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Riforma del pubblico impiego

Al tavolo delle trattative per il pre-accordo tra Governo e sindacati sui rinnovi dei contratti collettivi degli statali, che si riapre questa mattina, si discuterà anche del progetto di istituzione di una Authority per la valutazione dell’efficienza e produttività delle strutture pubbliche e dei loro dipendenti, elaborato da un gruppo di giuristi coordinato da Pietro Ichino e Bernardo G. Mattarella, che è stato presentato ieri al Governo e ai Segretari generali delle confederazioni sindacali maggiori. Ne pubblichiamo una sintesi e il testo integrale.

Al tavolo delle trattative per il pre-accordo tra Governo e sindacati sui rinnovi dei contratti collettivi degli statali, che si riapre questa mattina, si discuterà anche del progetto di istituzione di una Authority per la valutazione dell’efficienza e produttività delle strutture pubbliche e dei loro dipendenti, elaborato da un gruppo di giuristi coordinato da Pietro Ichino e Bernardo G. Mattarella, che è stato presentato ieri al Governo e ai Segretari generali delle confederazioni sindacali maggiori. Ne pubblichiamo una sintesi e il testo integrale.

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Sommario 12 dicembre 2006

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45 commenti

  1. Giacomo Costa

    Perché il progetto del governo di istituire un’autorità per la valutazione della P.A. dovrebbe essere oggetto di trattativa preliminare con i sindacati?
    Non gli si riconosce in questo modo un potere e addirittura un’autorità almeno settoriale che nel nostro ordinamento costituzionale non hanno?

    • La redazione

      Come sempre, anche qui la concertazione ha un senso se tra le parti c’è almeno una comunanza di vedute sugli obbiettivi da raggiungere e i vincoli da rispettare. Se si dovesse constatare che questa non c’è, sarei d’accordo con Lei: il Governo e il Parlamento dovrebbero procedere rinunciando al
      consenso dei sindacati. Nessun autoritarismo in questo: il progetto non fa altro che dare attuazione al principio costituzionale del buon andamento dell’amministrazione, disponendo i necessari controlli e senza inervenire per nulla sulle materie riservate alla contrattazione collettiva. p.i.

  2. Povero Osservatore Indifeso

    La lunga querelle sollevata da Ichino mi ha spinto a scrivere queste due parole… Ma prima di iniziare vorrei chiedere scusa dell’anonimato ma per ragioni di correttezza ho preferito questa identità meglio questo non – identità.
    Quanto Ichino ha scritto circa il lavoro dei dipententi pubblici lo vivo io ogni giorno sotto i miei occhi. Io non sono un dipendente pubblico, appartengo a quella non categoria dei consulenti esterni dei quali alcune amministrazioni si avvalgono per ovviare ad alcune deficienze interne. La vita lavorativa che comunque conduco è ormai assimilata a quella di un ministeriale qualsiasi e posso assicurare che la realtà dei fatti è a mio giudizio scandalosamente imbarazzante. Sono molto giovane e solo ora, grazie a questa esperienza, ho capito molte cose, ho capito perchè a grandi linee, per essere positivi, l’Italia non va, si è tragicamente arenata. I procedimenti sono veramente barocchi, l’ignoranza impera e il lamento è all’ordine del giorno. Molti sono i loro privilegi. Ma di questo loro non se ne rendono conto. E l’unica cosa che sanno fare è solo pretendere e sommare giornalmente pretese salariali e non su altre pretese. Riposi compensativi, art. 18. legge 104, permessi studio, ferie, e sono solo alcuni esempi per giustificare le loro assenze. I corridoi sono pieni di un popolo di ciondolatori, le scrivanie sono solo piene di quantità enormi di carte, e poi è difficile trovarle al momento opportuno, le regole della buona educazione qui sono bandite, ad un saluto non si è quasi mai corrisposti, ognuno è geloso della propria scrivania, del proprio telefono, ognuno qui dentro è un genio incompreso. Qui la saccenza, l’invidia, il pettegolezzo, il non-dialogo, la boria, la tracotanza sono le uniche fedeli compagne dei ministeriali. Chi è “diverso” da tutto ciò viene defenestrato psicologicamente e meschinamente con una lucida cattiveria.
    Le mie parole non sono gonfiate dalla rabbia che serbo in corpo, ma solo frutto di lucida osservazione.

    • La redazione

      Uno degli obbiettivi della nostra proposta è proprio quello di incominciare a voltar pagina rispetto alla situazione descritta da Cicciocapriccio: tanti altri hanno descritto situazioni analoghe nei loro interventi delle scorse settimane! Qui si vede come l’aspetto etico della questione abbia un’importanza rilevantissima anche sul piano economico, per l’efficienza
      delle strutture. p.i.

  3. Giacomo Dorigo

    Ma dopo la concertazione non verrà annacquata anche questa?

    • La redazione

      Il rischio c’è. Spetta all’opinione pubblica vigilare e far sentire al Governo e ai sindacati la propria pressione. p.i.

  4. Pippo Ranci

    Bene questa nuova autorità ma perché insistete nell’uso del termine Authority?

    • La redazione

      Pippo, hai ragione; ma nell’uso corrente – anche per merito dell’esperienza svolta dai Garanti di quest’ultimo decennio – il termine inglese ha assunto un significato più garantista e meno… autoritario. Visto che siamo stati accusati di “delirio autoritario”, dobbiamo starci attenti! p.i.

