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Ma il contrasto di interessi non è la soluzione

Il contrasto di interessi è sempre più spesso indicato come la formula magica cui affidare la lotta all’evasione. Ma per essere efficace l’agevolazione riconosciuta ai contribuenti onesti dovrebbe essere tale da annullare completamente il gettito dello Stato. Ed è illusorio pensare che si elimini così la necessità di controlli e accertamenti fiscali. Sembrerebbe più proficuo perseguire altre modalità, che costringano il singolo contribuente a confrontare il guadagno dell’evasione con i rischi o i costi che essa potrebbe comportare su altri fronti.

Ma il contrasto di interessi non è la soluzione

Il contrasto di interessi viene sempre più spesso, e da più parti, indicato come la formula magica cui affidare la lotta all’evasione nel nostro paese. Si tratterebbe di moltiplicare e rafforzare i momenti in cui i soggetti coinvolti in una qualche transazione di mercato sono posti in conflitto rispetto alle rispettive convenienze fiscali. Riconoscendo al compratore la possibilità di portare in deduzione/detrazione dalle proprie imposte una parte consistente del valore del bene o servizio acquistato, gli si dà un incentivo a farsi rilasciare evidenza fiscale (fattura, ricevuta, scontrino) dell’avvenuta transazione dal venditore, che viene quindi costretto a soddisfare i propri obblighi fiscali. Lo schema dovrebbe essere applicato soprattutto nelle compravendite che coinvolgono, da un lato, un consumatore finale e, dall’altro, un libero professionista, artigiano o commerciante, le categorie sotto accusa di forte evasione.
Questo strumento di emersione dell’evasione è considerato coerente con la “logica di mercato”, e visto come integrativo, se non addirittura alternativo, al più tradizionale sistema di controlli/sanzioni gestito dall’amministrazione finanziaria.

Semplice, ma inefficace

L’apparente semplicità dello strumento non deve tuttavia portare a facili conclusioni sulla sua efficacia. Un po’ di semplice aritmetica chiarisce un punto critico tanto ovvio quanto apparentemente dimenticato nel dibattito corrente: se le autorità fiscali volessero rafforzare il contrasto di interessi in modo tale da annullare la convenienza economica dell’evasione, l’agevolazione fiscale riconosciuta ai contribuenti onesti dovrebbe essere tale da annullare completamente il gettito dello Stato.
Supponiamo infatti che lo strumento prescelto sia una detrazione fiscale a fronte della presentazione di una fattura relativa alla spesa sostenuta. Venditore e compratore potrebbero comunque mettersi d’accordo di non far emergere fiscalmente l’operazione: il venditore pratica uno sconto adeguato e non dichiara i profitti corrispondenti alla vendita e il compratore non richiede la fattura, più che compensando con il non pagamento dell’Iva e con lo sconto la mancata detrazione. Per ridurre la convenienza di questi possibili accordi collusivi lo Stato potrebbe aumentare la detrazione. Tuttavia accordi collusivi reciprocamente convenienti sono sempre possibili fino a quando vi sia un qualche vantaggio collegato all’evasione (il gettito dello Stato) da spartirsi. Solo se il gettito complessivo ottenuto dallo Stato in assenza di evasione venisse annullato (e cioè se l’agevolazione riconosciuta al compratore fosse uguale alla somma delle imposte dovute dal venditore e dell’Iva dovuta dal compratore) il venditore non sarebbe più in grado di proporre al compratore uno sconto sufficientemente elevato da poterlo compensare, se accetta di evadere, per la rinuncia alla detrazione.
Ovviamente, il ragionamento è fortemente semplificato perché non tiene conto di altri fattori che potrebbero spingere verso dichiarazioni veritiere, quali i costi connessi all’evasione fiscale in termini di probabilità di controllo e di ammontare delle sanzioni previste in caso di accertamento. Fattori questi che spingerebbero il compratore ad accettare che la transazione avvenga in nero solo a fronte di uno sconto più elevato rispetto a quello che si limita a compensarlo del mancato beneficio netto della deduzione.
In senso opposto, tuttavia, andrebbe considerato che il venditore, in caso di dichiarazione veritiera, è soggetto ad altre imposte oltre all’Irpef (come l’Irap) e, allo stesso tempo, che per il consumatore non è indifferente ricevere subito uno sconto dal venditore in cambio di uno sconto fiscale, rimandato al momento della dichiarazione, di non facile quantificazione, e che richiede comunque costi in termini di adempimento. Tutti elementi che ampliano l’intervallo degli sconti vicendevolmente convenienti.
Un punto importante da considerare è che il riconoscimento di una detrazione, farebbe aumentare il potere contrattuale dell’acquirente, mettendolo nella condizione di poter pretendere dal venditore uno sconto più alto sul prezzo di vendita per accettare che la transazione resti in nero: renderebbe quindi possibile, una distribuzione meno sperequata dei “vantaggi” dell’evasione. Ma l’evasione resterebbe comunque la strategia dominante, quella più conveniente per entrambi.

Margini stretti

I margini per rafforzare la strategia del ricorso al contrasto di interessi appaiono pertanto stretti. Una prospettiva di questo genere sarebbe accettabile da parte dello Stato solo se i gettiti limitati, o anche negativi, risultanti da elevate aliquote di detrazione, fossero visti come un costo – alternativo a quelli da sostenere per i controlli ordinari e presumibilmente temporaneo – per far emergere dal sommerso imprese completamente irregolari e far in modo quindi che, negli anni successivi, quelle stesse imprese possano essere più agevolmente controllate con gli strumenti tradizionali.
Una strategia di questo tipo sembra essere sottesa alla detrazione fiscale del 36 per cento riconosciuta ai contribuenti Irpef sui lavori di ristrutturazione edilizia, un settore in cui il sommerso è particolarmente diffuso. In tale caso, inoltre, il contrasto di interessi potrebbe risultare più efficace nel fare emergere l’evasione dal momento che il venditore si trova di fronte non uno solo, ma più compratori (gli inquilini del condominio). Al crescere del numero dei soggetti coinvolti gli accordi collusivi diventano, infatti, più difficili da realizzare.
Anche nei casi in cui lo si ritenga efficace è comunque illusorio pensare che il contrasto di interessi elimini la necessità di controlli e accertamenti fiscali. In primo luogo, perché sarebbe comunque necessario obbligare il contribuente che voglia avvalersi della detrazione/deduzione, a conservare la certificazione di tutte le spese sostenute. Per ciascuna dovrebbe essere trasmesso in via telematica al fisco il codice fiscale del venditore e, quanto meno, l’ammontare del pagamento effettuato, come oggi si fa, appunto, per le ristrutturazioni edilizie. Si tratterebbe di un aggravio non indifferente nei costi di adempimento.
Tutto sommato sembrerebbe più proficuo perseguire altre modalità di contrasto di interessi, che costringano il singolo contribuente a mettere a confronto il guadagno dell’evasione con i rischi o i costi che essa potrebbe comportare su altri fronti (ulteriori rispetto a quello di un probabile accertamento fiscale). Alcuni di questi sono già presenti nel nostro ordinamento, altri se ne possono pensare. Ad esempio, la previsione secondo cui la mancanza di certificazione fiscale impedisce il rilascio di dichiarazioni di conformità per le ristrutturazioni edilizie, o al fatto che non sia possibile vendere una casa su cui non si dimostri di avere pagato Ici e Irpef negli ultimi cinque anni, o che il venditore non abbia diritto al rimborso da parte dell’assicurazione in caso di errori professionali relativi ad attività per le quali i pagamenti siano avvenuto in nero, o ancora che il compratore non ottenga il rimborso di determinate prestazioni acquistate, da parte di un assicuratore (si pensi alle polizze sanitarie private), se queste non sono adeguatamente documentate anche in termini fiscali.

