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DOVE VA LA TASSAZIONE DELLE SOCIETA’

La revisione della tassazione delle società è una delle principali novità della Finanziaria 2008. Semplificazione, razionalizzazione, certezza delle norme sono le priorità. Ma la riforma si articola in varie direzioni, forse con troppi obiettivi. Molto dipenderà anche dalla sua effettiva applicazione. Drastica la riduzione delle aliquote legali di imposizione, una necessità dovuta alla concorrenza fiscale fra paesi della Unione Europea. Difficile dire chi pagherà meno e chi di più. I possibili disincentivi alla trasformazione in società di capitali.

Tra le principali novità in campo fiscale della Finanziaria 2008 vi è la revisione della tassazione delle società. Si tratta di una riforma che si articola in molte direzioni e persegue, con maggior o minore efficacia, diversi obiettivi, forse troppi. In alcuni casi, molto dipenderà dall’effettiva applicazione della nuova normativa, in altri, soprattutto con riferimento al trattamento fiscale di diverse forme organizzative, è la normativa stessa che andrebbe in parte rivista o completata.   

Semplificazione e razionalizzazione del sistema

Al centro della riforma è l’esigenza di semplificare, razionalizzare e dare certezza e stabilità alla normativa. Queste priorità rispondono a pressanti e crescenti richieste delle imprese e sono ampiamente condivisibili. Vi sono state troppe, e spesso fra loro contraddittorie, modifiche nell’ultimo decennio, che hanno contribuito a rendere instabile e incerto il quadro normativo, aumentando i costi di adempimento e i rischi fiscali per le imprese, con costi impliciti meno evidenti, ma non meno trascurabili, di quelli che derivano dalle aliquote effettive di imposizione.
È un bene, dunque, che non si operino radicali cambiamenti, né rotture con il passato. Si consolidano alcuni istituti introdotti nella passata legislatura, come la participation exemption e il consolidato fiscale, e si semplificano i criteri di determinazione delle basi imponibili, sia per l’Ires che per l’Irap, avvicinando l’imponibile civilistico a quello fiscale.
Si fanno passi importanti, anche se non sempre risolutivi dei problemi, la cui efficacia dipenderà comunque in modo significativo dai comportamenti assunti nella applicazione delle norme.

La riduzione delle aliquote legali

L’altro elemento caratterizzante la riforma è una drastica riduzione delle aliquote legali di imposizione: l’Ires scende dal 33 al 27,5 per cento, di 5,5 punti, un calo molto marcato, soprattutto a confronto delle semplici limature di uno o massimo due punti degli ultimi anni. Scende anche l’aliquota Irap, dal 4,25 al 3,9 per cento.
La riduzione delle aliquote è una necessità, più che una vera opzione, frutto della concorrenza fiscale, particolarmente forte nei paesi della Unione Europea, soprattutto a seguito dell’allargamento a 27. Dopo la decisione della Germania di ridurre di dieci punti, dal 2008, l’aliquota dell’imposta sulle società, l’Italia, se non avesse reagito rapidamente, avrebbe avuto il primato del paese dell’Unione con l’aliquota legale in assoluto più elevata. L’esistenza di ampi differenziali di aliquote fra paesi, specialmente in aree integrate come la Unione Europea, incentiva le imprese, e in particolare quelle di maggiori dimensioni, a intraprendere azioni volte a spostare i ricavi dove le aliquote sono più basse e i costi dove sono più elevate, in modo da minimizzare i propri oneri fiscali. Anche per evitare questi fenomeni di profit shifting continua la gara al ribasso delle aliquote, a cui è difficile, se non impossibile, sottrarsi.

L’ampliamento della base imponibile

La perdita di gettito derivante dalla riduzione delle aliquote viene in larga parte compensata dall’ampliamento della base imponibile.
Si agisce, in particolare, limitando la deducibilità di due componenti di costo: ammortamenti e interessi passivi. Ciascuna delle due limitazioni ha anche proprie finalità.
Sul fronte degli ammortamenti, si elimina la possibilità di dedurre dalla base imponibile quote di deprezzamento dei beni capitali superiori al loro deprezzamento economico normale, i cosiddetti ammortamenti anticipati e accelerati. Se, come anticipato dal governo, sarà accompagnata da una revisione dei coefficienti di ammortamento, potrà avvicinare l’ammortamento fiscale a quello economico, e garantire una maggiore neutralità del sistema fiscale rispetto alla scelta fra l’investimento in diverse tipologie di beni capitali.
La parziale limitazione alla deducibilità dalla base imponibile degli interessi passivi allontana, invece, l’imponibile dal tradizionale concetto di profitto. La limitazione si applica in modo generalizzato al debito e riguarda gli interessi netti che superano il 30 per cento del margine operativo lordo, al lordo anche degli ammortamenti. (1) La quota eccedente tale limite può essere riportata in altri esercizi, con possibilità di compensazione che sono state rese via via più generose, nel corso dell’iter parlamentare della Finanziaria. Oltre all’obiettivo di ampliare l’imponibile, si perseguono finalità di semplificazione, in quanto si aboliscono contestualmente altre restrizioni oggi esistenti e di applicazione alquanto complessa, soprattutto la cosiddetta thin capitalisation.
Meno chiara è la finalità della norma a scopi antielusivi (in quanto è riferita a tutto il debito) e di riequilibrio nel trattamento fiscale delle diverse fonti di finanziamento (debito e capitale proprio, perché quest’ultimo continua a essere penalizzato fiscalmente). 

