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SE SUL CLIMA SI DANNO I NUMERI

Il Dpef stima i costi per l’Italia della mancata applicazione del Protocollo di Kyoto fino a 2,56 miliardi di euro all’anno nel periodo 2008-2012. E’ un calcolo che presuppone la sostanziale immobilità del governo. Invece è molto probabile, e auspicabile, che le misure predisposte permettano di ridurre le emissioni di gas-serra e di rispettare gli impegni senza incorrere nelle penalità. Anche il ministro dell’Ambiente propone dati poco convincenti. Meglio applicare sempre il principio di precauzione, sia nel ridurre le emissioni, sia nel produrre numeri.

Lo schema della manovra di bilancio 2007-2010 prevede che si rafforzino "gli interventi per combattere i cambiamenti climatici, per risparmiare energia e migliorare la qualità della vita degli italiani. Tra i maggiori interventi previsti (….): la conferma degli stanziamenti del fondo per Kyoto (600 milioni)". (1) Se la disposizione verrà confermata nella versione approvata dalle Camere della Legge finanziaria, oggi non possiamo saperlo. Vale la pena, tuttavia, cercare di capire se una simile somma è o meno adeguata per le finalità prefisse. Per farlo è necessario partire da un esame dei numeri: quelli necessari per ottemperare agli obblighi del Protocollo e quelli che sono stati presentati a esperti e opinione pubblica nei mesi scorsi.

I numeri del Dpef

Nel periodo che inizia il 1° gennaio 2008 e finisce il 31 dicembre 2012, l’Italia dovrà ridurre le proprie emissioni di gas clima-alteranti del 6,5 per cento rispetto ai livelli del 1990. Questi gli obblighi che ci derivano dall’aver ratificato il Protocollo di Kyoto.
Le emissioni sono però aumentate nel tempo e oggi, alle soglie del primo committment period 2008-2012, si collocano a +12,5 per cento circa rispetto al 1990. Per dirla con il Dpef, questo significa che "l’impegno di riduzione si colloca nell’ordine del 19 per cento, pari a 98 milioni di tonnellate di CO2 all’anno". (2) La questione che ci interessa chiarire è quanto costa un simile intervento, oltre che domandarci con quali strumenti e mezzi effettuarlo. Ancora il Dpef: "dati recenti hanno messo in luce che i costi per la mancata applicazione del Protocollo di Kyoto rischiano di aumentare fino a 2,56 miliardi di euro all’anno per il periodo 2008-2012".
Seicento milioni e 2,56 miliardi annui sono cifre tra loro molto distanti. La prima cosa da capire è da dove proviene la stima di 2 miliardi e mezzo all’anno quale costo della non ottemperanza. Anzitutto, cosa dice il Protocollo di Kyoto in proposito? Non molto. Solo che un paese che ecceda il proprio budget di riduzione alla fine del periodo per x tonnellate di emissioni deve provvedere a ridurle nel periodo successivo per 1,3x: deve cioè colmare il gap con un aggravio aggiuntivo del 30 per cento a titolo di penalità.
Per conoscere perciò il costo della non-compliance bisognerebbe sapere a) quante tonnellate di gas-serra saranno emesse in eccesso al limite di Kyoto al 31 dicembre 2012 e b) quale sarà il prezzo prevalente di una tonnellata di carbonio a quella data. Se, per esempio, arrivassimo al 2012 senza avere fatto nulla per ridurre le emissioni, ma anche senza aumentarle ulteriormente, dovremmo abbattere 86,8 milioni di tonnellate (Mton) di CO2. (3) Sul mercato europeo dei permessi di emissione, l’Eu-Ets, una tonnellata di CO2 a dicembre 2008 quota in questi giorni 22,6 euro. Assumendo -ma è improbabile – che le nostre emissioni rimangano costanti ai livelli del 2005 e che il prezzo del carbonio al 2012 resti ai livelli previsti per fine 2008, scopriremmo che il costo della non-compliance sarebbe di 2,55 miliardi di euro: il numero del Dpef. (4) Questo diventa "annuo", come recita il Dpef, se e solo se – ma è improbabile – emissioni e prezzo non continuassero a crescere e soprattutto il governo, ciecamente, non facesse nulla anno dopo anno, correndo incontro a una multa di notevole entità (0,59 miliardi di euro).

