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STRATEGIA DI LISBONA E MODELLI DI WELFARE

L’Unione Europea non riuscirà a divenire l’economia più competitiva del pianeta se non riduce significativamente gli attuali livelli di tassazione, necessari per finanziarie i costosi welfare state, e il ruolo dello Stato nella regolazione dei mercati. In un mondo sempre più globalizzato e con una competizione crescente servono reti di sicurezza che proteggano i lavoratori più esposti ai rischi del cambiamento. Ma che non possono essere i sistemi di protezione sociale pensati nel secolo scorso. Ne occorrono di nuovi, più efficienti e più amici del mercato.

La “strategia di Lisbona”, sottoscritta dalla maggior parte dei politici europei, ha identificato tre obiettivi primari che l’Europa deve cercare di raggiungere nei prossimi anni:

(a) una maggiore integrazione dell’economia europea con il resto del mondo;
(b) la promozione di un mercato unico europeo;
(c) la promozione di “ (…) uno sviluppo sostenibile nella Unione Europea con più e migliori posti di lavoro (…).

Non uno, ma tanti modelli

È opinione condivisa che il raggiungimento di questi obiettivi richieda profonde riforme strutturali, ma si sostiene anche che le riforme devono essere realizzate in modo da preservare il “modello europeo di protezione sociale”. Tuttavia, il mantenimento di questo modello non solo non è necessario né possibile, ma per molte ragioni non sarebbe neanche una buona politica.
In primo luogo, non esiste un modello europeo o un sistema di protezione sociale ben definito o chiaramente identificabile. Ma se anche esistesse, non sarebbe ottimale, ovvero il modo più efficiente e meno costoso, per raggiungere gli obiettivi prefissati. Resta poi da chiedersi se nei prossimi anni gli attuali modelli europei di protezione sociale potranno sopravvivere senza che ciò significhi un serio danno per le economie europee.
È stato sottolineato da più parti che non c’è un solo modello europeo o sistema di protezione sociale, ma ne esistono diversi, forse tanti quanti sono i paesi dell’Unione Europea. Per esempio, ci sono enormi differenze tra il modello svedese e quello italiano, o tra il sistema britannico e quello francese. Non è semplice decidere quale sia tra questi “il modello europeo”. I sistemi attuali sono il frutto di decenni di interventi politici determinati dagli interessi costituiti di gruppi particolari o dalle ideologie dei governi precedenti.
Gli attuali modelli europei di protezione sociale hanno preso le mosse un secolo fa e in modo limitato, quando i governi istituirono programmi statali speciali per dare assistenza ai veterani di guerra e alle loro famiglie, agli impiegati statali e ad alcuni gruppi di lavoratori impegnati in occupazioni particolarmente pericolose, come i minatori. Nel corso degli anni, i programmi, all’inizio molto circoscritti, sono stati ampliati fino a comprendere gruppi sempre più vasti di lavoratori, dando vita così ai moderni “welfare state”. Tuttavia, in molti paesi europei, i principali beneficiari sono stati i lavoratori dipendenti, mentre gli individui al di fuori della forza lavoro ufficiale, e in particolare quelli impiegati dall’economia sommersa, sono stati totalmente o parzialmente esclusi dalle reti di sicurezza.

Il mondo che cambia

Un mondo che diventa sempre più globale, con una competizione crescente e una struttura e organizzazione industriale in mutamento, necessita di una rete di sicurezza che protegga i lavoratori esposti ai rischi del cambiamento. E dunque i sistemi di protezione sociale devono adattarsi alle nuove circostanze, non possono più essere quelli sviluppati decenni or sono in situazioni molto diverse: se le economie si adattano al mondo attuale, altrettanto devono fare i sistemi di protezione. Bisogna riuscire a studiare e introdurre moderne reti di protezione sociale che ottengano obiettivi non dissimili da quelli raggiunti dai migliori sistemi europei, ma che lo facciano in modo più efficiente e più “amico del mercato”. Il disegno dei nuovi sistemi dovrebbe essere una sfida importante per i politici europei, e in particolare per quelli che fanno parte della Commissione europea.
Oggi, il dibattito in Europa è incentrato troppo sugli strumenti utilizzati dai paesi europei (per lo più, spesa pubblica e regolazione del mercato del lavoro) e molto poco sugli obiettivi. Obiettivi che invece possono essere raggiunti con politiche diverse: l’Unione Europea non riuscirà a divenire “l’economia più competitiva del mondo” senza ridurre significativamente i livelli di tassazione, oggi necessari a finanziarie i costosi welfare state, e senza ridurre il ruolo dello Stato nella regolazione del mercato del lavoro e di altri mercati.

