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A passo d’uomo. Ma con l’aria più pulita

Milano vara la sua pollution charge. Da apprezzare il rigurgito di sensibilità al problema del traffico, ma continua a sorprendere il malinteso di fondo che caratterizza il provvedimento. La prospettiva da adottare dovrebbe essere quella del pedaggio anti-congestionamento. Sulla base del principio che tutti i mezzi privati, anche quelli a emissioni nulle, occupano spazio. La cui disponibilità limitata, soprattutto nelle città, costituisce il vincolo fondamentale. Male quindi le esenzioni e gli sconti, mentre la zona interessata dovrebbe essere più ampia. Un intervento sul tema di Sergio Ascari.

La “pollution charge” in salsa meneghina è forse in dirittura d’arrivo: il progetto ha ottenuto il via libera dal vertice della maggioranza di Palazzo Marino. Anche se qualche mal di pancia già riemerge, l’assessore alla Mobilità Edoardo Croci si dice soddisfatto. L’argomento era infatti un punto qualificante del programma elettorale del candidato sindaco Moratti, ma era stato forzatamente accantonato dopo i primi mesi di legislatura, per mancanza di consenso politico da parte della sua stessa maggioranza. Quel consenso e, verrebbe da aggiungere, quel senso di responsabilità che era mancato ai tempi del duo Albertini-Goggi. I tentativi di boicottaggio non sembrano mancare nemmeno questa volta: la Lega soprattutto, che apre un gazebo nel centro città per chiedere ai passanti se sono d’accordo. Ma anche la minoranza ci mette del suo, dichiarando con il capogruppo dei Verdi che quella proposta sembra “molto più una tassa sul traffico che un mezzo per ridurre l’inquinamento”. In realtà, noi ci auguriamo che il provvedimento vada definitivamente in porto e che passi, se necessario, anche con il voto della minoranza.

La struttura del provvedimento

Ma com’è strutturata la “pollution charge” milanese e con quali modalità dovrebbe diventare operativa? Secondo quanto leggiamo sui giornali, pare anzitutto che il provvedimento sia destinato a diventare immediatamente esecutivo, con una fase sperimentale di tre mesi a partire da ottobre. Con queste modalità la misura non passerebbe per il Consiglio comunale. Riteniamo che sia un errore, e condividiamo quindi le critiche avanzate da alcuni consiglieri su questo punto, perché un voto ampio, magari non solo della maggioranza, conferirebbe grande forza politica al provvedimento. Allo stesso tempo, consentirebbe di fare uscire allo scoperto le eventuali voci contrarie. Il periodo di prova, può essere invece condivisibile, purché non si traduca in un’occasione per svuotare o cancellare il progetto, soprattutto perché, come anche l’esperienza di Londra insegna, nei primi mesi i cittadini permangono scettici non vedendosi subito i benefici.
Quanto alle modalità, il pedaggio dovrebbe essere applicato entro la Cerchia dei Bastioni, tutti i giorni feriali dalle 7 alle 19 con una tariffa differenziata dai 2 ai 5 ai 10 euro al giorno, a seconda della tipologia dei mezzi, in base al tipo di carburante utilizzato, al carattere privato o commerciale e al grado di inquinamento secondo la scala Euro 0-Euro 4. La tariffa sarebbe dunque commisurata al grado di inquinamento del mezzo utilizzato.
Sarebbero previste una serie di deroghe e modifiche alla struttura di base appena vista. Anzitutto, i residenti pagherebbero in alternativa un pass annuale di 50-125-250 euro. In secondo luogo, sarebbero totalmente esentati moto e ciclomotori, veicoli elettrici, ibridi, a gpl, a metano, a benzina Euro 3 e 4, diesel con filtro antiparticolato. Infine ci sono pressioni per esentare i diesel Euro 4 anche senza filtro e per far pagare il solo e più economico abbonamento annuale anche ai pendolari che lavorano entro la zona assoggettata a pedaggio.
Il Comune stima un introito di 40 milioni di euro. Stima pure che delle 45mila auto che dovranno pagare giornalmente il pedaggio, solo 9mila saranno tolte dalla circolazione, cioè il 20 per cento circa. A fronte di ciò, saranno introdotti 50 autobus e impiegati 200 autisti in più. Il risultato atteso sarebbe un +20 per cento di corse di autobus, un +13 per cento di corse di tram e un +27 per cento di mezzi extraurbani verso l’hinterland.

