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L’Irpef è sulla giusta strada

La Finanziaria che introduce aliquote nette più basse sui redditi medio-bassi e più alte su quelli medio-alti segue i suggerimenti dei più recenti modelli teorici ed econometrici di tassazione ottimale. Un ridisegno che secondo le simulazioni permette nel lungo periodo di ridurre leggermente l’aliquota media, pur mantenendo invariato il gettito fiscale. Ma obiettivi redistributivi consistenti si potranno ottenere solo con la realizzazione di un sistema universale di reddito minimo garantito e con investimenti nei processi di creazione del capitale umano.

Negli anni Ottanta e Novanta molti paesi sviluppati hanno operato massicce riduzioni dell’aliquota marginale applicata ai redditi più elevati, in alcuni casi passando dal 70-80 per cento al 40 per cento o meno. Gli obiettivi erano due. Primo, ridurre l’aliquota media (e più in generale il peso dell’intervento pubblico), nella convinzione che la pressione fiscale avesse già superato il punto oltre il quale il gettito comincia a diminuire a causa dei disincentivi al lavoro e alla produzione. Secondo, migliorare gli incentivi, nella convinzione che gli effetti distorsivi più importanti della tassazione sui redditi si verificassero ai livelli di reddito più elevati. Le due ipotesi sembravano trovare conferma nella ricerca economica.

Modelli teorici ed econometrici “approvano” la Finanziaria

Le proposte della Finanziaria 2007 rappresentano un (pur piccolissimo) passo nella direzione opposta, uno dei pochi a livello internazionale, introducendo aliquote nette leggermente più basse sui redditi medio-bassi (in particolare per le famiglie con figli a carico) e leggermente più alte su quelli medio-alti. Si va nella direzione giusta, anche se per il momento è un passo troppo breve.
In realtà, infatti, la conoscenza teorica ed empirica non ha mai dato un vero supporto alle politiche fiscali degli ultimi decenni. (1) E le ricerche più recenti indicano semmai il contrario. Alcuni autori hanno simulato modelli teorici di tassazione ottimale ottenendo aliquote marginali decisamente progressive, con l’aliquota più elevata che oscilla tra il 50 e il 90 per cento, a seconda delle ipotesi. (2) Modelli econometrici assai dettagliati hanno identificato sistemi di tassazione ottimali con caratteristiche simili. Invariabilmente, i risultati suggeriscono una riduzione delle aliquote marginali sui redditi bassi e un aumento su quelli alti. Le simulazioni indicano inoltre che il ridisegno permetterebbe nel lungo periodo di ridurre leggermente l’aliquota media pur mantenendo invariato il gettito fiscale.
La spiegazione di questi risultati è abbastanza semplice. Il disegno efficiente – dal punto di vista degli incentivi – di un sistema di imposte sui redditi personali dipende essenzialmente dalla elasticità dell’offerta di lavoro rispetto al guadagno netto orario e da come questa varia per i diversi livelli di reddito. Semplificando in modo drastico, il ragionamento si può generalizzare: l’aliquota marginale efficiente da applicare a un dato livello di reddito dipende in modo inverso dall’elasticità che caratterizza gli individui che dispongono di quel reddito o di un reddito superiore. Se l’elasticità decresce al crescere del livello di reddito, questo implica che le aliquote marginali debbano aumentare all’aumentare del reddito.
La tabella 1 mostra appunto le elasticità dell’offerta di lavoro per diversi decili di reddito (il decile I contiene il 10 per cento più povero, il decile X quello più ricco), stimate con un modello microeconometrico sviluppato per l’Italia. (3) Come si vede, esiste una netta relazione inversa tra livello di reddito ed elasticità.
Stime ottenute per altri paesi, anche di struttura economica e socio-demografica radicalmente diversa da quella italiana, mostrano un quadro del tutto simile. Ad esempio, la tabella 2 si riferisce alla Norvegia. (4) Qui il modello microeconometrico è stato usato per identificare il profilo ottimale delle aliquote (tabella 3). (5) Rispetto al sistema corrente, quello ottimale riduce la progressività sui redditi bassi e la aumenta sui redditi elevati. Simultaneamente, però diminuisce sensibilmente l’aliquota media, pur a parità di gettito.
Le nuove aliquote effettive nette (comprensive dell’effetto delle detrazioni e degli assegni familiari) proposte nella Finanziaria 2007 vanno dunque nella stessa direzione indicata dalla ricerca economica più recente.

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Ma non c’è il reddito minimo garantito

Tuttavia, negli ultimi decenni in molti paesi è stato realizzato un altro tipo di intervento che invece in Italia è stato ancora una volta dimenticato: il reddito minimo garantito. (6)
Obiettivi redistributivi più consistenti rispetto a quelli, modesti, raggiunti dalla Finanziaria 2007, più che su un ridisegno delle aliquote, in futuro dovranno basarsi probabilmente sulla introduzione di un sistema universale di reddito minimo garantito (di cui speriamo prima o poi si torni a parlare) e su investimenti nei processi di creazione del capitale umano (famiglia, scuola e formazione). Si tratta di investimenti che nel lungo periodo hanno non solo un effetto redistribitivo, ma anche un effetto positivo sull’efficienza: sono però investimenti costosi, e – come avviene nel modello scandinavo – non potranno che essere finanziati attraverso aliquote più elevate sui redditi alti.


