Le conclusioni del rapporto Stern potevano avere un impatto significativo sui tavoli del negoziato all’annuale meeting Cop/Mop conclusosi qualche settimana fa a Nairobi. Invece, anche questa volta i progressi sono scarsi. Al solito, bisogna guardare al futuro. Anche se una lezione l’abbiamo imparata: al termine degli incontri ufficial-istituzionali aventi per tema il clima e i suoi cambiamenti vi sono sempre quelli che ne decretano il successo e quelli che ne bollano l’insuccesso. A Nairobi quanti erano i primi e quanti i secondi?

Alcuni governi, primo fra tutti quello degli Stati Uniti, stentano a riconoscere i benefici di un’azione preventiva in materia di cambiamento climatico, che invece è sostenuta da molti in ambito accademico e scientifico ed è la premessa sottostante ai tentativi che la politica ha fin qui compiuto per abbattere le emissioni mondiali, come il Protocollo di Kyoto. E se negli Stati Uniti qualcosa potrebbe cambiare in seguito alle elezioni di midterm, per l’Unione europea si avvicina l’importante appuntamento dell’approvazione dei piani nazionali di allocazione per la seconda fase del meccanismo di Emission Trading (Ets), che deve essere definita entro la fine di dicembre 2006. Il recente rapporto Stern, per esempio, pone grande enfasi sull’efficienza economica di meccanismi di cap-and-trade e dà credito alla posizione secondo la quale, nella seconda fase dell’Ets, sarà necessaria un’allocazione nazionale più severa, un ruolo più ampio per le aste dei permessi di emissione e un maggiore uso dei crediti provenienti dall’abbattimento non domestico delle emissioni.
Anche sul fronte del negoziato globale, il rapporto Stern sembrava destinato a rafforzare la posizione di quei paesi, tra cui il Regno Unito, che sostengono la necessità di più ampie negoziazioni internazionali. Poteva dunque essere utile alla conferenza Cop/Mop di Nairobi per mettere gli Stati Uniti e alcuni importanti paesi in via di sviluppo di fronte alle loro responsabilità. Ci è riuscito?

La conferenza di Nairobi

Con il rapporto Stern sullo sfondo (1), per due settimane a partire dal 6 novembre scorso, i delegati dei 189 paesi aderenti alla Convenzione quadro dell’Onu sui cambiamenti climatici (Unfccc) si sono dati appuntamento a Nairobi per la dodicesima Conferenza delle parti (Cop12). In parallelo si è riunito il secondo Meeting delle parti (Mop2), i paesi che hanno ratificato il Protocollo di Kyoto.
Alla vigilia vi erano molte aspettative, soprattutto per la definizione del regime post-2012 e il potenziamento dei meccanismi flessibili, in particolare il Clean Development Mechanism (Cdm), del Protocollo di Kyoto. E la Cop africana non poteva non porre l’accento su argomenti cari ai paesi più poveri e all’Africa, quali la riduzione della deforestazione, il trasferimento di tecnologie pulite verso i paesi in via di sviluppo, lo stanziamento di finanziamenti e la definizione di programmi per implementare misure di adattamento nei paesi più poveri (Adaptation Fund e Piano Quinquennale per l’Adattamento).
Sul tema più caldo, il post-2012, i negoziati non hanno dato grandi frutti e le posizioni della vigilia sono rimaste praticamente invariate. L’Europa alla testa delle nazioni “virtuose”, desiderose di coinvolgere il numero più ampio di soggetti, si è scontrata con la forte resistenza di Usa, Cina e India verso ogni forma di tetto vincolante alle emissioni.
La Conferenza, ai sensi dell’articolo 9 del trattato di Kyoto, doveva anche impegnarsi in un’approfondita rassegna (Review) del Protocollo. (2) Ma la discussione si è trascinata sull’interpretazione ed estensione da dare a tale Review, con i paesi dell’Unione Europea e Annex I contrapposti al G77 e alla Cina. I primi sono per una revisione capillare del Protocollo nel giro di una paio di anni. Viceversa, Cina e G77 osteggiano l’estensione della Review, che dovrebbe essere limitata e non riguardare la fissazione di tetti alle emissioni per i paesi in via di sviluppo, e ne allungano i tempi, con un programma di cinque anni per la stesura della seconda revisione). In extremis è stato raggiunto un compromesso: la seconda revisione sarà approntata nel 2008 e non identificherà necessariamente obblighi per le parti. In sostanza, si è deciso di decidere nel 2008. Poteva andare peggio, se si pensa che si sarebbe anche potuto decidere di decidere di decidere…(3)
Le cose non sono andate meglio sui Clean Development Mechanism: si è discusso di molto, si è deciso su poco. (4) Oltre che dell’annoso tema dell’equa distribuzione dei benefici dei Cdm tra i paesi più poveri (dei progetti registrati, solo l’1,7 per cento è collocato nell’Africa sub-sahariana), la Cop ha discusso di velocizzazione dell’iter di registrazione dei progetti, di meccanismi perversi legati all’abbattimento degli idrofluorocarburi (Hfc), delle nuove metodologie di sequestrazione geologica del biossido di carbonio.
Sui primi due punti la Conferenza ha espresso un chiaro parere, sollecitando i paesi industrializzati a dare supporto finanziario a quelli poveri nello sviluppo di progetti Cdm e richiedendo una semplificazione burocratica del processo di registrazione dei progetti. Più complicata invece è sembrata la discussione sugli altri due temi. Il dibattito sugli Hfc, focalizzato su come utilizzare gli ingenti ricavi derivanti dalla vendita dei crediti in modo da disincentivare lo sviluppo dei progetti, non sembra portare ad alcun accordo nell’immediato. (5) Mentre la discussione sulla sequestrazione della CO2, avviata l’anno scorso alla Cop11 di Montréal e proseguita lo scorso maggio a Bonn, ha subito un forte rallentamento in quanto tecnologia non ancora utilizzabile: ogni decisione in merito è stata rimandata alla Cop14 che si terrà solo nel 2008.
In generale, la Conferenza di Nairobi è stata interlocutoria. In particolare, se paragonata alla Cop11 di Montréal, in cui la presidenza canadese si era spesa moltissimo e con successo per coinvolgere anche gli Stati Uniti nelle discussioni sul post-Kyoto, ha aggiunto ben poco al dibattito sul futuro regime e soprattutto sembra avere dissipato il lieve ottimismo che era scaturito dal meeting precedente. Purtroppo, con molta probabilità nemmeno la Cop13 del 2007 dirà qualcosa di significativo. Sembra ormai chiaro che il vero accordo sul post-Kyoto si definirà a partire dal 2008 o più probabilmente nel 2009, quando una nuova amministrazione americana potrebbe fare invertire rotta agli Usa e ricomporre una frattura negoziale che attualmente sembra insanabile.
Finora una lezione l’abbiamo imparata: al termine degli incontri ufficial-istituzionali aventi per tema il clima e i suoi cambiamenti vi sono sempre quelli che ne decretano il successo e quelli che ne bollano l’insuccesso. A Nairobi quanti erano i primi e quanti i secondi?