Ma il problema è il congestionamento

Fin qui la situazione come appare oggi. Se da un lato c’è da rallegrarsi per il rigurgito di sensibilità al problema, continua a sorprendere il malinteso di fondo che ha portato a un provvedimento siffatto.
In breve: si introduce una “pollution charge” mentre si dovrebbe prevedere una “congestion charge”. Si fa un gran discutere di come risolvere il problema dell’inquinamento da traffico urbano, mentre non si vuole vedere che la questione è un’altra: il congestionamento da traffico. Curando il secondo si cura anche il primo problema, mentre non è vero il viceversa. Su questo tema siamo intervenuti a più riprese
 , l’ultima volta un anno fa quando i contorni del provvedimento non erano ancora così nitidi . Ma già si aveva avuto occasione di osservare che un pedaggio anti-congestionamento porterebbe ad adottare una prospettiva assai diversa. Essa, infatti, poggia le sue basi sul principio che i mezzi (privati) occupano spazio, la cui disponibilità, soprattutto nelle città,è limitata e costituisce il vincolo fondamentale. Ne consegue che anche mezzi a emissioni nulle, per esempio a idrogeno, quando dovessero circolare, congestionano lo spazio disponibile imponendo costi che gravano su tutti coloro che usano la strada per spostarsi, magari coi mezzi pubblici o in bicicletta. Di più, si potrebbe ritenere che siccome i redditi individuali continuano a crescere e la libertà di movimento è ormai un diritto fondamentale cui difficilmente si rinuncia, lo sviluppo di motori a emissioni zero potrebbe addirittura attirare maggiore traffico privato, pur in presenza di un’elevata qualità dell’aria.

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Quanto al problema dell’inquinamento, i termini della questione che andrebbero chiariti ai non esperti che si trovano nella posizione di decidere o di influenzare le decisioni, sono presto rappresentati mediante una decomposizione:

E = A x B x C x D

dove E sono le emissioni complessive da traffico, A sono le emissioni per litro di carburante utilizzato, B i litri di carburante per chilometro percorso, C i chilometri percorsi per singolo mezzo (privato) e D il numero complessivo di mezzi (privati). È istruttivo convertire tale relazione in tassi di crescita di ciascuna sua voce, che indichiamo con lettere minuscole:

e = a + b +c + d

La relazione insegna una semplice verità: l’inquinamento da traffico aumenta se aumentano una o più delle sue componenti. Naturalmente, qualche voce può decrescere nel tempo ma non essere in grado di compensare l’eventuale aumento di qualcun’altra. Ebbene, il maggiore contributo all’inquinamento dell’aria è dato dall’ultima voce, il numero dei mezzi circolanti, rispetto al quale poco possono fare le modifiche del parco circolante a favore di carburanti più puliti come il metano (che incidono sulla voce a) o la sostituzione di mezzi vecchi e inquinanti con altri nuovi e più efficienti (che incide sulla voce b). Se si usa molto l’auto e si fanno molti chilometri cresce la voce c; se aumenta il numero delle auto in circolazione cresce la voce d. Quest’ultimo fatto causa maggiore congestionamento e crescita dei rischi da incidenti, oltre a maggiore inquinamento.

Una “congestion charge” agirebbe direttamente sulle voci c e d e come tale implicherebbe che fosse pagata da tutti i mezzi privati indistintamente. Implicherebbe anche che la zona coperta fosse più ampia di quella prevista. Male quindi le esenzioni, che attenuano l’inquinamento, ma non tolgono mezzi dalle vie cittadine. Male pure gli sconti, perché non v’è ragione per cui un residente che si muove in città con il proprio mezzo debba pagare meno di un non residente: anzi, forse si muove di più. Le differenziazioni vanno bene, ma le tariffe appaiono basse: il gettito stimato è poca cosa rispetto a quello di altre capitali europee che hanno introdotto analogo provvedimento, le quali beneficiano di entrate da due a cinque volte più elevate. È l’aumento dei chilometri percorsi e del numero dei mezzi pubblici, che quel gettito servirà il più presto possibile a finanziarie, che decreterà il gradimento della “charge” da parte della popolazione residente (e non residente) e quindi il suo successo.

