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Rebus italico

Le dimissioni del governo Prodi hanno riportato in primo piano il problema della governabilità del paese. E riproposto la vera questione: il bicamerilasismo perfetto. Tuttavia, se a parole tutti vogliono trasformare il Senato in una camera regionale con compiti limitati, non sembrano esserci né le condizioni politiche né i tempi per una riforma costituzionale di questa portata. Mentre si profila una revisione della legge elettorale incapace di incidere sui difetti fondamentali del sistema. Anche perché nessuno sembra volere un ritorno al maggioritario.

Le dimissioni del governo Prodi, a soli pochi mesi dalle elezioni e comunque vada a finire la crisi politica, ripropongono con drammaticità il problema della governabilità del paese. Una questione che speravamo di esserci lasciati alle spalle definitivamente con gli anni Novanta. Sfortunatamente, se le cause sono chiare, non altrettanto lo sono le soluzioni, almeno quelle realistiche e fattibili in tempi brevi.

Il bicameralismo perfetto

Il governo Prodi è caduto al Senato per l’astensione di alcuni senatori a vita e di alcuni dissidenti. Qualunque cosa si pensi delle responsabilità di questi ultimi e dei partiti di riferimento, bisogna però ammettere che la crisi era nelle cose e che se non fosse successa oggi, sarebbe con tutta probabilità accaduta domani.
Molto semplicemente, il governo Prodi non ha una maggioranza al Senato, mentre ce l’ha alla Camera. E se la nuova legge elettorale voluta dal governo Berlusconi è responsabile di molte nefandezze, non lo è per la possibile formazione di maggioranze diverse nelle due camere. È un rischio costante del nostro sistema politico: la legge elettorale l’ha accresciuto, e con i premi di maggioranza al Senato attribuiti su base regionale, ha reso una vera e propria lotteria il risultato per questa camera, ma già altre volte è avvenuto che si siano formate maggioranze diverse o parzialmente diverse nelle due camere, poi rabberciate con l’”acquisto” di qualche deputato o di qualche senatore. Non solo. Se anche si fosse unificato il sistema di attribuzione del “premio” tra le due camere, rendendolo su base nazionale anche al Senato, il risultato sarebbe stato ancora peggiore. Dopo le elezioni di aprile 2006, avremmo avuto una “solida maggioranza”: di centrodestra al Senato e di centrosinistra alla Camera. Se si vota di nuovo con la stessa legge, nulla vieta che il risultato si ripeta, magari stavolta a camere invertite per i due poli.
Con tutta chiarezza, il problema qui è il bicameralismo perfetto, che non è compatibile con un sistema bipolare e competitivo dove i due schieramenti sono molto vicini in termini di voti. O rendiamo esattamente identiche le due camere, ma allora non si capisce perché ne dobbiamo avere due, oppure superiamo il bicameralismo perfetto, separando funzionalmente le due camere. Per esempio, trasformando il Senato in una camera regionale con compiti limitati. A parole, entrambi gli schieramenti sembrano favorevoli a questa soluzione; nei fatti, non sembrano esserci né le condizioni politiche né i tempi per una riforma costituzionale di questa portata.

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Il sistema elettorale

La vita del secondo governo Prodi è stato caratterizzata dai continui conflitti interni tra i partiti della maggioranza, dai veti incrociati, dalla babele delle dichiarazioni contraddittorie tra ministri. Ma prendersela con i singoli esponenti o con i singoli partiti per questi comportamenti è in realtà ingeneroso. È la logica del sistema elettorale proporzionale; il potere e l’influenza dei singoli partiti dipendono dai voti che ciascuno prende alle elezioni. E per avere più consensi è necessario distinguersi dall’alleato di governo che pesca sullo stesso mare. Franco Giordano non può non sfilare a Vicenza, perché altrimenti ci va Oliviero Diliberto e gli porta via parte dell’elettorato. Così, nonostante i vagiti del partito democratico, Francesco Rutelli non può permettere che la bandiera delle privatizzazioni resti nelle mani del solo PierLuigi Bersani, altrimenti la Margherita perde consenso.
Per modificare questi comportamenti bisognerebbe cambiare la legge elettorale, adottando un sistema maggioritario. I partiti litigherebbero ancora sull’attribuzione dei seggi, ma non avrebbero ragioni di distinguersi ulteriormente sulle politiche, visto che poi il voto è alla coalizione e non ai singoli partiti. Nonostante tutti i suoi difetti, dovuti in parte al mantenimento di una quota proporzionale consistente, c’è evidenza per esempio che durante la loro breve storia, i collegi uninominali del Matterellum abbiano avuto l’effetto di ridurre la frammentazione della rappresentanza politica in Parlamento, sia in termini di voti che di seggi. Con la nuova legge elettorale, la frantumazione è di nuovo salita alle stelle: alle elezioni del 2006, 14 liste hanno ottenuto seggi alla Camera e 12 al Senato, senza contare i partiti che hanno eletto i propri candidati “piazzandoli” in liste sicure di superare le soglie di sbarramento. Il sistema politico italiano è ora, con quello belga, il più frammentato d’Europa; la somma dei due partiti principali – Forza Italia e Ds – arriva appena al 40 per cento dei voti, contro il 70 per cento della Germania e l’80 per cento della Spagna. Difficile per chiunque governare in queste condizioni.