(1)
Su questa problematica è utile la rassegna di Røed, K. and S. Strøm “Progressive Taxes and the Labour Market – Is the Trade-Off between Equality and Efficiency Inevitable?”, Journal of Economic Surveys, 2002.
(2) Saez E. “Using Elasticities to Derive Optimal Income Tax Rates”, Review of Economic Studies, 2001.
(3) R. Aaberge, U. Colombino e S. Strøm “Do more equal slices shrink the cake? An empirical investigation of tax-transfer reform proposals in Italy”, Journal of Population Economics, 2004. Si può anche vedere R. Aaberge, U. Colombino and T. Wennemo “Heterogeneity in the elasticity of labor supply in Italy and some policy implications”, Working Paperr CHILD # 20,2002 (http://www.child-centre.it/).
(4) R. Aaberge e U. Colombino “Designing Optimal Taxes with a Microeconometric Model of Household Labour Supply”, Discussion Paper # 475, Research Department, Statistics Norway, 2006 (http://www.ssb.no/publikasjoner/etter_serie/dp/).
(5) Le aliquote della tabella 3 sono ottimali nel senso che, a parità di gettito fiscale, massimizzano il criterio di benessere sociale associato all’indice di Gini.
(6) Peraltro politiche alternative o complementari di sostegno del reddito, come i sussidi al salario, hanno dato risultati interessanti negli Stati Uniti e nel Regno Unito, mentre alcune analisi economiche dimostrano la loro maggiore efficienza.

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Tabella 1. Elasticità dell’offerta di lavoro – Italia


Decile di reddito

Femmine

Maschi

Singoli

I

2.90

0.85

II

0.44

0.28

III – VIII

0.05

0.05

IX

0.02

0.02

X

0.00

0.04

Coppie

I

4.44

0.32

II

2.31

0.17

III – VIII

0.73

0.10

IX

0.20

0.08

X

0.13

0.06

Tabella 1. Elasticità dell’offerta di lavoro – Norvegia


Decile di reddito

Femmine

Maschi

Singoli

I

0.42

0.77

II

0.42

0.00

III – VIII

-0.02

-0.02

IX

-0.07

0.00

X

0.00

0.00

Coppie

I

2.54

1.77

II

0.97

1.17

III – VIII

0.41

0.31

IX

0.20

0.08

X

0.26

0.05

 

Tabella 3. Aliquote marginali ottimali (Modello econometrico per la Norvegia)

Aliquote marginali %

Scaglioni (corone norvegesi, 1 euro = 8 corone circa)

0

fino a 18000

22

tra 18000 e 218000

37

tra 218000 e 720000

60

oltre 720000

Nota alla Tabella 3. Sistema corrente: 0 fino a 17000, 25 per cento tra 17000 e 28250, 30 per cento tra 28250 e 140500, 35 per cento tra 140500 e 208000, 45 per cento tra 208000 e 234500, 50 per cento oltre 234500.

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32 commenti

  1. Luca Cifoni

    Non sono sicuro di aver capito bene: quando parla di aliquote nette intende aliquote medie? La recente riforma riduce in effetti l’aliquota media per i redditi medio-bassi, anche se incrementa leggermente quella marginale effettiva, per quasi tutti i redditi. Questo ha effetti positivi sull’offerta di lavoro? Grazie

    • La redazione

      Si, perche’ se le ore di lavoro sono modificali solo in modo discreto (per esempio passando da 0 a 25 ore la settimana oppure da 25 a 35, o viceversa: il modello econometrico a cui si fa riferimento tiene conto di questo) e non in modo continuo, sono piu’ rilevanti le aliquote medie di quelle marginali. Comunque l’ottimalita’ di cui si parla nella mia
      nota non riguarda solo l’offerta di lavoro, ma un indicatore di
      benessere sociale che tiene conto del reddito disponibile, del tempo ‘libero’ e di comne il reddito e il tempo sono distribuiti tra le famiglie (tecnicamente: una funzione di benessere sociale).

  2. mattia

    Ma come si fa a credere che esista un’aliquota marginale del 90%… chi andrebbe a lavorare per un decimo del reddito lordo? forse non ho capito bene…. e poi ci si stupisce del lavoro nero!!!