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Come funziona (o non funziona) il contrasto di interessi

Si ha contrasto di interessi fra un venditore e un compratore quando la convenienza a evadere dell’uno trova un ostacolo nella convenienza a rendere nota la transazione al fisco da parte dell’altro. Le modalità attraverso cui il sistema fiscale può generarlo possono essere analizzate mediante alcuni esempi.

Situazione attuale: nessun contrasto, anzi convergenza, di interesse a evadere

Consideriamo il caso di un venditore (si pensi a un artigiano o un libero professionista) che vende una sua prestazione del valore di 100 a un consumatore finale. Se a fronte di questa operazione sostiene costi per 20, il suo profitto, al lordo delle imposte, è pari a 80. Se la sua aliquota Irpef è il 40 per cento il venditore dovrà quindi pagare un’imposta pari a 32 e gli resterà un profitto netto di 48.
Sul prezzo della prestazione è dovuta l’Iva con l’aliquota ordinaria del 20 per cento. Poiché l’Iva è a carico del consumatore finale, il prezzo lordo della prestazione sale per lui a 100*(1+0,20)=120. Il consumatore sostiene quindi un onere di imposta (Iva) pari a 20.
Lo Stato incassa complessivamente 32+20=52.
In questa situazione l’evasione è conveniente per entrambi i soggetti coinvolti: accettando di pagare senza richiedere fattura (evasione totale), il compratore risparmia 20 di Iva e fa risparmiare al venditore 32 di Irpef.
Lo Stato non incassa alcun gettito.

Detrazione al 19 per cento: interesse all’evasione da parte del solo venditore; ancora nessun contrasto

Ipotizziamo adesso che, dietro presentazione della ricevuta fiscale, il consumatore possa beneficiare di una detrazione fiscale (cioè una riduzione dell’imposta pagata) e che, in analogia a quanto già oggi avviene per spese considerate meritevoli (sanitarie, di istruzione, per interessi passivi relativi al mutuo prima casa, eccetera), la detrazione sia pari al 19 per cento dell’ammontare della prestazione stessa.
Se l’operazione fosse pienamente dichiarata a fini fiscali, il venditore dovrebbe pagare, come nel caso precedente, un’Irpef di 32. Il consumatore pagherebbe un’Iva pari a 20 ma beneficerebbe di una minore Irpef di 19.
Lo Stato otterrebbe un gettito complessivo netto di 33.
L’interesse per il compratore a evadere l’imposta verrebbe praticamente annullato: il suo onere complessivo si ridurrebbe solo all’1 per cento. Resterebbe alto quello del venditore.
Quest’ultimo sarebbe allora incentivato a cercare un accordo con il compratore per non fare emergere fiscalmente l’operazione, proponendogli uno sconto sul corrispettivo in cambio della sua complicità. Nel nostro esempio il massimo sconto che il venditore può concedere al compratore è pari a 32, l’Irpef che non versa allo Stato. Se dovesse praticare uno sconto superiore a tale ammontare l’evasione non gli darebbe più alcuna convenienza.
In caso di accordo (collusione) fra le parti, il guadagno connesso all’evasione (pari alla sottrazione dell’intero gettito allo Stato e cioè 33) verrebbe ripartito fra compratore e venditore, e allo Stato non andrebbe alcun gettito.

Deduzione integrale: contrasto di interessi

Si potrebbe pensare che il riconoscimento di una detrazione del 19 per cento abbia un esito potenzialmente così insoddisfacente nel combattere l’evasione e, quindi, per le casse dello Stato, perché l’incentivo offerto all’acquirente è molto basso: non lo compensa neppure pienamente dell’Iva da pagare.
Ipotizziamo allora che al compratore sia offerta la piena deducibilità della spesa sostenuta dal suo reddito imponibile.
Se l’operazione fosse pienamente dichiarata a fini fiscali, il venditore dovrebbe pagare, come nel caso precedente, un’Irpef di 32, mentre il consumatore pagherebbe un’Iva pari a 20 ma beneficerebbe, se ipotizziamo per lui un’aliquota marginale Irpef del 25per cento, di una minore Irpef di 25. Il consumatore otterrebbe quindi un sussidio dallo Stato, a sostegno della sua “onestà”, pari a 25-20=5.
Il gettito complessivo netto per lo Stato sarebbe pari a (32-5)=27.
In questo caso il compratore avrebbe un sicuro interesse a ottenere la ricevuta dal compratore, che continuerebbe ad avere invece interesse a non rilasciarla (da qui il termine “contrasto di interessi”).
Anche in questo caso però si aprirebbe un ampio margine di contrattazione fra le parti. Il venditore può infatti proporre al compratore uno sconto sul prezzo della prestazione, che lo compensi per il sussidio fiscale a cui rinuncia non usufruendo della deduzione. Nell’esempio, ciò avverrebbe con uno sconto almeno pari a 5. Se il compratore accettasse, il gettito per lo Stato sarebbe, anche in questa ipotesi, azzerato dall’evasione.
Lo spazio per la possibile collusione tra le due parti è piuttosto ampio: lo sconto praticato dal venditore potrà andare dal minimo di 5 a un massimo di 32 (ammontare che, come nel caso precedente, rende indifferente il venditore tra evadere o meno, in quanto esattamente pari al suo debito Irpef).
L’ampiezza dell’intervallo di contrattazione dipende criticamente dalle aliquote dell’Irpef del venditore e del consumatore. È ad esempio interessante notare che, nel caso in cui le aliquote marginali di imposta fossero invertite (40 per cento quella del compratore e 25 per cento quella del venditore) il riconoscimento di una deduzione integrale annullerebbe il gettito per lo Stato anche in caso di assenza di evasione. L’imposta dovuta dal venditore sarebbe infatti pari a 20 (il 25 per cento di 80) e al compratore verrebbe riconosciuto un sussidio di identico ammontare (un’Iva da pagare di 20 meno una deduzione di 40, 20-40 = – 20).
Se poi, l’aliquota del venditore si ponesse a un livello inferiore al 25 per cento o quella del compratore a un livello superiore al 40 per cento, in assenza di evasione lo Stato registrerebbe addirittura un gettito negativo: il sussidio, pagato al compratore per la sua onestà, che è tanto più elevato quanto più alta è la sua aliquota marginale, non sarebbe compensato dalla somma dell’Iva e dell’Irpef pagata dal venditore (che è tanto minore quanto minore è l’aliquota marginale del venditore stesso). In questo caso, paradossalmente, allo Stato converrebbe l’evasione fiscale.
Ovviamente il fatto che l’incentivo riconosciuto al compratore sia tanto più elevato quanto più alta è la sua aliquota marginale andrebbe adeguatamente valutato sotto il profilo dell’equità fiscale.

Risposta degli autori ai commenti

Il gran numero di commenti pervenuti testimonia la particolare sensibilità dei lettori ai temi dell’evasione fiscale, a contrasto della quale vengono proposte varie strategie. In quanto segue cercheremo di dare alcune risposte solo ai commenti più direttamente riferiti al tema del nostro articolo: il contrasto di interessi. Abbiamo optato per una risposta collettiva, che non potrà ovviamente esaurire l’insieme delle osservazioni avanzate, ma che si concentrerà sui principali punti critici evidenziati dai lettori.

