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RAI-MEDIASET: UN RUOLO PER L’ANTITRUST

Le notizie di questi giorni confermano che certamente serve una riforma radicale del sistema televisivo e dei media. Ma esiste già una norma che può efficacemente intervenire su molti dei comportamenti tenuti dai più alti dirigenti di Rai e Mediaset, la legge antitrust del 1990. Ed esiste un’autorità che può far rispettare i divieti di comportamenti anticoncorrenziali, l’Autorità garante della concorrenza e del mercato. La presidenza Catricalà è molto attenta alle preoccupazioni dei consumatori, ora saprà cogliere l’inquietudine dei contribuenti al canone.

La Rai non riesce ad abbandonare il clamore delle prime pagine e il settore televisivo si conferma ancora una volta come grande malato nel panorama dell’informazione italiana. Appena riemersi dalla lettura delle intercettazioni sui fittissimi scambi di informazioni, consigli e favori tra altissimi dirigenti dei due principali gruppi televisivi abbiamo letto della censura della Commissione Europea per le mancate correzioni alla legge Gasparri. Ed è notizia di ieri il dialogo serrato tra il proprietario di Mediaset e l’ex-direttore generale della Rai, ora a capo di Rai fiction, in cui si intrecciano confidenze, richieste di favori, commenti sull’andamento del mercato televisivo e della politica. In questo incredibile scenario la legge Gentiloni, e la sua compagna sul conflitto di interessi, veleggiano come piccole scialuppe nel mare in tempesta, a volte dando l’impressione di prendere il largo per poi tornare nelle secche delle contrattazioni politiche tra i due schieramenti.

Comportamenti anticoncorrenziali

Se, di fronte a tanto spettacolo, è difficile non rimanere allibiti quali semplici cittadini (per di più fedeli al pagamento del canone Rai), lo sconforto di questo ultimo mese si accompagnava alla sensazione che purtroppo ben poco di nuovo c’era da dire sulle esigenze di riforma radicale del sistema televisivo e dei media. Sulla necessità di privatizzare la Rai per interrompere i perversi meccanismi di percorsi di carriera affidati all’obbedienza politica, sulla necessità di cedere reti a nuovi gruppi sia per Rai che per Mediaset per aumentare il numero di attori, sulla necessità di rivedere il piano di allocazione delle frequenze, che grazie alla Gasparri è riuscito nel miracolo di preservare una dominanza dei gruppi maggiori anche passando alla piattaforma digitale, che sulla carta doveva moltiplicare le possibilità di entrata dei concorrenti. 
Ma un punto rimane, che è sopravvissuto al diluvio di commenti giustamente scandalizzati di questi giorni, e che stranamente non è stato mai sollevato da quanti invocavano una (doverosa) accelerazione dei lavori parlamentari sulla riforma del settore televisivo del ministro Gentiloni. Esiste già una legge che può efficacemente intervenire su molti dei comportamenti che abbiamo appreso dai giornali, la legge antitrust 287/90. Esiste già un’autorità che può attivarsi per far rispettare i divieti di comportamenti anticoncorrenziali, l’Autorità garante della concorrenza e del mercato.
Dalle molte intercettazioni emerse in questi ultimi tempi emerge un quadro di totale coordinamento nei contenuti, nelle politiche commerciali, nelle politiche del personale tra i due gruppi televisivi maggiori. Quando leggiamo le lamentele dei rappresentanti delle major americane, che parlano del mercato italiano come di un ambito dove i due gruppi maggiori si muovono come un unico compratore, stiamo incontrando un esempio da libro di testo di pratiche collusive. Quando apprendiamo del coordinamento nei palinsesti, nella gestione degli spazi pubblicitari e nel dosaggio delle notizie tra i responsabili dell’informazione politica dei due gruppi televisivi non leggiamo solamente di pratiche che dovrebbero creare imbarazzo a qualunque giornalista, ma veniamo a conoscenza di violazioni della legge antitrust. Quando il proprietario di Mediaset interloquisce con il direttore generale del gruppo concorrente non proviamo solo stupore per come un uomo tanto impegnato trovi il tempo per favorire la carriera di qualche velina, ma apprendiamo di un’assenza di confini tra gruppi concorrenti che rientra tra le materie di competenza dell’Autorità antitrust.
Sotto la presidenza Catricalà l’Antitrust ha via via definito un proprio approccio e un proprio stile, attento alle preoccupazioni dei consumatori e pronto a sottolineare e garantire il proprio ruolo di advocat degli interessi diffusi. Le molte indagine conoscitive che sono state avviate, dai libri di testo scolastici ai servizi bancari alla distribuzione agroalimentare, hanno rappresentato uno strumento importante per valutare più approfonditamente i segnali di preoccupazione che emergevano dai consumatori. Molti casi hanno affrontato materie di grande rilevanza per i consumatori. Come consumatori e contribuenti al canone siano sicuri che il presidente Catricalà saprà cogliere la nostra inquietudine.   