Si tratta di una scommessa che può essere vinta, come l’esperienza europea suggerisce. Purché le cose si facciano nella giusta maniera.

Road pricing: miracolo a Milano?, di Sergio Ascari

In una pubblicità radiofonica in onda qualche settimana fa, una paziente si presenta dal medico, lamentando evidenti sintomi di malessere respiratorio, ma è presto chiaro che non di una persona si tratta, ma di una città: “Prende qualcosa per questa tosse?”, “Qualche blocco del traffico…”.
La battuta invita a riflessioni sulle “terapie” più adeguate per il problema dell’inquinamento urbano, che è sempre più sentito, anche se in realtà è in graduale diminuzione.

Inquinamento e analisi costi-benefici

La scelta della giusta terapia dipende dal confronto dei benefici e dei costi di una sua ulteriore riduzione. Entrambi sono di difficile stima, i primi perché la qualità ambientale non ha un mercato: i danni ritenuti più importanti sono quelli alla salute, imputabili alla qualità dell’aria, anche se costi sociali rilevanti provengono dal rumore, dalla congestione, dagli incidenti. Quanto ai costi di contenimento, questi non sono solo tecnici, ma comprendono la perdita di utilità connessa al minore consumo di beni privati, come il circolare in auto in città o il riscaldare le case. (1)
Dagli studi sui danni ambientali, specie quelli alla salute, si ricava l’assoluta necessità di politiche differenziate a livello territoriale. Il costo sociale stimato della combustione di un litro di carburante nel comune di Milano è il doppio di quello generato bruciando lo stesso litro nella media della provincia: ciò dipende dal ristagno degli inquinanti nelle aree urbane e dalla densità della popolazione-bersaglio. Gli effetti nocivi non sono dunque proporzionali alle emissioni.
In altri termini, i danni alla salute a parità di emissioni in un contesto inquinato urbano (ad esempio Milano) sono sensibilmente superiori, rispetto a quelli generati in zone a più bassa densità di popolazione e di traffico (ad esempio Bormio, la stazione lombarda con i più bassi valori di Pm10). Pertanto una tassa uniforme tra le diverse zone – come la tassa sulla benzina, necessariamente uguale a Milano e a Bormio – è utile a fronteggiare altri problemi ambientali, come quelli globali o continentali, ma non a riflettere il diverso costo sociale dell’inquinamento a Milano e a Bormio. E ciò vale anche per la congestione.
Occorre dunque un diverso strumento, in grado di differenziare tra le zone, e questo può essere il road pricing, da applicarsi a Milano, o meglio nella zona omogenea, e non nelle aree a bassa densità. Si potrebbe obiettare che il road pricing discrimina tra le forme di inquinamento, in quanto colpisce il traffico e non ad esempio il riscaldamento. D’altra parte, la penalizzazione fiscale del riscaldamento è già molto sostenuta in Italia, ben più della media europea, ed è fortemente regressiva: potrà perciò essere opportuno in questo caso intervenire con strumenti diversi, ad esempio incentivi mirati al risparmio.

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Road pricing, blocchi del traffico e rottamazioni

