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LA SINISTRA, I BOT E IL TABU’ DELLA NOMINATIVITA’

La redistribuzione è l’unico motivo che giustifica la tassazione di interessi e dividendi. Ma allora sarebbe necessario assoggettarli alla medesima aliquota che il contribuente paga sul reddito da lavoro. E’ la soluzione adottata in molti paesi, a cominciare dalla Gran Bretagna e dagli Stati Uniti. In Italia invece si preferisce un’aliquota unica su tutte le rendite finanziarie. Anche al 20 per cento ridistribuisce …  ma favore dei ricchi. Diversamente da ciò che molti pensano, questo sarebbe il momento giusto per modificare il trattamento fiscale dei titoli di Stato.

L’argomento che interessi e dividendi su attività finanziarie non dovrebbero essere tassati perché il risparmio con il quale quei titoli sono stati acquistati è già stato soggetto all’imposta sul reddito, è sostanzialmente corretto. Il risparmio non dovrebbe essere tassato due volte.
Tassare interessi e dividendi è giustificato solo se lo scopo è quello di rafforzare l’effetto redistributivo della tassazione, cioè se si ritiene che l’imposta sul reddito non redistribuisca abbastanza, ad esempio perché aumentare l’aliquota sui redditi più elevati avrebbe effetti troppo distorsivi sugli incentivi e sull’offerta di lavoro.
Per redistribuire occorre quindi ricorrere ad altre imposte, come quelle su interessi e dividendi che, pur distorsive, lo sono un po’ meno delle aliquote marginali dell’imposta sul reddito.
Ma se la redistribuzione è l’unico motivo che giustifica la tassazione di interessi e dividendi, allora sarebbe necessario assoggettare questi redditi alla medesima aliquota che il contribuente paga sul reddito da lavoro.
Questa è la soluzione adottata in molti paesi, a cominciare dalla Gran Bretagna e dagli Stati Uniti.
Non vedo perché non possa essere adottata anche in Italia.

Quale aliquota

Mi sorprende che la sinistra preferisca un’aliquota unica su tutte le rendite finanziarie che tassa i Bot di una famiglia operaia quanto quelli della famiglia Agnelli.
Ma accettiamo il vincolo e supponiamo che non si vogliano rendere i Bot nominativi e quindi non si possano sommare interessi e dividendi a tutti gli altri redditi.
Se li si tassa con un’aliquota unica, prelevata alla fonte, cioè direttamente sugli interessi, con quale aliquota dovrebbero essere tassati?
Se lo scopo è redistributivo, dipende evidentemente dalla distribuzione dei redditi delle famiglie che posseggono tali attività finanziarie.
Poiché il possesso di queste attività è relativamente più frequente tra le famiglie con redditi più elevati, la soluzione (ricordo sub-ottimale) è tassarli con un’aliquota più elevata di quella media sui redditi delle famiglie che non posseggono attività finanziarie.
Poiché le famiglie che pagano un’aliquota media sui redditi da lavoro del 12,5 per cento sono pochissime, questa aliquota (quella oggi pagata sui Bot) redistribuisce nella direzione sbagliata, cioè a favore dei ricchi. Un’aliquota del 20 per cento è quindi certamente più equa di una del 12,5 per cento.
Ma davvero non capisco perché proprio la sinistra debba essere succube del tabù della nominatività.

PS:
Il governo—e molti osservatori–pensano che modificare oggi il trattamento fiscale dei titoli di Stato, in un momento di turbolenza dei mercati è inopportuno. A me pare, invece, che questo sia il momento giusto per farlo, proprio perché la turbolenza dei mercati ha aumentato l’avversione al rischio dei risparmiatori, inducendoli a spostarsi verso i titoli di Stato. Prova ne è il fatto che i rendimenti sui titoli di Stato in euro a tre mesi sono scesi, dall’inizio di luglio, di 35 punti base, mentre il rendimento degli analoghi titoli privati (carta commerciale in euro a tre mesi) è salito di 50 punti.