Contrasto di interessi: non solo convenienza economica

La tesi sostenuta nell’articolo è che, se le autorità fiscali volessero rafforzare il contrasto di interessi in misura tale da eliminare la convenienza economica dei possibili accordi collusivi fra venditore e compratore, l’agevolazione fiscale dovrebbe essere talmente elevata da annullare il gettito dello Stato.
Un primo rilievo, certamente condivisibile, è che sulle scelte individuali di evasione incidono altri elementi, oltre alla convenienza economica. A questo proposito, anche nell’articolo si sottolinea che il ragionamento da noi illustrato è fortemente semplificato perchè non tiene conto, in particolare, della probabilità (e quindi del rischio) di essere sottoposti a controlli e delle sanzioni previste in caso di accertamento, così come non considera il ruolo critico che i valori morali ed etici hanno nel determinare i comportamenti di obbedienza fiscale dei contribuenti.
Questi fattori possono ridurre il guadagno atteso dall’evasione, sia da parte del venditore che da parte del compratore. Il primo sarà disposto a riconoscere al compratore, per invogliarlo all’evasione pur in presenza di contrasto di interessi, uno sconto massimo inferiore a quello calcolato nell’articolo. Specularmente, il compratore, per colludere nell’evasione, pretenderà dal venditore uno sconto minimo superiore. Complessivamente si restringe l’intervallo dei possibili accordi collusivi che comportano evasione e, di conseguenza, aumenta la possibilità per lo Stato di ottenere un gettito positivo, pure al netto della deduzione/detrazione riconosciuta, dai soggetti che in assenza di tali agevolazioni avrebbero scelto di evadere.
Allo stesso tempo, è però ragionevole ipotizzare che i soggetti fortemente avversi ai rischi dell’evasione e quelli con forte senso di onestà fiscale sceglierebbero comunque di non evadere e, pertanto, le deduzioni/detrazioni ad essi riconosciute determinerebbero una perdita secca di gettito per lo Stato. Il saldo complessivo di questi due effetti dipende dalla composizione della popolazione dei contribuenti ed è difficilmente prevedibile ex-ante.

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Contrasto di interessi come strategia di lungo periodo

Alcuni commenti hanno messo in luce l’esistenza di vantaggi nella strategia del contrasto di interessi anche nel caso in cui i risultati in termini di recupero del gettito da parte dello Stato fossero nulli. La mera emersione, incentivata dal meccanismo del contrasto di interessi, di transazioni precedentemente evase anche se non produce maggior gettito consentirebbe, come del resto messo in luce nell’articolo, di evidenziare un giro d’affari che difficilmente poi, negli anni successivi quando lo Stato decidesse di indebolire il contrasto di interessi, potrebbe tornare a re-immergersi nella sfera del sommerso. Va aggiunto, come giustamente sottolineato da un lettore, che questa emersione contribuirebbe a dare maggiore veridicità agli aggregati macro-economici riducendo le incertezze che attualmente pervadono la stima del prodotto nazionale effettivo.

Un’opera di moralizzazione?….

Alcuni commenti sottolineano come il rafforzamento del contrasto di interessi rappresenterebbe un segno di rottura del governo, l’indicazione che si fa finalmente sul serio nel contrasto all’evasione. Si tratterebbe di un provvedimento che ha “una funzione moralizzatrice”.
In realtà la logica del contrasto di interessi non sembra essere quella di rendere i cittadini consapevoli dei danni sociali che discendono dall’evasione, né di stimolare a comportamento onesti, bensì quella di comperare l’onestà, rendendola economicamente conveniente. Non ci sembra un grande passo avanti nella moralizzazione del Paese.

… o solo una redistribuzione dei guadagni dell’evasione?

Sembra invece che ci si debba accontentare di un risultato di “equità”, su cui alcuni lettori insistono e che peraltro era già stato da noi evidenziato: il fatto che, anche qualora non dessero risultati in termini di contrasto all’evasione, le maggiori detrazioni/deduzioni darebbero uno strumento di pressione in mano al compratore (il quale, non si dimentichi, ha di per sé un interesse all’accordo collusivo, in quanto questo gli permetterebbe di non pagare l’Iva a suo carico) per spuntare uno sconto più alto dal venditore, consentendo in tal modo una redistribuzione dei “vantaggi” dell’evasione.

Costi e rischi della strategia del contrasto di interessi

Non va dimenticato che la strategia del contrasto di interessi è solo apparentemente senza costi e senza rischi. Come evidenziato da alcuni commenti, i costi sono quelli della necessità da parte dei contribuenti di conservare e da parte delle autorità di controllare le evidenze fiscali (scontrini, ricevute, fatture) che danno diritto alle agevolazioni fiscali (sull’importanza di questi costi in altre esperienze straniere si veda l’articolo di Carla Marchese). I rischi sono evidentemente quelli della emissione di scontrini e fatture false al solo scopo di recuperare imposte su spese mai sostenute e quindi su imposte mai pagate, o del “commercio” delle fatture, attraverso intestazioni di comodo (fare intestare la fattura a chi più benefica della deduzione, indipendentemente da chi sia il soggetto che ha effettivamente sostenuto la spesa).

Non c’era una volta in America

I sostenitori del contrasto di interessi fanno spesso riferimento al caso degli Stati Uniti, dove tale contrasto sarebbe applicato su larga scala e, si presume, con successo. E’ stupefacente sottolineare la rilevanza mediatica che ha assunto questa notizia, totalmente infondata.
Negli Stati Uniti, infatti, le deduzioni fiscali che esistono nell’ambito dell’imposta personale sul reddito (quella che corrisponde alla nostra Irpef) non hanno la funzione specifica di favorire un contrasto di interessi.
Il sistema statunitense ammette la deduzione per alcune tipologie di spese sostenute dai lavoratori dipendenti, in quanto, mentre il reddito da lavoro autonomo è tassato, come in Italia, al netto delle spese necessarie per la sua produzione, il reddito da lavoro dipendente è invece tassato al lordo di tali spese. Se ne tiene allora conto, o, come nel nostro paese, attraverso una deduzione forfetaria o, se più conveniente per il contribuente, attraverso una deduzione analitica (voce per voce) delle spese, adeguatamente documentate, che non siano già state rimborsate dal datore di lavoro (spese di trasporto per raggiungere il posto di lavoro, acquisto di materiali necessari all’attività lavorativa, sottoscrizione di abbonamenti a riviste specializzate, ecc.).
Sono poi previste altre deduzioni, a favore di tutti i contribuenti, analoghe alle detrazioni e deduzioni previste nel nostro ordinamento, per spese sanitarie, contributi a fondi pensione, liberalità a favore del terzo settore, spese di istruzione, e una miscellanea di altre piccole deduzioni soggette ad un tetto complessivo abbastanza stringente, con specifiche limitazioni per soggetti ad alto reddito.
Come è noto tali agevolazioni hanno la funzione di incentivare a specifici impieghi del reddito o di personalizzare l’imposta. Se, come nel caso delle spese mediche alimentano anche un contrasto di interessi, lo fanno, come nel nostro paese, del tutto incidentalmente.

