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Il fondo pensione conviene, ma attenzione ai costi

Una simulazione sui quattro diversi modi di adesione alla previdenza complementare disponibili per i lavoratori italiani mostra che il risultato ottenuto con i fondi pensione è generalmente superiore a quello conseguibile con il Tfr per tutti gli orizzonti d’investimento. I benefici della previdenza complementare possono però essere pesantemente decurtati, e in taluni casi annullati, dalle commissioni sopportate dai lavoratori. E nella scelta si dovrebbe anche tener conto della disponibilità ad accettare rischi sugli investimenti previdenziali.

Dieci milioni di lavoratori dipendenti del settore privato hanno oramai solo cinque giorni di tempo per decidere se mantenere il trattamento di fine rapporto (Tfr) nella sua forma attuale o se invece farlo confluire in una forma pensionistica complementare.
L’evidenza disponibile sembrerebbe indicare che molti lavoratori sono intenzionati a mantenere il Tfr così com’è. (1) Ciò riflette non solo il forte radicamento di questo istituto nel tessuto sociale italiano, ma anche le difficoltà di comprendere i potenziali vantaggi e i rischi connessi con la scelta, irreversibile, di destinare il Tfr a un fondo pensione. Crediamo quindi sia utile analizzare i possibili vantaggi/svantaggi delle diverse opzioni a disposizione dei lavoratori italiani. (2)

La scelta tra Tfr e previdenza integrativa

La tavola 1 riporta un confronto tra Tfr e fondi pensione per i quattro diversi modi di aderire alla previdenza complementare disponibili per i lavoratori italiani. Il primo caso è quello di un lavoratore (definito nella tavola “Corto”) che decide di destinare il solo Tfr al fondo di categoria (fondo negoziale), caratterizzato da costi di gestione relativamente contenuti, 0,6 per cento all’anno, pari alla media semplice dei fondi negoziali. (3) Il secondo caso si riferisce al lavoratore (nella tavola definito “Aperto”) che destina invece il Tfr a un fondo pensione aperto, più costoso, con commissioni di gestione pari all’1,4 per cento all’anno, pari alla media dei fondi pensione di questo tipo. Nel terzo caso il lavoratore (“Todo”) aderisce al fondo negoziale in modo esplicito e vi conferisce non solo il Tfr ma anche un contributo aggiuntivo, che in base alle norme vigenti gli consente di fruire della contribuzione del datore di lavoro. Nell’ultimo caso il lavoratore (“Tacito”) destina il Tfr ai fondi pensione attraverso il silenzio-assenso; ciò implica che i suoi contributi previdenziali verranno automaticamente destinati alla linea garantita del fondo negoziale.
La tavola 1 riporta lo scarto percentuale tra il valore finale di un investimento nei fondi pensione rispetto al caso in cui si scelga di conservare in azienda il Tfr alle attuali regole del codice civile (articolo 2120), distinguendo il contributo di ciascuno dei quattro elementi che concorrono a determinare il risultato finale: (i) la possibilità di ottenere rendimenti più elevati; (ii) il contributo a carico del datore di lavoro; (iii) i costi annui di gestione a carico degli aderenti ai fondi pensione; (iv) la diversa tassazione. I calcoli effettuati nelle simulazioni ipotizzano che il Tfr e le linee di investimento garantite dei fondi pensione abbiano un rendimento del 3 per cento (al lordo delle imposte e, per i fondi, dei costi). Per le altre modalità di investimento nei fondi pensione si è invece ipotizzato un rendimento lordo leggermente superiore (5 per cento) e pari a quello ottenibile investendo sui mercati finanziari. Dato il legame tra rendimento del Tfr e inflazione (4) le nostre ipotesi implicano un tasso d’inflazione del 2 per cento e dunque un rendimento reale dell’1 per cento per il Tfr e del 3 per cento per gli investimenti sui mercati finanziari. Inoltre, al fine di rendere confrontabili le diverse strategie di investimento, a tutti i lavoratori è stato attribuito un investimento di ammontare complessivo pari a quello effettuato da Todo: si ipotizza pertanto che Corto, Tacito e Aperto effettuino investimenti aggiuntivi di tasca propria destinati al mercato finanziario (Corto e Tacito) o al fondo aperto (nel caso di Aperto). I risultati si riferiscono a un lavoratore con aliquota Irpef minima (pari al 23 per cento). Tenendo conto di tutti questi elementi, la tavola confronta (in termini di scarto percentuale) il valore finale dell’investimento per i nostri quattro lavoratori con il caso benchmark in cui il lavoratore opti per mantenere il Tfr in azienda.