    • La redazione

      Infatti non esiste una aliquota marginale del 90 percento (anche se in passato sono esistite aliquote marginali dell’80 percento). Comunque anche con una aliquota marginale cosi’ elevata nessuno smetterebbe di lavorare, perche’ l’aliquota marginale si pagherebbe solo sull’ultimo scaglione di reddito, non su tutto il reddito. Probabilmente qualcuno deciderebbe di lavorare di meno. Ma il punto non e’ questo. Un modello
      teorico che indica una aliquota marginale massima pari (poniamo) al 90 per cento, non va chiaramente preso alla lettera. Va preso come indicazione che l’aliquota marginale massima puo’ essere molto elevata.
      Quanto, di fatto, elevata dipendra’ poi naturalmente da tante altre considerazioni (politiche, elettorali, relative ai comportamenti elusivi ed evasivi ecc.) di cui il modello non puo’ compiutamente tener conto.

  3. ralph feldberg

    Trovo l’articolo sul tema “IRPEF su strada giusta” molto poco convicente. In primis, parla dell’eslasticità del lavoro senza citare su quale periodo (2 anni, 30 anni?) è stato calcolato.
    Nel breve/medio termine la flessibilità del lavoro è bassa (cioè salvo i straordinari è sostanzialmente una scelta si o no). Di conseguenza nel breve la scelta e tra entrare nella forza di lavoro o rimanere a casa, e, di conseguenzaa, quello che conta è quasi sempre la prima aliquota. La storia è molto diverso nel lungo termine.

    • La redazione

      Le elasticita’ sono qui da interpretarsi come risposte di lungo periodo, diciamo 2-5 anni.
      Anche nel breve periodo non e’ detto che conti prevalentemente la prima aliquota. Dipende da quante ore di lavoro sono richieste dai posti di lavoro disponibili.

  4. Alberto Lusiani

    Il testo dell’articolo non mi e’ chiaro perche’ non viene definito o descritto cosa e’ l’elasticita’ dell’offerta di lavoro.
    Premesso che la tabella “norvegese” delle aliquote marginali mi sta’ benissimo (paese fortunato quello, ricco, con poca evasione fiscale e e con politici sostanzialmente onesti e decenti che spendono bene i soldi dei contribuenti), considero invece infernale il sistema IRPEF italiano, e considero anche complessivamente peggiorative le modifiche previste dalla finanziaria 2007.
    La tassazione del redidto italiana include detrazioni per i figli, che sono miserabili in confronto a quelle di paesi comparabili, e che si riducono col reddito, e assegni familiari che scompaiono oltre una soglia di reddito: questo conduce ad aliquote marginali complessive iper-progressive proprio per i redditi medi delle famiglie che non evadono il fisco.
    Mi aspetto che in diversi casi i redditi disponibili addirittura diminuiscono all’aumentare dei redditi lordi, per il venir meno degli assegni familiari. Questi aspetti sono stati nettamente peggiorati dalle modifiche apportate. Sarebbe auspicabile che l’aliquota complessiva netta per alcuni casi tipici al variare del reddito venisse tabulata per meglio comprendere l’assurdita’ del sistema.
    Nel contesto italiano le riforme introdotte non fanno altro che aumentare le tasse alle famiglie medie con due redditi medio-bassi di lavoro dipendente, colpendo particolarmente chi ha figli, gratificando le famiglie dove uno o entrambi i genitori lavorano in nero o con sostanziale evasione fiscale.

    • La redazione

      L’elasticita’ dell’offerta di lavoro misura la variazione percentuale delle ore che un individuo (o un gruppo di individui) desidera in risposta ad un aumento dell’un per cento del guadagno orario lordo. Ad esempio una elarticita’ del 2 per cento significa che l’individuo desidera aumentare le sue ore di lavoro (ad esempio nell’anno) del 2 per cento se il suo salario orario lordo aumenta dell’ 1 per cento. Mi perdoni, ma la Sua percezione del modo in cui e’ strutturata l’IRPEF attuale e di come sarebbe dopo le modifiche proposte dalla Finanziaria mi sembrano un po’ impressionistica. Un’analisi molto chiara e dettagliata si trova nel recente contributo di Baldini e Bosi su La Voce.

  5. Patrizia Di Costanzo

    Egregio Prof., non servono modelli econometrici e citazioni teoriche per sapere che una tassazione così elevata sui redditi medio alti, in presenza di una eccessiva e tollerata evasione fiscale, rappresenta di per sè un’ingiustizia. La progressità va benissimo ma oltre una certa aliquota, che si prospetta al 45 per cento per redditi superiori a 150 mila euro (redditi che nessuno regala ma sono conquistati sul campo) e sarà al 43 per quelli superiori a 75 mila è un esproprio realizzato solo sulla pelle di chi, e sono in stragrande maggioranza dipendenti e dirigenti pubblici e privati, già paga un enorme contributo allo stato sociale. Con la conseguenza che chi evade avrà ancora maggior reddito rispetto ai lavoratori dipendenti, godrà anzi di sgravi fiscali secondo la manovra. Se per lei chi guadagna 100.000 euro e ne porta a casa solo 50.000 (Irpef 40.000 e contributi e addizionali varie altri 10.000) è una persona alla quale bisogna ancora aumentare le tasse, è perfettamente inutile discutere di teorie e di modelli. Provi lei, con qualche modello econometrico, a trovare un lavoratore autonomo che versi al fisco 40.000 euro di Irpef all’anno (probabilmente nemmeno un imprenditore con un fatturato di milioni di euro).
    In questo paese il prelievo fiscale sarà legittimo solo quando si potranno accertare i redditi effettivi di tutti i soggetti e le categorie, cosa che sta nei cieli dell’utopia considerata la macchina fiscale di cui disponiamo. E intento gli immobili, su cui si riversa la gran parte dell’evasione fiscale, continuano a crescere nell’indifferenza di tutti (anche gli studiosi sono proprietari di case) e stanno condizionando il futuro dei nostri figli. Cordiali saluti.

