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Tutto il deficit sanitario Regione per Regione

Il deficit è una costante del Sistema sanitario nazionale. Anche per la politica di sotto-finanziamento perseguita da tutti i governi. Ma dal 2001 il debito è responsabilità delle Regioni. Che si comportano in modo assai diverso. Nel 2005, undici hanno agito sul controllo della spesa, ma dieci sembrano incapaci di contrastarne la dinamica. Dieci non hanno usato la leva fiscale e i ticket, scelti invece da sei Regioni. Mentre cinque attingono a risorse autonome del proprio bilancio. Ancora una volta, però, il rigore non è premiato.

Fa discutere il ripiano di 2,3 miliardi di debiti della sanità operato dal governo a favore della Regione Lazio, che negli ultimi tre anni aveva cumulato un deficit di 3,9 miliardi di euro. Altre cinque regioni – Campania, Sicilia, Abruzzo, Molise, Liguria – sono in lista d’attesa per spartirsi i 2,5 miliardi di euro stanziati dalla Finanziaria 2007 per i disavanzi elevati.

Vale sempre l’argomento che la nuova giunta regionale non può essere ritenuta responsabile dei debiti della precedente. E così a ogni nuova legislatura scatta l’operazione “voltare pagina”, con l’immancabile sanatoria dei debiti pregressi, anche se pagata al caro prezzo dell’“affiancamento” ministeriale.

Il provvedimento può essere letto secondo due prospettive opposte: come una forma di “solidarietà” nazionale verso le Regioni più deboli del Sud e il Lazio, che fin dalla creazione del Servizio sanitario nazionale sono sempre state in difficoltà. Oppure come un “premio” all’irresponsabilità gestionale di queste Regioni che, a differenza delle altre, non si sono mai mosse con iniziative proprie, contando sempre sulla benevolenza dello Stato.

 

Gli strumenti delle Regioni

 

La presenza di deficit è una costante del Ssn che ha la sua origine nella politica di sotto-finanziamento, perseguita indistintamente da tutti i governi, nel tentativo, assai riuscito, di controllare la crescita della spesa sanitaria. Eccetto il primo anno, dal 1981 in poi il Ssn ha sempre accusato deficit, in valori nominali assommano a 76,4 miliardi di euro, che sono stati regolarmente ripianati dallo Stato. Tutto ciò fino all’accordo dell’8 agosto 2001, in base al quale sono ora le Regioni a doversi accollare i debiti per cause non dipendenti da provvedimenti statali, come accordi di lavoro o prezzo dei farmaci.

Per garantire l’equilibrio di bilancio, le Regioni hanno a disposizione tre strumenti principali: il controllo della spesa sanitaria, l’aumento delle entrate tributarie, attraverso i ticket e la maggiorazione dell’Irap e dell’addizionale Irpef, e le risorse stornate da altri capitoli del bilancio regionale. Possono operare, dunque, dal lato della spesa, delle entrate fiscali o di entrambi. Oppure da nessun lato, lasciando lievitare il deficit.

Dopo l’accordo del 2001, sei Regioni di centrodestra (Piemonte, Lombardia, Veneto, Molise e Calabria) hanno maggiorato l’addizionale Irpef, portandola dallo 0,9 all’1,4 per cento, a scaglioni o aliquota secca, e reintrodotto le compartecipazioni sui farmaci. Umbria e Marche sono invece intervenute solo sull’addizionale Irpef. Dopo le elezioni del 2005, le nuove giunte di centrosinistra in Lazio, Abruzzo, Calabria e Sardegna si sono affrettate ad abolire i ticket sui farmaci, misura non decisiva sul piano finanziario, ma di sicuro aiuto, se ben congegnata. Altre Regioni hanno preferito contare sulla distribuzione diretta dei farmaci e sul controllo della spesa: sono Emilia-Romagna, Toscana, Basilicata. Le cinque Regioni che sono intervenute sull’Irap – Lombardia, Veneto, Marche, Lazio e Sicilia – lo hanno fatto soprattutto per rimodulare l’imposta rispetto alla tipologia delle imprese. Da ultimo, lo scorso anno le sei Regioni con gravi deficit, più l’Emilia-Romagna, hanno maggiorato l’addizionale Irpef, portando a 13 il totale delle Regioni che sono intervenute su questa voce.