  5. nico deleonardis

    Mi sembrano tutte proposte condivisibili tranne quella di legare il 50% della retribuzione del dipendente pubblico al risultato (visti gli stipendi medi e le maggioranze parlamentari attuali…)
    Mi sarei aspettato una norma che:
    a) cancellasse tutti gli organismi di consiglio/colleggio/direzione di nomina politica esistenti in strutture di tipo strumentale (asl, arpa, società comunali,…)
    b) alcuni correttivi allo spoil system che ormai arriva quasi al funzionario o al centralinista tipo inapplicabilità del meccanismo negli enti posti a tutela di interessi generali/costituzionali (sanità, ambiente, protezione civile,…)
    c) magari mettere un sistema nazionale sulle mobilità tra enti più trasparente per il pubblico dipendente (indirettamente è un mezzo per capire situazioni di disagio interno…)
    sono un dipendente pubblico e un ex “controllore di gestione”

    • La redazione

      La disposizione relativa al vincolo del 50% della retribuzione legata al raggiungimento dei risultati stabiliti riguarda solo i dirigenti: la formulazione è stata debitamente corretta per evitare ogni equivoco, sia nel testo presentato oggi (18 dicembre) in Parlamento sia nel testo qui disponibile on-line. Gli altri suggerimenti sono tutti interessanti: li raccogliamo, con gli altri che arriveranno, in funzione delle rielaborazioni
      future del progetto. p.i.

  6. Alessandro

    Egregio prof. Pietro Ichino,

    ho appena finito di leggere il disegno-legge che avete presentato al Governo il quale dovrebbe sottoporlo ai sindacati sul tavolo di concertazione per il rinnovo del CCNL.
    Quale dipendente pubblico che lavora sodo, non ho nulla da temere e non posso che applaudire e approvare questa iniziativa.
    Vorrei farLe però una domanda: Lei che è stato Deputato al Parlamento durante la VIII Legislatura, non ritiene che anche i parlamentari siano dipendenti pubblici e, quindi, assoggettati a codesta proposta? Questa mia domanda semplicemente perchè non ritengo corretto che queste persone percepiscano in un mese quello che io percepisco in un anno, senza avere neanche un criterio di valutazione della produttività o un obbiettivo da raggiungere (se non quello di far lievitare il debito pubblico).
    RingraziandoLa porgo i miei più cordiali saluti nonchè i miei complimenti per il suo libro.

    • La redazione

      Caro Alessandro, sono in molti a porre la questione. Ma la risposta, se crediamo nella democrazia, può essere una sola: il parlamentare risponde soltanto ai suoi elettori; non si può e non si deve assoggettarlo ad altri controlli. I suoi elettori lo hanno “assunto” a termine: se non li soddisfa, sono loro a doverlo lasciare a casa alla prossima scadenza. Certo, la legge elettorale attuale (che giudico pessima, proprio per questo aspetto) costringe l’elettore a ingaggiare in blocco il gruppo di candidati scelto da un partito: se scontento, quindi, la prossima volta egli dovrà “licenziare” l’intera lista. Occorre cambiare questa legge.
      Quanto alla retribuzione del parlamentare, mi accontenterei di una sua maggiore trasparenza; la sua entità complessiva non mi sembra più alta di quella degli alti dirigenti di grandi imprese. Piuttosto che ridurre le retribuzioni dei parlamentari, ridurrei il loro numero; e auspicherei un bel sistema elettorale a collegio uninominale con doppio turno, che consenta
      davvero agli elettori di scegliere e licenziare il proprio rappresentante in Parlamento, controllando da vicino il suo operato. Solo loro possono e devono farlo.
      p.i.

  7. coppola

    Gentile prof. Ichino, è ormai da agosto inoltrato che seguo con interesse l’affaire pubblico impiego. Merito suo è quello di aver sollevato il tappo su questo calderone, e le dichiarazioni di approvazione dei cittadini dimostrano che la vicenda è quanto mai sentita.
    Chi scrive è un impiegato e un sindacalista della CGIL e, non solo per la duplice veste, ma anche come cittadino, ho da farle alcune domande, dopo una fugace lettura della Sua proposta:
    proporre la creazione di una Autorità (un’altra?) non significa dichiarare il fallimento delle Bassanini che si basavano sui controlli interni sopprimendo quelli esterni (vedi Coreco)?
    Perchè, ed è un’altra domanda, non si pone con forza la questione del fallimento dei meccanismi di scelta della dirigenza? Sa come si dice? Quando il pesce puzza dalla testa…… nel senso che un apicale scelto, quasi sempre, per convenienza politica dovrebbe essere “verificato” da membri scelti , a loro volta, dalla politica!!!
    No, penso che la questione sia un’altra!
    La questione è la valorizzazione delle risorse della P.A., di quelle interne; permettere di far emergere talenti, che ci sono, ma che vedono inesistenti prospettive di carriera perchè una normativa ingessata non permette, da una parte di licenziare, e udite udite io sono d’accordo sul licenziamento, e dall’altra di emergere meritocraticamente……
    vuole un esempio? 28 anni, laurea, master, inglese fluente, tesi in attesa di pubblicazione e….. metto timbri!!!!
    allora di che cosa stiamo parlando?
    Per ragioni di spazio mi fermo e attendo una risposta.. torno al mio lavoro perchè non vorrei finire nel calderone degli inadempienti
    grazie

    • La redazione

      Caro Coppola, questo progetto di legge si propone proprio di perfezionare (e correggere nella parte in cui non ha funzionato) quanto disposto dalla “legge Bassanini” del 1999, affidando a un Garante centrale i compiti:
      i) di esigere la costituzione degli organi di valutazione che essa prevedeva,
      ii) di garantirne l’indipendenza sia dalla dirigenza del comparto, sia dai politici, sia dal sindacato,
      iii) di controllare che gli organi stessi svolgano la loro funzione, offrendo loro supporto tecnico e coordinamento,
      iv) di intervenire in via sussidiaria soltanto dove ciò sia reso necessario dall’inerzia dell’organo di di valutazione di comparto,
      v) di garantire la disponibilità di tutti i dati su cui si fonda la valutazione interna alle associazioni degli utenti, i ricercatori e chiunque altro vi abbia interesse, al fine di consentire anche la valutazione dall’esterno. Quanto alla responsabilità prioritaria dei dirigenti, il progetto la sottolinea in più punti, predisponendo alcuni meccanismi atti a rendere effettiva la loro responsabilità, sia sul piano disciplinare, sia su quello oggettivo (art. 21 del testo unico del 2001). Per il resto, condivido pienamente le sue osservazioni sulla necessità di valorizzare pienamente le grandi risorse professionali che oggi, nella nostra amministrazione pubblica, sono
      mortificate. Proprio per questo occorre attivare gli incentivi giusti; e questo è ciò che il progetto si propone.
      p.i.