Le riforme desiderabili

Si dovrebbe dunque adottare il sistema maggioritario con collegio uninominale, e per ragioni troppo lunghe da approfondire qui, sarebbe meglio introdurre un sistema a due turni (il doppio turno di collegio alla francese) piuttosto che a turno unico. Ma la possibilità che una riforma simile possa essere adottata è prossima allo zero.
Il ritorno al maggioritario non lo vogliono, per ovvie ragioni, i piccoli partiti di entrambi gli schieramenti; non lo vogliono neanche i grandi partiti del centrodestra che hanno sempre avuto più difficoltà con il maggioritario che con il proporzionale. Più in generale, la cultura del maggioritario è estranea al Dna dei partiti italiani: bisogna ricordare che è stato parzialmente imposto al sistema politico nel 1994 solo grazie a un referendum, e che sia la precedente riforma del sistema elettorale degli enti locali, che quella successiva delle Regioni, hanno confermato il sistema proporzionale, sia pure con elementi di presidenzialismo.
Proprio il sistema elettorale dei comuni rappresenterebbe in teoria un compromesso possibile tra governabilità e sopravvivenza dell’attuale struttura dei partiti. È proporzionale, ma con l’elezione diretta dell’esecutivo, che si porta dietro la propria maggioranza in consiglio; e con il vincolo ulteriore che se cade il sindaco, cade la maggioranza: un formidabile meccanismo per imporre la disciplina di coalizione. Ma non si può semplicemente trasportare il sistema elettorale dei comuni a livello nazionale. Come minimo, ciò richiederebbe una riforma costituzionale nella direzione del rafforzamento dell’esecutivo e del sistema delle tutele costituzionali, per evitare che con i meccanismi attuali chi vince prenda tutto, compresa la possibilità di cambiare la Costituzione a proprio piacere. Di nuovo, non appare affatto che ci siano i tempi o le condizioni per poter proseguire in questa direzione.

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Le riforme possibili

Dunque, gli spazi di manovra sono molto limitati. Una possibilità è uno shock “esterno” al mondo dei partiti, un nuovo referendum, come quello proposto dal professor Guzzetti e da alcuni esponenti bipartisan del Parlamento. Il punto centrale del referendum è lo spostamento del premio di maggioranza dalla coalizione vincente al partito vincente, con l’idea che questo dovrebbe essere sufficiente a superare la frammentazione del sistema politico.
Ma al di là dei tempi e dell’incertezza sugli esiti, non è chiaro se , il referendum avrebbe davvero gli effetti desiderati. Nell’attuale formulazione, nulla sembrerebbe impedire ai partiti di formare un “listone” unico prima delle elezioni, per dividersi il premio, salvo poi riprendere la propria libertà d’azione subito dopo il risultato elettorale. Comunque, meglio il referendum della “riformetta” che, dalle anticipazioni della stampa, sembra profilarsi in sede politica, allo scopo appunto di evitare il referendum. Eliminerebbe alcuni degli aspetti più discutibili dell’attuale legge elettorale (la possibilità di candidature multiple, le liste “chiuse” per gli eletti, i premi differenziati alle due camere), senza incidere davvero sui difetti fondamentali del sistema.