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  1. Gianluca Rapuano

    Secondo il modello di welfare State proposto da quest’ articolo l’Euorpa dovrebbe adeguarsi a livelli più bassi di tassazione per ottenere un miglioramento dell’efficienza del mercato. Mi sento di non condividere quest’affermazione. Nell’ Unione Europea esistono diversi sistemi di “welfare state”.E i paesi nordici sono tra quelli che hanno grandi modelli di “stato sociale” e quindi “costi più elevati” in tal senso. Secondo i dati ufficiali, nel periodo 1995-2003 (dati Ocse 2004), i tassi di crescita medi dei paesi nordici sono stati tra i più alti in Europa (Finlandia 3,6%, Olanda e Svezia 2,5%, Danimarca 2,1%),senza che ciò abbia compromesso la struttura del loro welfare state. E’ vero che in generale tutti auspicano un miglioramento dell’efficienza del “welfare state”, ma è vero anche che a mio avviso (e ad avviso di numerosi studi empirici), ciò non è dato da un abbassamento del livello di tassazione, che come abbiamo visto dall’esperienza nordica non pregiudica, in assoluto, l’efficienza del mercato,ma dal miglioramento dell’ efficienza della spesa pubblica.Non necessariamente abbassando il livello di tassazione la società raggiunge un livello di benessere sociale desiderabile.

  2. Arturo

    quale sistema di protezione è "amico" del mercato? una bella assicurazione privata all’americana? Può fare qualche esempio. Grazie.

  3. mirco

    Secondo il mio modesto parere dati i seguenti obiettivi per il welfare:
    pensioni
    casa
    sanità
    scuola
    lavoro
    occorre verificare i seguenti problemi per evitare che le economie europee risentano negativamente dallo smantellamento dei su citati pilastri:
    pensioni: non badare solo alla sostenibilità finanziaria dei sistemi pensionistici ma anche e soprattutto al fatto che l’assegno mensile finale che va al pensionato sia sufficiente per farlo vivere decentemente. Se così non fosse la sfiducia minerebbe l’economia.
    Casa: non solo politiche per case di proprietà ( che poi i mutui bassi sono finiti) ma anche affitti bassi pere permettere ai giovani di staccarsi dalla famiglia di origine( il problema italiano ad esempio è proprio quello dei 30enni in casa)
    La sanità deve essere gratuita sempre ( l’esempio degli Stati Uniti con il sistema delle assicurazioni è troppo negativo).Quindi per l’Europa si pone un problema di efficienza e diminuzione degli sprechi.
    Come la sanità la scuola deve essere pubblica :garantisce laicità e uguaglianza nelle opportunità di formazione almeno di partenza; è vitale per le società di democrazia liberale
    Protezione anche per il lavoro precario

  4. Cosimo Quarta

    Egr. Sig. Tanzi lei scrive ” L’Unione Europea non riuscirà a divenire l’economia più competitiva del pianeta se non riduce significativamente gli attuali livelli di tassazione, necessari per finanziarie i costosi welfare state, e il ruolo dello Stato nella regolazione dei mercati.” , poi aggiunge “Servono reti di sicurezza che proteggano i lavoratori più esposti ai rischi del cambiamento” aggiunge ancora, e qui lo riporto con parole mie , le pensioni sono troppo basse vanno adeguate all”attuale potere d’acquisto. Non individua poi quali dovrebbero essere gli strumenti che ad un tempo aumentano le uscite e diminuiscono le entrate, affidandosi e affidando la nostra fantasia ad un generalizzato ” strumenti amici del mercato” . Ritengo il suo articolo ben valido come spunto di discussione e utile richiamo verso strategie che, per realizzarsi dovrebbero, laddove non scaturire, quantomeno essere partecipate e partecipate dal basso, d’altro canto però lei non ci aiuta ad analizzare e fornire soluzioni alla problematica, perchè di soluzioni lei, almeno in questo articolo, non ne prospetta alcuna.

  5. Paolo Bardicchia

    Analisi ineccepibile che però si scontra con una realtà difficile. In Italia quasi il 60% dei votanti ha più di 47 anni. Questo blocco sociale non desidera ardentemente aggiustare quel sistema pensionistico che pesa in modo così forte sui conti pubblici. In Europa la situazione non è troppo dissimile ed in ogni paese esiste un ceto politicamente forte e compatto che vive di welfare e di gestione del welfare e che usa la bandiera del welfare per compattare le fasce sociali meno integrabili in una economia di mercato. La soluzione ideale è un percorso di abbandono di alcune pratiche di welfare e la contemporanea apertura di alternative non governative favorite da condizioni vantaggiose. Prendiamo l’esempio del collocamento, una riforma positiva ma non ottimale. La nascita delle agenzie per il lavoro ha aumentato l’efficienza nel placement ma non ha ridotto i costi per lo Stato perché lo ha affiancato ma non sostituito. Occorrerebbe creare un meccanismo di sostituzione del welfare pubblico che porti a: fine dell’erogazione pubblica del servizio, chiusura dei rapporti di lavoro con gli addetti pubblici a quel servizio, dismissione degli immobili (e non ritorno).

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