  8. vittorio

    Sono un giovane funzionario pubblico e concorde con tutte quelle proposte tese a favorire il miglior funzionamento della res pubblica. Ma attenzione a non “privatizzare” la funzione pubblica e a “civilizzare” il diritto amministrativo e la sua funzione che è il procedimento amministrativo. L’interesse pubblico è una cosa seria! Per il resto vorrei tanto credere che il mio misero stipendio possa aumentare in ragione della mia produttività: potrei, così, finalmente dire di avere uno stipendio decoroso, proprio di un ragazzo laureato, con l’abilitazione, con un master universitario alle spalle in un paese chiamato “Europa”.
    VADA AVANTI, ma qui nel mio ministero c’è tanta gente che si gira i pollici e guadagna ottimi stipendi.
    Ultimo argomento le sacche di benessere dei dipendenti pubblici non privatizzati: assurdo! E’ la dimostrazione dell’esistenza di vere e proprie caste: quella dei militari, dei magistrati, ad esempio,dove si nasce sottonente o uditorie e si finisce generale o consigliere di cassazione per anzianità altro che valutazione della produttività. Buona giornata.

  9. Aurelio

    Caro Prof. Ichino,
    la proposta di legge esprime un’idea interessante, ma ha il limite di tentare l’introduzione di un rimedio ex post ad una situazione assai compromessa, che richiede interventi alla radice del problema della produttività dei pubblici dipendenti.
    Anzitutto, occorrerebbe disboscare le troppe situazioni di privilegio (retribuzioni multiple rispetto a quelle ministeriali (dipendenti del parlamento, diplomatici, professori d’università), carriere automatiche (magistrati), separazione tra i quadri organici delle varie amministrazioni (interno, estero, sanità), assurda generosità delle regioni a statuto speciale (in testa, la Sicilia), managerilaizzazione nominale ma non effettiva (sanità), privatizzazione del reclutamento (università), indennità stratosferiche (diplomatici all’estero), legame perverso tra remunerazione dei magistrati e quella dei politici (sulla base di un trattamento dei magistrati che è il 2° più elevato nell’UE), ecc.
    Ne consegue che, prima di imporre criteri di efficacia ai ministeri, che sono una parte modesta (circa 250.000 persone) dell’universo della funzione pubblica) – perché a questo si ridurrebbe l’effetto pratico della proposta – andrebbe disboscata la giungla retributiva. Ció potrebbe essere fatto attraverso la creazione di una “griglia” che ricomprenda tutte le retribuzioni di base del settore pubblico. Questo trattamento potrebbe essere completato – soltanto nei casi che lo meritano, in base a criteri oggettivi – da compensi complementari in funzione delle necessità operative e di mercato dei vari settori. In questo quadro, sarebbe logico inserire previsioni annuali di produttività per comparto, legando la retribuzione – dei dirigenti in maggior misure, degli altri in minor misura – ai risultati raggiunti. Infine, dei criteri di produttività andrebbero previsti per tutti: anche per i magistrati (oggi chi completa 10 fascicoli all’anno è pagato come chi ne fa 100) ed i docenti (numero di laureati, di pubblicazioni, ecc.

    • La redazione

      Non comprendo perché il disboscamento della giungla retributiva debba necessariamente precedere l’attivazione di un sistema efficace di valutazione: le due cose si collocano su due piani diversi (tutt’al più complementari). p.i.

  10. giuseppe naimo

    Egregio Professor Ichino, ho letto con grande attenzione il progetto di legge per l’istituzione di una Autorità di controllo sul pubblico impiego, e lo trovo non solo condivisibile, ma addirittura essenziale per dare dignità all’Istituzione! Trovo però altrettanto essenziale, in correlazione con l’impronta che tale disegno di legge tende a dare alla P.A., che i promotori si spendessero anche per far sì che venga finalmente data attuazione all’art. 40, c.3,D.Lgs. 165/01, che prevede per i professionisti in servizio presso le PP.AA. siano stabilite discipline distinte nell’ambito dei contratti collettivi di comparto. La prevalenza nella figura del professionista dipendente della componente “professionale”, sancita ufficialmente dall’art. 2, c.3, D. Lgs. 30/96,e confermata dal DDL sul riordino delle professioni intellettuali presentato di recente, viene costantemente mortificata in sede di contrattazione collettiva: il Comitato di Settore, in relazione al CCNL Comparto Regioni EE.LL. approvato nel gennaio 2004, aveva fatto espressa richiesta di una modificazione del sistema di classificazione del personale, attraverso l’introduzione nello stesso di una specifica area delle alte professionalità. Le solite pressioni sindacali hanno fatto sì che la montagna partorisse il topolino: sono stati previsti in materia non inquadramenti, bensì incarichi, e – in perfetto stile italiano – si è stabilito che venisse istituita “entro 30 gg.” una Commissione che si pronunciasse sull’argomento: inutile precisare che dal febbraio 2004 ad oggi di questa Commissione si sono perse le tracce! Gradirei conoscere il Suo pensiero sul punto. Cordiali saluti.