La risposta di Alfonso Gianni* (apparsa su Liberazione del 02.10.2007)

Il professor Giavazzi non smette di stupirci. Ne siamo contenti, perché tutto questo aiuta il dibattito economico a svilupparsi secondo linee più corrette, In un articolo sull’ormai autorevole sito lavoce.info, rilanciato nel pomeriggio di ieri da diverse agenzie, 1’economista lombardo si schiera, in modo abbastanza inaspettato, tra coloro che vorrebbero l’innalzamento al 20% dell’aliquota con cui tassare le rendite finanziarie, Contemporaneamente, però, Giavazzi non perde l’occasione di prendersela con la sinistra, la quale sarebbe colpevole di eccessive timidezze, volendo tassare i possessori dei Bot allo stesso modo, siano essi gli operai della Fiat o i membri della famiglia Agnelli.
Ma seguiamo punto per punto il ragionamento del nostro economista. Egli ribadisce l’argomento un po’ trito e ritrito secondo cui il risparmio non dovrebbe essere tassato due volte, in base al quale cioè, non si potrebbe punire il risparmio che ha condotto all’acquisizione dei titoli del debito pubblico prelevando anche sui dividendi e sugli interessi, dopo che esso è già stato oggetto dell’imposta sul reddito.
Poi però riconosce che la tassazione sugli interessi e dividendi trova giustificazione negli effetti ridistributivi che questa provoca. Ed è a questo punto che l’editorialista del Corriere della Sera lancia il proprio affondo. L’attuale aliquota al 12.5% sui Bot “ridistribuisce nella direzione sbagliata, cioè “a favore dei ricchi’, mentre “l’aliquota al 20% è certamente più equa’ Non solo, ma secondo Giavazzi sarebbe ora il momento giusto per compiere questa operazione, poiché “la turbo- lenza dei mercati ha aumentato l’avversione al rischio dei risparmiatori, Inducendoli a spostarsi verso i titoli di Stato”. Quindi, secondo il nostro autore, e giustamente, l’incremento dl prelievo fiscale sul rendimento dei titoli deldebito pubblico non allontanerebbe i risparmiatori dall’acquisto degli stessi, poiché la friabilità e l’incertezza del mercato dei titoli privati sarebbe motivo di assai maggiore preoccupazione.
Perfetto, verrebbe da dire. E non ci sarebbe da aggiungere altro se non la speranza che tutti gli esponenti del governo e della maggioranza, a cominciare dal senatore Lamberto Dini, così sensibile a questo tema, ascoltino e meditino sulle parole del professor Giavazzi, ma non possiamo eludere il
secondo argomento del suo articolo, quello in cui accusa la sinistra di considerare la nominatività dei titoli di Stato un tabù, Non è così, almeno per quanto ci riguarda, come si può facilmente dimostrare ricostruendo il filo lungo del dibattito su questi temi. Se si vuole ridiscutere l’intero Impianto che regge il sistema fiscale italiano, almeno dalla riforma del 1972 in poi, accettiamo volentieri la sfida. Ma temiamo che ora e nel concreto sarebbe un modo per allontanare la soluzione del problema, poiché è evidente che un’operazione del genere non potrebbe trovare posto nel quadro di una legge finanziaria che non dovrebbe per definizione affrontare norme di tipo strutturale. La sede dovrebbe essere caso mai quella della legge-delega, la quale peraltro è già stata delineata e non comprende l’introduzione di interessi e dividendi nella dichiarazione dei redditi. In questo sistema è dunque inevitabile che i titoli del debito pubblico siano tassati allo stesso modo, siano essi posseduti dai ricchi che dai poveri; mi si può parlare di soglie di esenzione (come giustamente ebbe a scrivere su queste pagine Alessandro Santoro).
Ma non èqui che avviene il riequilibrio tra diversi redditi, quanto piuttosto sulla maggiore capacità ridistribuiva dell’aliquota unica al 20% (come appunto afferma lo stesso Giavazzi) e sul fatto che essa porterebbe anche una diminuzione di 7puntiditassazione sui conti correnti bancari.
D’altro canto l’elevamento della tassazione delle rendite finanziarie risponde soprattutto a un altro compito fondamentale, quello di impedire che diventi assolutamente conveniente per i capitali indirizzarsi verso la rendita anziché verso il rischio di impresa. Per quanto riguarda la tutela del piccolo risparmio, l’accento va allora posto sulla non retroattività della norma, nel senso che l’aliquota unica, quando finalmente si farà, dovrà agire solo sui rendimenti dei titoli di Stato di nuova emissione. All’obiezione, in sé non peregrina, che in questo modo si potrebbe dare vita ad un mercato duale dei titoli di Stato, si può rispondere prevedendo che la nuova tassazione dovrebbe comunque applicarsi anche ai rendimenti dei titoli di precedente emissione, qualora questi venissero venduti. Il che si potrebbe fare, se vi fosse la volontà politica e la determinazione necessarie, anche nel contesto della prossima sessione di bilancio.

