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Un “partenariato privilegiato” tra Europa e Turchia

Il vero problema non è quello di decidere quando e a che condizioni la Turchia sia pronta a entrare nell’Unione Europea, ma piuttosto è quello di valutare se l’Europa di oggi, con i suoi compromessi al ribasso, è pronta ad accoglierla. L’esempio della politica regionale basta per comprendere la difficoltà. La proposta di formalizzare accordi di “partenariato privilegiato” serve a garantire la continuità giuridica dei progressi compiuti nell’ambito dei negoziati di adesione, attivando le politiche comuni negoziate con una dotazione finanziaria indipendente.

Il controverso rapporto tra l’Unione Europea e la Turchia, Stato candidato ad aderirvi, è al centro delle questioni di politica internazionale.
La Commissione europea lo scorso 29 novembre ha eluso un grave incidente diplomatico, evitando di proporre, almeno per il momento, la sospensione totale del negoziato per l’adesione. Oggetto del contendere è la mancata implementazione da parte turca del cosiddetto protocollo di Ankara, un documento con cui la Turchia si impegna a eliminare le restrizioni alla libera circolazione di beni che ancora mantiene nei confronti della Repubblica di Cipro, Stato membro dell’Unione. Constatata la mancata applicazione di tale protocollo, la Commissione ha raccomandato il blocco dei negoziati per l’adesione fino al permanere delle restrizioni, ma solo relativamente ai capitoli riguardanti i settori interessati. (1)
Inoltre, mentre sarà possibile aprire i negoziati su altri capitoli e continuare quelli in corso, la Commissione ha raccomandato di non chiudere formalmente il negoziato su nessun capitolo. Sarà compito del Consiglio europeo del 14 e 15 dicembre formalizzare o meno tale raccomandazione.

Reazioni “interessate”

La notizia ha immediatamente ridato fiato agli oppositori dell’adesione della Turchia, che hanno interpretato l’”incidente” come l’ennesima conferma della “diversità” del paese rispetto alle tradizioni europee. Contemporaneamente, in una Turchia che si appresta a rinnovare il proprio parlamento, la stessa notizia è stata usata strumentalmente dalle forze politiche che cavalcano in chiave demagogica il nazionalismo turco per ribadire che nessuno può imporre condizioni al paese.
Ma porre la questione in questi termini è poco corretto, perché il vero problema europeo (e turco) non è quello di decidere quando e a che condizioni la Turchia sia pronta a entrare nell’Unione Europea, ma piuttosto è quello di valutare se l’Europa di oggi, con i suoi compromessi al ribasso, è pronta ad accogliere la Turchia. L’esempio della politica regionale basta a capire che non è così.