Dal confronto emerge chiaramente che:

1. nei casi considerati il risultato conseguito con i fondi pensione è generalmente superiore a quello conseguibile con il Tfr per tutti gli orizzonti d’investimento. Fa in parte eccezione il caso di Tacito, che ottiene rendimenti superiori ma molto simili a quelli del Tfr per scadenze fino a 30 anni e leggermente inferiori dopo 40 anni, quando l’effetto negativo delle commissioni diviene superiore a quello positivo della tassazione;

2. i migliori risultati della previdenza complementare sono dovuti principalmente all’ipotesi che la loro redditività sia superiore a quella del Tfr. Ad esempio i risultati ottenuti da Tacito (che investe nelle linee di investimento garantite, con rendimento pari a quello del Tfr) sono simili a quelli ottenuti dal lavoratore che lasci i propri soldi in azienda, soprattutto se si considerano gli orizzonti medio-lunghi;

3. l’apporto derivante dalla più bassa tassazione delle prestazioni dei fondi pensione rispetto al Tfr è significativo, ma è talora controbilanciato da quello – anch’esso significativo ma di segno opposto – dei costi di gestione annui. Ad esempio, sull’orizzonte di 30 anni l’effetto negativo dei costi supera quello positivo della tassazione in due casi su quattro. In particolare, per i fondi aperti i costi di gestione riducono i risultati di 24,1 punti percentuali a fronte di un vantaggio fiscale dell’ordine di 12,1 punti;

4. il beneficio derivante dal contributo aggiuntivo del datore di lavoro è rilevante e crescente nel tempo, fino a raggiungere i 15,2 e i 16,7 punti percentuali sugli orizzonti, rispettivamente, trentennali e quarantennali.

Le simulazioni sono condotte sotto l’ipotesi che il lavoratore sia tassato all’aliquota minima Irpef del 23 per cento. Aliquote più elevate accrescerebbero i vantaggi fiscali della previdenza complementare in misura significativa: ad esempio, la tavola mostra che sulla scadenza trentennale un aumento dell’aliquota Irpef dal 23 al 33 per cento incrementerebbe il vantaggio totale della previdenza complementare sul Tfr di 10-15 punti percentuali, a seconda dei casi. Ovviamente, il vantaggio sarebbe ancora superiore per lavoratori in classi di reddito ancora più elevate, con aliquote Irpef anch’esse più alte.
Il vantaggio dei fondi pensione crescerebbe anche a seguito di un aumento dei rendimenti sul mercato finanziario; questo potenziale vantaggio non verrebbe però colto dai lavoratori che, come Tacito, decidessero di investire nei comparti a rendimento garantito, privi di rischio ma a basso rendimento.

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L’importanza dei costi di gestione