* Alfonso Gianni è sottosegretario allo Sviluppo economico

La replica dell’autore

Contrariamente all’opinione di molti, il pensiero della cosiddetta Sinistra Radicale è spesso più libero di quello di alcuni riformisti nostrani che talvolta paiono essere succubi dei mercati.In quanto alla nominatività, che anche il sotto-sgretario Gianni pare temere, ricordo, come ho scritto nel mio articolo, che essa è la norma in due "templi" del mercato, la Gran Bretagna e gli Stati Uniti.
FG

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22 commenti

  1. Matteo

    L’argomento che interessi e dividendi su attività finanziarie non dovrebbero essere tassati, perché il risparmio con il quale quei titoli sono stati acquistati è già stato soggetto all’imposta sul reddito, è sostanzialmente corretto. Il risparmio non dovrebbe essere tassato due volte….nel caso dei dividendi infatti viene tassato tre volte…quando viene prodotto…quando viene investito e quando viene distribuito…e, naturalmente, quando viene consumato… I bot/obbbligazioni scontano invece una tassazione decisamente leggera (nel caso delle obbligazioni si ha addirittura la detraibilità del costo del capitale da parte delle aziende).

  2. Maurizio Razzolini

    Io credo che la tassazione sulle rendite finanziarie debba tenere conto dell’inflazione. Mi spiego meglio: per calcolare il rendimento non è sufficiente prendere l’importo della cedola, ma bisogna togliere da quel rendimento nominale l’importo dell’inflazione altrimenti tassiamo anche l’inflazione. Esempio capitale iniziale 100 rendimento annuo 3% inflazione 2%. Il mio rendimento è l’1% e su questo possiamo fare tutti i discorsi che vogliamo. Infatti il capitale 100 ad inizio anno è equivalente al capitale 102 a fine anno (per effetto dell’inflazione), se mi trovo un totale di 103 vuol dire che ho guadagnato “1” e non “3”. Credo che questo sia un ragionamento fondamentale proprio di logica che va anteposto a qualsiasi considerazione sull’ammontare della tassazione.

  3. Riccardo Cesari

    Concordo pienamente con le conclusioni del Prof. Giavazzi. Un aumento dell’aliquota dal 12.5% al 20% avvicinerebbe la tassazione sui redditi da lavoro (min. 23%) alla tassazione sui redditi finanziari. La tassazione sui conti correnti verrebbe ridotta (dal 27% al 20%). Naturalmente il maggior gettito deve finanziare le politiche per i giovani e le famiglie.

  4. Fabrizio Ghisellini

    Mentre una maggiore modulazione di aliquote/franchigie tributarie può essere opportuna in generale se si vuole redistribuire correttamente, mi sembra che non si consideri che non è solo il risparmio ad essere tassato due volte.Tutto è tassato ALMENO due volte, a cominciare dai consumi attraverso l’IVA.E anche per l’IVA l’aliquota è la stessa per tutti.

  5. Alex Turkish

    Condivido in pieno l’articolo, ma non sono affatto d’accordo sulla frase iniziale sulla tassazione delle attività finanziarie. La tassazione riguarda i redditi derivati dall’attività finanziaria e non il capitale stesso, quindi non è corretto dire che il risparmio viene tassato due volte. Altrimenti si potrebbe parimenti dire che se uso il risparmio per aprire una impresa non devo vederne tassati gli utili.

  6. avv.Paolo Rosa

    Potrei essere d’accordo con il prof.Giavazzi se non avessimo un sommerso straripante. Se tutti dichiarassero quanto guadagnano l’imposizione fiscale sarebbe sicuramente inferiore. La proposta Giavazzi agevola "gli Agnelli" ma anche gli evasori che non verserebbero alcunche’ mentre ora almeno il 12.50 per cento. Cordiali saluti. Paolo Rosa

  7. Corrado Truffi

    Sono stupito: non sono praticamente MAI d’accordo con quanto scrive il prof. Giavazzi. Ma questa volta mi riconosco al 100% con ciò che sostiene.
    Complimenti.