L’identità europea non c’entra

Qualche settimana fa, dopo un lungo e faticoso negoziato, sono stati ufficialmente stanziati i fondi di cui ogni paese europeo (inclusi Bulgaria e Romania) beneficerà per il periodo 2007-2013. Si tratta di un totale di 308 miliardi di euro, di cui circa 250 miliardi saranno destinati alla convergenza di paesi/regioni in ritardo di sviluppo, come da tabella seguente. La Commissione europea ci informa che quest’ultima cifra interesserà circa il 35 per cento della popolazione europea, cioè 173 milioni di cittadini. Ne consegue che ogni cittadino europeo che vive in una regione in ritardo di sviluppo beneficerà, per i prossimi sette anni, di circa 1.450 euro (a prezzi del 2004).
La popolazione turca al 2006 è di 70,4 milioni di persone, che con gli attuali tassi di crescita demografica diventeranno circa 75 milioni nel 2014. Poiché la Turchia ha oggi un livello di Pil pro capite pari a circa un terzo di quello europeo, per i prossimi decenni sarà ufficialmente classificata in ritardo di sviluppo (Pil pro capite inferiore al 75 per cento della media comunitaria). Ciò implica che, se il paese dovesse aderire all’Unione nel 2014, occorrerebbe stanziare, a parità di trattamento, circa 108 miliardi di euro per la politica regionale turca.
Si tratterebbe di una cifra di gran lunga superiore a quella mai stanziata per un singolo Stato membro e che, se aggiunta all’attuale dimensione delle risorse finanziarie europee, porterebbe da sola a superare abbondantemente il “tetto” storicamente imposto alle stesse (intorno all’1 per cento del Pil dell’Unione Europea, e senza considerare i maggiori aggravi di spesa che si avrebbero per finanziarie le altre politiche di una Unione di 28 Stati e 570 milioni di cittadini). In alternativa, si potrebbe pensare che il gruppo dei 15 rinunci integralmente ai propri fondi per la politica regionale (si risparmierebbero circa 98 miliardi di euro), ma continui a contribuire in eguale misura al bilancio comunitario per finanziare lo sviluppo regionale nei nuovi Stati membri dell’Est (nessuno di questi dovrebbe riuscire a superare la soglia del 75 per cento nel 2014) e in Turchia, cosa che sembra improbabile alla luce dell’esito dell’ultimo negoziato sulle prospettive finanziarie.
Né sembra molto corretto utilizzare la Turchia strumentalmente, al fine di ridefinire il problema dell’identità europea in chiave cristiana, come qualche politico europeo tenta di fare.
Da un punto di vista generale, escludere un paese sulla base di convinzioni religiose contrasta con l’essenza stessa del processo di integrazione europea, che definisce la sua identità nel rispetto dei valori della democrazia, della libertà individuale (dunque anche religiosa) e della tolleranza. Se invece il problema è quello della difficoltà nella convivenza tra due gruppi di diversa fede religiosa, non è la Turchia il vero oggetto del contendere: a parità di dinamiche demografiche e migratorie, l’Europa ospiterà nei prossimi anni circa 40 milioni di cittadini musulmani (concentrati nelle grandi città, e in maggioranza giovani). Se in Europa esiste un problema di convivenza con il mondo islamico, dovrà essere affrontato comunque, a prescindere dall’adesione turca.

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Il partenariato privilegiato

In una recente comunicazione sulla strategia dei futuri allargamenti (2), la Commissione europea ha, per la prima volta, fatto propria questa logica ufficializzando il criterio della “capacità di assorbimento“: la capacità di integrare paesi specifici sarà valutata analizzando l’impatto di tale allargamento sulle istituzioni, sul bilancio e sulle politiche dell’Unione. Da qui, la proposta di molti osservatori di formalizzare l’idea degli accordi di “partenariato privilegiato”: se l’Unione Europea non è pronta ad allargarsi a un paese candidato, è tuttavia auspicabile garantire la continuità giuridica dei progressi compiuti nell’ambito dei negoziati di adesione stipulando accordi che attivino le politiche comuni negoziate attraverso una dotazione finanziaria indipendente. Ciò consentirebbe di non inficiare il funzionamento dell’Unione nel suo complesso, e di non pregiudicare i rapporti con gli Stati candidati, che beneficerebbero comunque delle politiche comuni. (3)
È auspicabile che tale cambiamento di logica si faccia strada quanto prima anche tra le capitali europee, per non compromettere le relazioni con quello che è, e resterà in futuro, un partner strategico dell’Unione.


(1)
Si tratta dei capitoli seguenti: Capitolo 1 – Libera circolazione delle merci; Capitolo 3 – Diritto di stabilimento e libertà di prestare servizi; Capitolo 9 – Servizi finanziari; Capitolo 11 e 13 – Agricoltura e Pesca; Capitolo 14 – Politica dei trasporti; Capitolo 29 – Unione doganale; Capitolo 30 – Relazioni esterne.
(2) Com(2006) 649 dell’8 novembre 2006.
(3) Tali accordi sarebbero disciplinati dall’art. 310 del Tce, alla stregua degli attuali accordi di associazione, che in ogni caso richiedono l’unanimità del Consiglio e il parere conforme del Parlamento europeo. In tale senso sembra peraltro muoversi la recente proposta della Commissione europea, che lo scorso ottobre ha rafforzato la cosiddetta politica di vicinato dell’Unione Europea con una dotazione finanziaria di 11 miliardi di euro (Ec 1638/2006 del 24 ottobre 2006).