  11. Michele Rinaldi

    Sono perfettamente d’accordo sul controllo dell’efficienza delle strutture pubbiche.I controlli interni sono spesso inutili e costosi apparati burocratici che non raggiungono lo scopo.Quindi occorre che essi avvengano dall’esterno delle strutture.I cittadini hanno il diritto di sapere se i loro soldi vengono spesi al meglio.Grazie e auguri

  12. Carlo Simeone

    Sul tema segnalato da Pietro Ichino si sono levate in passato diverse letture che hanno messo in luce quanto costa al paese, anche in termini di ritardi nel suo sviluppo, un’amministrazione autoreferenziale e poco trasparente. Lo ha fatto Confindustria ma poco il sistema politico nazionale attraverso le riforme. Ci si dovrebbe chiedere come mai gli atti del parlamento ricevono una pubblictà trasparente attraverso la quale ogni cittadino può conoscere puntualmente tutti i dettagli. Invece, nulla si sa delle centinaia di migliaia di decreti e regolamenti che i vari Ministeri sfornano a profusione e che incidono concretamente sulla vita produttiva e sociale del Paese. Occorerebbe chiedersi in quale misura una simile prassi abbia allontanato i cittadini dalla pubblica amministrazione alimentando quel potere discrezionale che i funzionari pubblici difendono a denti stretti. Inoltre, c’è anche da chiedersi se questa discrezionalità abbia potuto favorire tangentopoli. E’ necessario intervenire in materia sulla legge 400 del 1998 ed in particolare sulla prassi in uso in tante leggi che rinviano l’applicazione di tante norme alla decretazione ministeriale che arriva in tanti casi al di fuori dei termini temporali previsti dalla legge e sulla quale il Parlamento non verifica mai nulla.

    • La redazione

      Non credo che la cura migliore stia nell’invertire il processo di
      delegificazione, attuato negli anni passato col trasferimento di materie dalla fonte primaria (norma legislativa) a quella secondaria (norma regolamentare), passando a una fase di ri-legificazione delle stesse materie. La cura dovrebbe consistere semmai nel ridurre progressivamente la
      regolazione minuziosa del funzionamento delle amministrazioni (sia essa attuata per legge o per regolamento) con un sistema tendente essenzialmente
      al controllo dei risultati. Dove è possibile lasciare questo controllo agli utenti, dando loro l’opzione exit (cioè introducendo meccanismi di mercato nell’amministrazione pubblica), questo è la soluzione preferibile. Dove
      questo non è possibile, occorre dare ai cittadini-utenti almeno l’opzione voice: cioè una possibilità di controllo penetrante e di denuncia delle inefficienze, in contraddittorio con gli organi interni di valutazione.
      (p.i.)

  13. d.s.

    Ho letto il suo libro in una serata, e il giorno dopo ne ho regalato alcune copie ai miei genitori, che da trent’anni sono direttori amministrativi di istituti scolastici o enti locali, e al mio adorato professore, ora direttore di dipartimento in università.
    Mia madre al momento si trova a lottare per l’allontanamento di un impiegato che in diverse occasioni aveva insistito con delle avances sulle giovani studentesse, ottenendo solo una breve sospensione e un eventuale ennesimo trasferimento del soggetto (che viene passato di scuola in scuola per rinnovare i suoi propositi in un nuovo ambiente). Sempre mia madre, interviene periodicamente per restituire un minimo equilibrio nella distribuzione a pioggia del “premio incentivante”, ovviamente attirandosi le antipatie e le ritorsioni delle RSU e dei nullafacenti. Perchè poi non è vero che i nullafacenti si astengono da ogni attività: di solito sono estremamente prodighi di polemiche e contribuiscono come meglio possono ad alimentare il clima di astio contro il direttore/dittatore. Mio padre è un “quadro” che ha raggiunto un’invidiabile esperienza pienamente utilizzata dagli strapagati dirigenti, che lo interpellano in ogni occasione, si appropriano con una firma dei suoi documenti, e lo ringraziano con una pacca sulla spalla.
    Nel dipartimento in cui lavoro, poi, la situazione è folle. Su 7 amministrativi, una è in maternità (o sim.) da 6 anni, due sbrigano quotidianamente solo affari privati o cruciverba, altri due lavorano il minimo indispensabile – lamentandosi dei troppi incarichi e della mala-organizzazione – e gli altri due portano avanti la baracca da soli. Per non parlare poi degli accademici su cui ometto ogni commento, dato che oramai si sfiorano i livelli del ridicolo. E sono d’accordo con chi difende le consulenze: oramai sono l’unico modo per aggirare le mummie della p.a. e tentare di realizzare qualche risultato.

    • La redazione

      Grazie della… diffusione militante del libro. E raccomandi ai genitori di tener duro: quelli come loro, nelle amministrazioni pubbliche, sono tanti; e voltar pagina rispetto a questa situazione è possibile! (p.i.)

  14. costanza pera

    Lavoro da vent’anni come direttore generale presso la pubblica amministrazione statale e sono totalmente d’accordo con l’articolo del prof. Ichino sul Corriere della sera di ieri. Anzi, sono fermamente convinta che l’organizzazione dei dati relativi ai processi di lavoro e la loro accessibilità sia l’unica strada per aumentare l’efficienza delle strutture pubbliche (immagino anche di quelle private, per la verità), tenere sotto controllo le necessità stategiche, ridurre o governare l’entropia e innescare una sorta di virtuosa competizione tra strutture. Questa, almeno, è la mia esperienza, e ho fatto anche il direttore generale del personale in un ministero di 5.500 dipendenti otetnendo alcune non banali soddisfazioni di risulaltato.
    Ho letto il disegno di legge e ne comprendo e condivido lo spirito di fondo.Vedo però questi problemi, che seganlo al prof. Ichino.
    1. I ministri, per restare alle amministrazioni statali, o comunque coloro che sono pur sempre a capo dell’amministrazione col potere di sceglierne i vertici operativi e decidere le riforme interne, sono completamente tagliati fuori dal rapporto Autorità-strutture ministeriali. Si immagina il controllo come una circolazione sanguigna extracorporea rispetto al circuito ordinario di decisione, comando e controllo del merito delle attività. Mi sembra un grave errore, perchè se le amminsitrazioni non funzionano dipende in misura sostanziale dal disinteresse del vertice politico nei confronti del loro funzionamento effettivo. I controlli di gestione sono stati finora una finzione soprattutto perchè i responsabili politici non dedicano nessuna attenzione ai programmi annuali e in queste condizioni nessun azienda potrebbe funzionare. In altre parole il testo è un po’ troppo autoreferenziale, lo dimostra il fatto che non si richiede che tutti i dati sul controllo siano accessibili anche su ciascun sito web ministeriale.