  8. Fabio Corgiolu

    A mio avviso le rendite finanziarie dovrebbero essere considerate a tutti gli effetti una forma di reddito ed in quanto tali partecipare alla determinazione dell’imponibile Irpef. Non condivido si tratti di una doppia tassazione perché stiamo parlando di tassare il nuovo reddito prodotto, non il capitale in sé. Quanto ad eventuali preoccupazioni su ipotetiche esplosioni dell’evasione fiscale, è compito dello Stato combattere l’evasione introducendo tecniche più efficaci delle attuali.

  9. Otilio Masseroli

    Non si può non concordare appieno a quanto scrive Maurizio Razzolini che mette correttamente in luce un aspetto oggettivo (non considerato nel pur pregevole articolo di Francesco Giavazzi “ La sinistra, i Bot e il tabù della nominatività”) e che tale aspetto vada anteposto a qualsiasi considerazione sull’ammontare della tassazione. Con i dati esposti a titolo di esempio da Maurizio Razzolini il rendimento dei Bot è indicato nel 3%, ma per effetto dell’inflazione il rendimento reale è solo dell’1%. In tali condizioni una tassazione del 20% sul rendimento cedolare equivarrebbe ad una tassazione del 60% (sessanta percento) sul rendimento reale. Mi sembra sostanzialmente condivisibile la considerazione (esposta nell’articolo) che sarebbe necessario assoggettare i redditi in argomento alla medesima aliquota che il contribuente paga sul reddito da lavoro. Non mi pare però (come pure si dice nell’articolo) che un’aliquota del 20% sia certamente più equa dell’attuale 12,5%: non credo infatti che esistano redditi di lavoro tassati a livelli che giungano fino al 60%.

  10. Giuseppe Gioioso

    Sono assolutamente d’accordo con la tesi esposta, ma non condivido assolutamente la critica e mi sembra la relativa condivisione dell’autore della doppia tassazione del risparmio. Quel che si vuol tassare infatti non è il risparmio in sè, che, essendo la differenza tra reddito – imposte – consumo è stato effettivamente già tassato, ma la rendita finanziaria, ossia il reddito prodotto dal risparmio, che in sè continurebbe ad essere non tassato. In sostanza se metto i soldi sotto la famosa mattonella o li investo in attività finanziarie quegli stessi soldi continuerebbero a non essere tassati; quello che verrebbe invece tassato in maniera più incisiva sarebbe il reddito prodotto da quegli stessi soldi, utilizzati con minore o maggiore propensione al rischio in impieghi finanziari alternativi. Trovo poi sconcertante che in Italia queste posizioni siano portate avanti soltanto dalla sinistra radicale, laddove anche economisti liberal la reputano una soluzione equa, secondo me non solo dal punto di vista redistributivo, ma anche da quello strutturale. Un imprenditore che rischia il proprio capitale con rischio infinitamente maggiore è tassato 3-4 volte in più di chi impiega le risorse per rendite finanziarie.

  11. Stefano Parravicini

    Chiar.simo Prof. Giavazzi, prima di tutto vorrei dirLe che La stimo molto e che La vorrei al posto di Padoa Schioppa. Ho letto con interesse il Suo articolo sulla imponibilità delle rendite finanziarie e sulla nominatività dei Bot ecc…e se in astratto concordo con Lei in pratica sono contrario. Premetto di essere un Radicale, iscritto al P.R., ed un liberale convinto. Il perchè è semplice, vorrei pagare meno tasse ed avere una spesa pubblica minore e più qualificata, una spesa pubblica che metta al centro il cittadino e non il dipendente. Sono per una Flat – Tax. La nominatività e l’adozione dell’aliquota marginale del percettore dei redditi aumenterebbe il prelievo da una parte e dall’altro darebbe allo Stato Italiano, che vorrebbe essere occhiuto e poliziesco, una carta in più per controllare ed opprimere il cittadino. Per fortuna ci riesce solo parzialmente per propria inefficienza. Adottando la Sua ricetta si verificherebbe la fuga dei capitali dall’Italia in tutti i modi possibili ed aumenterebbe la zona grigia della elusione – evasione. Comunque la ragione principale, se non si è capito è che non mi fido di questo Stato e della sua capacità e volontà di spesa. Cordiali saluti Stefano Parravicini

  12. Luciano Scalzo

    La redistribuzione attuata per mezzo delle entrate fiscali è uno strumento inefficace .E’ uno strumento controproducente laddove incide su attività ( quale i capitali finanziari) dotati di elevata mobilità. Se si vuole effettivamente redistribuire la ricchezza si agisca sul lato della spesa sociale (senza incrementi della spesa totale ovviamente). Sul versante delle entrate sarebbe opportuno gestire al meglio le imposte già esistenti piuttosto che pensarne di altre .