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11 commenti

  1. Gaetano Criscenti

    La propensione dei partiti italiani a vedere la legge elettorale esclusivamente come un fine,si, ma per i propri scopi, per il proprio “Particulare” direbbe Guicciardini, mi spinge a desiderare che il referendum arrivi a tagliare i nodi gordiani della politica italiana. Come conseguenza del referendum vi sarà un effettivo bipolarismo, con la creazione al massimo di tre poli/partiti, ed avrebbe come primo “figlio” l’instaurazione della prassi delle primarie.
    Vorrei aggiungere che il premio di maggioranza, sicuramente è un buon viatico per assicurare stabilità, ma non è indispensabile! La scelta del premio di maggioranza nasconde soltanto le difficoltà della nostra politica ad affrontare il tema del frazionamento partitico e del potere ricattatorio dei partiti minori verso il governo! In quasi tutti i paesi democratici non esiste niente di simile al nostro premio di maggioranza! E tuttavia, Inghilterra , Francia, Germania, Spagna, USA, hanno governi solidi e stabili, pur avendo, ciascuno di questi paesi, una diversa legge elettorale ed un diverso sistema costituzionale. Ciò che tutti questi paesi hanno in comune, a differenza dell’Italia, è che il rapporto di potere tra il legislativo- Parlamento- e l’esecutivo – Governo – è paritario o fortemente spostato, nei fatti se non nella costituzione, a favore dell’esecutivo. Esattamente l’opposto di quanto avviene in Italia, dove il sistema è fortemente parlamentare, con l’aggravante del bicameralismo perfetto- una assurdità planetaria- che difatto espropria il Governo di qualsiasi capacità di procedere per la sua strada con la certezza dei tempi e dei contenuti delle leggi!
    La presenza del bicameralismo perfetto, residuo del periodo risorgimentale, mi dice che la capacità del sistema di autorigenerarsi è praticamente nulla. Solo interventi esterni possono cambiare qualcosa, dal mondo politico ci possiamo aspettare, nel migliore dei casi, minestrine riscaldate!
    Sinceramente
    Gaetano Criscenti

  2. Carlo

    Non condivido che il maggioritario porti a ridurre la frammentazione. Al contrario, come osservato varie volte da Sartori, conferisce un forte potere di ricatto a tanti partitini e partitucoli ( se il partitione non da’ x seggi al partitino, il partitino si candida ovunque e fa perdere voti preziosi al partitone…, ed inoltre non consente all’elettore di indirizzare l’orientamento politico delle coalizioni, che sono molto eterogenee: perche’ un sostenitore della Margherita dovrebbe votare un candidato dei Verdi, ad esempio? Non sarebbe piu’ logico poter scegliere, all’interno della coalizione, quale tra i tanti – diversi – partiti preferire? Questi problemi sarebbero invece eliminati da un proporzionale puro con sbarramento al 4-5%, che guarda caso i partitini non vogliono.

  3. Gaetano Criscenti

    Per quanto attiene allo sbarramento cono proprio i partitini ad essere i primi a volerlo, ovviamento preferendo, ognuno di essi, soglie che sono alla portata delle capacità di attrattiva del partito!
    Sono sempre più convinto della necessità di andare al referendum, non ritengo, difatti, percorribile la strada della bicamerale: come sa bene D’Alema è una strada in salita e piena di trabocchetti e agguati, dove il potere ricattatorio dei vari partiti trova modo di allinearsi verso soluzioni di più basso livello. E questo quando sono in gioco, oltre che la legge elettorale, anche modifiche alla costituzione, è veramente pericoloso.
    Sinceramente
    Gaetano Criscenti

  4. Carlo

    1) il punto e’ proprio la soglia: con uno sbarramento del 4-5% avremmo, credo, circa 7 partiti: Forza Italia, AN, forse Lega, forse UDC, DS, forse Rifondazione, Margherita. Dubito che tutti gli altri, pur coalizzandosi, riuscirebbero a superare lo sbarramento. I partitini non potrebbero piu’ causare tutta l’instabilita’ che hanno causato sinora.
    2) in Italia il referendum e’ solo abrogativo, non propositivo. Abroghiamo questa legge elettorale. Per sostituirla con cosa?

  5. Francesco Capraro

    I piccoli partiti, a mio avviso, percepiscono il sistema maggioritario a doppio turno bloccato come la bestia nera.
    Un secondo turno “bloccato” tra i due candidati che hanno riportato, al primo turno, i maggiori suffragi, permetterebbe di ridimensionare in maniera efficace lo strapotere dei partiti marginali: o s’adeguano alle direttive del più forte (ma, come diceva qualcuno, la Democrazia è la tirannide della maggioranza!), oppure rimangono tagliati fuori, in soldoni.