La Politica regionale nel 2007 – 2013: stanziamenti ufficiali per paese (milioni di €, 2004)

 

(1)

(2)

(3)

Totale Fondi Convergenza

(4)

(5)

(6)

Totale Paese

Belgique

  

579

579

 

1.268

173

2.019

Ceska Rep

7.830

15.149

 

22.979

 

373

346

23.697

Danmark

   

0

 

453

92

545

Deutschland

 

10.553

3.770

14.323

 

8.370

756

23.450

Eesti

1.019

1.992

 

3.011

  

47

3.058

Ellas

3.289

8.379

5.779

17.447

584

 

186

18.217

Espana

3.250

18.727

1.434

23.411

4.495

3.133

497

31.536

France

 

2.838

 

2.838

 

9.123

775

12.736

Ireland

   

0

420

261

134

815

Italia

 

18.867

388

19.255

879

4.761

752

25.647

Kypros

193

  

193

363

 

24

581

Latvija

1.363

2.647

 

4.010

  

80

4.090

Lietuva

2.034

3.965

 

5.999

  

97

6.097

Luxembourg

   

0

 

45

13

58

Magyarorszag

7.589

12.654

 

20.243

1.865

 

343

22.451

Malta

252

495

 

747

  

14

761

Nederland

   

0

 

1.477

220

1.696

Österreich

  

159

159

 

914

228

1.301

Polka

19.562

39.486

 

59.048

  

650

59.698

Portugal

2.722

15.240

254

18.216

407

436

88

19.147

Slovenija

1.239

2.407

 

3.646

  

93

3.739

Slovensko

3.433

6.230

 

9.663

 

399

202

10.264

Suomi-Finland

   

0

491

935

107

1.532

Sverige

   

0

 

1.446

236

1.682

UnitedKingdom

 

2.436

158

2.594

883

5.349

642

9.468

Bulgaria

2.015

3.873

 

5.888

  

159

6.047

Romania

5.769

11.143

 

16.912

  

404

17.317

Not Attributed

   

0

  

392

 

Total

61.559

177.081

12.521

251.161

10.387

38.743

7.750

308.041


(1) Fondo di Coesione (paesi con PIL pro capite in PPS < 90% media UE)
(2) Fondo di Convergenza (regioni con PIL pro capite in PPS < 75% media UE) – ex Obiettivo 1
(3) Phasing Out (regioni con PIL pro capite < 75% media UE-15)
(4) Phasing In (regioni che escono da Obiettivo 1)
(5) Fondo di Competitività e Occupazione – ex Obiettivo 2 & 3
(6) Azioni per la Cooperazione Territoriale (regioni transfrontaliere)

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  1. Andrea Colzi

    Spero che la politica europea (Francia compresa) si renda conto delle opportunità che derivano dai rapporti con la Turchia.
    Con chi, se non con Ankara, stabilire un partenariato o comunque un confronto costante sulle grandi questioni che sembrano compromettere il futuro delle nuove generazioni?
    Mi riferisco all’emergere di nuove potenze economiche e ai disagi che questo provoca nella Vecchia Europa. Ma anche ai conflitti politici, militari e culturali che segnano il nostro presente o che si profilano all’orizzonte.
    La Turchia è un banco di prova. Si tratta, infatti, del Paese islamico che più di ogni altro è stato partecipe della nostra storia.