  13. Diego

    Mi sembra che gli articoli siano del tutto conivisibili e lucidi. Complimenti. In realtà il tema più interessante su cui si dovrebbe scrivere è del capire perchè non si voglia aggiornare e armonizzare la tassazione di interessi e dividendi in questo o in altri momenti turbolenti o meno…

  14. Pierluigi De Simone

    Usare il termine "rendita" è improprio. Nessuno garantisce niente. Solo le obbigazioni hanno un rendimento noto. Ma è scontato sul prezzo. I soldi che si usano per fare investimenti (così si chiamano) sono già stati soggetti a tassazione. Punto. Si perpetra una enorme ingiustizia. Se un investimento va a rotoli, può lo sfortunato investitore ridurre il suo imponibile di una cifra pari alla perdità ? Col cavolo Tassare gli investimenti come lo fa lo Stato Italiano è un gioco nel quale vince sempre e solo il banco.

  15. Alberto Lusiani

    Sono ovviamente d’accordo con i rilievi di Masseroli e Rafazzini sul fatto che la rendita netta su cui discutere il livello di imposizione e’ quella al netto dell’inflazione, e sottolineo che questa considerazione e’ tanto piu’ importante per gli investimenti dei piccoli risparmiatori (tipicamente ora CCT al 4% con 2% di inflazione) rispetto alle rendite dal possesso di azioni, e soprattutto derivanti da operazioni speculative o straordinarie, in cui i guadagni rapportati ad un anno sono tipicamente molto superiori al 4% e per i quali l’inflazione puo’ essere considerata trascurabile. Ovviamente sottrarre l’inflazione e’ operazione delicata e dubito che lo Stato italiano avra’ mai l’onesta’ ma anche la capacita’ tecnica di farlo onestamente (evitando ad esempio di barare sulla stima dell’inflazione, o magari usando parametri oggettivi come il tasso di sconto o rendimento medio dei BOT annuali). Finche’ questo non accade, personalmente ritengo inopportune perche’ ingiuste aliquote superiori al 10-15%. Riguardo alla tassazione con aliquota marginale sul reddito, non mi pare sia corretto che questo avvenga negli USA, dove mi risulterebbe invece un’aliquota del 15% sulle rendite finanziarie, indipendente dal reddito. Riguardo all’intervento di Gianni, ritengo errata la sua considerazione che occorre aumentare l’aliquota per rendere meno "conveniente per i capitali indirizzarsi verso la rendita anziché verso il rischio di impresa", perche’ la stessa alquota al 12.5% si applica anche alle plusvalenze azionarie. Certo le partecipazioni di controllo sono tassate al 27%. Vorrebbe Gianni per caso ridurre anche questa aliquota per incentivare il capitale di rischio?

  16. Hans Suter

    Ho l’impressione che solo professori e sottosegretari possono ragionare con tanto distacco dalla realtà quotidiana. Invece chi è costretto a vivere dei suoi risparmi e ha superato i 65 anni deve per forza investire una parte elevata dei suoi soldi in obligazioni triplo A. Questo 20% che professori e sottosegretari ridistribuiscono generosamente, tanto sono soldi miei, corrisponde più o meno alla differenza fra rendimento e inflazione..

  17. blasetti aris

    Vedo che anche Voi, pur aderendo alla parte che vuole super tassare i possessori di Bot etc. riconoscete che si tratta solo di una redistribuzione di reddito e che non vi sono altri validi motivi per sostenere una tale tesi.Potrei aderire alla Vs. tesi solo se la tassazione si facesse carico della perdita costante di valore delle rendite finanziarie obbligazionarie dovute all’inflazione.Se tassiamo in modo eccessivo questi redditi allora trasformiamo una tassazione sui redditi in una patrimoniale nascosta. Se vogliamo una patrimoniale allora diciamolo chiaramente.Quanto all’esempio di Stati Uniti e Gran Bretagna forse è meglio prendere ad esempio tutto il sistema di tassazione e non solo singoli pezzi che possono far comodo per sostenere le proprie tesi. Cordialmente

  18. Dario Pietrroia

    A mio parere ad un’aumento dell’aliquota sulle rendite finanziarie andrebbe affiancata la riduzione dell’imposta di bollo sui conti correnti e sul deposito titoli. Trattandosi di un’imposta che viene pagata in egual misura indipendentemente dal reddito o dalle rendite percepite. Questo mitigherebbe l’effetto del provvedimento sui piccoli risparmiatori.