Tra il 2003-2005, il Ssn ha accumulato quasi 13 miliardi di disavanzo, dei quali il 30 per cento è concentrato in Lazio, il 25 per cento in Campania e il 13 per cento in Sicilia: insieme assommano quasi il 70 per cento del totale. Seguono il Piemonte con l’8 e la Sardegna con il 5 per cento. Tuttavia, in termini pro-capite anche altre regioni presentano valori elevati: Lazio (253 euro), Molise (210), Campania (190), Abruzzo (137), Sardegna (126), Sicilia (111) e Valle d’Aosta (102).

 

Comportamenti virtuosi e no

 

Osservando i comportamenti delle Regioni nel triennio 2003-05 si possono delineare sei tipi di condotta e comprendere i motivi del deficit (vedi tabella).

Un gruppo di Regioni virtuose – Friuli-Venezia Giulia, Umbria, Puglia, Basilicata e Calabria – conta solo sulla capacità di controllo della spesa, senza ricorrere all’imposizione fiscale, riuscendo a contenere il deficit su bassi livelli. All’opposto, un gruppo di Regioni meno responsabili – Lazio, Abruzzo, Molise, Campania e Sardegna – non sembra capace di controllare la dinamica della spesa e non si affida all’imposizione fiscale, se non dal 2006, per obbligo di legge. Sono le Regioni con i maggiori deficit di bilancio. Terzo e quarto gruppo puntano sul controllo della spesa sanitaria e ricorre, in aggiunta, all’imposizione fiscale (Lombardia, Veneto, Marche), oppure a risorse autonome di bilancio (Bolzano, Emilia-Romagna, Toscana). Hanno disavanzi minimi o addirittura degli avanzi. Al loro si può accostare il comportamento di un quinto gruppo, costituito da Valle d’Aosta e Trento, per il quale però le risorse aggiuntive di bilancio non bastano a compensare il mancato controllo della spesa o la pretesa di migliori livelli qualitativi dei servizi (15 per cento la spesa pro-capite oltre la media nazionale). Infine, un sesto gruppo dal comportamento problematico, comprendente Piemonte, Liguria e Sicilia, pur contando sul gettito aggiuntivo delle imposte e dei ticket e pur con livelli di spesa inferiori alla media nazionale, presenta comunque disavanzi consistenti.

Nell’insieme, nel 2005, undici Regioni agiscono soprattutto attraverso il controllo della spesa, mentre altre dieci sembrano incapaci di contrastare la sua dinamica. Inoltre, dieci Regioni non usano la leva fiscale e i ticket, mentre sei vi fanno ricorso e cinque attingono comunque a risorse autonome del proprio bilancio.

 

Il nodo della responsabilità

 

Cambiano i tempi, ma la lezione è sempre la stessa: il rigore non è premiato in questo paese. Ed è sempre una lezione diseducativa, oltre che ingiusta per i cittadini colpiti dal fisco della propria Regione. La situazione andrebbe approfondita sia rispetto alle previsioni della teoria sul federalismo fiscale (insensibilità degli elettori all’aumento di imposte e alla sostenibilità del debito), sia rispetto alla rigidità del vincolo di bilancio nei rapporti tra Stato e Regioni.

Rimane un nodo centrale: la responsabilità dei comportamenti. Le Regioni e province autonome del Nord, favorevoli al federalismo, dovrebbero far seguire i fatti alle dichiarazioni di principio, mentre quelle del Centro e del Sud, se non possono contare su una maggiore capacità fiscale, possono almeno impegnarsi nel controllo della spesa. Con o senza federalismo, la responsabilità non dovrebbe mai venire meno.