Quanto costa non rispettare gli impegni

Due osservazioni sono necessarie. La prima è che il Protocollo di Kyoto limita le emissioni di sei differenti gas-serra, e quindi non solo della CO2 sulla base della quale, invece, frequentemente si ragiona e valuta. Se misurate in termini di CO2 equivalenti, le emissioni da abbattere diventerebbero 96,3 Mton (molto vicino al valore del Dpef), corrispondenti a un costo di 2,83 miliardi di euro, con il prezzo della tonnellata riferito alla sola CO2 sul mercato europeo. La seconda è che apagare è un’intera nazione, non singoli attori come imprese o individui. Sono quindi i governi a dovere attuare quel mix di interventi atto a centrare entro i termini gli obiettivi di riduzione. Da questo punto di vista, è utile ricordare un classico risultato relativo alla scelta degli strumenti di politica ambientale: con la tassazione è fissato il prezzo, ma incerte sono le quantità, con il mercato dei diritti d’emissioni vale esattamente l’opposto.
Va anche ricordato che il 1° gennaio 2008 entra nella seconda fase l’Eu-Ets, lo schema europeo di scambio dei permessi di emissione, fase che si sovrappone esattamente con il primo periodo di Kyoto. Questo fatto implica necessariamente che le emissioni non resteranno comunque là dove sono oggi. Ancora il Dpef: "L’attuazione degli interventi sotto elencati, integrati alle misure già previste nel Pna2 (….) consentono di prevedere un taglio complessivo delle emissioni di oltre 70 milioni di tonnellate". (5) Il governo stima che sia necessaria l’ottemperanza dei limiti posti all’Italia dal secondo Pna, il Piano nazionale di allocazione, approvato dalla Commissione europea nell’ambito dell’Eu-Ets, e inoltre la realizzazione di una lunga lista di misure riportate a fine documento sotto il titolo "Contrasto ai cambiamenti climatici e ai suoi effetti"e relative a trasporti, energia termoelettrica, fonti rinnovabili, efficienza e risparmio energetico, riciclaggio rifiuti, edilizia, agricoltura e foreste, difesa e consumo del suolo, biodiversità e aree protette, acqua e risparmio idrico, innovazione tecnologica.
Non ci è dato sapere come il Tesoro abbia formulato la stima della riduzione di emissioni per 70Mton di CO2 derivante da tutti gli interventi sopra menzionati. Importante è osservare che l’Eu-Ets prevede per la seconda fase una salatissima penalità per la non-compliance, pari a 100 euro a tonnellata, con l’obbligo di ridurre le emissioni in eccesso l’anno successivo, altrimenti la penalità continuerebbe ad applicarsi. Ripetendo lo stesso esercizio fatto sopra, se il governo non abbattesse le 96,3 Mton richieste, valutando ciascuna tonnellata al prezzo oggi corrente maggiorato della penalità, arriveremmo alla stratosferica somma di 11,8 miliardi di euro. Se invece alle 96,3 Mton sottraiamo le 70 Mton di interventi, e valutiamo ancora la CO2 al prezzo di 122,6 euro/tonnellata, giungiamo a 3,22 miliardi. Il Dpef: "A titolo di esempio qualora l’Italia fosse impossibilitata a conteggiare i SINK forestali e ad acquistare crediti attraverso meccanismi CDM e JI si prevede un onere per le risorse pubbliche di circa 4 miliardi l’anno". (6) Un valore molto vicino, come si vede, alla nostra ricostruzione, ma che, ancora una volta – forse un po’ a effetto – insiste nella finzione che in maniera totalmente miope il governo preferisca pagare ripetutamente la penalità anziché correre subito drasticamente ai ripari.
È invece molto più probabile, e decisamente auspicabile, che le misure che il governo ha predisposto e predisporrà permettano di ridurre le emissioni di gas-serra in Italia, in modo da raggiungere l’obiettivo di Kyoto. E che la eventuale differenza rispetto agli obiettivi possa essere acquistata sul mercato a un prezzo di gran lunga inferiore a quello definito dalla penalità, soprattutto grazie all’ingresso dei paesi dell’Est Europa nell’Eu-Ets e al possibile collegamento del mercato europeo con altri mercati che nasceranno. Dunque, il costo di rispettare gli obiettivi di Kyoto, e quelli relativi alla partecipazione nell’Eu Ets, potrà essere sensibilmente minore di quello indicato nel Dpef.

(1) Questo è quanto si legge nel documento esposto dal ministro dell’Economia, Tommaso Padoa-Schioppa al Senato il 3 ottobre scorso. Nel testo della Legge finanziaria 2008 presentato al Senatonon si trova traccia di questa disposizione, mentre compare la creazione di un "Fondo per la gestione delle quote di emissione di gas serra di cui alla direttiva 2003/87/Ce"di cui non è specificata la dotazione.
(2) Vedi sezione V.6, p. 50 del Documento di programmazione economica e finanziaria per gli anni 2008-2011, scaricabile a questo indirizzo.
(3) Valori ottenuti per differenza tra il dato del 2005 e quello del 1990 ridotto del 6,5 per cento, espressi in CO2. Informazioni provenienti dalla banca dati della European Environmental Agency.
(4) Calcolato come 86.8 x 1.3 = 112.84 Mton da abbattere valutate a €22,6 l’una.
(5) Dpef, sezione IX.11, p. 151.
(6) Dpef, sezione IX.11, p. 151.