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35 commenti

  1. massimo

    con riferimento all’interessante articolo “Ma il contrasto di interessi non è la soluzione” vorrei aggiungere due osservazioni che cambierebbero le conclusioni cui giungono i due autori.
    La prima è che i cittadini che pagano le tasse (perchè non hanno scelta come nel caso dei lavoratori dipendenti) hanno sviluppato un senso di rivalsa nei confronti di coloro che evadono in totale impunità e potrebbero decidere di richiedere la ricevuta anche senza ottenerne un grosso vantaggio immediato ma solo per il “gusto” di far pagare anche “quelli là”.
    La seconda considerazione è che per alcune tipologie di servizi (resi da artigiani, imprese edili, commercianti,…) il gettito è già attualmente quasi nullo. A parità di assenza di gettito la possibilità di detrarre integralmente tali tipologie di spese comporterebbe una distribuzione della pressione fiscale dai consumatori alle imprese. Pertanto da coloro che in gran parte oggi sopportano il carico fiscale del paese a coloro che non pagano affatto.
    E questo sarebbe un grande risultato in termini di equità sociale e porterebbe ad una maggiore propensione al ripetto delle regole.
    Cordiali saluti

  2. Paolo Freguglia

    Concordo perfettamente con gli autori.
    Spesso gli interessi tra compratore e venditore non sono contrastanti, anche perchè il compratore ragiona anche per i benefici futuri nel rapporto intercorso con il venditore.
    Basterebbe che ogni cittadino fosse munito di una card con il chip dove registrare tutte le transazioni: dall’alimentare, agli elettrodomestici, al pagamento degli acconti, ecc.
    Una specie di bilancio familiare.
    Mano a mano che di riempie la memoria del chip, lo si scarica tramite gli uffici dell’AGE.
    A sua volta l’AGE depurato dei dati personali dei contribuenti e nel rispetto della privacy, vende queste informazioni riconoscendo una royalties al contribuente sotto formadi sconto tasse.
    In questo modo lo Stato potrebbe anche predisporre la dichiarazione dei redditi, previa consultazione del cliente anche attraverso il suo commercialista, che fungerebbe quest’ultimo da difensore fiscale del proprio cliente.

  3. padanus

    “l’agevolazione fiscale riconosciuta ai contribuenti onesti dovrebbe essere tale da annullare completamente il gettito dello Stato. ”
    Consideratemi un idealista, ma un popolo di cittadini “onesti” che accetta l’obbligo della tassazione solo quando esistano meccanismi che permettano di annullare completamente l’onere fiscale, non si trova alle prese con un problema di bilancio ma con un problema di Etica.
    Se un cittadino non cosidera minimamente meritevole il valore dell’onestà di fronte alle leggi, quale prospettiva di progresso ha di fronte lo Stato? E rispettivamente che legittimità può pretendere lo Stato?
    Perchè si accetta di pagare le imposte? Perchè si ritiene che alcuni interessi collettivi siano meritevoli di essere perseguiti e quindi adeguatamente finanziati. Questo basta ai cittadini per accettare un dato livello di tassazione .
    Se lo Stato per ottenere il rispetto delle leggi fiscali deve “annullare completamente il gettito” c’è un problema di fondo che non si risolve con strumenti di polizia (tributaria) o meccanismi di contrasto tra i cittadini.
    Purtroppo in questi tempi pare che la lotta di classe sia uno dei paradigmi governativi! E pare che anche gli Autori ne siano contagiati.
    NEL MERITO
    Ben venga una oculata deducibilità dell’IVA pagata per i consumi. Lo Stato però non pretenda in questo modo di controllare, scovare e sanzionare anche il minimo scontrino non rilasciato.
    Ben venga la necessità per tutti di chiedere, ottenere e conservare le documentazioni dei consumi (fatture) e compilare la propria dichiarazione dei redditi, se non altro per beneficiare delle detrazioni… con buona pace del Sostituto di Imposta, pratica che de-responsabilizza e addormenta la coscienza fiscale dei lavoratori dipendenti!

  4. Paolo

    Trovo l’articolo convincente quando afferma che la deducibilità o detraibilità di tutte le prestazioni professionali sarebbe un’arma spuntata contro l’evasione fiscale.
    Tuttavia anche solo redistribuire l’opportunità di evadere le imposte da chi vende a chi compra sarebbe socialmente molto più equo che lasciare le cose come sono e fare evadere le imposte sempre ai soliti noti.
    Già solo questa forma di equità sociale (nell’evasione fiscale) potrebbe giustificare il provvedimento, non credete?
    In fondo l’evasione fiscale da parte di pochi è evasione fiscale, ma l’evasione fiscale da parte di molti somiglia più a una riduzione generalizzata delle imposte!

  5. gianluca

    È vero, il contrasto di interessi non è la soluzione definitiva all’evasione fiscale, ma l’applicazione che ne è stata fatta nel settore edile ha inciso sulla riduzione del nero. L’articolo è interessante e concordo con il primo commento quando sottolinea che il contrasto di interessi costituirebbe anche uno strumento di equità fiscale, proprio perché permetterebbe di evadere anche a chi non ha una partita iva.
    Senza questa precondizione qualunque intervento rischia di essere poco incisivo soprattutto perché gli altri strumenti di cui l’articolo parla non credo possano essere applicati in tutti i settori economici. Personalmente mi piacerebbe leggere un articolo che approfondisce proprio questo aspetto.
    Per quanto riguarda il settore dei controlli si potrebbe suggerire una rinfrescatina alla Guardia di Finanza che non mi pare eccella in modernità.

  6. paolo

    in parziale disaccordo con l’articolo: in generale credo che strategie che ostacolano comportamenti collusivi siano preferibili. L’approccio artmetico condotto all’estremo mi pare astratto, considerando che: il gettito 0 è già più o meno ciò che lo Stato ricava dalle transazioni in oggetto, con in aggiunta il danno derivante dall’alterazione in difetto delle grandezze economiche coinvolte e dalle distorsioni conseguenti. A parità di gettito effettivo, il valore della chiarezza negli aggregati macroeconomici da solo varrebbe la candela. Ed infine: flussi in nero costituiscono la precondizione per ulteriori transazioni della stessa natura, con effetti di fertilizzazione incrociata intersettoriali; un esempio paradigmatico credo sia l’enorme generazione di nero che “istituzionalmente” deriva dalle transazioni immobiliari, che è poi la base per tutta una serie di atti economici occulti.

  7. Michele Del Monaco

    Scusatemi ma secondo me il problema è mal posto. Noi siamo l’unico paese “occidentale” nel quale il livello dell’evasione fiscale è così elevato, ma gli altri paesi come fanno?
    Magari prima di inventarci noi la nuova soluzione perchè non ci confrontiamo con gli altri e vediamo come funzionano? Se in tutto il mondo il problema è risolto (e mi risulta che così sia) si tratta solo di copiare – adattando – quello che fanno gli altri.
    Per inciso voglio darvi solo un flash di quello che succede in USA. Un mio amico ha fatto la denuncia dei redditi a giugno e poi è venuto in vacanza qui in Italia per l’estate. Al suo ritorno a settembre ha trovato una busta con un assegno di 2.8 $ che aveva pagato in più. Morale: vengono fatti effettivamente dei controlli molto stretti e molto rapidi. Negli USA tutta la popolazione ha l’agenzia del fisco sul collo e sa che se sgarra c’è qualcuno pronto a stanarlo. Fare carriera negli uffici del fisco equivale a fare carriera come in qualsiasi altra azienda e non prendere 1.000 euro al mese (GdF). Ciò significa che si possono mettere in campo competente di buon livello che fanno funzionare il sistema.
    In UK se non si pagano le tasse mi risulta che si finisca in un bollettino tipo quello dei protesti, accessibile a tutti, da noi invece anche se una legge stabilisce che i dati dei redditi sono dati pubblici l’Agenzia delle Entrate ha emanato un suo decreto che sentenzia esattamente il contrario.
    Personalmente ritengo che fintanto che il sistema sia così articifialmente complesso non si arriverà da nessuna parte, neanche con il proposto conflitto di interessi. Un primo significativo segnale di cambiamento sarebbe quello di una drastica semplificazione del sistema fiscale, in una qualche forma di pubblicità sulle dichiarazioni, su un forte potenziamento delle attività ispettive. Fintanto che un commercialista guadagna 10.000 euro al mese e un impiegato dell’Agenzia delle Entrate o della GdF ne guadagna 1.000 non credo che andremo lontano.