    • La redazione

      I compiti principali dell’Authority sono quello di
      sollecitare/garantire/controllare il funzionamento dei nuclei di valutazione di comparto e quello di garantirne la trasparenza e interazione più aperta possibile con le valutazioni esterne (accessibilità dei dati per associazioni, stampa, centri di ricerca, ecc.). Nello svolgimento di questi
      compiti l’Authority deve essere del tutto indipendente dal Governo. E’ ovvio che ciascun ministro sarà molto interessato a quanto farà e avrà da dire l’Authority in riferimento all’amministrazione di cui egli è a capo; e non avrà alcuna difficoltà ad averne conoscenza; ma non vedo perché la legge
      dovrebbe prevedere un canale specifico di comunicazione in senso inverso, da Ministro a Authority, dal momento che questa deve essere totalmente indipendente da quello. Buona, invece, l’idea che tutti i dati della valutazione siano disponibili anche sul sito web del Ministero competente.
      p.i.

  15. laureato91

    Il progetto di legge contiene spunti interessanti.
    Non posso fare a meno di chiedermi se non occorra contestualmente eliminare distorsioni “a monte”, che possono finire con l’inficiare la credibilità di qualsivoglia attività valutativa.
    Si prenda, ad esempio, il caso della Dirigenza pubblica. Il sedimentare delle norme in materia rischia di porre la dirigenza in stato di soggezione rispetto ai politici, che non possono surrogare il dirigente prendendosene la responsabilità (come avveniva precedentemente), ma possono influenzarlo non assumendosi alcuna responsabilità.
    Che dire poi di norme come l’art. 19, co. 6 del Dlgs. 165/2001. L’introduzione (crescente, grazie a modifiche “ad hoc”, nel tempo) di estranei senza processi di valutazione nella PA, anche al di fuori dei c.d. “uffici di diretta collaborazione”, è eccessiva.
    Così come gli assegni “ad personam” previsti e le promozioni “a salto” di funzionari senza concorso, che non aiutano certo a creare un clima di fiducia e serenità.
    Forse occorrerebbe rivedere anche questi “dettagli”, che dettagli poi non sono.

  16. marita LaRosa

    Caro professore,

    torno a scriverle per suggerirle la necessità intanto di migliorare la valutazione attualmente vigente. Le indico ad esempio che attualmente nei contratti collettivi le progressioni economiche e quelle verticali sono legate, direttamente e indirettamente al 70% all’anzianità. mentre nessuno spazio viene riservato alla valutazione della dirigenza, né alla competenza e merito. Si può chiedere che nei prossimi atti di indirizzo all’Aran per il rinnovo dei contratti collettivi 2006-2009 ci sia un chiaro obbligo a prevedere la valutazione del merito e l’eliminazione di automatismi sciocchi e dell’anzianità. Servono dei vincoli a livello di contratti nazionali, altrimenti nei contratti integrativi le amministrazioni (i politici e i sindacati, complici e suucubi i dirigenti) distribuiscono consenso. Mentre Lei propone l’Autorità, le amministrazioni distribuiscono circa 5 mld di euro nei contratti integrativi senza alcuna valutazione. Mi soffermerei su questo.

    Un cordiale saluto e la ringrazio le sua precedente risposta.

    Marita LaRosa

  17. matteo olivieri

    Si comincia così, creando uno strumento aggiornato per la verifica e pubblicizzazione dei risultati di ciscun dipendente pubblico.
    Si continua con tanta fatica e consenso, sia nell’amministrazione pubblica che nell’opinione pubblica.
    Leggendo gli altri commenti filtrano prospettive concrete di fiducia per cominciare la lunga marcia, appunto.
    Prof. Ichino, auguri di buone feste e buon lavoro.

  18. luigi oliveri

    Il progetto risolverebbe il problema del controllo dei controllori di secondo livello lasciando aperto quello del controllo del controllore superiore. Sono preenti le medesime debolezze proprie di tutti gli organi di controllo operanti presso le amministrazioni pubbliche: la provenienza politica.
    La profilazione delle competenze e della personalità dei componenti dell’authority solo in apparenza riesce a garantire la soluzione ad uno dei grandi problemi che causano inefficienza nelle pubbliche amministrazioni: una reale indipendenza degli organi gestionali dalla politica.
    Finchè incarichi della natura dell’authority siano di matrice politica, tale indipendenza non è assolutamente scontata.
    Perplessità vi sono sulla circostanza che una legge dello Stato possa appoggiare nell’articolo 117, comma 2, lettera p), una sua efficacia cogente nei confronti degli ordinamenti locali a creare un’authority o, comunque, adeguare i propri ordinamenti a quanto prevede il progetto di legge. Per altro è da dare per scontata la minor indipendenza ed autorevolezza di una mini authority di controllo locale, che non si capisce per quale ragione dovrebbe funzionare diversamente da come, sin qui, hanno funzionato gli organismi di controllo degli enti locali.
    Punto importante, è la precisazione che le indennità di risultato potranno essere attribuite esclusivamente a seguito della valutazione (con conseguente eliminazione di ogni fortettizzazione o rateizzazione dei “premi”). Il progetto di legge va certamente nella direzione giusta di rafforzare un principio normativo. Ma va in controtendenza rispetto ad anni di riforme, perché “rilegifica” un aspetto fondamentale del trattamento economico dei dipendenti pubblici, estromettendo da questo aspetto la contrattazione collettiva.
    E’, però, facile rilevare che se la contrattazione collettiva viene espropriata del potere di incidere sulla retribuzione, sia pure di parte variabile, nella sostanza perde la sua ragion d’essere.