    In effetti, con due soli candidati, per definizione uno dei due dovrà ottenere la maggioranza assoluta (eccezion fatta per il caso – altamente improbabile – di una perfetta ripartizione dei voti).
    I piccoli partiti [siano essi di “destra” piuttosto che di “sinistra”] potrebbero, dunque, “giocare” tre strategie, in sede di secondo turno:
    1) Astensione (che non influirebbe sul risultato finale, sicché si sceglie tra due soli candidati)
    2) Votare il candidato dello schieramento opposto [difficilmente ipotizzabile, però, che un piccolo partitino possa optare per questa scelta, specialmente se l’ideologia è “radicale”]
    3) Votare il candidato dello schieramento affine, con la consapevolezza che il proprio “potere contrattuale” è molto ridotto, e che la reale alternativa è l’astensione.

  6. Nicola Pisciavino

    La mia proposta pensavo fosse abbastanza strana, però leggendo questo articolo ho notato che si avvicina molto a quella di Massimo Bordignon, nonostante io sia un semplice studente di giurisprudenza alle prime armi, ma profondamente innamorato del diritto costituzionale. Arriviamo al dunque. Il bicameralismo perfetto non è mai stato di vitale importanza, tantomeno oggi vista la particolare e difficile situazione in cui versa la politica italiana, dalla destra alla sinistra passando per il centro. la mia proposta presenta 2 alternative: il monocameralismo oppure il bicameralismo imperfetto. Per quanto riguarda il monocameralismo, mi viene da pensare che sarebbe uno smacco troppo grosso nei confronti dei padri costituzionali, anche se potrebbe essere la miglir strada percorribile per rafforzare il Parlamento. quindi, l’alternativa è rappresentata dal bicameralismo imperfetto, con 2 camere che hanno diversi poteri e con la Camera dei deputati doata di un potere maggiore rispetto al senato. per quanto riguarda le funzioni, mi viene da pensare all’art.117 Cost. Per cui avremmo: le materie di competenza esclusiva della Camera, le materie in cui la competenza è concorrente, ed infine potremmo prevedere per il Senato materie di secondo piano(con la finalità di accelerare la produzione della camera dei deputati, che non dovrà più occuparsi di materie di scarsa importanza) ed anche materie che abbiano un legame con le regioni, quindi potrebbe essere utilizzato il senato per ridurre le distanze tra i due enti. (scusate se sul Senato non ho le idee abbastanza chiare). Per quanto riguarda il sistema elettorale non ho idee chiare, però vista la frammentarietà dei partiti politici mi viene da pensare a soluzioni eccessive. Nell’articolo di Bordignon ho letto un riferimento al sistema francese: sarebbe troppo bello se si acquisisse anche la soglia di sbarramento al 12,5% per quanto riguarda il primo turno!! forse molti problemi potrebbero risolversi.

  7. Aldo Ola Izquierda

    Io ribalterei il Mattarellum ne ìl senso che attribuirei il 60-70% dei seggi con un sistema proporzionale secco a livello nazionale con uno sbarramento ai partiti al 3-4%, ciò favorirebbe l’aggregazione non in coalizioni puramente elettorali di forze sicure di superare lo sbarramento ma di quei piccoli partiti che dovrebbero fondersi per ottenere pochi seggi.
    Nessuna indicazione del Premier preelettorale così da superare l’attuale duello Berlusconi contro Prodi e viceversa.
    La restante quota la darei con un sistema maggioritario in grossi collegi che prevedano una soglia di almeno il 40% e il doppio turno solo tra i due contendenti che non superando tale quota hanno le maggiori preferenze.
    Infine nessun premio di maggioranza.

  8. Carlo

    Il maggioritario a doppio turno ridimensionerebbe i partitini solo fino ad un certo punto: non ridurrebbe minimamente il potere di quei partitini che contano poco a livello nazionale ma molto in determinati collegi (Lega in certe zone del Nord, estremissima destra in certe zone del Lazio, ecc). Inoltre, con il maggioritario non c’e’ differenza tra vincere col 50% +1 dei voti e vincere col, che so, 65%. E questo, sinceramente, non mi sembra un sistema che rispecchia in maniera fedele la volonta’ degli elettori!