    • La redazione

      Prendo atto che non Le interessano i modelli econometrici e la teoria economica. Ma io faccio di mestiere il ricercatore e quindi mi limito a proporre ragionamenti basati sui risultati delle mie ricerche. Mi e’ meno chiaro su che cosa si basino le Sue convinzioni. Comunque concordo sul fatto che l’evasione in Italia sia (probabilmente) a livelli patologici e che vada combattuta. D’altra parte pero’ Lei sembra pensare
      che questa battaglia e’ persa in partenza. E allora?
      Non concordo invece sull’illegittimita’ del prelievo fiscale dato che alcuni (o molti) non pagano le tasse, esattamente come non mi sembrerebbe sensato permettere a tutti di passare con il semaforo rosso solo perche’ alcuni (o molti) lo fanno.

  6. carlo

    Le aliquote marginali crescenti hanno il difetto di incentivare l’evasione fiscale. In Italia ciò è abbastanza facile come dimostra l’elevata evasione. Quindi che con un aumento delle aliquote si ottenga un aumento del gettito non lo può dire un modello econometrico, ma solo l’evidenza empirica. (vedere l’esperienza americana ai tempi di Friedman, in un paese dove l’evasione è molto più bassa della nostra).

    • La redazione

      Il reddito minimo garantito – tra le altre cose – potrebbe al contrario favorire la flessibilita’ del mercato del lavoro, ad esempio perché renderebbe piu’ sopportabili i processi di mobilita’ e riqualificazione.

  7. gianluca grillini

    Mi chiedo come si faccia ad essere cosi’ stupidi ner reintrodurre imposte di successione che procurano un gettito fidcale irrisorio a fronte di un malcontento popolare cosi’ vasto.
    Ricordo che i veri grandi patrimoni, cioe’ quelli per cui doivrebbe essere fatta ma che non verranno mai intaccati, possono gia’ accedere a forme di elusione legittima: 1) Trust 2) Donazioni di nuda prorpieta’ 3) Holding di partecipazioni quote aziende con sedi in paradisi fiscali 4) Polizze assicurative.
    Insomma chi ci rimane dentro sono il 90% degli italiano i cui genitori gli lasciano da parte un paio di case guadagnate con fatica e non certo il detentore del panfilo che Rifondazione Comunista pubblicava sui giornali con la dicitura “anche i ricchi piangono”.
    A proposito: il panfilo aveva bandiera panamense. E ti pareva…

  8. carlo

    Più che un reddito minimo garantito, un salario di disoccupazione certamente renderebbe socialmente accettabile una maggior flessibilità del fattore lavoro, ma io parlavo di aliquote marginali e correlazione con il gettito fiscale. Sarebbe da valutare invece l’effetto opposto, dimostrato in altri paesi, di aumento del gettito con la riduzione delle aliquote marginali (in Italia da accompagnare a maggiori controlli fiscali).

    • La redazione

      L’evidenza empirica sulla relazione tra progressivita’, aliquote
      marginali ed evazione e’ ambigua e poco conclusiva. Ci sono paesi con progressività molto elevata ed evasione irrilevante. Ce ne sono altri – come ad esempio l’Italia – con progressività modesta ed evasione a livelli patologici (pare). Negli ultimi vent’anni l’aliquota marginale massima in Italia e’ passata da oltre il 70% al 43%. Le risulta che nel frattempo sia diminuita l’evasione? Nei paesi dove l’evasione è ridotta ci sono strutture investigative efficienti e severissime (come
      negli Stati Uniti).

  9. Oreste Gallo

    Illustre professore,
    se ho compreso il suo argomento, poichè l’offerta di lavoro dei più abbienti è sostanzialmente rigida e non diminuisce la diminuire del guadagno netto orario, si può disegnare un sistema fiscale con aliquote marginali massime molto elevate senza effetti negativi sugli incentivi ad intraprendere e assumere rischi impreditoriali.

    Le confesso che l’argomentazione sembra priva di qualsiasi senso essendo i più abbienti quelli che hanno fattori produttivi scarsi e di gran valore. Possono, di conseguenza, muoversi e lasciare questo paese se tartassati, come Lei sembra auspicare.

