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REDISTRIBUZIONE IN CERCA DI PRIORITA’ *

Le indagini dell’Istat e della Banca d’Italia confermano che il nostro paese ha un grado di disuguaglianza di reddito superiore alla media europea, mentre la ricchezza netta presenta una distribuzione ancora più diseguale. Nella Finanziaria 2008 non è prevista una misura significativa di contrasto della povertà. Ma prima della crisi, il governo sembrava intenzionato a tornare sul tema dell’esclusione sociale. Sarebbe comunque opportuno assegnare una chiara priorità alle politiche per i più poveri e indicare l’ammontare di risorse disponibili nel prossimo futuro.

Alla fine del 2007 si è avviato un vivace dibattito sull’incisività delle politiche sociali degli ultimi due anni. Su lavoce.info, per esempio, sono apparsi due interventi dai titoli significativi: "I poveri fuori dall’agenda" di Chiara Saraceno e "Quanto è redistributiva la Finanziaria per il 2008? Poco" di Simone Pellegrino. Secondo i due autori, le politiche adottate sono ancora insufficienti a determinare quella svolta nelle politiche di welfare che era stata prospettata dal Dpef del luglio 2007.

COSA DICONO I DATI

Figura 1. Principali percentili della distribuzione del reddito netto familiare nel 2005 (a)

Fonte: elaborazioni su: Istat, Distribuzione del reddito e condizioni di vita (2005 – 2006), Statistiche in Breve del 17 gennaio 2007.
(a) Dati provvisori. Il reddito netto familiare non comprende i fitti imputati delle abitazioni occupate dai proprietari.

Contemporaneamente, sono stati diffusi i dati dell’indagine Istat sui redditi e le condizioni di vita e quelli dell’indagine della Banca d’Italia sui bilanci delle famiglie. Una prima idea sull’entità delle differenze nella distribuzione dei redditi netti delle famiglie si ricava dai percentili pubblicati dall’Istat (figura 1). Nel 2005, il 10 per cento delle famiglie ha guadagnato più di 51.490 euro all’anno (4.290 al mese), mentre il 40 per cento con i redditi più bassi ha avuto meno di 18.745 euro (1.560 mensili). Un indicatore più opportuno, che considera la composizione familiare attraverso una scala di equivalenza, è la ripartizione della torta del reddito totale. Si scopre così che, sempre secondo l’Istat, il 20 per cento più ricco delle famiglie ha avuto nel 2005 una quota di reddito più di cinque volte maggiore rispetto a quella del 20 per cento con i redditi più bassi (39,9 contro 7,0 per cento). La Banca d’Italia, a sua volta, segnala che il 10 per cento delle famiglie con i redditi più elevati ha percepito nel 2006 una quota di reddito totale uguale a quella della metà delle famiglie meno ricche.
L’indagine sui redditi e le condizioni di vita dell’Istat è armonizzata a livello europeo e consente un confronto internazionale. L’indice del Gini rivela che l’Italia, insieme al Regno Unito, alla Grecia, al Portogallo e alla maggior parte dei nuovi Stati membri, è caratterizzata da un grado di disuguaglianza di reddito superiore alla media europea (figura 2). Sono invece più egualitari di noi non soltanto Svezia e Danimarca, ma anche Francia, Germania, Austria e Paesi Bassi.

Figura 2. Indice del Gini in Europa nel 2005

Fonte: elaborazioni su dati Eurostat on-line (Living Conditions and Welfare)

La ricchezza netta presenta, rispetto al reddito, una distribuzione molto più diseguale. Secondo l’indagine della Banca d’Italia, nel 2006 il Gini della ricchezza netta è stato pari a 0,616. Inoltre, il 10 per cento delle famiglie più ricche possedeva quasi il 45 per cento della ricchezza netta totale.
Secondo l’indagine dell’Istat, nel 2005 la distribuzione dei redditi in Italia non ha subito cambiamenti strutturali di rilievo rispetto all’anno precedente e vengono pertanto confermate le situazioni di svantaggio relativo già note (e ormai cronicizzate). Il 38,1 per cento delle famiglie del Sud e delle Isole appartiene al quinto più povero della distribuzione; contro il 12,8 per cento di quelle del Centro e il 10,9 per cento di quelle del Nord. Inoltre, si trovano più frequentemente nei due quinti più bassi della distribuzione soprattutto le famiglie con due o più figli minori a carico e gli anziani soli. Quanto al tipo di redditi percepiti, risulta che il 31,7 per cento delle famiglie con entrate prevalenti da lavoro autonomo appartiene al quinto più ricco; contro il 22,2 per cento di quelle con reddito primario da lavoro dipendente e il 12,9 per cento delle famiglie che vivono soprattutto di pensione o di altri trasferimenti.
I riflessi sul tenore di vita delle famiglie non sono affatto sorprendenti, anche perché sono frequentemente l’oggetto di servizi giornalistici sulla stampa e sulle televisioni. Secondo l’Istat, alla fine del 2006 il 14,6 per cento delle famiglie arrivava con molta difficoltà alla fine del mese e il 28,4 per cento non era in grado di sostenere una spesa imprevista di 600 euro. Inoltre, in almeno una occasione nei dodici mesi precedenti, il 9,3 per cento delle famiglie si era trovato in arretrato con il pagamento delle bollette e il 10,4 per cento non aveva potuto riscaldare adeguatamente l’abitazione.