Gli effetti economici attesi sugli investimenti

La riduzione delle aliquote legali potrà contribuire, soprattutto se si affiancherà a una effettiva semplificazione e maggior certezza (anche interpretativa) della normativa, a creare un clima favorevole all’attrazione di investimenti dall’estero. L’aliquota è il parametro più immediatamente disponibile e interpretabile dagli investitori esteri, ed è quello più importante per spiegare le scelte di localizzazione delle società multinazionali, tanto più quanto più profittevoli sono i loro investimenti. È però ben noto, anche dall’evidenza empirica, che a poco può servire il fisco, per attrarre investimenti esteri, se non vengono soddisfatte anche altre condizioni, di sistema e ambientali (servizi migliori e più efficienti, infrastrutture, etc.)
Per quanto riguarda la decisione di effettuare nuovi investimenti, le misure di ampliamento della base imponibile potranno invece compensare gli effetti positivi della riduzione delle aliquote. L’effetto atteso è incerto e potrebbe anche essere di segno negativo.

Chi guadagna e chi perde dalla riforma

Una riforma tendenzialmente a parità di gettito comporta effetti redistributivi. Come è emerso dal dibattito di questi mesi non è facile individuare, per settore o dimensione, chi pagherà meno e chi di più. Guadagni e perdite potranno essere molto differenziati in funzione della struttura del conto economico. Saranno soprattutto avvantaggiate le società con elevati profitti, poco debito e poche esigenze di investimento in beni ammortizzabili. E viceversa.
Oltre agli effetti distributivi derivanti dalla struttura del conto economico, vi sono quelli connessi alla forma organizzativa attraverso cui è condotta l’attività di impresa. Tenendo presente anche la tassazione in capo al socio, oltre a quella sulle società, risultano favorite le società di capitali ad ampia base azionaria, per le quali l’imposizione personale rimane ferma al 12,5 per cento. Nel caso di società a ristretta base azionaria, i cui soci detengono quote di rilievo del capitale, la riduzione dell’aliquota Ires in capo alla società è compensata da un aumento dell’aliquota personale effettiva: la Finanziaria aumenta infatti la percentuale di inclusione di dividendi e plusvalenze nell’imponibile Irpef del socio. Per queste società, considerando l’ampliamento della base imponibile, la riforma tenderà a comportare aggravi di imposta. Ciò potrebbe anche disincentivare la trasformazione in società di capitali delle ditte individuali, delle imprese familiari o delle società di persone, a cui la Finanziaria riserva un trattamento più favorevole, nella determinazione della base imponibile. Ad esempio, non si applica la restrizione sulla deducibilità degli interessi passivi. Consente inoltre una tassazione uguale a quella societaria (27,5 per cento) nel caso di trattenimento degli utili e l’applicazione dell’Irpef (dal 23 al 43 per cento) solo nel caso di successiva distribuzione.

(1) Ebitda – Earnings before interest, taxes and depreciation allowances.

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STRATEGIA DI LISBONA E MODELLI DI WELFARE

  1. Otello Dalla Rosa

    Uno dei fenomeni più pericolosi per il lavoro dipendente è la delocalizzazione. Ciò vale ovviamente per l’industria manifatturiera. Chi rimane a produrre in Italia può restare competitivo di fronte ad economie a bassissimo costo della manodopera solo a fronte di importanti investimenti tecnologici. Inoltre la "meccatronica" italiana rappresenta un settore straordinario per vitalità e competenze. Perché allora penalizzare gli investimenti? Perché agevolare solo chi guadagna sull’effimero (poco debito, pochi investimenti…) che normalmemente già guadagna molto (vedi moda & affini..)?

  2. Franco Bonifazi

    Sono il direttore di una media azienda (c.a. 100 mio di euro di fatturato con 190 dipendenti diretti) e trovo assolutamente iniqua la limitazione indiscriminata della deducibilità degli interessi passivi operata dalla finanziaria per diversi motivi, quali: – penalizza tutte le aziende di settori, come il lattiero/caseario, che hanno strutturalmente un margine lordo basso in relazione ai ricavi e che,di contro, necessitano di investimenti consistenti; – indurrà queste aziende a commettere errori strategici nel breve, come, ad esempio, limitare gli investimenti di marketing e di sviluppo, al fine di aumentare il MOL; – frenerà fortemente i piani che comprendono nuovi investimenti finsnziabili con il debito; – molte aziende che già hanno un equilibrio economico fragile andranno in perdita perchè l’onere fiscale dell’indeducibilità può essere superiore all’abbattimento delle aliquote. E chi ha fatto ingenti investimenti basandosi sulla vecchia normativa? Se si volevano colpire manovre elusive, frequenti nelle acquisizioni a debito con la succesiva fusione fra la società acquirente e quella acquisita, la norma doveva essere mirata, non generale

  3. Gianfranco Maccarinelli

    "Ciò potrebbe anche disincentivare la trasformazione in società di capitali delle ditte individuali, delle imprese familiari o delle società di persone, a cui la Finanziaria riserva un trattamento più favorevole, nella determinazione della base imponibile. Ad esempio, non si applica la restrizione sulla deducibilità degli interessi passivi. Consente inoltre una tassazione uguale a quella societaria (27,5 per cento) nel caso di trattenimento degli utili e l’applicazione dell’Irpef (dal 23 al 43 per cento) solo nel caso di successiva distribuzione." Ma queste due agevolazioni (deducibilità interessi passivi e aliquota al 27,5% sugli utili reinvestiti) per s.n.c. e altri è rimasta lettera morta? Perchè non se ne trova notizia da nessuna parte?

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