    Cordiali saluti

    • La redazione

      Se fosse così ovvio che all’aumentare delle aliquote marginali massime i ricchi e gli imprenditori se ne vanno vorrebbe dire che la loro offerta di lavoro e’ molto elastica, mentre invece l’evidenza empirica mostra che non lo e’. Non propongo certo aliquote marginali del 90%. Mi sono limitato a citare alcuni risultati di ricerca che non confortano la convizione che sia comunque un bene ridurre la progressività. I paesi
      scandinavi hanno aliquote marginali massime sostanziamente più elevate di quelle della maggior parte dei paesi europei, eppure non mi sembra che ci sia un esodo di ricchi e di imprenditori da quei paesi. Certo, dipende anche da che cosa si riceve in cambio delle tasse pagate.

  10. Rita Trifiletti

    Vorrei far presente che se è vero che schemi teorici e modelli econometrici sono un supporto indispensabile al ragionamento economico, tuttavia non sono esaustivi del ragionamento stesso visto che rappresentano un segmento della realtà al fine di isolare le relazioni fra due o più variabili.
    Ora, pur data per scontata la bontà dei modelli su cui si basa il Professore, resta il fatto che fare Politica Economica non può essere confuso con fare cassa. Non è qui in discussione la progressività dell’IRPEF, bensì il fatto che il ragionamento si esaurisca in un modello il cui scopo non è dare uno schema di politica economica, ma mettere in relazione l’aliquota marginale e l’offerta di lavoro. Il modello dovrebbe soltanto dirci in che modo possiamo inasprire la leva, fermo restando che l’inasprimento è virtuoso nella misura in cui si evitano sprechi rendendo la spesa efficiente e l’evasione è ridotta ad una quota minima fisiologica, anzichè costituire una vasta realtà universalmente nota.
    Se invece l’inasprimento serve, come nel caso della Finanziaria, a fare la cosa più facile per il Governo, allora virtuoso non è (con buona pace di un modello corretto, ma usato come fine anzichè come mezzo).

    • La redazione

      Concordo sul fatto che i risultati di un modello econometrico (come qualsiasi altro contributo analitico) costituiscono solo un frammento del discorso. Ovviamente nella definizione di una decisione di politica economica concorrono tanti altri fattori e criteri. Francamente non saprei se l’unico obiettivo che si sono posti gli artefici della Finanziaria sia quello di fare cassa. Mi sono limitato a dire – sulla base di alcune ricerche recenti – che la riconfigurazione delle aliquote sembra andare nella direzione giusta sia dal punto di vista
      dell’efficienza, sia da quello dell’equita’. Detto cio’, resta
      naturalmente vero che qualunque discorso e’ inutile se l’evasione fiscale non viene ricondotta a livelli fisiologici invece che patologici.

  11. Franco Reviglio

    L’analisi di Colombino vale nei limiti delle ipotesi del modello, vale a dire se si accetta una funzione di utilità predeterminata e la si applica a una distribuzione dei redditi. Ma essa non supera la nota critica alle teorie utilitariste, della non misuribilità e del cosiddetto nobridge. Vale quindi solo se si assume la funzione alla base di una valutazione politica. Inoltre, e questa mi pare essere la qualificazione più importante, la conclusione tratta vale solo se la distribuzione a cui si applica la funzione di utilità corrisponde a quella su cui si appplicano le imposte, vale a dire se non sussiste evasione. Ne consegue che il titolo dato all’articolo è inaccettabile e fuorviante.

    • La redazione

      Qualunque analisi si basa su varie assunzioni ed e’ valida sotto quelle assunzioni, anche se puo’ essere informativa anche sotto assunzioni diverse. Personalmente non concordo a mia volta con le critiche alla teoria utilitarista cui il Prof. Reviglio si riferisce. Quanto all’evasione fiscale, essa puo’ essere tirata in ballo a proposito di qualunque analisi: l’implicazione estrema consiterebbe nel dover tacere
      su tutto fino a quando il problema dell’evasione non sia stato risolto. Sull’evasione non esistono informazioni dirette, per definizione.
      Esistono ipotesi, analisi indirette, elaborazioni econometriche, ecc. Un gruppo di ricerca dell’ISFOL sta lavorando ad un modello econometrico che terrà conto delle stime sull’evasione. Il titolo dell’articolo riflette semplicemente la mia opinione. Il prof. Reviglio è ovviamente
      padrone di ritenerla inaccettabile, ma non vedo che cosa c’entri il titolo. Fuorviante? E perché mai? Ripeto, è la mia opinione: l’articolo inoltre fornisce alcune indicazioni bibliografiche – nei limiti dello spazio concesso – per aiutare, chi lo vuol fare, a capire su quali risultati di ricerca questa opinione si basa.