  8. Tommaso

    Altro argomento a favore del contrasto di interessi: penso che sia comunque illogico pensare di poter detrarre dalla tassazione *tutte* le spese: bisognerebbe comunque prevedere un tetto.
    Il cittadino-consumatore sarebbe comunque spinto a richiedere e a conservare *tutte* le ricevute fiscali, perché magari non ce la fa a tenere dietro i conti durante l’anno.
    Dalla dichiarazione dei redditi avrebbe poi diritto alle detrazioni in funzione di un tetto o una quota delle spese. (tra parentesi, questa soluzione mi è stata indicata da un barbiere che rilascia scontrini fiscali)
    Come detto da un altro commento, basterebbe andare ad imparare come fanno da qualche altra parte… e tenere conto che la pressione pubblica per questo tipo di soluzione è molto forte, perché ha il fascino del buon senso e della (apparente?) semplicità (per cui i politici dovrebbero andarci cauti nel disprezzarla, se non propongono chiare spiegazioni contro).

  9. silvio brescia

    Concordo perfettamete con gli autori dell’articolo in quanto ritengo, a mio modesto avviso, che non si possa pensare di impronatre l’efficenza e l’equità fiscale in termini di deduzioni/detrazioni.
    Ritengo invece opportuno procedere ad una rivisitazione del nostro sistema fiscale distinguendo due categorie di contribuenti: le persone fisiche che devono essere assoggettate solo ad imposizone indiretta nelle varie forme, che conosciamo, e con gettito gestito a livello locale creando, per converso, un fondo perequativo secondo criteri di sussidiarietà; l’altra categoria di contribuenti, le persone giuridiche, assoggettate invece sia ad imposizone indiretta, sempre gestito a livello locale, che diretta dove quest’ultima, invece, dovrebbe fornire introiti a livello nazionale per la gestione dei servizi indivisibili quali: sicurezza, giustizia, ecc…

  10. Edoardo Riccio

    L’analisi è, ovviamente, ineccepibile. A questo, a livello macro-economico, si aggiunga che se al limite il contrasto di interessi può generare un saldo costi-benefici nullo o leggermente negativo sulle transazioni oggi in nero, rappresenterebbe certamente un costo per le transazioni che oggi avvengono alla luce del sole. Ovvero se si volesse stabilire un forte contrasto di interessi (ampie agevolazioni per il compratore) il saldo complessivo dell’operazione potrebbe essere molto negativo. Tuttavia penso che, integrato con altre misure che devono rimanere prioritarie, il contrasto di interessi possa avere un impatto positivo. Primo perché comunque nella percezione dell’individuo il rischio della sanzione è comunque percepito. Secondo perché sono convinto che esistano tanti cittadini onesti che non si presterebbero comunque ad accordi sottobanco e che soprattutto sarebbero disposti ad accettare un costo (comunque minore) pur di veder pagare gli “evasori”. Terzo perché provvedimenti di questo tipo hanno una funzione moralizzatrice. In Italia da Cinquant’anni (e non da cinque come scrive qualcuno) si è educato il contribuente all’evasione chiedendogli 100 e pretendendo nei fatti 20. Ed è ora che si inizi a passare un messaggio serio al di la delle semplici parole.

  11. bruno cipolla

    Ottima l’idea di effettuare pagamenti elettronici con una card personale.
    La tecnologia informatica e microelettronica per eliminare *totalmente* il denaro contante esiste già, sia per i macropagamenti, (bancomat, Carte di credito etc.) sia per i micropagamenti da frazioni di centesimo a pochi euro.
    Basterebbe inizialmente incentivare economicamente i pagamenti elettronici,e poi, progressivamente renderli obbligatori (vedi pagamenti delle prestazioni professionali).

  12. Giovanni Scolari

    L’analisi svolta dagli autori è interessante e pertinente. Evidenzia i punti deboli di questa procedura, tuttavia dimentica due fattori, secondo me, importanti. Il primo è considerare il maggiore potere contrattuale dell’acquirente come negativo: un risparmio per le tasche del cittadino aumenta il potere d’acquisto sempre e comunque.
    Il secondo è che si dimentica che in diverse professioni il prezzo in nero comprende materiali che hanno un costo fisso non scontabile. Quindi l’azienda o l’artigiano spesso non può fare altro che togliere l’iva. Basterebbe perciò aumentare la soglia di detrazione (35/45%?)per rendere immediatamente vantaggioso per l’acquirente il pagamento con fattura. Certo rimarrebbe sommerso il lavoro intellettuale e quello che ha un enorme ricarico, ma intanto (in attesa di strumenti migliori) farebbe emergere consistenti quote di nero.

  13. Elio D'Atri

    Sono pienamente d’accordo sull’articolo di M. Cecilia Guerra e Alberto Zanardi sul contrasto di interessi fra venditore e consumatore. Aggiungerei che il venditore potrebbe aumentare il prezzo del bene o prestazione fino a rivalersi, anche se parzialmente, della maggiore tassazione, tutto a scapito del consumatore.
    Cordiali saluti.

  14. Salvatore

    Mi permetto di commentare pur non essendo una persona adeguatamente preparata. Vorrei evidenziare che lo Stato gestisce, in Italia, oltre il 50% del PIL: ci siamo dimenticati che dobbiamo lavorare fino a Luglio per lo Stato sopratutto per far ingrassare i Partiti e le Clientele? Ci siamo dimenticati che solo in Italia la Guardia di Finanzia è un Corpo Militare (soggetto a Leggi militari) e non Civile come in Stati più seri? Ci siamo dimenticati di quanti sono i parlamentari (80 Onorevoli?) che seppur condannati, con sentenza passata in giudicato, sono stati posti DAI PARTITI in Parlamento? I vostri argomenti sono molto interessanti ma teorici. Il pesce comincia a puzzare dalla testa! In ogni caso il contrasto di interessi può essere valido ponendo una soglia minima (500 Euro?) o per l’affitto di casa. Poi ci sono grandi aziende che comunque dovrebbero fatturare così pure le grosse catene di distribuzione. Ma non si farà nulla perchè è sempre conveniente avere un capro espiatoio (ricordate il berlusconiano conflitto di interessi?).

