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COSA STA ACCADENDO NEL SISTEMA DI CONTRATTAZIONE DEGLI STATALI?

Un po’ in sordina, governo e sindacati hanno concordato una sorta di mini-riforma della contrattazione collettiva nel settore statale, destinata ad avere un impatto assai rilevante: si preannuncia la durata triennale dei nuovi contratti, e, soprattutto, si prevede che lo stanziamento in Finanziaria delle risorse necessarie avverrà dopo l’accordo, e non prima. La Cgilgià dice che l’obiettivo non sarà più quello di difendere il potere d’acquisto delle retribuzioni pubbliche, ma di accrescerlo. Il rischio è che la contrattazione si svolga al di fuori del vincolo di bilancio.

In un comunicato del 9 gennaio 2008 firmato da Prodi con i ministri Padoa Schioppa e Nicolais il governo informa di essere impegnato “a compiere tutti gli atti di propria competenza per l’immediato avvio delle trattative” per il rinnovo contrattuale relativo al biennio 2006-2007 dei comparti università, ricerca, Afam, nonché a compiere “gli adempimenti dei quali è responsabile per assicurare una sollecita conclusione del negoziato” per i contratti 2006-2007 dei comparti agenzie fiscali, Regioni-enti locali e sanità. In tutti questi settori, dunque, ancora una volta il contratto collettivo viene stipulato con lo sguardo volto all’indietro: non per delineare un programma comune per il miglioramento della coppia trattamento/rendimento del lavoro, ma per chiudere in ritardo una pratica già destinata all’archivio. Di fatto, questa è stata finora la regola per la stragrande maggior parte dei contratti del settore pubblico.

RISCHI DELLA TRIENNALIZZAZIONE

Lo stesso comunicato del 9 gennaio preannuncia “entro i prossimi dieci giorni” la presentazione di una proposta “di sperimentazione di un nuovo modello contrattuale triennale e delle conseguenti e necessarie modifiche legislative”. L’idea è, evidentemente, che allungando il periodo di vigenza del contratto sia più facile rinnovarlo tempestivamente. Tutto, però, induce a pensare che questa mini-riforma sia destinata a produrre l’effetto opposto: un anno in più di vigenza del contratto comporterà l’aumento del 50 per cento della posta in gioco, quindi anche della distanza tra richieste sindacali e disponibilità iniziali dell’esecutivo; e il differimento della scadenza consentirà alle parti di trascinare per un anno in più la propria inerzia prima di affrontare una negoziazione resa più difficile proprio dall’allungamento del periodo di vigenza del contratto (la stessa questione si pone anche nel settore privato, dove pure numerosissimi contratti nazionali vengono rinnovati sistematicamente in grave ritardo e l’idea di porvi rimedio con la triennalizzazione dei rinnovi contrattuali è, anche lì, all’ordine del giorno al tavolo del negoziato per la riforma della struttura della contrattazione collettiva).