  9. Anonimo

    Condivido diverse cose affermate dal Prof. Bordignon, ma su una sono assolutamente d’accordo : restare con i piedi per terra e valutare “il possibile” in funzione dei tempi e dei rapporti di forza. Provo ad esaminare un aspetto che mi pare condiviso da tutti: la governabilità.
    O, meglio, la prima condizione perchè di governabilità si possa parlare.
    Qualsiasi legge elettorale si voglia ( o si possa) adottare, allo stato attuale produrrà i suoi effetti basandosi su due diversi bacini di elettori, dei quali uno superiore all’altro di circa quattro milioni e mezzo di unità. Una bazzecola ! A tanto porta il voto ai venticinquenni ed oltre previsto dall’art. 58 della Costituzione. Nelle ultime consultazioni politiche la differenza dei votanti fra Camera dei Deputati e Senato è stata di oltre quattro milioni. Si tratta evidentemente di due corpi elettorali diversi che potranno con ogni probabilità creare maggioranze di segno opposto nei due rami del Parlamento. Tantopiù in una situazione di equilibrio
    fra due schieramenti.
    Affermo pertanto che la prima condizione per la stabilità del Governo è che possa contare su maggioranze omogenee elette da un unico corpo elettorale.
    Dovrà essere pertanto emendato il primo comma dell’art.58 della Costituzione che così dovrà dettare : ” I senatori sono eletti a suffragio universale e diretto da tutti
    gli elettori “. Si tratta ovviamente di una miniriforma costituzionale.
    I tempi ? Da sei mesi ad un anno, non di più.
    Poi venga adottata la legge elettorale che si potrà, meglio,
    ovviamente, se a largo consenso.

    Federico Guidi

  10. Matteo Bardelli

    Le osservazioni e gli spunti di riflessione del Prof. Bordignon sono ampiamente condivisibili ed apprezzabili; soprattutto, riguardo ad un richiamo al “realismo” nel valutare e nel fare la tanto evocata riforma elettorale.
    Nel mio piccolo, sono portato a riflettere “realisticamente” (sic!) che l’interessata difesa dell’interesse particolare dei partiti contrapposta alla rappresentatività della volontà dell’elettorato mina alla base ogni speranza di una riforma della legge elettorale autoimposta ed ampiamente condivisa che assicuri non solo la governabilità ma anche la rappresentatività dell’elettorato.
    Fatta questa premessa, penso che il dibattito tra “Maggioritario alla francese” e “Proporzionale alla tedesca” sia nel migliore dei casi sterile ai fini della definizione di una soluzione. Forse una soluzione “compromissoria” potrebbe essere una Camera eletta con un sistema maggioritario come quello applicato in Australia ed un Senato regionale, in cui ciascuna regione abbia lo stesso numero di rappresentanti delle altre e, che viene eletto con un sistema proporzionale (anche in questo caso l’esempio del Senato australiano potrebbe essere utile).
    Tra le altre cose, sarebbe bello che una nuova legge elettorale riportasse nuovamente la libertà per i cittadini di esprimere la propria preferenza senza dover accettare o rifiutare la lista di aspiranti eletti proposta dai partiti.
    Professore, sperando in una Sua ossservazione in merito,

    La saluto sinceramente.

    Matteo Bardelli

  11. daniele v

    Seppur marginale, credo ci sia un errore nell’articolo: se non sbaglio era stata l’incostituzionalita’ rilevata dal presidente della repubblica ad aver prevenuto per il senato l’esistenza di un premio di maggioranza su base nazionale (invece che regionale).

    Riguardo il listone e la possibilta’ per i partiti di riprendersi successivamente la propria liberta’ di azione, io lo escluderei.
    Si potrebbe fare una analisi di teoria dei giochi per scoprire che i partiti piu’ grandi avrebbero un incentivo enorme a non aderire al suddetto “listone”.
    Inoltre, anche una coalizione temporanea richiede dei compromessi…se non altro sul simbolo da mettere sulla scheda elettorale; non e’ poco.
    Personalmente sono a favore del referendum: e’ l’unica via di uscita.

    Infine: perche’ nessuno parla del fatto che con le liste elettorali bloccate abbiamo raggiunto un livello di partitocrazia forse ancora piu’ forte che quella degli anni della dc? questo problema va risolto!!

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