Qualora sottovalutassero l’importanza dei costi annui di gestione, i lavoratori commetterebbero un errore grave e, soprattutto, costoso: si pensi che in 30 anni una commissione pari all’1,5 per cento annuo ridurrebbe il valore finale dell’investimento, e quindi della pensione, del 36 per cento rispetto al risultato che si otterrebbe con commissioni nulle.
Nella tavola 2 sono riportate le commissioni annue che, per ciascuno dei quattro lavoratori considerati, annullano i vantaggi della previdenza complementare. I risultati sottolineano l’importanza dei costi di gestione: ad esempio, nel caso del piano pensionistico di Tacito, che differisce dal Tfr soltanto per la minore tassazione delle prestazioni pensionistiche, il vantaggio dei fondi pensione svanisce già con livelli delle commissioni relativamente contenuti, compresi tra lo 0,6 per cento per investimenti a 40 anni e l’1,9 per cento per investimenti decennali. Per gli altri lavoratori, che godono di vantaggi aggiuntivi rispetto a quello fiscale, il livello della commissione “killer” risulta più elevato. Ovviamente, la commissione che azzera i vantaggi della previdenza complementare risulta più alta se l’aliquota Irpef è anch’essa maggiore (si veda la parte inferiore della tavola 2).
Ma qual è il livello effettivo delle commissioni? I dati pubblicati in un nostro lavoro (5) indicano che i costi annui dei prodotti previdenziali possono risultare elevati. Gli oneri totali dei fondi negoziali italiani sono pari in media allo 0,6 per cento all’anno, con punte al di sopra dell’1,0 per cento. Si badi bene che questi dati si riferiscono al complesso dei costi sopportati dai lavoratori, che includono (a) gli oneri della gestione amministrativa; (b) gli oneri della gestione finanziaria; (c) le commissioni alla banca depositaria. I costi sono più elevati per i fondi aperti (1,4 per cento in media) e soprattutto per i piani individuali pensionistici (Pip) offerti dalle compagnie di assicurazione, per i quali il valore medio delle commissioni è pari al 2,6 per cento all’anno per periodi di detenzione della polizza di 10 anni.
Considerata l’ampia dispersione che si osserva intorno ai valori medi, vi è il rischio che i benefici della previdenza complementare siano pesantemente decurtati – in taluni casi persino annullati – dalle commissioni sopportate dai lavoratori. Se ciò accadesse, i vantaggi dei fondi pensione – ossia la possibilità di destinare il risparmio previdenziale verso attività di mercato, il contributo del datore di lavoro e i robusti incentivi fiscali – rischierebbero di riflettersi unicamente in un aumento dei ricavi per gli intermediari finanziari, invece che in un miglioramento delle condizioni di vita dei futuri pensionati.

Maggiori rendimenti ma anche più rischi

Un’ultima nota di cautela riguarda i rischi connessi all’investimento nella previdenza complementare, che sin qui sono stati trascurati. Mentre il Tfr è praticamente privo di rischio di fallimento (stante il Fondo di garanzia presso l’Inps) e ha un basso rischio di tasso (costituito dalla volatilità dell’inflazione), il fondo pensione ha anch’esso un basso rischio di insolvenza ma può essere esposto a significativi rischi di mercato. Questi ultimi possono essere contenuti (mediante, ad esempio, specifiche strategie di investimento o apposite clausole contrattuali), ma non possono essere annullati. Pertanto, nella scelta tra fondi pensione e Tfr, i lavoratori dovrebbero valutare i vantaggi, in alcuni casi significativi, dei fondi pensione alla luce delle proprie preferenze, e in particolare con riferimento alla propria disponibilità ad accettare rischi sugli investimenti previdenziali. Questa può peraltro variare nel tempo: ad esempio, per i lavoratori a pochi anni dalla pensione potrebbe essere preferibile investire nei comparti a più basso rischio.

(1) Si veda, ad esempio, l’indagine GfK Eurisko realizzata per Assogestioni (disponibile su www.assogestioni.it).
(2) Per un’analisi dettagliata del settore della previdenza complementare si veda Cesari R., G. Grande e F. Panetta (2007), “La previdenza complementare in Italia: caratteristiche, sviluppo e opportunità per i lavoratori”, Quaderni di Economia e Finanza, n. 8, su
www.bancaditalia.it.
(3) Il dato medio riportato nel testo si riferisce ai costi totali nel 2005, costituiti per due terzi (0,41 per cento) dagli oneri amministrativi e per un terzo dagli oneri della gestione finanziaria (0,18 per cento) e dalle commissioni alla banca depositaria (0,04 per cento). La dispersione dei dati dei singoli fondi intorno a questi valori medi era ampia: considerando solo i fondi attivi per almeno sei mesi, i costi totali oscillavano tra un minimo dello 0,3 per cento e un massimo dell’1,5 per cento. I costi totali erano più bassi per i fondi più grandi; la media ponderata per il patrimonio era quindi leggermente minore (0,47 per cento).
(4) Il rendimento del Tfr è pari al 75 per cento dell’inflazione più 1,5 per cento.
(5) Si veda il paragrafo 4.5, e in particolare la tavola 15, in Cesari, Grande e Panetta, 2007.