Può essere utile ricordare gli esiti del confronto di merito tra il road pricing e alcuni degli strumenti alternativi proposti per combattere l’inquinamento urbano.
I blocchi indiscriminati del traffico, adottati fino a qualche anno in qualunque giorno della settimana a seguito del superamento di determinate soglie, presentavano in base ad alcune stime un costo in termini di benessere sociale – in una giornata feriale – tra sei e quindici volte maggiore dei benefici in termini di minori danni alla salute. Anche considerando i costi sociali del traffico diversi dalla catena aria-salute (incidenti, rumore, congestione), i benefici non arrivano alla metà dei costi. Quindi la successiva decisione di rinunciare ai blocchi, limitandoli semmai a giornate festive in cui i costi della rinuncia al traffico privato sono molto minori, appare giustificata dall’analisi costi-benefici. La stessa critica si applica, anche se in misura attenuata, al metodo delle “targhe alterne” ancora in vigore in varie città italiane.
Si può stimare che un livello di prezzo tale da provocare una riduzione del traffico del 20 per cento nel comune di Milano abbia costi in termini di benessere sociale, nel breve termine, di dimensioni paragonabili ai costi sociali dell’inquinamento evitato. Tuttavia, tali costi sono destinati a ridursi nel tempo: quando il “prezzo del girare in città” entra nelle aspettative dei consumatori questi lo incorporano nelle proprie decisioni di investimento, optando per mezzi meno inquinanti (due ruote, auto a metano, Gpl, elettriche), o puntando su altre soluzioni (più servizi pubblici, car sharing, car pooling). Ciò dipende dal fatto che la domanda di trasporto stradale urbano è piuttosto rigida nel breve termine, ma è elastica nel lungo termine.
Un’altra politica spesso indicata come adeguata è la sostituzione anticipata del parco circolante mediante incentivi: la cosiddetta rottamazione. Questa tuttavia non può che essere attuata simultaneamente almeno a livello nazionale, e quindi non appare idonea a fronteggiare i problemi specifici delle aree urbane. Peraltro, i suoi costi finanziari risultano generalmente superiori ai benefici ambientali, anche in una realtà ad elevato inquinamento. Dunque, non si tratta in generale di una politica efficiente, anche se è forse giustificabile in periodi di crisi del settore auto.
Perché allora la rottamazione si fa sempre e il road pricing mai? Probabilmente il road pricing colpisce significativamente alcuni cittadini-elettori, almeno nel breve periodo; mentre la rottamazione ha costi superiori ma uniformemente distribuiti, in quanto entrano nel grande fiume della spesa pubblica e pochi se ne accorgono.
Il problema del road pricing è naturalmente il consenso, non l’efficienza economica, e si risolve con l’arte della politica. Il medico-economista può solo offrire pochi suggerimenti.
In primo luogo, la tendenza dei costi a diminuire dal breve al lungo termine consiglia un’introduzione graduale, con un prezzo inizialmente basso ma destinato a crescere secondo un ritmo predeterminato fino al livello ritenuto adeguato.
In secondo luogo, uno studio aggiornato dovrebbe portare a definire il dosaggio della terapia, ossia il livello di prezzo e di riduzione desiderabile del traffico, senza escludere l’analisi di politiche rivolte ad altri settori (come il riscaldamento invernale corresponsabile dell’inquinamento locale) e di soluzioni innovative – come quella dei mattoni mangia-emissioni, proposta dalla pubblicità da cui si era partiti.
Infine, converrebbe scongiurare il sospetto che il road pricing serva a far cassa: e quindi prevedere una contestuale e altrettanto graduale restituzione di una parte importante del gettito in termini di riduzioni fiscali, destinando chiaramente il resto al finanziamento dei trasporti pubblici alternativi.

(1) Vedi G. Panella, S. Ascari, B. Cavalletti, L’inquinamento dell’aria nelle aree urbane e i danni alla salute – Le politiche di controllo, F. Angeli, 1999); Agenzia milanese mobilità ambiente, Studio per l’introduzione del road pricing a Milano, 2002, http://www.ama-mi.it/documenti/default.asp; G. De Leo et al., Calcolo dei danni economici da mobilità nell’area milanese, Arpa Lombardia, 2002; P. Lattarulo, M. Plechero, Traffico e inquinamento: i danni per la salute dell’uomo e i costi sociali, Irpet, 2005.

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  1. Pilade Franceschi

    Sono anch’io d’accordo che la soluzione sia il potenziamento dei mezzi pubblici. E non mi sembra che il Comune abbia spiegato sufficientemente bene cosa intende fare per potenziare i mezzi pubblici. Anzi, pare quasi che sia un problema di secondo piano, mentre non lo è. Nell’articolo si parla di potenziamento con nuovi bus, ma a me pare poco. Perchè non introdurre nuove linee di metropolitana? ad esempio una circolare che sostituisca la linea di filobus 90, notoriamente ipercongestionata.