  12. giuseppe faricella

    Faccio i complimenti al Prof. colombino per il suo articolo, le cui tesi mi trovano completamente d’accordo: anch’io sono convinto, infatti, che le risposte al problema dell’incremento della produttività di un sistema economico sono essenzialmente l’offerta di lavoro, il rinnovo “veloce” del capitale produttivo (aumento dello “stock” di tecnologia) e la diffusione di conoscenza tecnico/scientifica. E’ ovvio che queste soluzioni sono praticabili solo se lo Stato disincentivi l’impiego “improduttivo” di risorse private (meglio che l’imprenditore di turno compri 3 computer nuovi invece che 10000 euro di bot! -benedetto debito pubblico…), aiuti più bravi a studiare matematica, informatica, chimica, etc, e spinga i disoccupati a percorsi di riqualificazione. Inoltre, sono altrettanto convinto che il legame tra livello di pressione fiscale e potenziale di crescita sia quanto meno ambiguo, soprattutto se l’analisi viene limitata all’imposizione sul reddito delle persone fisiche. Spesso, a questo riguardo, mi sembra di assistere a dibattiti talmente semplicistici da essere surreali: che senso ha focalizzare l’attenzione sulle aliquote irpef senza tener conto congiuntamente della imposizione sul reddito di impresa, dell’imposizione indiretta (che alza vertiginosamente il carico tributario percentuale sui redditi mediobassi), del livello relativo dei prezzi, del pil procapite?!

  13. andrea sartori

    Non questiono sui modelli che ipotizzano un’aliquota marginale per i redditi più alti compresa tra il 50 e il 90%; il buon senso però mi suggerisce che una tassazione marginale così alta possa disincentivare l’incremento dell’impegno lavorativo da parte delle fasce più alte; inoltre un aumento della progressività così (troppo) pronunciato secondo me può incentivare ulteriormente l’evasione fiscale da parte dei ceti superiori, considerando anche la già frequentemente scarsa qualità dei servizi offerti dalle P.A.
    Noto poi che alcuni Paesi dell’Europa dell’Est (es: Rep.Slovacca) hanno adottato un sistema di flat-tax con ottimi effetti sulla crescita economica: l’aumento della progressività è giusto, ma quello imposto con la Finanziaria è secondo me eccessivo.

  14. Claudio

    Nella Finanziaria è contenuta una norma che assegna tutte le detrazioni a carico, in caso di separazione, al coniuge affidatario. E’ assurdo perché:

    1) I carichi fiscali riflettono la spesa per i figli, che è in base al reddito dei genitori, per cui è matematico che le detrazioni spettino in percentuale ai genitori, percentuale che non può essere fissata ex cathedra ma non può che essere vista caso per caso e quindi lasciata alla libera contrattazione delle parti. E’ normalissimo che i genitori si ripartiscano la percentuale a carico in base ai loro redditi, come è sempre stato.

    2) Se il coniuge affidatario ha un reddito basso si rischia il paradosso di penalizzare i figli perchè può verificarsi che l’imposta lorda dell’affidatario sia addirittura inferiore alle detrazioni! E’ ovvio che la soluzione in questo caso non è di dare la detrazione all’affidatario fino all’imposta lorda e l’eccedente all’altro genitore perchè, a parte la farraginosità pratica dell’idea, ricadiamo nel punto 1.

    3) Perchè fare una legge sull’affidamento condiviso e poi parlare di 1 coniuge affidatario? Se anche TUTTE le separazioni esistenti in Italia fossero con l’affido condiviso questo non cambierebbe il discorso che se i redditi dei genitori sono diversi le detrazioni devono riflettere in parallelo questa diversità. Il principio morale del 50% affettivo, da cui discende l’affido condiviso, è giusto ma non è detto che lo sia quello economico: le detrazioni spettano a chi paga in proporzione a quanto paga. Altrimenti perchè le detrazioni finora sono sempre state espresse in percentuale?

    5) Per tutti i motivi precedenti è illiberale anche l’altra norma contenuta nella finanziaria che obbliga i coniugi sposati a ripartirsi al 50% la detrazione. Se due coniugi lavorano ma hanno redditi diversi, la detrazione deve riflettere la diversità dei redditi con cui si contribuisce a mandare avanti la famiglia,separata o no.

    Spero che ne parlerete specificamente. Grazie

  15. marco

    Non sono attrezzato per un commento tecnico.

    Anche qualora l’analisi fosse esatta, del che dubito, peraltro, non ritengo che l’efficenza impositiva possa essere l’unico sistema informatore di un sistema fiscale.

    In altre parole, non ritengo il legislatore debba porsi come obbiettivo della politica fiscale il massimo drenaggio possibile delle risorse, sfruttando la maggior propensione al sacrificio lavorativo di una parte degli individui.

    Preferisco pensare che il legislatore debba promuovere la consapevole autodetereminazione degli individui, permettendo anche ad alcuni di arrichirsi, sino a quando tale attività non danneggia altri, non indirizzando altrimenti le loro scelte quando non sia necessario.