Tavola 1

Il vantaggio dei fondi pensione rispetto al Tfr (1)

 

Corto

 

Aperto

 

Todo

 

Tacito

Lavoratore anziano (10 anni di contribuzione)

Vantaggio totale (aliquota Irpef 23%)

13,6

11,2

32,3

5,1

da redditività lorda

8,0

8,0

8,0

0

da contributo datore

12,8

da costi annui di gestione

-2,5

-6,4

-3,2

-2,3

da tassazione

8,1

9,6

14,7

7,4

Vantaggio con aliquota Irpef al 33%:

Totale

26,0

25,6

49,5

16,5

da tassazione

20,5

24,0

31,9

18,8

Lavoratore medio (20 anni di contribuzione)

Vantaggio totale (aliquota Irpef 23%)

20,3

13,6

40,4

2,8

da redditività lorda

17,9

17,9

17,9

0

da contributo datore

13,9

da costi annui di gestione

-5,8

-14,7

-7,4

-4,6

da tassazione (con aliquota Irpef al 23%)

8,2

10,4

16,0

7,4

Vantaggio con aliquota Irpef al 33%:

Totale

31,6

26,5

56,3

12,2

da tassazione

19,5

23,3

31,9

16,8

Lavoratore giovane (30 anni di contribuzione)

Vantaggio totale (aliquota Irpef 23%)

28,0

16,8

49,6

1,7

da redditività lorda

28,8

28,8

28,8

0

da contributo datore

15,2

da costi annui di gestione

-9,8

-24,1

-12,4

-6,8

da tassazione (con aliquota Irpef al 23%)

9,0

12,1

18,0

8,5

Vantaggio con aliquota Irpef al 33%:

totale

38,5

28,6

64,7

9,6

da tassazione

19,5

23,9

33,1

16,4

Lavoratore neoassunto (40 anni di contribuzione)

Vantaggio totale (aliquota Irpef 23%)

34,6

18,3

57,2

-0,4

da redditività lorda

40,9

40,9

40,9

0,0

da contributo datore

16,7

da costi annui di gestione

-14,5

-34,8

-18,4

-8,8

da tassazione (con aliquota Irpef al 23%)

8,2

12,2

18,0

8,4

Vantaggio con aliquota Irpef al 33%:

totale

44,4

29,2

71,6

6,2

da tassazione

18,0

23,1

32,4

15,0

(1) Scarto percentuale tra il valore finale dell’investimento in un fondo pensione e nel Tfr. Il caso di un lavoratore che decide di tenere il Tfr in azienda viene confrontato con altri quattro lavoratori. Il primo di questi (Corto) destina il solo Tfr a una linea non garantita di un fondo negoziale. Il secondo lavoratore (Aperto) destina il solo Tfr a un fondo pensione aperto. Il terzo (Todo) investe il Tfr, un proprio contributo aggiuntivo e un analogo contributo di pari entità da parte del datore di lavoro in una linea non garantita di un fondo negoziale. Il quarto lavoratore (Tacito) destina il Tfr a una linea garantita di un fondo negoziale attraverso il silenzio-assenso. A tutti i lavoratori viene attribuito un investimento di ammontare annuo tale da determinare un reddito netto disponibile per il consumo uguale per tutti: si ipotizza pertanto che Corto, Tacito e Aperto effettuino investimenti aggiuntivi di tasca propria destinati al mercato finanziario (Corto e Tacito) o al fondo aperto (nel caso di Aperto). Il reddito annuo iniziale dei lavoratori è pari a 25.000 euro e cresce al 3% annuo; l’inflazione annua è pari al 2%. Il rendimento dei fondi pensione è posto pari al 5% (pari al rendimento ipotizzato per le attività finanziarie); fanno eccezione le linee di investimento garantite dei fondi, il cui rendimento è posto pari a quello del Tfr (3%). L’aliquota Irpef è pari al 23% (o al 33%, ove specificato). Seguendo la normativa, l’imposta sulle prestazioni del fondo pensione è del 15% dopo 10 anni di contribuzione, del 13,5% dopo 20 anni, del 10,5% dopo 30 anni e del 9% dopo 40 anni. I costi totali annui di gestione sono pari allo 0,6% per il fondo negoziale, all’1,4% per i fondi aperti e nulli per gli investimenti diretti sul mercato finanziario.