  19. Renato Zanca

    Il rendimento nominale annuo dei Titoli di Stato è stato negli ultimi 5 anni (2002-2006) del 2,98% (quello dei Bot annuali del 2,61%). Il tasso medio di inflazione del 2,42%. La tassazione al 12,50% degli interessi nominali equivale al 66% degli interessi reali. Nel caso dei BOT l’imposta è stata 1,7 volte l’interesse reale e cioè è stato tassato il patrimonio. Non credo si possa ignorare questa realtà in un paese dove la previdenza pubblica è, e sarà sempre più insufficiente.

  20. Vanishing Leprechaun

    Non capisco come si faccia a sostenere che tassare i redditi da capitale sarebbe tassare il risparmio due volte. Cos’è il risparmio? È reddito non speso in bruscolini e cotillon, messo da parte. E per questo tassato come tale, prima che si trasformi in risparmio. Se lo si investe, invece di metterlo sotto al materasso, produce (sperabilmente) interessi o dividendi o (soprattutto) capital gain. I primi sono nuovo reddito (che può essere speso in bruscolini e cotillon, oppure a sua volta risparmiato), aggiuntivo rispetto al risparmio originale investito, e sono queste nuove cose ad essere tassate, non il risparmio originale. Stessa cosa per i capital gain, patrimonio nuovo, quando diventino nuovo reddito attraverso l’alienazione di quella porzione di capitale. Non si vede quindi cosa sia tassato due volte. E’ semplicemente tassato una volta sola il reddito, nel momento in cui fluisce, com’è giusto che sia perché il reddito è un flusso.

  21. Vaniching Leprechaun

    L’ equivalenza formale per la quale tutto il reddito sarebbe uguale, indistinguibile, e quindi da tassare secondo le medesime regole, nasconde però una piccola difficoltà sostanziale: mentre una società di soli percettori di reddito da lavoro è possibile, una di soli percettori di redditi da investimento è impossibile. Non mi pare di dire una cosa stravagante. Quindi i due redditi non sono affatto equivalenti, se non altro per questo semplice motivo: il primo è universalizzabile, il secondo no. Una politica fiscale che incentivi l’investimento può dunque essere solo di breve periodo, perché ad essa non corrisponde una teleonomia perseguibile. Detto questo, intendiamoci su cosa significhi lavorare. Fare il presidente della Lehman Brothers non è lavorare. Fare il direttore marketing di Telecom, come Luca Luciani, il laureato alla Luiss “la vittoria di Napoleone a Waterloo”, non è lavorare. E’ vivere agiatamente in una “sofisticata ignoranza” (Galbraith), di reddito da capitale, qualunque finzione giuridica venga architettata per offuscare questo dato. Vulgo, alle spalle degli altri. In parole meno d’effetto, vivere in un modo non universalizzabile.

  22. ulisse di bartolomei

    Frode brevettale da Fiat. La tecnologia ibrida doppia frizione con motore elettrico nel mezzo è stata “mutuata” da un brevetto che la Fiat non ha mai voluto acquistare, ma soltanto spudoratamente copiare. Questa soluzione ibrida sarà un’architettura basica nel programma automobilistico elettrico e ibrido della Chrysler. Invito nel mio blog dove “vitalità” e disinvoltura dei progettisti Fiat appaiono in piena evidenza: http://propulsoreibridosimbiotico.blogspot.com/. Se le industrie possono permettersi impunemente di copiare le idee, in quanto per difenderle occorrono cause costosissime, a cosa servono i brevetti? Come difendere i diritti degli inventori privati? Come possono i nostri giovani trovare coraggio intellettuale se i potentati economici schiacciano i diritti dei singoli? Se vi accingete a richiedere un brevetto oppure proporlo ad un’azienda, la mia esperienza con la Fiat può esservi utile per muovervi con migliore circospezione. Grazie e buon tempo a tutti! Ulisse Di Bartolomei

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