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  1. danilo

    ciao sono Danilo, ho una piccola attivita di impermeabilizzazioni, sono molto interessato e sensibile ai problemi di inquinamento e sto portando avanti (nel mio piccolo) proposte e progetti per impianti FOTOVOLTAICI per ridurre l’immissione in atmosfera dei gas cosidetti serra. Con il decreto Conto Energia del febbraio scorso, lo Stato ha attivato un sistema di incentivazione (durata ventennale) da riconoscere a tutti i soggetti realizzatori di suddetti impianti. Secondo me, per avere un ritorno positivo e più immediato sull’inquinamento, lo Stato avrebbe dovuto raddoppiare gli incentivi e dimezzare la durata del conratto. In questo caso veramente tutti avrebbero potuto usufruire di tali incentivi, mentre così mi sembra che a guadagnarci sopra siano ancora le banche che elargiscono finanziamenti ad interessi a loro più consoni. Questo è il mio modo di vedere le cose. Un saluto a tutti quelli che mi leggono.

  2. Franco Zannoner

    Questo articolo dovevato pubblicarlo su Second Life. A parte la battuta, faccio notare che a livello scientifico l’opinione comune e’ che non ci sono possibilità contrete che l’Italia rispetti il protocollo di Kyoto, a meno di inventarsi cose strane (tipo si stabilisce che la laguna di Venezia assorba quantità favolose di C02). Sull’aspetto economico vi rivolgo 2 domande: 1) A chi e come dovrebbero essere pagate le penali che l’Italia subirebbe ? 2) Se ho ben capito, l’unica alternativa possibile e’ quella di incentivare le aziende (tipo ENEL) a fare accordi con enti stranieri per l’acquisto di certificati verdi (calcolati su risorse naturali già disponibili). Non vi sembra un meccanismo troppo complesso e fonte di grandi distorsioni ?. Basta considerare le dispute su cosa sono le energie alternative: la Francia dice il nucleare perche’ ha le centrali, la Germania dice eolico e fotovoltaico perche’ ha le industrie, il Brasile e gli Usa le biomasse perche’ hanno risorse agrarie.

  3. Renzo Pagliari

    La produzione di energia da fonti rinnovabili, alla luce degli impegni sottoscritti a Kyoto e delle rilevanti penalità correlate, ben evidenziate nell’articolo, dell’ incremento costante dell’inquinamento dell’ ambiente e dell’andamento nettamente crescente dei prezzi del petrolio e del gas è una necessità non rinviabile. Last but not least una diminiuta dipendenza dal petrolio/gas medioorientale e russo ed una diminuzione generalizzata e stabile dei prezzi di tali materie prime, oltre che un fattore di stabilizzazione dell’economia mondiale, con ogni probabilità rappresenterebbe anche un fattore importante per garantire la pace . In Italia, in particolare, sarebbe necessario, auspicabile ed urgente passare dalle parole generiche, dai dotti convegni, dai progetti teorici, dalle leggi di incentivazione poco o nulla efficaci ad una fase molto intensa, efficace ed efficiente di realizzazione di impianti di grandi dimensioni produttive singole e complessive. E’ pensabile che all’inizio sia conveniente puntare su tutti gli strumenti produttivi disponibili: fotovoltaico, fototermico,eolico, metodo Rubbia, acqua volvente, biogas, biocarburanti, riciclo dei rifiuti, termovalorizzatori, ecc. Soltanto dopo una sperimentazione vasta e prolungata potranno essere sviluppati preferenzialmente gli strumenti produttivi più efficienti dal punto di vista della massimizzazione della produzione di energia utilizzabile in relazione all’impiego delle risorse economiche, all’ impatto ambientale ed al costo energetico della produzione dei generatori, alla mancata turbativa degli altri mercati, come per esempio quello delle commodities agricole. E’ necessario soltanto rimboccarsi le maniche, lavorare sodo, investire capitali rilevanti, superare in ogni modo, anche eventualmente con leggi costituzionali eccezionali la sindrone NIMBY, in Italia particolarmente virulenta.

  4. angelo

    io credo che sul clima,e sui rimedi verso il RG si stia prendendo una grossissima topica.Ma poichè a quei livelli che prendano una topica simile poco mi convince,credo proprio che ci stiano facendo un business della malora.Il bello e’ che hanno la pretesa di volerci prendere per i fondelli.Non hanno il coraggio di dire: vulimme magnà

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