Tavola 2

Livello delle commissioni annue dei fondi che annullano il vantaggio rispetto al Tfr (1)

(in percentuale del patrimonio del fondo pensione)

 

Corto

 

Aperto

 

Todo

 

Tacito

Aliquota marginale Irpef = 23 %

dopo 10 anni

3,9

3,8

6,9

1,9

dopo 20 anni

3,0

2,8

4,3

1,0

dopo 30 anni

2,8

2,6

3,6

0,8

dopo 40 anni

2,6

2,4

3,2

0,6

Aliquota marginale Irpef = 33 %

dopo 10 anni

6,6

6,5

10,0

4,6

dopo 20 anni

4,1

4,0

5,6

2,1

dopo 30 anni

3,4

3,3

4,4

1,4

dopo 40 anni

3,0

2,9

3,7

1,0

(1) Livello delle commissioni totali annue che annullano il vantaggio totale di aderire a un fondo pensione rispetto alla scelta di mantenere il Tfr in azienda (cfr. la tavola 1). Le ipotesi alla base delle simulazioni sono riportate nella nota alla tavola 1. I valori sono espressi in percentuale del patrimonio del fondo.

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Leggi anche:  Sulle pensioni la manovra fa i conti con la realtà

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14 commenti

  1. paolo conti

    Mi sembra che il caveat inserito in finale di articolo non possa essere fatto passare come una semplice postilla. Il TFR è garantito da un apposito fondo e consente di preservare il potere di acquisto (sino ad un’inflazione inferiore o uguale al 6%), mentre i fondi no. Anche le formule furbette che garantiscono almeno il capitale versato hanno il piccolo difetto di non chiarire che 100 euro del 2007 sono ben diversi da 100 euro del 2030…
    Oltretutto ipotizzare un rendimento del 3% e del 5% per i fondi mi pare ottimistico alla luce delle performance dell’ultimo decennio.

  2. Stefano Gliozzi

    La valutazione del rischio non mi sembra per nulla un elemento marginale. Si parla di un contratto che ha durata di 40 anni e oltre, e penso che in questo caso la garanzia diretta dello Stato abbia un valore non piccolo.

  3. oreste

    In realtà la protezione che dà il TFR dall’inflazione é, secondo i calcoli fatti dal prof. Beppe Scienza (matematico del universita di Torino), ben maggiore del 6% arrivando a coprire il potere di acquisto finchè l’inflazione non supera il 13%.
    E il sistema di calcolo che è sbagliato che porta erroneamente a dire che oltre il 6% di inflazione il tfr perde potere di acquisto.

  4. Andrea Lanteri

    Articolo ottimo ed esaustivo. Conferma quanto sospettavo, ovvero il principio del “Timeo Danaos dona ferentes” (Temo i Greci anche quando portano doni): tutta questa pressione per accaparrarsi i soldi del TFR dimostra solo l’ interesse di chi li vuole incassare… Il mio TFR resta dov’è, in azienda, rendimento più sicuro di questi fondi che vanno come vanno, e nessuno che ci mangia sopra.

  5. Giuseppe Caffo

    Condivido le perplessità di Paolo Conti.Vorrei aggiungere alcune considerazioni. Aderendo a un fondo pensione col TFR o con versamenti periodici, alla fine si ottiene,se tutto va bene, un capitale rivalutato dalla gestione del fondo,che viene convertito in rendita applicando un coefficiente del 5,1%.Ma si perde la disponibilità del capitale! E una rendita di poco inferiore si ottiene investendo in semplici BTP,conservando la disponibilità del capitale. Esistono degli incentivi fiscali per chi aderisce a un fondo pensione, ma non compensano certo la perdita del capitale accumulato.Certo per banche ,SGR,assicurazioni ( che non sono esattamente associazioni di beneficenza) sarà un bell’ affare gestire grosse somme di danaro!

  6. marco forlani

    Quello che è affermato nei commenti che sono stati inviati secondo me non è corretto anche i fondi hanno una forma di garanzia collettiva come il Tfr e si ricordi che in molti casi la garanzia del Tfr viene esercitata dopo anni nel caso di fallimenti e non in forma completa.

  7. antonella

    Come mai nessuno formula una ipotesi di rendita mensile fornita da un fondo cui oggi si aderisca facendovi confluire il proprio tfr (ipotizzando alcune situazioni medie). Non è che sia così perchè altrimenti si verificherebbe che la rendita che andrà ad integrare la pensione sarà in casi di versamento nel fondo del solo tfr, comunque particolarmente misera?