  2. david

    Le auto girano vuote con un solo passeggero a bordo. Il rimedio è riempirle riducendo cosi’ il traffico, acendo pagare solo a chi viaggia da solo.
    E’ come creare un sistema di trasporto pubblico alternativo. Chi viaggia da solo ha vantaggio a dare un passaggio a chi aspetta l’autobus. Per suo vantaggio, non per altruismo. A me sembra l’uovo di colombo. Non è mai stato fatto. Si pensa a tassare chi entra in città senza dare un’alternativa. In questo modo che propongo, invece si permette anche a chi non ha i soldi di viaggiare, con un enorme vantaggio sociale.

  3. Guido Martinotti

    La pollution charge si chiamava originariamente pollution tax. Avevo ripetutamente criticato il termine facendo notare che a Londra erano più furbi e parlavano di “charge” non “tax” .Qualcuno se ne è accorto e ha voluto adeguarsi alla frbizia, ma non del tutto. La pollution è diversa dalla ongetion, anche se ne può essere una derivata. Ma è più esatto che si combatte la comngestione non l’inquinamento. Vedremo poi la realizzazione.
    Dal quel poco che si capisce linquinamento non sarà molto intaccato. Siamo sempre al lla politica come spettacolo.

  4. Kent Morwath

    È ironico che mentre si discute di inquinamento e congestione non si faccia nulla per limitare l’introduzione di autoveicoli pesanti, scarsamente areodinamici e con cubature elevate che però titillano l’ego dei proprietari. Se si favorisse – o si imponesse – l’introduzione di veicoli più piccoli, leggeri e meno inquinanti, insieme a strade sotterranee meno congestionate, si potrebbero eliminare questi balzelli su chi circola su veicoli privati, spesso con motivate ragioni.

  5. Marco Marzetti

    Un risultato che comunque la “pollution charge” può apportare è il necessario cambio di cultura.
    Auspico che molta gente capisca per prima cosa che non è sostenibile pensare di viaggiare tutti come preferiamo senza curarci dei problemi che ciascuno genera, i cui costi gravano sulla collettività.
    Secondo passo culturale importante è che difficilmente il singolo può risolvere il problema, ad esempio con auto ecologiche. Le soluzioni efficaci richiedono la partecipazione di tutti, anche qualora non sia possibile richiedere un uguale sacrificio a tutti (ovvio che il pedaggio danneggia alcune categorie più di altre).

    Auspico che, anche qualora la pollution charge si riveli insufficiente, ci si ponga il problema di rendere il pedaggio efficace, piuttosto che di eliminarlo. Si può pensare a intere strade ciclabili anzichè a quelle piste con percorsi improbabili che abbiamo, si può far pagare il pedaggio sui sedili vuoti, etc etc.
    Qualunque cosa, ma prima bisogna volerlo!

    Infine ricordo che l’ATM è una azienda capace di offrire un servizio di elevata qualità rispetto al prezzo esiguo del biglietto.
    Un problema grave è che a Milano la velocità di crociera è di circa 10 km/h, mentre ad esempio a Napoli è di circa 20 km/h.
    É altamente probabile che, una volta svuotate le strade e allargata la base di abbonati, la ATM sia capace di garantire migliori collegamenti.

  6. Francesco Zanna

    La pollution charge di Milano, così come congegnata, rischia di avere scarsissimi effetti sul traffico, sui livelli di inquinamento e altrettanto scarsi effetti virtuosi sulla competitività (soprattutto in termini di tempi di percorrenza) del trasporto pubblico di superficie. A mio parere il sistema più corretto per la internalizzazione o minimizzazione dei costi esterni legati a congestione ed inquinamento (premesso che questi ultimi non possono essere valutati/compensati quando riguardano il bene-salute) resta l’imposizione di significative imposte addizionali locali sul prezzo del carburante. L’importo dovrebbe essere proporzionato ai costi della congestione e dall’inquinamento (oggi il traffico privato è di fatto sussidiato da chi ne sopporta i costi) e tale da creare un vero disincentivo all’utilizzo del mezzo privato. Il gettito dovrebbe essere integralmente dedicato alla riparazione degli effetti dannosi della circolazione privata e al potenziamento dei servizi di trasporto pubblico.

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