  2. Gianmarco Bonfanti

    Vedo che ormai sia i commentatori che gli economisti, in Italia, stanno risolvendo la questione dell’adesione della Turchia alla UE con la formula del “partner privilegiato”.
    Fate però i conti senza il popolo turco, che conosco bene.
    Se il risultato finale di una serie (notevole) di governi turchi il cui principale compito è stato nel tempo quello dell’adesione piena alla UE, alla fine si risponderà con la formula del partner privilegiato (lo sono già per tanti aspetti) le conseguenze potrebbero essere:
    – ripercussioni sulle importazioni di prodotti di origine UE
    – rafforzamento dei nazionalisti
    – rottura di qualsiasi forma di collaborazione fra Turchia e UE
    – forte ripresa del pan-turchismo, con conseguente destabilizzazione di vaste regioni europee ed asiatiche
    – dire addio ad una soluzione dei problemi di Cipro
    – riaccendere la rivalità turco-greca
    Il rafforzamento dei nazionalisti potrebbe avere conseguenze molto serie (presa democratica del potere) grazie ad una legge elettorale particolare.
    Bisogna stare attenti prima di dire ai cittadini turchi: OK, siete europei, ma di serie B.
    I turchi, in nessun caso, accettano mai la serie B.

    • La redazione

      L’attuale base negoziale su cui si sta trattando l’adesione della Turchia, concordata nel 2005 dalla UE e dal governo turco (dunque a prescindere dagli eventi di questi giorni), prevede già la possibilità di “clausole di salvaguardia permanenti” nei settori della libera circolazione delle persone, della politica agricola, e della politica regionale. La possibilità di una
      membership “di serie B” è dunque già stata prevista dai Governi. Colpevolmente, tuttavia, non se ne parla, con il rischio che questo possa dare luogo alle conseguenze che lei prospetta una volta che la consapevolezza di ciò sia nota
      all’opinione pubblica turca.
      La proposta di partenariato privilegiato mira a superare questa ambiguità, non a rafforzarla, inserendo da subito le relazioni UE-Turchia in un quadro negoziale preciso, con tempi definiti ed obblighi reciproci realistici, lasciando aperta in un secondo momento la possibilità di membership piena,
      quando il quadro istituzionale turco, e sopratutto europeo, lo consentiranno.
      Questo permeterebbe di non danneggiare il quadro dei rapporti bilaterali, e di avanzare da subito nelle aree strategiche dove ciò è possibile (energia, politica estera, unione doganale), senza pregiudicare l’adesione futura.
      Se mi passa il parallelismo culinario, meglio avere mezza torta ben cotta domani, con la possibilità di avere tutta la torta ben cotta dopodomani, che una torta cotta male in un futuro incerto.
      Cordiali saluti

  3. Sergio Ascari

    Scrivo avendo recentemente vissuto ad Ankara per un anno e mezzo.
    Concordo sull’importanza dei fattori economici, oltre che di quelli politico-culturali, tuttvia non credo che i Turchi si aspettino dall’UE i 100 e passa miliardi che spetterebbero loro in base alla legislazione corrente. Non questo vogliono, ma piuttosto un genuino accesso ai mercati, delle merci, dei servizi e del lavoro.
    Concordo con Atomonte circa la strumentalizzazione di fattori religiosi che è stata fatta impropriamente da molti, specie in paesi germanofoni. Meno notata è invece la strumentalizzazione fatta dell’ingresso della Turchia da parte dei paesi “liberisti”, come la Gran Bretagna e (prima delle rsipettive ultime elezioni) Spagna e Italia, che hanno usato l’ingresso della Turchia come un ariete contro i paesi “renani”, che massimamente ne temevano l’impatto: in quanto l’ingresso della Turchia renderebbe insostenibile non solo la politica di coesione dell’UE, ma anche (e soprattutto) la famigerata politica agricola comunitaria di cui i paesi renani sono i massimi beneficiari (o almeno alcuni loro gruppi di potere molto influenti).
    Il partenariato non risolve, anzi aggrava, ha ragione Bonfanti.
    In fondo ha ragione la UE: continuare a sostenere l’adesione, e sperare che nei 10-15 anni prima della stessa politiche comunitarie comunque disastrose siano state riformate, non solo per la Turchia.
    Il vero problema della quale non è nè la sua povertà nè la sua religione. Piuttosto, è il ruolo ancora enorme che in essa ha il virus del nazionalismo autoritario, nato come in altri paesi tra le due guerre ma non guarito dalle dolorose ma salutari cure delle sconfitte militari (come in Germania e Italia) o economiche (come in Spagna e all’Est).
    Contro questo virus oggi l’unica strada realistica – dato che nessuno pensa alla guerra – è la prospettiva dell’islamismo moderato di Erdogan all’interno e quella dell’integrazione europea all’esterno. Tenendo duro sui principi.