  16. Marco

    Si parla tanto di aliquote marginali, ma a parer mio bisognerebbe prima di tutto intervenire sull’ampiezza degli scaglioni.
    Visco non ha la più vaga idea di cos’è l’equità, dimensiona aliquote e scaglioni esclusivamente a un obiettivo da raggiungere.
    Va bene aggiungere un’aliquota del 41% prima della massima, ma non applicarla ad uno scaglione di dimensioni ridicole.

  17. bartolomeo

    complimenti per la ricerca svolta e per l’ottimo articolo. vorrei chiederle di prendere in esame l’inserimento di un ulteriore fattore nel quadro complessivo: la propensione al consumo. da vecchi ricordi di studio mi sembra che questa non aumenti proporzionalmente all’aumentare del reddito. e’ possibile, secondo il suo parere, che la redistribuzione verso i redditi più bassi abbia come conseguenza un aumento dei consumi e quindi un vantaggio per l’intera economia? grazie.

  18. michele caronti

    Fracamente rimango colpito dalla mancanza di alcuni fatti che dovrebbero essere sotto gli occhi di tutti (economisti inclusi) rispetto alla riduzione delle alquote generalizzata.
    Con buona pace degli econometrici raffinati e dei puristi della teoria economica, le ricette di politica economica/fiscale dei Paesi che crescono (non includerei i Paesi scandinavi in questo novero, vedasi risultati delle ultime elezioni che hanno visto sconfitto la sinistra) sembrano tutte convergere verso una robusta, drastica riduzione delle imposte fino ad auspicare una aliquota unica intorno al 30% se non inferiore.
    Cio’ non a causa di chissa’ quale ideologia classista (come l’articolo sembra tra le righe insinuare), ma alla luce di quelli che sono fatti inconfutabili:

    1/ si guardi alla economia UK (che conosco bene), all’Irlanda, dove la riduzione della tassazione e’ stato uno dei fattori principali che hanno portato all’alleggerimento dello Stato sociale e ad un aumento della crescita (senza dimenticare che questo e’ uno dei motivi fondamentali per cui Uk e Irlanda hanno visto aumentare in modo esponenziale gli investimenti esteri;
    2/ posso citare il caso recente dell’Austria che e’ del tutto analogo;
    3/ cosa hanno fatto i Paesi dell’Est europeo per favorire crescita e sviluppo? Ridotto le tasse! Quanto crescono all’anno? Tanto, tantissimo.
    Insomma i fatti sembrano tutti convergere in una direzione.
    Domanda: in che mondo vivete?

    • La redazione

      RISPOSTA AL COMMENTO DI MICHELE CARONTI
      Un conto e’ la pressione fiscale (diciamo l’aliquota media), un’altro è la progressività. Nel mio intervento non ho detto che è comunque bene avere un’alta pressione fiscale. Anzi, se lo rilegge vedra’ che il sistema ottimale esemplificato per la Norvegia implica un’aliquota media più bassa di quella attuale. E’ pero’ un sistema meno progressivo sui
      redditi bassi e medi e piu’ progressivo sui redditi molto elevati. E’ su questa struttura che ho insistito nel mio intervento. Non ho nessuna preclusione ideologica nei confronti di tasse piu’ basse o meno progressive. Ho dedicato alla ‘flat tax’ (aliquota proporzionale unica) più di una pubblicazione, e anche con risultati incoraggianti. Ad
      esempio in una delle pubblicazioni citate nel mio intervento la flat tax si dimostra piu’ efficinete del sistema attuale (in Italia). Il punto però è che ricerche successive suggeriscono che c’è un’altro sistema che è ancora piuùefficiente (oltre che piu’ equo): appunto un sistema meno progressivo sui redditi medio bassi e piu’ progressivo sui redditi alti (con una aliquota generale media piu’ bassa). I confronti tra paesi
      possono essere letti in modo molto diverso dal Suo. Le riforme fiscali di Reagan hanno provocato terrificanti deficit. Può darsi che la Svezia si accinga a ridurre la progressivita’ ma lo sviluppo scandinavo è avvenuto in compresenza di aliquote molto progressive (che hanno finanziato un welfare generoso ed efficiente che ha aiutato lo sviluppo). In Inghilterra e in Irlanda – che conosco bene anch’io – vedo
      molti fattori che spiegano lo sviluppo e che c’entrano poco con le aliquote fiscali.sui redditi personali. In generale non credo che la struttura delle aliquote sui redditi personali sia decisiva per lo svipluppo, né in positivo né in senso negativo. Si tratta semplicemente di ripartire in modo efficiente ed equo un certo carico fiscale. L’ottimalità (ad esempio del sistema fiscale) di cui si parla in economia non riguarda solo l’efficienza (diciamo lo sviluppo) ma anche l’equità (o piu’ ingenerale il modo in cui i frutti dello sviluppo sono distribuiti).

  19. Riccardo Mariani

    Non so se la lettura che ho dato è stata sufficiente a capire il nocciolo del discorso. Propongo queste 5 critiche.