MISURE CONTRO LA POVERTÀ

Nel Dpef del luglio 2007, le linee-guida per la riforma delle politiche sociali partivano da due premesse fondamentali: (i) "lo stato sociale italiano […] è rimasto indietro su temi come disoccupazione, povertà ed emarginazione" (pagina 41) e: (ii) "sulla capacità redistributiva del nostro sistema di protezione sociale pesa l’assenza di una misura nazionale di contrasto della povertà" (pagina 115).
Proprio l’assenza di una misura significativa di contrasto della povertà ha motivato l’allarme di Chiara Saraceno, che ha osservato come la Finanziaria per il 2008 non solo non introduce novità sufficienti per le famiglie più povere, ma addirittura "accentua gli squilibri redistributivi", soprattutto a causa del peso preponderante degli sgravi Ici. Sembra quindi più che giustificata la richiesta che Romano Prodi ha successivamente rivolto alla Commissione di indagine contro l’esclusione sociale: quella di "aprire un dibattito", di taglio operativo, sulle misure anti-povertà. Per far "decollare" il dibattito, tuttavia, sarebbe a questo punto opportuno che il policy maker assegnasse una chiara priorità alle politiche per i più poveri e indicasse l’ammontare di risorse disponibili nel prossimo futuro.

(*) L’articolo riflette esclusivamente le opinioni dell’autore e non coinvolge la responsabilità dell’Istat.

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SANITA’

  1. Carlo Catalano

    Da anni assistiamo alla riduzione del potere d’acquisto dei redditi medi e medio bassi a vantaggio dei redditi elevati. La progressiva riduzione della massima aliquota marginale IRPEF associata al mancato recupero dell’enorme drenaggio fiscale che ha gravato sui redditi medi e medio bassi hanno generato quanto sostengo. Empiricamente il fenomeno è reso evidente dalla costante crescita dei consumi dei beni di lusso associata ad una generale stagnazione dei consumi. Io credo che per far ripartire l’economia nazionale occorra innanzitutto correggere questo fenomeno restituendo potere d’acquisto ai redditi medi e medio bassi, solo così si possono far ripartire i consumi. La crescente sperequazione dei redditi e delle ricchezze costituisce una tendenza generalizzata a livello mondiale che, sia sul piano etico che su quello economico, occorre contrastare. A tal proposito è assolutamente pertinente l’ottimo articolo del Prof. Colombino pubblicato sul Vostro sito e dal titolo “l’IRPEF è sulla strada giusta” nel quale si evidenzia come, nella teoria economica, il livello ottimale della massima aliquota marginale IRPEF si ponga fra il 51% ed il 90%. Perchè nessuno ne parla

    • La redazione

      Per la verità ne stanno parlando un po’ tutti. Sarà uno dei temi caldi della campagna elettorale. E’ il passaggio dalle parole ai fatti che sembra più difficile

  2. lodovico malavasi

    Credo che affrontare il problema della povertà e mi riferisco a quella delle famiglie dal punto di vista delle diseguaglianze di reddito e della redistribuzione ( assai difficile da indirizzare esclusivamente a questi) non porti da nessuna parte. Un federalismo con tasse locali differenziate sui consumi ovvero una Imposta sul valore aggiunto da 0 a 25 potrebbe risolvere il problema in maniera più corretta. ( alimentari di ampio consumo: Iva allo 0 caviale 25%) Ai poveri non dovrebbero interessare le disuguaglianze di reddito o di ricchezza ma la possibilità con le loro risorse scarse di accedere ad un numero maggiore di consumi che in linea di principio sono di volano e crescita per tutti.

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