  19. C.Saccani

    Un’Authority per la Pubblica Amministrazione ritengo esprima la massima efficacia se diventa perno di una strategia più ampia che comprende:
    a) impiego di modelli di Governance (es.: sistema dualistico) che separano le funzioni di indirizzo e controllo da quelle di gestione
    b) adozione di procedure trasparenti per la selezione e la nomina dei dirigenti
    c) impiego di sistemi manageriali ispirati alle Best Practice per misurare l’efficienza dei processi e l’efficacia dei risultati raggiunti (economici, soddisfazione degli utenti, soddisfazione del personale, impatto sulla società) rispetto alla Missione dell’Ente
    d) trasformazione del ruolo dell’AP da erogatore di servizi a “standard setter” per governare in modo attivo i processi di liberalizzazione dei servizi assicurando la tutela del bene collettivo
    e) miglioramento della definizione degli obiettivi (da qualitativi a quantitativi) e delle strategie per rendere più efficace il monitoraggio e il riesame delle prestazioni;
    f) miglioramento dei processi di definizione del livello di qualità dei servizi: le Carte dei Servizi devono trasformarsi da strumento di comunicazione realizzato “una tantum” in strumento di gestione che lega gli indicatori chiave di prestazione dell’Ente espressi nella Mission e gli indicatori di soddisfazione degli utenti, del personale e della società;
    g) maggiore coinvolgimento degli Stakeholder nella definizione della Carta dei Servizi e nel monitoraggio e riesame delle prestazioni rese dall’Ente
    h) introduzione di incentivi (economici e non) ancorati al miglioramento delle competenze individuali e al reale miglioramento della qualità dei servizi resi agli utenti
    Utopia? No. Le esperienze delle centinaia di PA che partecipano al Premio Europeo per la Qualità o al Premio Qualità per la PA mostrano che tutto questo è possibile e che in Italia esistono enormi potenzialità inespresse che potrebbero essere mobilitate per sostenere il processo di modernizzazione invocato

  20. Salvatore Lacopo

    Chiarissimo Professore, ma Lei ha presente l’ultima sostanziale riforma fortemente voluta dal “SINDACATO” e silenziosamente attuata?Mi riferisco alle cosiddette “riqualificazioni”. Io sono (credevo di essere) un dipendente del Ministero della Pubblica Istruzione: 30 anni di dignitoso lavoro andati in fumo grazie ad una operazione che ha visto quasi tutti i dipendenti del mio livello (C1) avanzare di uno o due livelli specialmente negli uffici del Ministero, del centro e del nord d’Italia. Una mia collega, ad esempio, in servizio a Varese, con la metà dei miei anni di servizio e dei miei titoli passa al livello superiore, io rimango fermo. Mi dirà: perchè non ha chiesto di concorrere a Varese. Non è stato possibile, siamo stati obbligati a fare la domanda nella regione di appartenenza. Di fatto sono stato retrocesso (ma non solo io); dovrei forse fare le fotocopie per il collega che con cinque giorni di corso in una località amena è diventato C2 o C3 ( e continua a fare le stesse cose di prima con un miglior stipendio). Non osano chiedermelo però… Trentanni di chiacchiere con (e per) la CGIL hanno prodotto questo risultato. Dopo trentanni di lavoro, ripeto dignitoso, non eccellente per carità, mi è stato negato il diritto di essere giudicato. Più che pensare ad un nuovo organismo, Professore, ragionerei sugli effetti delle riforme volute dal SINDACATO.

  21. Fabio Pancrazi

    Dove lavoro io, l’Ente Comunale di Sansepolcro (Arezzo), è cambiata Amministrazione: da centrosinistra a centrodestra.
    I “meritevoli” prima erano di centrosinistra ed ora sono di centrodestra! Per me si va nella città dolente, per me si va nell’eterno dolore, per me si va tra la perduta gente.
    Fabio Pancrazi, vigile urbano

  22. Dominic Toretto

    A me saembra che sia la solita storia infinita e oramai fuori controllo: gli statali sempre i più protetti ed assicurati dai sindacati.
    Gli stessi sindacati hanno lavorato solo per categorie ben definite. vorrei sapere che differenza c’è tra un vigile irbano e me che lavorto in una ditta privata.
    La differenza stà che loro sono garantiti a vita e lavorano 36 ore mentre io ne lavoro circa 55/60 con il medesimno stipendio (forse meno).
    E guai a recriminare altrimenti ci sono gli stranieri a “salvare” l’Italia da noi “vagabondi”.
    W Gli STATALI!

  23. Dario

    Gentile Professore Sono stato suo studente qualche anno fa e nel leggere la Sua proposta ho rivisto lo stesso interesse e la stessa competenza con il quale sosteneva le lezioni che ho avuto il piacere di seguire. Quasi subito dopo la laurea ho iniziato a “vagare” (tuttora da precario) per varie P.A., dalle centrali a quelle periferiche, passando per comuni di media grandezza fino ad approdare ad un Comune di circa 4.000 abitanti. Proprio sulla base di questa esperienza ho maturato la convinzione che molti dei problemi della P.A. non siano essenzialmente e solamente dei dipendenti, o meglio, che una parte dei i dipendenti della P.A. siano il risultato di una visione sbagliata della P.A. stessa da parte di chi si trova ad amministrarla. Soprattutto nelle entità piccole mi sono trovato a confrontarmi con colleghi che ricoprono la mia stessa qualifica senza aver sostenuto alcun concorso… Il punto che però vorrei sottoporLe proviene da un’altra considerazione. Premettendo che sono assolutamente d’accordo ed anzi vedo positivamente qualsiasi forma di controllo sui risultati, vorrei tuttavia sollevare il problema dei rapporti tra la dirigenza e la parte politica. In altre parole, soprattutto nelle entità medio piccole, gli amministratori sono i veri controllori dell’operato dei Dirigenti, e delle Posizioni Organizzative. Si pensi che ai sensi del T. U. E. L. (D.Lgs. 267/2000) la Posizione Organizzativa può essere revocata addirittura dall’Assessore delegato. Il risultato di ciò nella mia seppur breve esperienza è una sudditanza di detti funzionari i quali, in una posizione di assoluto ricatto, si trovano ad operare sotto una continua pressione anche in funzione del fatto che la figura di Segretario Comunale si è ormai trasformata in Direttore Generale perdendo di fatto l’originaria funzione di controllo sugli atti.
    Purtroppo spesso non ci si rende conto di quanto invece le decisioni prese anche a livello locale siano quelle che più influenzino la vita dei cittadini.