  15. Lucio Tamagno

    L’articolo è in sostanza condivisibile, ma i conteggi devono tener conto che l’imposta abbuonata al compratore generalmente di reddito medio basso, è in valore assoluto più bassa di quella che pagherà ilvenditore che presumibilmente è in una fascia di imponibile ben superiore.
    Per lo stato quindi il vantaggio c’è, specie se sommato alla minor possibilità di accumulare ingenti fondi “neri” che alimentano altri paciughi fiscali.
    L’attenzione va messa sul fatto che il compratore non venga troppo “invogliato” dal venditore, che è l’unico che guadagna alla grande.
    Un programma di riduzione delle aliquote legato ad obiettivi di recupero dell’evasione potrebbe funzionare e dare un aiuto al senso civico degli italiani in genere piuttosto tentennante.
    Con quali soldi vengono pagate le Mercedes e le BMW che circolano sulle nostre strade?
    Non credo sia imposibile beccare gli evasori e forse il colpire uno, con grande rumore mediatico, per educarne cento, funzionerebbe.

  16. Massari Fausto

    Forse a me sfugge il senso generale di questo criterio di lotta all’evasione.
    Mi limito infatti ad osservare che se la detrazione per il compratore fosse equivalente all’IVA non vedo dove sarebbe il suo interesse economico a pretendere la fattura, giacché è esattamente lo sconto che ottiene oggi accettando di pagare in nero.
    Se, invece, la detrazione per il compratore fosse maggiore dell’IVA oggi evasa ( e quindi dello sconto che ottiene dal venditore) questa maggiore detrazione non dovrebbe valere anche per tutti gli acquisti che oggi sono regolarmente fatturati? E allora come si compenserebbe l’enorme perdita di introiti per lo Stato, visto che malgrado il malcostume di questo Paese la grande maggioranza degli acquisti sono tuttavia registrati?

    Forse per ridurre l’evasione a livelli fisiologici non occorre inventare l’acqua calda: basterebbe che lo Stato agisse con serietà e dimostrasse nei fatti che i comportamenti illegali vengono sanzionati, e non incoraggiati come è avvenuto finora sistematicamente.

    Fausto Massari

  17. Paolo

    Quando si parla di fisco, c’è molta retorica, e poche considerazioni pratiche.
    Credo che le tasse siano “etiche” solo nella misura in cui “etica” è anche la spesa pubblica. Se ciò, come in Italia, non sempre accade, anche la coscienza del cittadino si adegua, e non si chiede la ricevuta fiscale all’artigiano o al medico, risparmiando un buon 30%.
    Non sempre la logica delle deduzioni delle spese è ragionevole. Il signor Rossi dispone di 100.000 euro, e decide di acquistare una bella automobile sportiva. Paga una buona quantità di tasse, all’acquisto e pure negli anni successivi. Il sig. Bianchi decide invece di utilizzare la stessa cifra per ristrutturare il suo appartamento: marmi, infissi pregiati, vasca idromassaggio ecc. In questa ipotesi Bianchi dovrebbe aver diritto a deduzioni. Ma non sono, entrambi, lussi non necessari? Se poi Bianchi vuole risparmiare, rinuncia alle detrazioni e paga in nero: ci guadagna comunque. Rossi invece non può evadere.
    Se, semplicemente, ci fosse un reddito presunto per le varie categorie nelle diverse zone, sarebbe ininfluente fatturare o meno. All’interessato la possibilità di dichiarare e dimostrare un eventuale reddito inferiore: in tal caso scatterebbero accertamenti ed eventuali sanzioni. Anche in assenza di detrazioni, si richiederebbe sempre la ricevuta che, se non altro, garantisce la garanzia per i lavori o prestazioni eseguite. Per non parlare della semplificazione che ne seguirebbe, dei maggiori contributi versati per le pensioni, ecc..
    Certo, non ci sarebbe più la corrispondenza esatta fra reddito ed imposte: ma mi pare che questa non esista neanche adesso (evasione, elusione, deduzioni opinabili ecc.).
    La demagogia non serve. Ad esempio, proibire i pagamenti in contanti, in un contesto attuale, porterà solo a pagare in contanti anche ciò che oggi, pur evadendo, si paga in altro modo, laddove le cifre siano modeste: se queste cifre modeste non sono, nessuno, già oggi, paga più in contanti.

  18. rodolfo la rocca

    l’articolo parte da una buona considerazione, ma manca nel suo scopo.

    1) per capire che c’e’ un problema occorre capire di quale problema stiamo parlando; c’e’ evasione si, ma quanto e’ ? dove si trova e quanto grava sui cittadini ?
    Ecco la proposta.
    Si prendono delle città campione e si da il 100% di esenzione a fronte di fattura al consumatore per un periodo limitato.
    Si confrontano i dati con lo stesso periodo dell’anno precedente ed ecco l’evasione e dove si trova.
    Si fa capire ai cittadini che se l’evasione non ci fosse significherebbe risparmio concreto per loro, perchè i soldi raccoldi andrebbero a loro, che abitano li!
    A questo punto si attuano i controlli perchè sarebbero pagati dal maggior reddito accertato.
    Questo ovviamente in teoria se anche il parlamento,agenzia entrate, gdf, ecc..ecc..facessero il loro dovere istituzionale.
    Nel frattempo…sapete come stiamo.

  19. Fabrizio Fusco

    Visto che il contrasto di interessi non è la soluzione E allora qual’è la soluzione? Tutti sanno dove si annida l’evasione, tutti vedono le dichiarazioni beffa che vengono pubblicate ogni anno, eppure l’evasione continua a crescere ed è un male che colpisce soprattutto l’Italia. Possibile che non possiamo “importare” dall’Inghilterra o dagli Sati Uniti il sistema per stanare gli evasori?
    Come fanno in quei Paesi a far pagare le tasse?
    I contribuenti sono masochisti o, piuttosto, lo Stato combatte seriamente l’evasione?
    Il problema è che in Italia l’evasione ha potenti sponsor a tutti i livelli. Questo è il punto.
    Anche ultimamente in televisione ho sentito un rappresentante del governo giustificare un’evasione per necessità o sopravvivenza. Allora perchè non consentono anche all’operaio che guadagna 700/800 euro al mese o al pensionato che guadagna ancora meno di fare lo stesso?
    Forse il sistema del contrasto di interessi non funzionerebbe, tuttavia si potrebbe provare, consentendo un tetto di deducibilità. Il cittadino comune ignora, al momento di pagare una prestazione, quanto tale deduzione potrebbe fargli risparmiare per cui sarebbe portato a chiedere comunque la fattura. Per lo stesso motivo l’evasore, per evitare l’emissione della fattura e per essere certo di rendere appetibile la cosa, non conoscendo i dati della dichiarazione dei redditi del suo cliente, dovrebbe fare uno sconto superiore all’aliquota massima degli scaglioni di reddito (pari al 43%) e non è detto che tutti si possano permettere di fare tali sconti.
    D’accordo, siamo nel campo teorico, ma appunto per questo si potrebbe scendere nel pratico e provare.

