Nel suo ultimo articolo su lavoce.info, Carlo Dell’Aringa  ha sostenuto che la valutazione individuale dei lavoratori pubblici non serve perché i consumatori sono interessati al buon funzionamento complessivo degli uffici, non al comportamento dei singoli lavoratori che in essi operano. Dissento da questa affermazione per almeno due motivi.

I tempi dei giudici di pace

In primo luogo, è evidente che il buon funzionamento di un determinato servizio pubblico non è indipendente dalla produttività dei singoli lavoratori che in esso operano. Lo dimostra una ricerca a cui sto lavorando insieme a Decio Coviello e Francesco Contini sulla durata dei processi nell’Ufficio dei giudici di pace di una media città italiana. (1)
Questo Ufficio assegna i processi ai giudici in modo totalmente casuale. Ne consegue che i giudici hanno lo stesso carico di lavoro in termini di qualità e quantità. Sono inoltre assistiti dalla stessa cancelleria e operano nella stessa struttura. Ciò nonostante, prendendo ad esempio i casi di cognizione ordinaria, la durata mediana dei processi assegnati al giudice più lento è circa due volte e mezzo maggiore di quella corrispondente al giudice più veloce. Inoltre nell’evento ipotetico in cui tutti i casi fossero assegnati a giudici con una produttività pari a quella del 25 per cento migliore, la durata mediana dei processi in questo ufficio si ridurrebbe di quasi il 40 per cento (tutte queste differenze sono statisticamente significative).
Il cittadino che si rivolge all’Ufficio non può scegliere il giudice, ma non per questo dovrebbe disinteressarsi della produttività individuale dei singoli magistrati, poiché da questa può dipendere, in valore atteso, un miglioramento considerevole del servizio ricevuto. Inoltre non sembra accettabile che il cittadino sia messo di fronte a una roulette russa tale per cui la variazione di qualità del servizio ottenuto può arrivare fino a due volte e mezzo a seconda di quale giudice sia assegnato al suo caso. I risultati dimostrano che se nell’Ufficio operassero solo i giudici migliori o se i meno produttivi fossero stati indotti a lavorare di più con opportuni incentivi, la performance dell’intero ufficio sarebbe migliorata. Per fare entrambe queste cose, la valutazione individuale dei lavoratori è essenziale, proprio a vantaggio dei singoli utenti.

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La responsabilità del singolo

In secondo luogo, l’affermazione di Carlo Dell’Aringa è particolarmente pericolosa se induce a sollevare i singoli lavoratori dal sentirsi responsabili del funzionamento complessivo del servizio pubblico in cui operano. Quando qualcosa non funziona in Italia, nessuno si sente mai responsabile individualmente: la colpa è sempre di qualcun altro o di qualcosa d’altro. Spesso la mancanza di risorse è il capro espiatorio a cui viene addebitato ogni mal funzionamento. La valutazione individuale ha anche la funzione educativa di diffondere nel nostro paese l’etica della responsabilità individuale. Ma questo non tanto per un motivo di equità nell’attribuzione di colpe e meriti, quanto soprattutto per un motivo di efficienza. I risultati della ricerca sui giudici suggeriscono che investire maggiori risorse in un servizio in cui la produttività dei singoli lavoratori sia così disomogenea porta ragionevolmente a sprecare parte delle risorse aggiuntive, combinandole con lavoratori che finirebbero per usarle male. Per non sprecare le risorse aggiuntive bisogna prima rendere più omogenea la produttività dei lavoratori di ciascun servizio portando i peggiori ad avvicinarsi ai migliori. Anche per questo è necessaria la valutazione individuale.
Detto questo, la valutazione individuale dei lavoratori, che peraltro è prassi indiscussa nel privato, non è certamente la soluzione di tutti i problemi del settore pubblico, ma sembra difficile sostenere che non sia cosa di primaria importanza proprio a vantaggio degli utenti.

(1) La versione corrente, non definitiva, dei risultati di questa ricerca può essere scaricata da http://www2.dse.unibo.it/ichino/.

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