  24. pino

    concordo spesso con le opinioni del prof Ichino, pur essendo un pubblico dipendente.Non vorrei che ogni tentativo di riformare la p.a. si traformasse in un inutile conferimento di poteri ai dirigenti od a organi apicali e verticistici che valutassero il merito in funzione di appartenza politica, sindacale o “RACCOMANDALE”….
    Ho lavorato in diversi settori, sono stato libero prof. alle dipendenze dei privati e ora sono approdato nel settore pubblico.Premetto che lavoro in una p.a. molto efficiente in quanto la gran parte dei dirigenti sono soggetti resp e preparati anche se non mancano eccezioni…..la prima differenza che salta agli occhi rispetto al mondo privato è la inutilità dei sindacati…..(sn un uomo di sinsitra) veri centri di potere e di attività clientelare degna dei sistemi borbonici….scandalosi!l’altra differenza sono i dirgenti, spesso impreparati e sottoposti in modo umiliante alla pressione del mondo politico.. non dotati di autonomia e soprattutto pagati bene e troppo rispetto ai normali dipendenti!!! una riforma seria deve partire da qui! limitare l’attività dei sindacati e riformare seriamente la dirigenza.
    grazie per lo spazio e buon proseguimento

  25. giaci

    Authority, commissioni, vigilanti,controllori: solo nuove poltrone per i soliti noti.
    La formula è semplice: meno parassiti, più passione e competenza per migliorare il sistema.

  26. carmelo lo piccolo

    Qualche anno fa, un pregevole saggio del Prof.Ichino si domandava a cosa servisse il Sindacato.
    A mio avviso è proprio da qui che bisogna partire per capire una parte importante dei mali della Pubblica Amministrazione. Lungi dall’essere un’istituzione di garanzia e controllo sugli aspetti normativo – contrattuali del rapporto di lavoro, il Sindacato nel Pubblico Impiego si è ridotto a scimmiottare la peggiore politica, aggiungendo un’altra categoria di raccomandati e mendicando favori e tutele per i propri iscritti. Il sindacato e i sindacalisti dovrebbero invece caratterizzarsi per essere delle vere e proprie “controparti” dei vertici politici e gestionali dell’amministrazione, dei “corpi intermedi” capaci di vigilare e tutelare, oltre all’interesse del proprio iscritto, anche i priincipi di legalità, imparzialità e buon andamento della Pubblica Amministrazione, essendo capaci di intervenire con apposita attività di informazione e denuncia ogniqualvolta l’azione amministrativa devii o eluda tali principi. In buona sostanza, più che astrusi controlli di natura aziendalistica e/o ulteriori strutture burocratiche che hanno già clamorosamente fallito, dentro il Pubblico Impiego si dovrebbe alimentare un sano e fisiologico “contrasto di interessi” tra i principali attori istituzionali, e una altrettanto utile “creazione di interessi” ( a migliorarsi, a motivarsi, a percepire il decoro ed il prestigio del proprio lavoro, ecc.), cercando casomai di fare funzionare meglio la Dirigenza, dove a mio avviso si pagano retribuzioni veramente spropositate a fronte di prestazioni e competenze del tutto inadeguate e/o assenti e non scaricando tutto o quasi tutto sul resto dei dipendenti.

  27. salvo

    Ma quanto sono cattivi, brutti, lavativi, parassiti..e chi ne ha più ne metta..questi statali! L’Italia va male a causa loro! Professore, ma come fa a sostenere che tutti i dipendenti pubblici sono uguali e che tutti ricevono lo stipendio senza lavorare?Sa, io lavoro da quando avevo circa 14 anni; ho fatto i lavori più umili ed ora che sono alle dipendenze della pubblica amministrazione non sto a grattarmi tutto il giorno.Il mio stipendio è di poco più di mille euro. Per anni sono stato pendolare; ho speso un sacco di soldi per mantenermi. Ora le sento dire che bisogna essere”mobili”…cioè dovrei tornare a rifarmi una vita per l’ennesima volta da un’altra parte?Generalmente apprezzo quello che scrive ma questa volta, con l’autority e con la sua intervista nei giorni scorsi devo dirle che non condivido questo modo di fare un fascio unioco di tarnti tipi di erbe. Chi non lavora sia perseguito ma chi lavora e lo fa con coscienza non può subire il martirio in nome del risanamento delle finanze del paese. Continuerò a seguirla.

    • La redazione

      Non ho mai scritto che “gli statali” sono tutti nullafacenti. Al contrario,tutti i miei articoli sul tema dell’impiego pubblico, e ultimamente il mio libro “I Nullafacenti” (Mondadori), affermano proprio la necessità di distinguere tra chi, nelle amministrazioni pubbliche, fa il suo dovere, magari lavorando per due, e chi non lo fa. Proprio il contrario della generalizzazione che Lei giustamente respinge. Per questo, dato che una parte cospicua del management non sembra ancora avere gli incentivi giusti -e sovengte neppure la capacità professionale – per farlo, propongo l’attivazione dei nuclei interni di valutazione e di una Autorità centrale
      che ne garantisca l’indipendenza, ne stimoli l’attività, che renda accessibili tutti i dati a tutti gli osservatori qualificati che possono esercitare un controllo penetrante dall’esterno dell’amministrazione, che imponga il metodo della public review: un confronto annuale tra valutatori interni e osservatori esterni, nel quale entrino in comunicazione (e anchecompetizione tra loro) intelligenze e metodi diversi di analisi e controllo.
      (p.i.)