  4. Gianfranco Viesti

    L’argomento “bilancio dell’Unione” è effettivamente usato da molti oppositori dell’ingresso della Turchia. Ma, a parte il fatto che andrebbe comparato con i vantaggi anche economici derivanti dal futuro ingresso della Turchia nell’UE, va riportato anche nelle sue giuste proporzioni. Non si può stimare il costo della politica regionale UE per la Turchia moltiplicando popolazione per erogazione media attuale, dato che esiste un tetto (capping) alle erogazioni che nel caso della Turchia sarebbe al 3,8% del suo PIL (Reg CE del Consiglio 1083/2006, 11.7.2006, all. 2, punto 7). Ciò produrrebbe un potenziale esborso di gran lunga inferiore.

    • La redazione

      Caro Professor Viesti, grazie per il Suo intervento che mi consente di chiarire meglio un punto.
      Innanzitutto, il tetto del 3,7893% del PIL per le erogazioni della politica regionale (questa la cifra del Regolamento CE 1083/2006 per i paesi con un Pil pro capite inferiore del 40% alla media UE) rappresenta, se non erro, la capacità di assorbimento definita sugli stanziamenti annuali.
      Nel caso Romeno (PIL di 79,3 miliardi di euro nel 2005 secondo gli ultimi dati Eurostat), otteniamo ad esempio un massimo di stanziamenti annuali pari a circa 3 miliardi di euro, che moltiplicato per i sette anni delle prospettive finanziarie 2007-2013 vincola il tetto di risorse disponibili per l’obiettivo convergenza in Romania a circa 21 miliardi di euro. Correttamente, la Commissione Europea propone di stanziare circa 16 miliardi di euro per la Romania per il periodo 2007-2013, dunque restando al di sotto di tale soglia.
      Facendo lo stesso esercizio per la Turchia, partiamo da un PIL nel 2005 di 290,5 miliardi di euro (stessa fonte Eurostat), cui applichiamo un tasso di crescita medio del 7 per cento per i prossimi sette anni, ottenendo nel 2014 un PIL pari a circa 466 miliardi di euro. Supponendo che i nuovi regolamenti attuativi dal 2014 non varino la soglia del massimale di aiuto, otteniamo un tetto di circa 17,7 miliardi di euro l’anno, che moltiplicato i sette anni delle prospettive finanziarie 2014-2020 ci porta ad un massimale di aiuto per la Turchia pari a 124 miliardi di euro per l’obiettivo convergenza. La mia stima di 108 miliardi di euro è dunque conservativa (se ad esempio ipotizziamo un tasso di crescita dell’economia turca inferiore).
      In generale, comunque, al di là dell’ammontare complessivo delle cifre che al momento possiamo solo ipotizzare (non sappiamo quali saranno i regolamenti attuativi dei fondi strutturali in una Europa a 28 o più Stati membri), il mio punto è che l’ingresso della Turchia a diritto europeo costante cambierebbe profondamente la natura dell’Unione, perchè la stessa non sarebbe più in grado di garantire alcuni dei suoi tratti essenziali, a partire da quella politica regionale su cui Lei ha così ben scritto in questi anni. Siccome sono un convinto sostenitore dell’adesione della Turchia ad una Unione europea più forte, non più debole, ritengo che il modo migliore di non “perdere” la Turchia quale futuro Stato membro sia quello di assicurarci una tappa intermedia nel percorso di adesione (il partenariato privilegiato) nell’attesa che l’Unione sia forte abbastanza per accoglierla, senza dover rinunciare per questo a pezzi importanti del suo percorso di integrazione.

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