  8. Francesco Salamone

    L’articolo è ottimo Tuttavia, non si fa riferimento a due oneri che possono ulteriormente ridurre il risultato finale del fondo pensione. Mi riferisco all’imposta sostitutiva (11% sul risultato di gestione maturato e quindi virtuale) applicata annualmente durante la fase di accumulo, e alla commissione di incentivo a favore dei gestori finanziari in caso di overperformance (anche se spesso tale overperformance è fittizia e determinata mediante escamotage).

  9. Giuseppe Scalas

    Secondo me non bisogna drammatizzare i rischi associati al trasferimento del TFR ai fondi. C’è infatti una tutela di tipo “sociologico” dal fallimento di un fondo che bisogna considerare. L’insolvenza di un fondo con milioni di aderenti, infatti, causerebbe gravissimi disordini sociali, che potrebbero sfociare in violenze sanguinose, anche ai danni della classe politica, peggiori di quelle drammatiche che abbiamo ahimé vissuto negli anni ’70. La politica, per certo, non vorrà esporsi a tali rischi per cui si può star certi che saranno predisposte le adeguate tutele.

  10. marco forlani

    Sempre leggendo i commenti vorrei ricordare che il Tfr è tassato esattamente come i fondi e che i fondi beneficiano nel lungo termine di una riduzione di imposta di cui il Tfr non può beneficare. Nel caso di overperformance vorrebbe dire che comunque il fondo ha reso molto più del Tfr e l’aggaciamento del fondo garantito non può includerla. Si consideri poi che comunque a fine carriera lavorativa si può ritirare il 50% del valore del fondo sottraendolo alla rendita, la parte restante resta in rendita, il che potrà anche non piacere.

  11. Marcello Rubiu

    Il problema dei costi, davvero rilevante come emerge dal prezioso esempio esposto, potrebbe essere ridotto imponendo la gestione passiva invece che attiva, coerentemente con la letteratura finanziaria, nei prodotti previdenziali dedicati al secondo pilastro. Integrata con una strategia lifestyle predifinita, legata al montante già accumulato, si potrebbe ridurre il rischio di errori nell’asset allocation. Lasciando che il futuro pensionato sia esposto al solo rischio di mercato.

  12. Marco Gatti

    A proposito del commento sulla tutela “sociologica”: lo stato non può nenache in via ipotetica garantire i fondi per due ragioni:
    1) se lo facesse solo per i fondi chiusi violerebbe le norme poste a tutela della concorrenza nei confronti di fondi aperti e assicurazioni;
    2) se lo facesse per tutti creerebbe un incentivo perverso alla rincorsa delle soluzioni di invetsimento più rischiose (tanto sono tutelato) e manderebbe a gambe all’aria l’intero sistema.

  13. oreste ravani

    Non è mica detto che la tassazione agevolata sui fondi venga mantenuta per sempre così come è adesso.
    Qualunque governo in qualunque momento può cambiarla tant’è vero che alcuni giornali tipo il sole24ore ne hanno già parlato come del resto anche a livello governativo.
    Stessa cosa per il 50% del capitale a fine carriera lavorativa e i vari anticipi di cui si può usufruire durante la carriera, potrebbero mettere ( e anche questo è apparso sui giornali) maglie più strette per poter’accedere alla riscossione.
    In questa storia mi sa tanto che ci siano poche certezze e comunque meno che con il TFR in azienda.

  14. Antonio Petrucci

    Purtroppo tutti dimentichiamo il problema VERO, ossia che la nostra futura pensione non ci garantirà una vita dignitosa. Aver iniziato a parlare di questo problema grazie alla riforma del tfr è un’ottimo inizio, ma sicuramente la questione non verrà risolta accantonando 1500 € all’anno. E poi la riforma Dini non è recente: è legge dall’8 agosto del 1995! Cosa abbiamo fatto in dodici anni? Niente. Ma se questa apatia durerà ancora per molto tempo alla fine il numero di poveri in Italia continuerà a salire. Dedichiamo del tempo per informarci ed agiamo perchè questo problema “futuro” possa essere, almeno in parte, risolto.

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