 

 

Fonte: Ns. elaborazioni su dati ministero della Salute

Imposte regionali e ticket

Risorse di bilancio

NO

SI

Controllo

spesa

sanitaria

 

SI

Friuli-V.G. (+)
Umbria (–)
Puglia (–)
Basilicata (–)
Calabria (–)

Lombardia (–)
Veneto (+)
Marche (-)

Bolzano (++)
Emilia-R. (-)
Toscana (–)

 

NO

Lazio (++)
Abruzzo (+)
Molise (++)
Campania (++)
Sardegna (+)

Piemonte (-)
Liguria (-)
Sicilia (-)

Valle d’Aosta (++)
Trento (++)

Note: I segni (+) e (-) indicano il livello superiore o inferiore alla media nazionale di spesa pro-capite

L’area grigia denota un elevato disavanzo regionale; eccetto Bolzano, Lombardia, Friuli-V.G. e Puglia

tutte le Regioni presentano disavanzi nel periodo 2003-05

 

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  1. Lorenzo

    Gentile dott. Mapelli, pur apprezzando il taglio “economico” del suo articolo, e condividendo appieno le sue considerazioni riguardo la responsabilità delle regioni, mi sembrerebbe utile rapportare ai dati riguardanti il bilancio quelli riguardanti la qualità della sanità. Insomma, si può definire virtuosa una regione che fa quadrare i conti ma fornisce una pessima assistenza ai cittadini? Con stima, Lorenzo.

    • La redazione

      Caro Lorenzo,
      in sanità la qualità non è sempre associata al livello di spesa. In altri temini, le regioni con elevati livelli di spesa (e spesso di deficit) non sono quelle con i servizi di migliore qualità e, viceversa, contenere il deficit non significa necessariamente peggiorare la qualità dei servizi sanitari. Da una ricerca svolta per il Formez (di prossima pubblicazione e da cui ho attinto i dati dell’articolo) si rileva infatti una debole correlazione tra qualità dei servizi e livello di spesa regionale (rho =
      0,27). C’è invece una maggiore correlazione (rho = 0,70) tra capacità gestionali (efficienza, controllo del deficit e composizione della spesa) e risultati di processo (qualità, appropriatezza e responsività). I quali
      risultati vanno ad impattare positivamente sulla salute della popolazione (rho = 0,78). Quindi, controllare il deficit fa bene anche alla salute.

      Cordiali saluti
      Vittorio Mapelli

  2. gianluca cocco

    Avere una spesa sanitaria quasi smisurata e contemporaneamente una sanità da terzo mondo è un virtuosismo non indifferente. Questo è il caso della sardegna, dove nel prossimo bilancio potremmo ritrovarci una spesa sanitaria da guiness, a causa del continuo esodo verso altre regioni da parte di tanti sardi che necessitano di interventi chirurgici di vario genere, per i quali è previsto il rimborso delle spese sostenute. Il nostro Assessore Dirindin, spalleggiata dalla Livia Turco e chiamata dal Presidente Soru per risanare la sanita sarda alle spalle della povera gente, rischia di fare un buco nell’acqua. Questi presunti esperti di risanamento finanziario dovrebbero intervenire sugli sprechi e sui privilegi, ma non lo fanno per non intaccare determinati interessi. Iniziamo a tagliare gli stipendi eccessivi!
    Saluti

  3. Marco Stevanella

    Gentile dott. Mapelli, nell’ambito dei miei studi universitari sto ora affrontando un argomento ancora sottostimato im Italia, ma molto sentito in altri Stati occidentali, in primis USA e Regno Unito (vd. Acheson Inquiry): le disparità di salute nella popolazione. Se, come è lecito pensare, esiste anche in Italia un gradiente di salute tra i cittadini, su base non solo socioeconomica ma anche geografica, come pensa che una politica di finanziamenti volti a ridurre tali disparità possa sposarsi con una responsabilizzazione della spesa regionale? Spero di essere stato chiaro. Grazie.