Leggi anche:  Fine del mercato tutelato dell'energia: chi ci rimette e chi no

(1) La presidenza finlandese dell’Unione Europea ha organizzato a Nairobi un seminario sul rapporto Stern che ha riscosso un notevole successo di partecipazione. Il rapporto è scaricabile all’indirizzo www.hm-treasury.gov.uk/independent_reviews/stern_review_economics_climate_change/stern_review_report.cfm
(2) L’articolo 3.9 del Protocollo prevede anche una Review degli obblighi delle parti Annex-I, ma anche qui è andato in onda il contrasto tra questi ultimi e il G77-più-Cina. Si aggiungeva poi una discussione promossa dalla delegazione russa circa la possibile adozione di target volontari e il proposto generico “Dialogue on Long-term Cooperative Action to Address Climate Change by Enhancing Implementation of the Convention” che non si svolge in ambito Kyoto ma Unfccc.
(3) Il lettore può integrare queste brevi considerazioni consultando due articoli dell’Economist dal titolo significativo: “Add your own joke about hot air here” del 20 novembre 2006 (edizione online) e “How to make them feel the heat” del 23 novembre 2006 (edizione stampata).
(4) I Cdm sono progetti tecnologici a migliore impatto ambientale che i paesi sviluppati realizzano in quelli in via di sviluppo. Le minori emissioni che risultano da tali progetti rispetto ad alternative più inquinanti in quanto meno tecnologicamente avanzate, ovvero dalla sostituzione di tecnologie inquinanti già esistenti, danno luogo a crediti di emissioni di cui beneficia il paese che ha realizzato il progetto. Cruciale in questo meccanismo è il termine di riferimento rispetto al quale si definiscono le minori emissioni.
(5) Gli Hfc sono potenti gas clima-alteranti sottoprodotto dei processi di produzione dei refrigeranti Hcfc, gas messi al bando dal protocollo di Montréal in quanto dannosi per l’ozono. I forti ricavi dei progetti Cdm relativi all’abbattimento degli Hfc rischiano di incentivare la produzione degli Hcfc. Paesi dell’Unione e latino-americani si contrapponevano ancora una volta a Cina e India, le nazioni che maggiormente sviluppano tali progetti.

Lavoce è di tutti: sostienila!

Lavoce.info non ospita pubblicità e, a differenza di molti altri siti di informazione, l’accesso ai nostri articoli è completamente gratuito. L’impegno dei redattori è volontario, ma le donazioni sono fondamentali per sostenere i costi del nostro sito. Il tuo contributo rafforzerebbe la nostra indipendenza e ci aiuterebbe a migliorare la nostra offerta di informazione libera, professionale e gratuita. Grazie del tuo aiuto!

Leggi anche:  Tra comunità energetiche e fisco una relazione in divenire