Nel mezzo del cammin di nostra vita
mi ritrovai sotto l’Unione oscura
che del governo la via s’era smarrita.
Ah quanto a dir qual’era è cosa dura

di questo esausto e smorto ministero,
che nel pensier rinnova la paura,
sicché son sconfortato e mi dispero
e del mio mal il Prodi non si cura.

Ma della pena al cominciar dell’erta
m’apparve una lonza leggiera e presta molto,
che la crescita del Pil rendea deserta
e del Tomaso avea ridente il volto.

Poi alla vista si pose un lione
di bianca testa e con rabbiosa fame.
Visco ha per nome, non conosce ragione
e sbrana chi per lavoro si spella le mane.

Seguia una lupa che ha lauta calvizie,
copre un lenzuolo sua grigia magrezza,
speziali e tassisti  vuol del suo pasto primizie,
liberalizza, con  vuota scaltrezza.

Ora per me si va nella città dolente
per me si va ne l’etterna tassazione,
per me si va tra’l perduto contribuente:
lasciate ogni speranza o voi d’esta nazione.

Qui sospiri, pianti ed alti guai
suonan per l’aere senza più condoni
ond’io da tempo ognor ne lacrimai,
oh Prodi perché tu di me abbandoni?

Ma ecco verso noi venir per nave
un veltro roseo non di primo pelo,
gridando "Guai a voi anime prave
non isperate mai veder lo cielo,

i’ vengo per menarvi ad altro litorale,
anime che siete lasse e nude,
dove a seguir nuova tenzone elettorale
verrete a sottostar ben altre tasse crude.

Oh Beatrice dai rossi capelli
accorri, salvami… anche dal Rutelli!

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