    Marco Stevanella

    • La redazione

      Rispondo per punti al suo commento.
      1) Fortunatamente anche in Italia gli studi in tema di disparità nella salute e nella sanità si stanno sviluppando
      (ad es. il “Manifesto per l’equità”). Forse sarebbe opportuna un’inchiesta parlamentare, come nel Regno Unito.
      2) Il gradiente di salute non è certo dovuto alla latitudine o al clima (…su base “geografica”), ma a fattori socio-economici, per cui al Sud prevalgono peggiori condizioni di salute,
      legate a condizioni socio-economiche più sfavorevoli.
      3) Il superamento del divario Nord-Sud in sanità viene affrontato dal 1980 attraverso il Fondo sanitatio nazionale, che attribuisce alle Regioni risorse secondo quote capitarie pesate per i “bisogni sanitari”.
      4) Con le stesse risorse pro-capite, però, le Regioni producono un numero di servizi diverso e di
      diversa qualità. Sono quindi le inefficienze regionali e delle ASL a creare diseguaglianza nelle opportunità di accesso in sanità.
      5) Tuttavia, una riflessione sul parziale insuccesso delle (sole) politiche finanziarie per superare il divario Nord-Sud e sulle diverse capacità di governance delle Regioni nei confronti dei loro sistemi sanitari potrebbe essere salutare per impostare una nuova politica sanitaria. Ma su questo avremo occasione di tornare.

  4. Vincenzo

    Sarà pur vero che la Regione Basilicata non supera molto il bilancio sanitario, ma il ticket viene ugualmente applicato. Sarebbe utile, poi, vedere la qualità dei servisi che offre. La spesa per la classe dirigente Amministartiva e Medica (con tanti incarichi o cariche inutili ed altrettanti sovraccarichi di lavoro) è congrua rispetto ai servizi?. Infine l’accidentità territoriale impone al cittadino notevoli spese per raggiungere i propri Ospedali primari per cui la maggior parte delle volte, conviene rivolgersi ad Asl di eccellenza che. guarda caso, si trovano nelle Regioni più virtuose.

  5. stefano angeli

    Sarà anche vero che la Regione Emilia Romagna ha un deficit sanitario contenuto, almeno nel 2005, ma ha acceso mutui per 500 milioni di Euro per ripianarlo ( e non è nemmeno la prima volta). Questo non è comunque debito che resta a carico dei cittadini? Magari solo di quelli emiliano romagnoli anzichè spalmanto su tutti gli Italiani

  6. Luigi

    Abito a Viterbo, più volte mi sono recato presso il centro prenotazione per visite specialistiche. Risultato: per ottenere una visita sono necessari almeno sei mesi o addirittura un anno. Scappatoia: se pago direttamente lo specialista posso ottenere la visita dopo tre giorni. Mi sorge un dubbio spontaneo, con questo sistema i soldi dei cittadini viterbesi vanno a finire alla sanità regionale o nelle tasche dei medici specialisti? Non sembra che le lungaggini siano create ad arte? Distinti saluti.

  7. fabrizio

    I numeri parlano chiaro. Possibile che, come farebbe un buon padre di famiglia, nessuno si degna di scandagliare in modo capillare e sistematico le cause dell’origine dei numeri delle voci di spesa? Chi meglio di un professionista ospedaliero sà con esattezza l’appropriatezza di decisioni diagnostiche terapeutiche e quanto incidono sulla spesa? Tonnellate di prelievi ematici, esami radiologici e procedure diagnostiche complesse, farmaci, acquisto di tecnologia solo appariscente…Quanto di tutto ciò è imputabile a ignoranza professionale?Chi controlla? L’argomento è impegnativo, ma è l’unico modo per uscirne.

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