SENZA VINCOLI DI BILANCIO

Certo, il rinnovo dei contratti sarebbe più rapido se la contrattazione avvenisse senza vincoli di bilancio. C’è da chiedersi se sia questa la chiave di lettura giusta dell’ultima notizia, di gran lunga la più rilevante, contenuta nel comunicato del governo: “Per ciò che attiene, infine, al biennio 2008/2009 il governo ha concordato con le organizzazioni sindacali l’immediata apertura delle trattative all’Aran (…) A definizione delle intese contrattuali il governo provvederà alla relativa copertura finanziaria garantendo in ogni caso la decorrenza dal 1° gennaio 2008”. Sarà dunque, d’ora in poi, di fatto la trattativa a determinare liberamente lo stanziamento necessario per il rinnovo del contratto? Dobbiamo paventare il rischio che si torni ai “tempi d’oro” quando prima si facevano gli accordi (come quello famoso della scuola firmato dal ministro Pomicino nel 1990), poi si trovavano le risorse finanziarie necessarie per onorarli?
Una conferma di questa lettura sembra venire da un altro comunicato, del 10 gennaio, nel quale il segretario generale della funzione pubblica Cgil Carlo Podda osserva che questa innovazione di metodo “comporterà una maggiore autonomia delle ooss nell’elaborazione della piattaforma alla luce di una duplice responsabilità. Si tratterà infatti – prosegue il leader del sindacato di settore della Cgil ‑ di costruire una proposta che tenga conto della necessità di affrontare la questione salariale ponendosi l’obiettivo non più di difendere il potere d’acquisto, ma di accrescerlo, e allo stesso tempo di far sì che tale proposta abbia caratteristiche di credibilità, dal punto di vista delle argomentazioni che la sostengono, [tali] da rendere possibile l’individuazione di un punto di caduta, la cui distanza dalla richiesta confermi la serietà e l’affidabilità del sindacato confederale agli occhi di quelli che rappresentiamo”.
Cerchiamo di capire che cosa può avere indotto il governo a questo passo, per diversi aspetti preoccupante.Una delle cause dei ritardi ormai sistematici nel rinnovo dei contratti del settore pubblico sta nel fatto che l’ammontare complessivo delle risorse disponibili deve essere stanziato preventivamente nella Legge finanziaria; ma lo stanziamento della Finanziaria è considerato dai sindacati solo come una prima proposta negoziale del governo, alla quale essi usano contrapporne una più onerosa. La trattativa che segue porta poi a un accordo sulle maggiori risorse necessarie per il rinnovo; ma questo, ovviamente, non si può stipulare prima che la legge finanziaria successiva le abbia nuovamente stanziate. Ora governo e sindacati hanno pensato bene di instaurare la nuova procedura proprio per accelerare il procedimento, eliminando queste pastoie: sulla base di una consultazione informale con il sindacato, il governo stesso impartisce all’Aran la direttiva circa le risorse utilizzabili per il rinnovo; l’Aran poi negozierà in dettaglio i contenuti normativi del contratto con i sindacati; lo stanziamento formale delle risorse avverrà quindi una volta sola, con la prima legge finanziaria successiva al raggiungimento dell’accordo.
Questo, però, significa che la trattativa fra Aran e sindacati si svolgerà in un contesto in cui, mancando le indicazioni della Legge finanziaria, il limite delle risorse utilizzabili per il rinnovo sarà ancora più labile di quanto non sia stato finora. Cosicché si apriranno di fatto al sindacato spazi ben più ampi di conquista: ecco la “maggiore autonomia” e la “duplice responsabilità” del sindacato di cui parla – con ragione ‑ Carlo Podda.
Davvero il governo ritiene opportuno affidare ai sindacati questa “duplice responsabilità”? E davvero esso ritiene che in questo modo sarà più facile non soltanto rendere maggiormente fluida la negoziazione dei rinnovi dei contratti collettivi del settore, ma anche al tempo stesso garantirne la compatibilità con i vincoli di bilancio e le linee d’azione necessarie per il recupero di efficienza delle amministrazioni pubbliche?

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OSSERVAZIONI DI STEFANO SARACCHI ALL’INTERVENTO DI PIETRO ICHINO

  1. Gilda Pisani

    Ottime le analisi di Ichino. Ma mi piacerebbe che ‘lavoce’ , di fronte a problemi come quello degli statali, non si fermasse a sia pur sofisticate considerazioni tecniche. La pletora di impiegati statali in Italia crea anzitutto un problema morale. Ho un conoscente, sottufficiale dell’esercito, che è andato in pensione con il massimo a 52 anni. Per sua stessa ammissione in tutti questi 35 anni ha lavorato pochissimo, tanto che a latere ha avuto il tempo di gestire un esercizio commerciale dagli orari anche impegnativi. E non è affatto un caso isolato. C’è una parte consistente del paese che vive alle spalle dell’altra, ma nessuno lo dice e i sindacati meno che meno.

  2. Cosmo Damato

    Forse un pò di fantasia non guasterebbe nel trattare il tema del lavoro pubblico. Appare al limite della banalità, oltre che della volgarità, discutere dei dipendenti pubblici come degli “scansafatiche”. Pochi cenni della mia esperienza personale.
    L’Agenzia delle Entrate, ente in cui lavoro, funziona sulla base di una convezione nazionale che stipula con il Ministero dell’Economia annualmente. Nell’atto sono indicati gli obiettivi da raggiungere, che a cascata sono ripartiti su tutti gli uffici della struttura (dalla Dir. Centrale, alle Dir. Regionali, agli Uffici Locali). Quindi ogni ufficio dell’Agenzia è tenuto a raggiungere gli obiettivi indicati. Il loro raggiungimento fa scattare un premio di produttività. Aggiungo che normalmemente gli obiettivi sono raggiunti. Nonostante questo, la retribuzione di un funzionario dell’Agenzia si attesta (premio compreso) sui 27-28 mila euro lordi. E parlo di gente “titolata” che, spesso, fa un lavoro altamente complesso. Ad esempio nel mio caso, svolgo verifiche fiscali di soggetti medio grandi, sono laureato, abilitato alla professione forense e ho un Master Universitario di II livello in diritto tributario.

    • La redazione

      Promuovere la cultura della misurazione e della valutazione nelle Amministrazioni pubbliche serve proprio perché sia possibile distinguere le strutture e le persone che meritano di più da quelle che meritano di meno.
      Oggi nel settore pubblico, salve poche eccezioni, questa capacità di distinguere manca; e mancano conseguentemente gli incentivi a fare di più e meglio. Il miglioramento del trattamento e del prestigio degli impiegati pubblici passa necessariamente dalla correzione di questo difetto. (p.i.)