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  1. Simone

    La situazione è tanto grave quanto la descrivete, il problema è che a gestire l’antitrust ci sono personaggi designati da quella stessa casta che è al potere politico e mediatico. Sperare quindi che l’antitrust faccia qualche cosa di vero per cambiare le cose è pura illusione. Bisogna cambiare le leggi e costingere a vendere, per mediaset, e privatizzare per la RAI. Con 4-5 soggetti attivi e la giusta concorrenza, molti deviazioni del sistema spariranno. Un esempio su tutti, mediaset con 1 solo canale non potrebbe permettersi di "buttare" il suo TG facendolo come è ora il TG4, ma sarebbe costretta ad aumentarme la qualità. Stessa cosa per le RAI.

  2. Stefano Parravicini

    Concordo con l’assoluta necessità di privatizzare la Rai e di fare in modo che altri operatori entrino nel mercato televisivo italiano. Tuttavia non credo che la Rai si possa privatizzare, stante l’interesse dei politici che vedono una propria primaria convenienza nel mantenerla pubblica e tenuto conto della corporazione fascista dei giornalisti che mai permetterebbero la necessaria ristrutturazione dell’azienda. Di contro una forte concorrenza si stà affacciando con Sky che oramai è una presenza di tutto rispetto nel mercato televisivo. Per quanto riguarda le intecettazioni mi fa paura la assuefazione a questo strumento di indagine illiberale e irrispettoso della ricerca della verità. Sono convinto infatti che la differenza tra uno stato totalitari ed uno Stato democratico debba essere il rispetto e la tutela dell’individuo anche nei confronti delle istanze così dette superiori dello Stato. Oramai per le intercettazioni non è più necessario il testo puntuale, sempre interpretativo ed in taluni casi anche creativo. Qualunque conversazione telefonica libera e al di fuori della formalità rischia di essere maliziosamente male interpretata.

  3. FRANCESCO COSTANZO

    Vorrei aggiungere qualcosa in merito alla legge sul conflitto di interessi. Oggi l’informazione televisiva è uno strumento fondamentale per la politica, ed a mio avviso la presenza di un imprenditore del settore radiotelevisivo in parlamento condiziona fortemente gli altri politici, che vedono come unico rimedio a questo "sbilanciamento", il controllo "indiretto" della TV di Stato. Questa situazione aggrava ulteriormente le già fortissime distorsioni presenti sul mercato, ed impedirà anche di risolvere i problemi della RAI e di procedere alla privatizzazione. Per questo motivo, una legge sul conflitto di interessi è necessaria e va realizzata insieme alle privatizzazioni, anche se questa legge non potrà in alcun modo incidere sui diritti e sulla posizione di chi è sceso in politica prima che essa venisse approvata. Più facile a dirsi che a farsi…

  4. Salvatore

    Ma non avevamo fatto un referendum per la privatizzazione della RAI? Che fine ha fatto il volere del POPOLO SOVRANO? Se il volere popolare non porta a nulla vuol dire che non ci sono più parole adatte a descrivere quei cialtroni che ci (s)governano. Il reso è aria fritta.