  20. Massimiliano

    In pochi collegano l’alta evasione fiscale tipica dell’Italia alle dimensioni minime delle sue imprese, non di rado individuali o quasi. Eppure, a me pare evidente che il proprietario di un bar ha un interesse molto più diretto e forte a non emettere scontrino rispetto al cassiere di Starbucks, al di là di qualsiasi controllo o sanzione.
    Penso quindi che l’evasione fiscale non possa essere seriamente combattuta finché non verrà attuata una politica incisiva per la crescita dimensionale delle imprese, che disincentivi fortemente l’individualismo e premi forme consorziali, anche tutte da inventare.
    È vero che politiche “grow or die” snaturerebbero l’impianto storico dell’economia italiana, ma è anche vero che in questo impianto storico ci sta pure l’evasione fiscale, come declinazione della nostra diffidenza storica verso l’autorità…

  21. Giorgio

    Sono perfettamente d’accordo con Fausto….incentivi seri e reali alla crescita dimensionale delle aziende e al M&A avrebbero un duplice effetto positivo: incrementare la competitività delle nostre imprese e far diminuire evasione ed elusione…posso portare la mia esperienza personale, da piccola ditta individuale artigiana ad azienda inserita in gruppo quotato, i ricavi non registrati si sono via via assottigliati fino ad essere totalmente annullati….oltre una certa soglia dimensionale ed un certo livello di controllo e di interessi coinvolti l’evasione diventa assolutamente antieconomica

  22. raffaello morelli

    Limitandoci al settore professionale e dei servizi nonché alle persone fisiche, non ha ragion d’essere lo scetticismo dei due articoli di Guerra e Zanardi.
    Innanzitutto l’esempio chiave della tabella del primo articolo (deduzione 100 %, nessuna evasione) contiene ipotesi irrealistiche o funzionali alla tesi scettica ma non al vero contrasto di interessi. E’ irrealistico ridurre l’imponibile del venditore del 20 % per costi sostenuti poiché, siccome egli ha una sua vitale contabilità, la prestazione in questione è da lui effettuata a costi zero nel senso che i costi reali sostenuti sono già inclusi nella contabilità in chiaro e non possono essere conteggiati due volte. Già solo correggendo questa ipotesi si ottiene che lo Stato incasserebbe altri € 8 euro ( 20 per l’aliquota di 0,4 = 8) per un totale € 35 (27 della tabella più 8).
    Se ora nel conteggio degli autori si toglie anche l’altra loro ipotesi, e cioè si introduce nei settori considerati la detraibilità integrale dell’IVA, si ricava che lo Stato incassa in tutto 35-20 = 15 € ( in più sul nero), che il venditore ha un profitto netto di 60 e il compratore ha un costo reale di 75. La collusione diviene ardua. Senza fattura, lo sconto dovrebbe abbassare il costo almeno fino a € 65 ( per compensare il rischio del compratore). Però il venditore lucrerebbe solo € 5 e non varrebbe la pena evadere. Con questo sistema si creerebbe un contrasto di interessi. E si darebbe un forte colpo di freno alla convenienza per il venditore di approvvigionarsi in nero. Siccome l’evasione nel settore considerato è ora molto forte, dal contrasto di interessi deriverebbe un’emersione di imponibile consistente ( e irreversibile ) che porterebbe un gettito fiscale assai superiore alla perdita per la detraibilità integrale IVA sulle fatture oggi regolarmente emesse.
    L’eccessivo scetticismo sul contrasto di interessi mi pare equivalga a privilegiare lo stato sul cittadino.

  23. Maurilio Menegaldo

    Mi pare che il contrasto d’interessi possa essere efficace solo in regime di concorrenza reale.
    Mi spiego: se il fornitore di bene o servizio può ritoccare il prezzo a suo piacimento, sicuro che o per via di cartello o per via di monopolio (magari limitato a una determinata zona) il compratore non avrà accesso allo stesso servizio a prezzi inferiori, il limite di equilibrio tra convenienza e non convenienza si sposterà sempre a favore dell’evasore. Con un esempio: supponiamo che la proposta sia, senza contrasto, “100 con fattura, 80 senza fattura”, accettata dal compratore. Se introduciamo il contrasto, e il 100 non è più conveniente, la proposta potrebbe diventare: “120 con fattura, 80 senza fattura”. Ovviamente il compratore sceglierà comunque 80 senza fattura. Il vantaggio del fornitore sarà comunque mantenuto, perché il compratore non ha possibilità di confrontare un prezzo più vantaggioso per lui con l’offerta a sua disposizione.
    Se quanto esposto è vero, in un paese come l’Italia, dove la concorrenza in mestieri e professioni è ancora un bel sogno, il contrasto d’interessi è destinato ad avere poca efficacia.

  24. Franco Di Lalla

    In italia l’evasione è praticata da tutti coloro che possono farlo. Non è vero che la fanno solo alcune categorie economiche. Il contrasto di interessi si è rivelato debole in molti casi, visto che non ha funzionato con prestatori di servizi e prestatori professionali. Lo spazio a disposizione non è sufficiente per esporre compiutamente alcune linee di intervento, ma qualcosa potrà arrivare dalle disposizioni antiriciclaggio e da un maggiore controllo del territorio che attualmente l’Agenzia delle Entrate non ha. Era invece buona l’idea di far partecipare i Comuni alla lotta all’evasione

  25. Riccardo Campi

    Un caro saluto a Maria Cecilia e ad Alberto.
    Scrivo da “operativo” nel settore fiscale, sono infatti Dottore Commercialista e consulente fiscale di una associazione di consumatori nonché di una associazione di imprenditori. Ritengo inutile il contrasto di interessi perché consumatori e imprese/professionisti hanno un comune scopo: farsi rubare dal fisco il meno possibile, ed il calcolo si fa sui centesimi. Non ritengo che il problema sia costituito dalla pressione fiscale o dal comportamento endemicamente “birbante” degli Italiani. Il problema della scarsa adesione fiscale è costituito dalla destinazione delle risorse prelevate dal fisco.
    Ogni centesimo pagato al fisco è percepito come un centesimo perso, i consumatori chiedono sistematicamente di effettuare operazioni “senza fattura” e le imprese forniscono i prezzi “senz’IVA” (“vuole la fattura? Allora devo aggiungere l’IVA”).
    La percezione del sistema statale che abbiamo è di un novello Sceriffo di Nottingham che preleva risorse ai cittadini per garantire le proprie clientele ed i propri vizi, piuttosto che di uno Stato moderno che preleva risorse per garantire servizi che il privato non potrebbe fornire altrettanto efficacemente. In quest’ottica non ci sono controlli che tengano.
    Paradossalmente le crescenti richieste di adempimenti ai contribuenti (elenchi clienti e fornitori, trasmissione telematica dei contratti, studi di settore, anagrafe dei conti correnti, ecc) piuttosto che diminuire i margini di manovra degli evasori stanno generando un crescente dissenso ed una crescente appetibilità dell’evasione.
    Forse sarebbe più opportuno per contrastare l’evasione un quadro chiaro e pubblicamente disponibile di che fine fa il gettito fiscale, e la introduzione di strumenti di controllo di performance del settore pubblico per individuare le spese inutili o eccessive.
    Buon Natale
    Riccardo

  26. riccardo maffi

    Il punto è che ci troviamo di fronte ad un’evasione stimata in 130 miliardi di euro e a gente che viaggia su yacht e dichiara cifre ridicole. E’ ovvio che qualsiasi sistema fiscale necessita di un sistema di controlli efficace (in america la SEC non scerza come da noi la finanza) ma questo sistema che abbiamo non funziona e lo si vede benissimo per cui un po’ di moralità sarebbe benvenuta. Conservare poi gli scontrini e le fatture di un anno non credo sia peggio che conservare le ricevute di multe e bolli per dieci. La realtà è che a chi evade non conviene e chi lo fa sta in parlamento per cui…

  27. alfio

    Dopo tante esperienze, sono sempre piu convinto che li modo piu giusto di tassare è far pagare un tanto per ogni attività autonoma il cui importo deve esser stabilito senza cercare tanti preamboli – così chi è capace resta chi no chiude chi vuol laborare di più lavori qunte vuole. Un vigile che controlli l’avvenuto versamento e stop – quanti imbrogli eliminati – quante conoscienze inutili – quanta gente in meno nello stato – quanti soldi in più riscuoterebbe lo stato.

