, Palenzona, si è addirittura dimesso per questo):
    1) rischio “regolatorio”: è vero che questo rischio si presenta oggi, ma nessuno aveva qualcosa da dire fino ad oggi, con il totale rischio “deregolatorio” a carico, in pratica, degli utenti? Certo che l’AISCAT no: ci guadagnava da una posizione monopolistica e taceva, ma anche nessun altro diceva niente (mai letto articoli di giornali che criticassero l’aumento delle tariffe collegandolo, ad esempio, alle carenze di investimenti: si dava l’informazione e basta…).
    La revisione è un punto negativo? A me non pare; è evidente che chi viene colpito nei sui facili extraprofitti se ne lamenti, ma chi ne è fuori dovrebbe sottolineare con un po’ più di forza e coraggio che è un fatto positivo.

    2) la “pistola sul tavolo”: anche qui l’immagine è quella giusta, ma si sottolineano gli atteggiamenti per così dire “gangsteristici” del Governo e non si dice affatto cosa si dovrebbe fare se il concessionario, come ovviamente farebbe in assenza di sanzioni, non fosse disponibile a rivedere le clausole della concessione secondo il nuovo schema unificato: l’avrebbe forse vinta lui?.
    E’ bene fare critiche, ma bisogna dire anche cosa si proporrebbe di fare in luogo delle misure che non si giudicano “corrette”.

    Cordialità.

  3. Paolo Gabriele

    Dai dati riguardo alla mancata effettuazione degli investimenti previsti dalle concessioni, emerge un quadro chiaro: un monopolio autostradale affidato a privati che hanno incamerato ingentissimi flussi di cassa, senza rispettare le previsioni concessorie. Ed allora di cosa parliamo. Non siamo tutti d’accordo con una regolamentazione del regime concessorio che permetta una più equa gestione del monopolio ed un maggior controllo sulle manutenzioni e gli investimenti programmati? E chi non ci sta può rimettere le concessioni visto che renderebbero di meno. D’altronde nel nostro ordinamento giuridico è ben presente il principio dell’eccessiva onerosità sopravvenuta, oltre a quelli dell’inadempimento, della proporzionalità fra prestazioni e controprestazioni,ed infine dell’arricchimento senza giusta causa etc.etc.. Senza contare del danno che potrebbe essere ravvisato per il Paese e per le imprese, nel mancato sviluppo di una infrastruttura strategica come quella autostradale? Perchè allora scandalizzarsi quando si richiede ai monopolisti di fare il loro dovere anche se in modo un po’ “ruvido” come qualche volta capita a certi nostri ministri? Ed allora per evitare guai peggiori, vedi class action degli utenti della Salerno-RC, sarebbe opportuno per i concessionari attuali e potenziali trovare un pacifico accordo con il governo. E che speriamo sia equilibrato per gli interessi pubblici.

  4. Alessandro Abati

    Se il Governo intervenisse come promesso, un operatore privato nel corso del rapporto di Convenzione (con effetti giuridici dai 20 ai 40 anni) scoprirebbe che la controparte non è un’Istituzione dal chiaro e affidabile “committment”, come quello a cui lui è richiamato contrattualmente, ma semplicemente l’Amministratore di turno che, secondo le sue scelte politiche/opportunità, potrà venir meno ai suoi impegni o decidere unilateralmente di riscriverli. Prospettiva poco allettante.
    Diversamente, la tutela degli utenti (qui serve un’Authority dei Trasporti) non deriva dal contenimento dei profitti dei soggetti privati. Perché quando un soggetto pubblico si pone l’obiettivo di erogare servizi pubblici competitivi al territorio, attiva un procedimento di procurement inteso a individuare i soggetti più adatti ad erogarli direttamente o tramite infrastrutture: nel nostro caso i Concessionari. Poi, nello strutturare l’intero procedimento amministrativo e nel definire le clausole dell’accordo mira a perseguire il “value-for-money”. Dunque, il driver del procedimento di gara e delle attività che ne deriveranno, per tutta la durata del rapporto, non è il livello “congruo o ammissibile” di profitti che farà il gestore privato (dipendente anche dalla capacità/competitività gestionale), ma il perseguimento di livelli qualitativi/quantitativi di performance nella gestione delle opere per l’erogazione dei servizi. Questo si ottiene adottando schemi di Partenariato Pubblico-Privato (PPP).
    Purtroppo, nella tradizione italiana, tale accordo/Convenzione sembra tutto incentrato sul meccanismo di pagamento dello “user-charge”, senza voler sfruttare tutte le potenzialità degli altri meccanismi di pagamento (es. availability fees) mentre la Convenzione in oggetto dovrebbe assomigliare molto di più ad un “performance-based-contract”. È una sciocchezza pensare sempre al taglio della spesa. Pensiamo a qualificarla adottando schemi di PPP, perché questa è la vera (Auto)strada da imboccare.

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