    1) aliquote marginali elevate sono un formidabile incentivo all’ evasione e al nero. E questo rende problematico misurare l’ elasticità dell’ offerta di lavoro;

    2) ci si riferisce solo al lavoro. Ma l’ arricchimento di un sistema non dipende solo dal lavoro. Dipende molto anche dall’ innovazione, per esempio. Innovare rende ricchi a parità di lavoro profuso. Non c’ è da sorprendersi se l’ innovazione sia scarsa laddove le aliquote marginali sono elevate;

    3) coloro che appartengono al primo decile hanno per aliquota marginale tutte le aliquote che colpiscono coloro che appartengono ai decili superiori. Mi sembra si dia per scontato che l’ unica chance di costui sia quella di lavorare un po’ di più per passare al decile superiore. Ma questa non è la realtà. Le decisioni sono molto più radicali, per esempio la decisione di “mettersi in proprio” rischiando il fallimento;

    4) l’ ipotesi di confrontabilità delle preferenza resta una critica fortissima. Dovremmo forse ridimensionare gli studi econometrici? Questo è un altro discorso, certo che le mentite spoglie dello statistico non donano all’ economista;

    5) direi di lasciar perdere Svezia e paesi Scandinavi. Pagano carissime queste scelte e se stanno a galla è grazie a ad una tassazione superlight degli utili aziendali (almeno una decina di punti percentuali meno di noi). Cio’ consente anche una forte elusione. Per non parlare dell’ alta disoccupazione (che lì viene etichettata come lavoro socialmente utile). Quanto alla “fuga” dei privati tartassati di cui si parlava in un post precedente la conoscono molto bene, si tratta di paesi assediati da paradisi fiscali. L’ unica cosa a cui serve veramente la loro alta tassazione sui redditi personali è a stimolare sempre nuove riforme in senso liberista in altri settori della loro economia.

    • La redazione

      Grazie per il suo articolato commento.
      1) La propensione a commettere un reato (in questo caso l’evasione fiscale) dipende da almeno tre cose: il guadagno che si ottiene commettendo il reato, la probabilita’ che il reato venga scoperto e la sanzione per averlo commesso. Una aliquota maginale piu’ elevata puo’ indubbiamente accrescere il guadagna derivante dall’evadere. Rimangono pero’ gli altri due elemti – tra l’altro – a determinare la decisione.
      L’evidenza empirica in proposito e’ poco trasparente. Negli ultimi venta’anni le aliquote marginali massime in Italia sono diminuite parecchio ma non mi risulta che l’evasione sia diminuita. Comuque nel mio intervento non sostenevo indiscriminati aumenti delle aliquote.
      Sostenevo l’opportunita’ di aliquote marginali piu’ basse per i redditi medio-bassi, piu’ alte per i redditi elevati, e inoltre un aliquota generale media piu’ bassa.
      2) Sono d’accordo. Nel lungo periodo, aliquote piu’ basse per i redditi medio bassi permetterebbe scelte (educative, occupazionali, di risparmio ecc.) piu’ efficienti per larghi segmenti della popolazione. A tutto vantaggio della qualita’ del capitale umano e della probabilita’ che nascano nuove idee e iniziative.
      3) I modelli econometrici a cui faccio riferimento nel mio intervento tengono conto del suo argomento
      4) Negli studi citati il problema della confrontabilita’ delle
      preferenze – quando si voglia passare ad una valutazione di benessere sociale – e’ risolto usando una funzione di utilita’ standard (che senve come metro comune di giudizio). I risultati non cambiano usando utilita’ standard diverse.
      5) Lo sapeva che nei paesi scandinavi la media delle pubblicazioni scientifiche per abitante (vedi inoovazione) e’ circa doppia rispetto a quella di tutta l’ UE?

  20. Massaro Michele

    Condivido l’articolo in quanto non credo a differenza degli altri commentatori che vi sia un nesso frà aliqute marginali basse riduzione del’evasione.
    I signori fanno riferimento a paesi invia di sviluppo come queli dell’est europe o paradisi fiscali come Svizzera o Lussenburgo.
    Il modello econometrico di un paese varia a seconda della situazione dei loro mercati ed alla distribuzione dei lavoratori fra agricoltura,industria e terzo settore.
    Nei paesi dell’est abbiamo mercati nascenti,ovvero si approvigiona di beni chi non li ha come accadeva in Italia negli anni 60-70,mentre i paesi come i paradisi fiscali vivono di attività extraindustriali basate sul turismo od altri mercati di terzo settore che sbilanciano la bilancia commerciale e basano il fisoc sull’entrate dall’estero.
    L’Italia non è in nessuna di queste condizioni:molti mercati sono saturi o quasi e vivono di “ricambi del vecchio” e non abbiamo forti entrate dall’estero cme Svizzera e Lussenburgo e quindi possiamo creare il gettito fiscale del nostro paese sfruttando le entrate dall’estero e le attività degli stranieri in Italia.
    L’unico mdo per ridurre le tasse e che le paghino tutti inasprendo le pene per gli evasori e come in Usa rendendo reato l’evasione el’lusione stessa.

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