La gestione di molti servizi locali è afflitta da un disegno istituzionale che non divide chiaramente le responsabilità del potere centrale da quelle dei poteri locali e dei suoi diversi livelli. I governi decentrati, forti anche del ruolo che la legislazione gli assegna con la Conferenza Stato-Regioni, respingono ogni tentativo di riportare nelle amministrazioni centrali decisioni sugli assetti di mercato e sulla regolazione. Ne sono un chiaro esempio le vicende di Malpensa e dei termovalorizzatori. Ma alcuni correttivi sono possibili.
La gestione di molte utilities è afflitta da un disegno istituzionale che non divide chiaramente le responsabilità del potere centrale da quelle dei poteri locali e dei suoi diversi livelli (Regioni, province, comuni).
DAL CENTRO ALLA PERIFERIA
Il disegno istituzionale riflette un equilibrio politico che si sta gradualmente spostando verso la periferia: i sistemi elettorali e di governo introdotti negli enti locali circa quindici anni fa hanno prodotto governi stabili e autorevoli, catalizzatori di consenso politico anche per le competizioni nazionali. Insomma, governi (e politici) locali forti. Di questa forza acquisita nel circuito politico non poteva non esserci un riflesso anche nei circuiti economici: soprattutto laddove la ricaduta occupazionale o i flussi finanziari sono rilevanti, gli amministratori locali ricercano (e difendono) interessi economici che possono sostenerli. Non ci sono invece costituencies locali a favore di assetti di mercato più concorrenziali; né questi sono promossi dall’Unione Europea, che per molti servizi locali, trasporti in primis, non sollecita alcuna liberalizzazione. Così, la riforma Lanzillotta non è riuscita a piegare il "socialismo municipale". D’altra parte, anche nelle ultime due legislature erano abortiti diversi tentativi di riscrivere "una disciplina generale" dei servizi locali. Ma l’ideologia della cosiddetta sinistra radicale spiega solo una parte (piccola) della storia. L’alleanza è in realtà molto più ampia e trasversale come dimostra la garbata polemica tra il sindaco di Torino Sergio Chiamparino, che certo della sinistra radicale non fa parte, e il ministro sulle colonne del Corriere della Sera del 23 e 24 dicembre 2007.
I poteri decentrati, forti anche del ruolo che la legislazione gli assegna con la Conferenza Stato-Regioni hanno gioco facile a respingere ogni tentativo di riportare nelle amministrazioni centrali decisioni sugli assetti di mercato e sulla regolazione. Sulla base dell’esperienza di questi anni dobbiamo interrogarci se il coinvolgimento della Conferenza Stato Regioni, oramai una sorta di terza Camera, abbia sempre portato effettivi benefici al processo decisionale; ciò con particolare riferimento alle ipotesi in cui viene richiesto un intervento della Conferenza limitato all’espressione di un parere non vincolante. Il ruolo della Conferenza Stato Regioni dovrebbe essere quello, fondamentale e determinante, di favorire l’accordo e la collaborazione tra l’uno e le altre. Ma non è chiaro quali siano gli strumenti e il livello ottimali di tale collaborazione, né di ciò si discute molto.
Un tratto caratteristico della governance dei servizi locali, che trova sostegno nel famoso articolo 117 della Costituzione sulle materie concorrenti, è quindi la moltiplicazione dei centri decisionali e la condivisione dei poteri (nelle autorizzazioni, nell’offerta del servizio, nel reperimento delle risorse finanziarie). Come ha recentemente ricordato la Corte costituzionale, non siamo uno Stato federale, ma uno Stato decentrato. (1)
La qualifica, al di là del significato tecnico, evoca il paese dalle "cento padelle" e un disegno istituzionale da "responsabilità condivise". In questo disegno non c’è spazio per i criteri di razionalità economica (esternalità, economie di scala, omogeneità delle preferenze) invocati dagli economisti a favore delle decisioni accentrate: un esito ben diverso rispetto a quello della maggiore efficienza nei servizi locali che era negli auspici della riforma di decentramento avviata agli inizi degli anni Novanta.
DA MALPENSA AI TERMOVALORIZZATORI
Degli effetti della moltiplicazione dei centri decisionali si ritrova traccia sia nella vicenda di Malpensa, sia, in parte, in quella diversa e ben più grave della mancata realizzazione dei termovalorizzatori per il trattamento dei rifiuti. In questo ultimo caso, il legislatore ha previsto una organizzazione diffusa a carattere policentrico, dove le competenze e le relative responsabilità sono state ripartite tra diversi livelli di governo, in relazione ai diversi ambiti interessati: raccolta dei rifiuti a carico dei comuni, funzioni di controllo in capo alle province eccetera. Anche il governo ha competenze, che peraltro non ha esercitato: in materia di individuazione degli impianti di preminente interesse nazionale e ha un potere sostitutivo in caso di inadempienze legate alla realizzazione dei piani regionali. La materia è stata anche oggetto di dispute di fonte alla Corte che però con diverse sentenze (da ultimo la 380 del 2007) ha affermato che la tutela dell’ambiente (secondo l’articolo 117 secondo comma lettera s, lo Stato ha legislazione esclusiva) non sarebbe "materia" in senso tecnico riservata rigorosamente alla competenza statale giacché, essendo valore costituzionalmente protetto, investe altre competenze che possono essere regionali: la tutela dell’ambiente sarebbe finalizzata alla realizzazione di uno scopo e non circoscriverebbe un settore della legislazione. Risultato: come evidenziato in un rapporto Cnel, l’Italia ha una percentuale di rifiuti inceneriti che nel 2004 era appena del 10 per cento contro il 24 per cento della media dei principali paesi europei e ci vogliono due anni e mezzo di tempo, nel migliore dei casi e senza sindromi Nimby in azione, per avere le autorizzazioni per un inceneritore.