  5. Gianluca Brembilla

    Vorrei esprimere un dubbio: perché privatizzare un’azienda fondamentale per uno Stato democratico quando esiste un’alternativa praticabile qual è una televisione pubblica di qualità sottratta al controllo dei partiti come esiste nel Regno Unito o come si è riusciti a fare in Spagna? Concordo con la necessità che nel mercato televisivo entrino almeno altri due-tre soggetti di dimensioni nazionali, e che parallelamente Rai e Mediaset cedano ciascuna una rete, ma questa necessità non esclude che la Rai resti pubblica. Il dubbio che la politica prima o poi riesca a farlo è legittimo, almeno fin quando esisterà l’anomalia Berlusconi. Ma in una società dove l’intreccio di potere economico-mediatico ha una forza di condizionamento enorme, un’antagonista pubblico che persegua finalità di interesse collettivo rappresenta un valore inestimabile. La politica deve fare una legge che affidi la Rai ad una fondazione. Deve solo copiare quella spagnola.

  6. Maurizio Fenati

    16 Ott 2006 – costituzionalista Pace, “Mediaset non pianga, resta dominante” su “la Repubblica”. Alessandro Pace, docente di diritto costituzionale ed esperto del sistema radiotelevisivo, non nasconde la sua delusione: “La legge Gasparri andava azzerata, il DDL di modifica non fa che fotografare l’attuale duopolio tv”. Insomma in Italia il pluralismo televisivo resta ancora un ossimoro.
    In breve la legge Maccanico stabiliva al 30% il tetto di pubblicità televisiva che ogni editore può raccogliere; il testo Gentiloni fa un regalo a Berlusconi. Certo, Mediaset oggi sfiora il 60%, ma questo non significa che il 45% sia un limite adeguato alla posizione dominante.
    La legge Gasparri ha cancellato la legge Maccanico a favore del gruppo Mediaset non fissando alcun limite al rafforzarsi della sua posizione dominante. La legge Gasparri è stata bocciata dalla Corte Costituzionale con sentenza 466 del 2002, dal parlamento di Strasburgo, dalla commissione europea e dall’allora capo dello Stato.
    12 Sett 2007 – l’Avvocato generale della Corte di Giustizia europea ha bocciato la legge Gasparri e riconosciuto i diritti di Europa 7. La Corte costituzionale e il Consiglio di Stato si sono da tempo

  7. alessandro

    Condivido l’analisi e le proposte (alcune) dell’autore. Perche’ tra le proposte che non condivido c’e’ proprio quella della privatizzazione della Rai.
    Non sono affatto convinto che, in un Paese ad elevata criminalita’ delle classi dirigenti (sia pubbliche che rivate) come il nostro, privatizzare la Rai possa portare ad una maggiore efficienza e ad un maggiore pluralismo. E’ meglio fare come ha fatto in Spagna il governo Zapatero e come si propone la proposta di legge Giulietti-De Zulueta: fare gestire la Rai da una fondazione che pubblica in cui ci siano i rappresentanti della societa’ civile e di quella politica. Una Fondazione che gestisca l’azienda per conto dei cittadini, che pagando il canone hanno diritto ad un’informazione pluralista. Infatti – a giudicare dalla vicenda La7-Luttazzi – non vedo proprio come si possa sostenere che nelle Tv pluralismo e privati vadano a braccetto… Quanto all’apertura del mercato televisivo ad altri attori e soggetti, sono assolutamente d’accordo con M. Polo: piu’ soggetti entrano e meglio e’; magari assegnando finalmente la frequenza attualmente occupata da Rete4, a Europa7.. Ma la Rai – come la Bbc – e’ meglio che rimanga pubblica.

  8. Marco

    Il duopolio è alla fine, la pessima qualità offerta dai due soggetti ha portato un vantaggio sul breve a Sky ma sul lungo sarà internet a vincere e a spazzare via il sistema televisivo di regime.

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