  28. Umberto

    Nel caso delle prestazioni sanitarie, per le quali viene riconosciuto uno sgravio IRPEF del 19%, c’è l’esenzione dall’IVA per il compratore, che quindi già ora avrebbe interesse a ottenere la ricevuta. Però è prassi costante per moltissimi specialisti proporre due prezzi per la loro prestazione: con fattura o senza fattura, quest’ultima con uno sconto almeno del 30%; anzi a me è capitato di avere l’alternativa – per una prestazione oculistica – tra 500 euro con fattura e 250 senza. Se la fattura potesse essere scaricata al 100%, tutti avrebbero interesse a pretenderla. Lo Stato rinuncerebbe a ricevere dal compratore l’importo dell’IRPEF sulla fattura, però preleverebbe l’imposta dal fornitore in una misura per lo più certamente maggiore, dato che gli specialisti sanitari hanno redditi mediamente superiori alle generalità dei cointrbuenti.

  29. Carlo Grenci

    Se ammettessimo la totale detraibilità dell’IVA dall’IRPEF dovuta dai privati (cosa non assurda se si pensa a quanto sia iniqua l’imposizione dell’IRPEF anche sulla propria quota di reddito già spesa a titolo di IVA: una Imposta diretta che grava su un’imposta indiretta) ed anche dall’imponibile avremmo, al limite estremo, una perdita di gettito IRPEF esattamente uguale all’IVA presentata in deduzione. Ovviamente nessuno potrebbe presentare IVA da dedurre in misura superiore al 20% del proprio reddito e quindi sarebbero escluse eventuali speculazioni basate sulla falsificazione degli scontrini e delle fatture. Dall’altro lato avremmo la emersione di tutto o quasi tutto il sommerso sia in termini di IVA che di IRPEF e, anche in caso di accordi tra compratore e venditore finalizzati all’evasione, questi sarebbero molto più problematici di quanto non avvenga oggi e, anche a parità di gettito complesivo, realizzerebbero finalmente una vera equità fiscale e una reale redistribuzione del reddito tra chi è sempre stato tartassato dal fisco e chi invece l’ha sempre fatta franca a costo zero.

    • mario tognocchi

      E’ possibile non confondere i fondamentali? Nei commenti spesso gli autori:
      1) confondono DETRARRE con DEDURRE;
      2) confondono SCRIVERE LE SPESE con DETRARRE L’IVA che non c’entra niente, ma proprio niente, con l’argomento ‘scrivere le spese’ nel proprio bilancio fiscale (= dich dei redditi).
      Scriviamo il titolo in parole semplici: “Scaricare = Scrivere le Spese” (che sennò si pagano a nero), e tutto dovrebbe diventare più chiaro. Magari smettiamo anche di chiamarlo contrasto di interessi? Si chiama “accordo di interessi”: è interesse di chi paga e dello Stato dare convenienza alla legalità: avere la ricevuta fiscale per scriverla in dichiarazione dei redditi.

  30. giorgio uboni

    Sicuramente non è un problema di facile soluzione, anzi. Ma credo vada rilevato anche che:
    – comunque, in caso di mancata e/o parziale (come spesso succede ad es. sia in edilizia che dai professionisti) segnalazione, lo stato non incassa totalmente l’Iva e l’Irpef;
    – anche qualora andasse a zero o quasi il saldo Iva con il gioco detrazione/deduzione, rimane la dichiarazione redditi dell’imprenditore/professionista ecc. nonchè (non sottovalutiamolo) l’emersione del lavoro nero e dell’evasione (fatto di civiltà-trasparenza).
    Concordo ovviamente col fatto che:
    – l’attivazione sarebbe complessa;
    – si colpirebbero interessi che non si intende colpire. E questo, credo, sia il punto vero. Tant’è che nei paesi che lo hanno adottato (o che comunque hanno una seria politica di lotta all’evasione), i meccanismi alla fine producono buoni, se non ottimi risultati.

  31. ROBERTO P

    Il contrasto di interesse è efficace se vengono contemporaneamente abolitele detrazioni per lavoor autonomo dipendente e per carichi di famiglia! il contribuente privato di tali agevolazioni si vedrebbe il suo stipendio , es. 10.000 euro imponibili decurtato di 2.300 euro di imposte quindi sarebbe *obbligato* a chiedere scontrini e fatture per generi di prima necessità si può ovviare all’inconveniente in questo modo.. introdurre una clausola di salvaguardia per stipendi e pensioni inferiori a 8700 euro lordi imponibili in modo che non vengano taglieggiati dal fisco.. riconoscere una detrazione fissa pari al 20% circa con un minimo di euro 2000,00 annue..somma ad di sopra della qualde convien farsi rilasciare fatture e scontrini e ricevute affitto per usufuire di un’ulteriore deduzione irpef. chi ha familiari a carico le spese sono conteggiate cumulativamente deducendo ovviamente da tale importo la somma di euro 8700 soglia minima esente. e così per tutti i contribuenti. in tal modo tutti avrebbero interesse a chiedere scontrini parlanti (cioè con codice fiscale e/o cod. iban di pagamento. E fatture con lo stesso metodo.) provare non costa nulla.

  32. Leonida

    Nel caso descritto in cui il sussidio, pagato al compratore per la sua onestà è pari alla somma dell’Iva e dell’Irpef pagata dal venditore, il gettito dello stato non si annulla, rimane invariato (tanto più paga il compratore, tanto meno paga il venditore), ma si avrebbe una ridistribuzione del carico fiscale tra i soggetti (pagano in 2 invece che 1 solo). Lo scopo della lotta all’evasione non dovrebbe essere questo? O lo scopo è fare cassa?

  33. Pino

    In tutto il ragionamento ci si dimentica di quelli che possiamo definire “effetti riflessi”. Infatti, sui redditi fatturati l’atuale evasore andrebbe a pagare la contribuzione previdenziale, perderebbe tutte quelle agevolazioni di cui gode compe percettore di basso reddito (a discapito dei veri poveri) e si avrebbe un effetto di contrasto del lavoro nero: l’acquirente interessato alla fattura o scontrino preferirebbe rivolgersi ad un venditore con partita IVA piuttosto che ad uno “irregolare”. Comunque, anche a fronte di un effetto “zero vantaggi” per le casse dello stato, rimane un valore educativo che non può e non deve essere sottovalutato. Saluti

  34. Roberto

    Per regolare il concorso di tutti alle spese pubbliche abbiamo a disposizione l’articolo 53 della Costituzione! Lo ricordate? Ebbene il 1° comma ci dice che dobbiamo tassare, non il reddito, ma la capacità contributiva! Secondo quanto stabilito dai nostri padri costituenti  le spese necessarie per le esigenze quotidiane fanno parte della capacità contributiva, quindi esse insieme ai redditi globali e a tutti i patrimoni, devono essere scritte nella dichiarazione dei redditi o meglio della capacità contributiva per, poi, essere tassati sulla loro differenza. Tali spese una volta certificate dalle ricevute fiscali avranno l’effetto di fare emergere tutta la ricchezza nascosta. Come vedete, i nostri padri costituenti avevano programmato tutto, e se avessimo attuato l’articolo 53 della Costituzione non ci troveremmo in questa situazione.

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