  3. luca

    Sono un pubblico dipendente, e da più di 2 anni ormai sono anche io senza contratto. L’Agenzia delle Entrate, dove lavoro e con me circa 75.000 persone dipendenti delle agenzie fiscali, ha contribuito in questi anni alla nascita e all’incremento di quel “tesoretto fiscale” di cui tutti da tempo manifestano positivo interesse. Negli anni sono aumentati compiti, mansioni, obiettivi, normative da studiare (quasi ogni giorno), responsabilità. Di aumenti salariali se ne parla molto, come anche di durata dei contratti che sarà di tre anni, e non più di due, è stato sottoscritto anche un accordo ormai quasi un anno fa, ma di soldi ancora niente, neanche nella busta paga di gennaio 2008, nonostante gli impegni. In questa situazione parlare delle cose che dice Ichino magari va di moda, ma sembra decisamente fuori luogo, quantomeno prematuro prima di affrontare la questione dei contratti, attesi da milioni di persone.
    distinti saluti
    luca

  4. gilda pisani

    E’ chiaro che bisogna evitare le generalizzazioni e la demagogia: sono moltissimi gli statali che lavorano con professionalità e dedizione, e sono le prime vittime di una contrattazione che non riesce (e forse non riuscirà mai) a discriminare tra chi lavora bene e chi no o non lavora affatto. Ma, per favore, non solleviamo sempre il facile scudo della demagogia per evitare di parlare di un problema che è anzitutto etico, e che rappresenta una delle più gravi ingiustizie italiane: i dipendenti pubblici sono troppi, mal distribuiti, beneficiati in molti casi di assurdi privilegi, molto più garantiti, anche oggi, rispetto ai dipendenti privati. Ci dimentichiamo, ma è solo un piccolo esempio, che stiamo ancora pagando il conto dei baby pensionati di 20 anni fa? Purtroppo questo argomento o è terreno di conquista di un becero populismo oppure è oggetto di analisi esclusivamente economiche o giuslavoristiche. Ma per convenienza elettorale nessuno dice con onestà e pacatezza semplici verità che sono sotto gli occhi di tutti. E senza presupposto etico le analisi anche più raffinate lasciano il tempo che trovano.

    • La redazione

      Il sottotitolo del mio libro "I nullafacenti" (ora in edizione economica Oscar Bestsellers Mondadori) dice proprio questo: "Perché e come reagire alla più grave ingiustizia della nostra amministrazione pubblica". (p.i.)

  5. Pietro Giandonato

    …che siamo italiani. E come tali molto spesso avvezzi ad approfittare delle situazioni a noi favorevoli. Il militari che vanno in pensione col massimo grazie agli "scivolamenti" e hanno anche il coraggio di gestire un’attività commerciale (sic!) vengono visti dagli altri come gente in gamba. Esattamente come nel mio mondo, quello degli insegnanti, un avvocato, un ingegnere, un professionista, considera nè più nè meno come hobby proprio l’insegnamento, spesso sacrificandone la qualità a scapito degli interessi della professione, che prevalgono quasi sempre. Anch’io faccio professione "extra moenia", ma considero un dovere morale dare ai miei studenti il massimo in aula e non solo, e vado fiero dei risultati che ottengo, di rispetto reciproco innanzitutto, ma anche di rendimento. Perciò, come dipendente pubblico non mi sento offeso da epiteti come "nullafacente" o peggio "imboscato", perchè se il sentire comune della gente è questo, un motivo di verità ci sarà. Non siamo tutti uguali, certo, ma è proprio questo che bisogna dimostrare. E riconoscere e accettare la necessità di meritocrazia nella PA mi sembra il miglior modo di farlo.

  6. Fabrizio Francescone

    Credo di aver letto con attenzione, come sempre, l’intervento del Prof. Ichino, e mi sembra che non venga detto che oggi la contrattazione nel pubblico impiego è duplice: quadriennale per la parte giuridica e biennale per il rinnovo economico. Triennalizzare la contrattazione, quindi, risponde innanzitutto alla necessità di risolvere questa duplicazione, con gli interminabili accavallamenti che ne derivano. Appartengo alla categoria dei lavoratori delle Agenzie Fiscali. Abbiamo appena rinnovato il quadriennio giuridico 2006/2009 ed il biennio economico 2006/2007 (sic) che già dovremmo rinnovare il biennio economico 2008/2009. Per questo anche il sindacato spinge per la triennalizzazione. Inoltre ormai il CCNL del pubblico impiego è importante, ma giustamente i lavoratori devono mirare ad avere migliori riconoscimenti dal contratto di secondo livello, che soprattutto nelle Agenzie Fiscali (e soprattutto alle Entrate) può riconoscere le ottime performances di produttività che i lavoratori hanno ottenuto nella lotta all’evasione. Una domanda al prof. Ichino: ma a cosa serve l’Aran? Secondo me a ben poco e oggi potremmo considerarlo quasi un ente inutile.

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