E che dire della regolamentazione degli aeroporti? Sempre l’articolo 117 prevede espressamente che siano materia di legislazione concorrente. In questo caso la condivisione delle responsabilità si inserisce in una legislazione nazionale, come peraltro quella europea, che in materia di concessione degli slot appare piuttosto lacunosa e controversa: le modificazioni di uso degli slot sono appannaggio della compagnia (con la discutibile logica economica dei diritti acquisiti) che però le possono scambiare, ma non negoziare a titolo oneroso. Il tentativo del legislatore lombardo di ritagliarsi un ruolo di regolatore con una legge regionale sul trasporto aereo, su cui il governo si sta orientando a fare ricorso alla Corte Costituzionale, sarà pure goffo, ma si insinua in un assetto regolatorio gravemente incompleto.
ANTIDOTI AL RISCHIO CIRCOLO VIZIOSO
Per arginare il rischio (ormai quasi una certezza) che le utilities locali cadano in un circolo vizioso da moltiplicazione dei centri decisionali e da condivisione dei poteri, e scartando una riforma del 117 che non è proprio nell’agenda (ahimé), provo a suggerire alcune linee di policy: colmare le numerose lacune nella regolazione settoriale dei servizi: nei trasporti; nel servizio idrico, dove una revisione della regolamentazione è urgente e non richiede necessariamente di intervenire sugli assetti proprietari. Introdurre meccanismi correttivi alla complessa "macchina" a tutela dell’ambiente, migliorando la regolazione multilivello. Abbandonare le proposte di discipline generali che sembrano avere il potere di alzare il livello di resistenza, in quanto necessariamente di principi e poco tecniche. È ovvio che si tratta di antidoti parziali, omeopatici. Per la rivoluzione liberale, bisognerà aspettare ancora.
(1) Si veda la sentenza 365 del 2007
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Maria Vitali-Volant
Fra Stato e regioni si è instaurato un dialogo difficile con passi avanti e retrocessioni in tutti i campi della “Gouvernance”. In questo contesto la “Rete dei nuovi municipi” gioca un ruolo che è difficilmente valutabile. Pertanto esistono, nel nostro paese, iniziative valide. Vale forse la pena di interrogarsi su questa iniziativa e dedicagli un po’ di spazio nella “Voce”. Aspetto risposte.
Sergio Marotta
I servizi pubblici locali sono stati sempre gestiti dagli enti locali preposti ad assicurare servizi efficienti per i cittadini in base alle leggi statali sugli enti locali. E ciò sia prima in regime di pieno laissez faire che dopo lintroduzione della gestione a mezzo di aziende municipalizzate avvenuta nel 1903.
I servizi pubblici locali sono monopoli naturali indissolubilmente legati al territorio.
Le difficoltà lamentate nascono nel momento in cui si intende imboccare la strada della privatizzazione formale e sostanziale anche dei servizi pubblici locali e si comincia a considerare la concorrenza come un valore in sé. Ma in un monopolio naturale la concorrenza costituisce una forzatura che può essere introdotta soltanto per legge attraverso una decisione politica basata su concetti come concorrenza per il mercato come più volte chiarito dal ministro Lanzillotta.
Quanto ai termovalorizzatori, la Campania dimostra che anche con un Commissariato che dipende dal governo, con poteri che consentono la deroga di qualsiasi norma dellordinamento italiano, non si riesce a costruire nessun impianto senza un confronto con le popolazioni locali.
Sergio Marotta
antonio petrina
Egr dr. MAcchiati, dopo il disegno riformatore del 2001 delle utilities locali nel Tuel, nulla o diversi tentativi abortiti, come giustamente lei ricordava, anche dopo la novella costituzionale del 2003 ,che in realtà ha peggiorato la contesa ( leggi: materie concorrenti) tra diversi livelli decisionali perchè manca quel principio di sussidiarietà base nell’economia di Smith : fare gestire all’autorità più vicina al territorio competente i servizi e le infrastrutture.Lo Stato deve essere snello e magro e bisogna che lasci fare ai privati salvaguardando ad es.l’ambiente in generale e la libertà di movimento e dei trasporti. Se le ferrovie ,per una direttiva europea, devono andare in borsa per autofinanziare gli investimenti, è indispensabile che siano garantiti i livelli di sicurezza e di qualità (England docet!) e che lo Stato vigili sull’applicazione degli stessi.