Dopo l’allargamento si temeva la paralisi. E invece la Commissione lavora più rapidamente, e Parlamento Europeo e Commissione lavorano meglio insieme. Se anche questa è una buona notizia, questo non toglie il fatto che si debbano migliorare i meccanismi decisionali: la ricerca dell’unanimità deve cessare di essere una priorità.

Spesso le regole del trattato di Nizza che oggi regolano il funzionamento dell’Unione vengono criticate. Che ne è di queste regole? Quasi tre anni dopo l’allargamento dell’Unione ai nuovi stati membri si comincia a disporre di dati sul funzionamento delle istituzioni europee.

Tali dati contraddicono molte idee preconcette. Tra qualche giorno i capi di Stato e i primi ministri dell’Unione Europea, riuniti a Berlino, dovranno rilasciare una dichiarazione in occasione del cinquantesimo anniversario del trattato di Roma. Molti sperano che la dichiarazione di Berlino segni l’inizio di un processo di rilancio del progetto del trattato costituzionale, riconfermato dalla cancelleria tedesca. Linee guida più dettagliate saranno approvate in occasione del consiglio europeo di giugno, una vota noti i risultati delle elezioni francesi.
Tra tutte le ragioni invocate per giustificare la necessità di un rilancio, emerge in continuazione il tema dell’allargamento. Poiché l’Unione è passata in poco tempo da 15 a 27 membri, devono essere riviste le regole riguardanti l’immissione di nuovi paesi membri, onde preservare l’efficacia del sistema istituzionale. Il tema non è nuovo: è dagli anni Novanta che lo si invoca, reclamando delle riforme. Incapaci di trovare un accordo ad Amsterdam, i governi hanno partorito, dolorosamente, un compromesso a Nizza, ma le ferite provocate da quest’ultima negoziazione sono state talmente profonde che hanno ritenuto necessario ricominciare praticamente da capo. Il seguito è noto: il lancio della “convenzione sull’avvenire dell’Europa” nel 2003, e l’adozione del progetto di trattato costituzionale nel 2004. Dopo il fallimento di quest’ultimo, l’Unione è attualmente governata dalle regole definite a Nizza di cui tuttavia costantemente l’insufficienza.
Il sistema istituzionale è proprio così mal messo come si sostiene? Tre anni dopo l’allargamento, si comincia a disporre di dati sul funzionamento dell’Unione allargata, e i dati contraddicono molte idee preconcette.
Certo, la Commissione formula oggi meno proposte e la produzione legislativa è sensibilmente diminuita. Ma come stupirsene in un contesto in cui, da parte dei governi nazionali e delle istituzioni comunitarie, viene continuamente invocato il principio di sussidiarietà? D’altronde, una netta maggioranza di membri della Commissione Barroso proviene dal centro-destra. Con una Commissione “più liberale” delle precedenti, per riprendere il linguaggio che andava per la maggiore nella campagna referendaria, non sorprende che si metta l’accento sulla volontà di “legiferare meglio”, per non ostacolare il funzionamento dell’economia, invece che moltiplicare gli interventi legislativi. In altri termini, il legame tra la variabile “allargamento” e il rallentamento della produzione legislativa non è affatto evidente.
In compenso, molti indizi lasciano intravedere una interessante evoluzione nel funzionamento delle istituzioni. Si temeva per esempio che l’aumento del numero dei paesi membri ostacolasse il funzionamento del Consiglio, e invece la durata media dei procedimenti legislativi è crollata: dai 18 mesi di prima dell’allargamento a meno di un anno nel periodo seguente.
D’altra parte, la procedura di voto si è trasformata. Nel sistema comunitario il voto non è uno strumento di dominio da parte della maggioranza sull’opposizione; è piuttosto uno strumento “da ultima spiaggia” che serve essenzialmente a superare le persistenti obiezioni di uno o due governi isolati. Nell’Unione allargata è tuttavia meno frequente che uno stato si opponga da solo alle proposte della Commissione; soprattutto i nuovi Stati membri sembrano reticenti ad assumere posizioni isolate. Infine, è migliorata la collaborazione tra le istituzioni, come del resto indicano il numero di testi adottati sin dalla prima lettura, da Consiglio e Parlamento. Dal 21% del 2002 si è passati al 64% del 2005: in altre parole, Parlamento e Consiglio comunicano con sempre maggiore efficacia.
Tutto questo dimostra che si è ormai compreso come, in 27, sia necessario uno sforzo di adattamento per il buon funzionamento del sistema. Sarebbe a dire che tutto va nel migliore dei modi? Questa sarebbe un’affermazione eccessiva. L’unanimità resta un ostacolo in molti settori e si possono citare parecchi esempi in cui l’opposizione di un solo paese è bastata per annullare qualsiasi tentativo di compromesso. Il che spiega perché un sempre maggior numero di proposte della Commissione si insabbiano nella negoziazione intergovernativa. Per contro, durante le campagne referendarie del 2005, i cittadini europei hanno chiaramente espresso la loro volontà di far sentir la loro voce a livello europeo e di meglio comprendere come si perviene a una decisione.
Guardiamoci bene, pertanto, dal concludere che non bisogna cambiare nulla. Tuttavia, è palese che l’allargamento non ha ridotto l’Europa alla paralisi come temevano alcuni e che il sistema comunitario ha fornito segni evidenti di capacità di adattamento. Vale la pena di sottolinearlo a 50 anni dalla firma del Trattato di Roma.

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* La versione originale dell’articolo può essere letta sul sito www-telos-eu.com. Traduzione dell’articolo di Daniela Crocco

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