  28. Salvo

    Grazie per la cortese risposta Professore. Continuo a pensare che i dipendenti pubblici non sono tutti uguali e che non ho nessuna intenzione di ricominciare da capo “beneficiando” di procedure di mobilità di dubbia applicazione. In altro suo articolo Lei ha parlato di sindacato. Esordisco facendo notare che l’impiego alle dipendenze dello Stato viene presentato all’opinione pubblica come il ricettacolo di grandi furbacchioni; e che solo i sindacati “storici” possono risolvere il problema di un pubblico impiego malato. Mi ha lasciato alquanto stranito il modus operandi che i tre sindacati ed un paio di ministri hanno adottato per raggiungere il memorandum sul lavoro pubblico (secondo a quello delle pensioni…)…ma forse io sono ignorante se penso che a rappresentare i lavoratori non ci sono solo questi tre sindacati ma anzi ne esistono altri, senza connotazioni politiche (finalmente) che stanno crescendo e stanno lavorando in modo limpido, coscientemente e che hanno il requisito della maggiore rappresentatività. Professore, ma è normale che si faccia finta che in Italia esistano solo le confederazioni “solite”? Sono sconcertato, mi creda. Grazie per la sua attenzione.

  29. Alberto

    Mi intrometto nella discussione per esprimere alcuni pensieri. Innanzitutto è emblematico che parlare di pubblica amministrazione equivalga a scatenare una guerra di poveri, tra chi è precario e chi dispone di un lavoro inamovibile. Se questo accade è evidente che ci troviamo di fronte a due categorie che sfuggono all’equilibrio della logica, attestandosi su posizione estreme per opposti motivi. In effetti, l’idea di una categoria di lavoratori non licenziabili è fortemente anacronistica nel contesto attuale, dove la regola è ormai la precarietà e l’insicurezza. E’ evidente che questo provocherà forti attriti sociali, sempre crescenti con il crescere dello squilibrio. Alcuni dipendenti della PA si sono lamentati per l’acredine e la scarsa considerazione nei loro confronti, dimenticandosi ahimè che molti di loro sono stati assunti grazie alle clientele e alle relazioni sociali, e non per meriti acquisiti. Chi è causa del proprio male, pianga se stesso. Al di la di queste considerazioni, credo fermamente che il principio cardine, inamovibile, assoluto che si dovrebbe seguire quando si formulano le leggi che regolano la vita di un paese sia quello dell’equità nel merito. In altre parole, un privilegio come la stabilità di un posto di lavoro impiegatizio, va pagato contraendo una retribuzione alquanto modesta, mentre coloro che lavorano nel settore produttivo, o che compiono lavori faticosi, pericolosi o usuranti dovrebbero a maggior ragione godere di alte compensazioni salariali o altri diritti. Questo permetterebbe di tacitare ogni protesta secondo il motto “non sei contento? vuoi guadagnare di più?allora prendi il posto di chi lavora in fabbrica”. Questo vale come principio generale, potrebbe essere benissimo adattato a tanti ricchi che si lamentano dell’entità delle tasse che pagano. Basterebbe loro ricordare che ci sarebbero tante persone felici di pagarle stando al loro posto.

    Saluti
    Alberto

  30. Sergio Gargiulo

    Egregio Professore, sono 41 anni che lavoro in un Ente pubblico e da circa 27 anni mi occupo in prima persona di gestione del personale (inquadramento, incentivazione, sistemi di valutazione, ecc.). Vorrei sottoporLe la mia personale esperienza, sicuramente non esaustiva, ma, credo, abbastanza significativa. Nell’Ente in cui lavoro, si è cercato – sin dal CCL del 1982 – di inserire istituti che valutassero il “merito”, premiando chi contribuiva al conseguimento degli obiettivi assegnati, rispetto a chi inseguiva propri interessi. Sia pure con tutte le limitazioni del caso (“pressioni” partititiche e/o sindacali e simili), l’esperimento sembrava riuscire; purtroppo poi, da un lato un “tornare indietro” del sindacato di categoria, ma dall’altro, alcune sentenze del TAR che, basandosi su criteri più legati a quello che si è (status), piuttosto che a quello che si produce (merito), hanno dato ragione ai ricorrenti, sostanzialmente negando all’amministrazione la facoltà di operare scelte discrezionali.
    Il vero problema è quindi culturale. Tutti auspicano una amministrazione pubblica dove trionfino l’efficienza, l’efficacia ed il merito, ma poi difficilmente si accetta la più semplice delle conseguenze di questa affermazione: riconoscere il merito significa accettare il “rischio” di una valutazione sulle prestazioni che, ancorchè ancorata a elementi oggettivanti, non potrà mai essere scevra da fattori non oggettivabili, anche connessi ad atteggiamenti (la voglia di fare!).
    In definitiva, si tratta di accettare l’idea (profondamnete avverasata dalla cultura dello status) che debba esitere (e univocamente individuabile) un “valutatore” responsabile in prima persona dei propri giudizi e che si trovi in una sorta di equilibbrato conflitto di interessi con coloro che dovrà valutare.
    grazie per l’attenzione e auguri di buon lavoro.

  31. Alberto

    Comunque vorrei aggiungere che quando i sindacati sono così accondiscendenti, gatta ci cova. Temo che questo governo verrà ricordato come il “governo degli annunci” più che quello delle riforme. Un pò come il banditore di stampo medievale, che annunciava l’orario mentre si aggirava per la città semiaddormentata… alla fine tanto clamore e poca sostanza. Ma sempre meglio del fragoroso silenzio del governo Berlusconi.

  32. Andrea Chiari

    La produttività individuale e la lotta ai fannulloni sono tematiche sacrosante. Ma che dire se esiste un ufficio per i contributi al gasolio dei trattori agricoli o se c’è una leggina di contributi al turismo che costa di più in gestione e rendiconti che in efficacia? E che dire ancora se un assessore mette in piedi un centro culturale per valorizzare giovani donne fotografo? O se una Regione apre un ufficio di rappresentanza in Dubai?
    In questi uffici ci stanno persone bravissime, che fanno scrupolosamente le loro pratiche o sanno organizzare ottimamente un evento culturale, ma l’esito per la collettività è meno di zero. Quando avremo sbattuto fuori i fannulloni – e Dio lo voglia – avremo risolto il 5% dei problemi della pubblica amministrazione che sono soprattutto quelli dell’esorbitanza delle sue dimensioni, della vaghezza degli obiettivi, della mancanca di rapporto tra centri di spesa e finanziamenti

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