Perché si discute tanto degli stipendi degli amministratori? Secondo i critici, stock option e altre forme di remunerazione sono un veicolo di espropriazione degli azionisti e indirizzano la gestione aziendale verso obiettivi di breve periodo. Ma una volta rimossi gli ostacoli legali alla vigilanza degli azionisti, è anche necessaria una loro maggiore partecipazione al voto in assemblea. E in Europa si guarda ancora con sospetto al passaggio da una gestione volta a tutelare gli interessi di tutti gli stakeholder a una più indirizzata a garantire dividendi agli azionisti.
Il dibattito sugli eccessi della remunerazione degli amministratori è ormai arrivato al livello di ministri dell’Economia e delle finanze in Europa: se ne è occupato il 13 maggio l’Eurogruppo e probabilmente sarà in agenda in occasione di una delle prossime riunioni dell’Ecofin. Per interpretare le indicazioni che ne deriveranno, occorre tenere presente che le critiche all’uso delle stock option e delle altre forme di remunerazione si fondano su due "pericoli": che esse siano un veicolo di espropriazione degli azionisti, anziché un incentivo per gli amministratori a perseguire gli interessi di questi, oppure che indirizzino la gestione aziendale verso obiettivi di breve periodo.
REMUNERAZIONE E PERFORMANCE AZIENDALE
Forme di remunerazione collegate alla performance aziendale sono state adottate sistematicamente sin dall’inizio degli anni Novanta negli Stati Uniti, dove sembra abbiano facilitato l’allineamento degli incentivi degli amministratori a quelli degli azionisti.
La letteratura in materia non esclude, peraltro, che dietro tali compensi si celino fenomeni di espropriazione degli azionisti e individua come prima contromisura un maggiore coinvolgimento di questi ultimi nella loro adozione.(1)
Su entrambi i punti convergono sia i principi di corporate governance dell’Ocse , sia la Commissione europea che nel 2004 ha consigliato standard minimi di trasparenza e di coinvolgimento degli azionisti.
NELLE MANI DEGLI AZIONISTI
Le conclusioni che derivano seguendo questa prima linea interpretativa riguardano in primo luogo la necessità di rimuovere gli ostacoli legali alla vigilanza degli azionisti. Non a caso i ministri europei hanno sottolineato che le indicazioni della Commissione al momento sono state seguite solo in parte dai 27 paesi dell’Unione Europea. (2) In altre parole, non sempre, anche in Italia, è possibile per gli azionisti avere informazioni complete o esprimere il proprio voto in assemblea su questi temi. (3)
Una volta rimossi gli ostacoli legali, è pure necessario che gli azionisti in assemblea ci vadano. Che la cosa non sia del tutto scontata è dimostrato dalle statistiche sulla presenza al voto in assemblea (tavola 1, seconda colonna): riportano un livello di partecipazione degli azionisti in Europa notevolmente inferiore rispetto agli Stati Uniti, e spesso con un peso modesto di quelli di minoranza, vale a dire di coloro che pagano maggiormente i costi di piani di remunerazione troppo generosi, come si può vedere dalla bassa percentuale di società a controllo diffuso in molti paesi europei (tavola 1, terza colonna). Come sottolineato dalla Consob, in Italia la presenza media in assemblea degli azionisti detentori di quote inferiori al 2 per cento è stata nel 2006 pari a soli 2,5 punti percentuali. (4)
PROFITTI DI BREVE PERIODO E STAKEHOLDER SOCIETY
Quanto al secondo "pericolo", che le stock option e la pay for performance in genere indurrebbero gli amministratori a perseguire profitti di breve periodo, per il momento sembra manchino sostegni quantitativi a questa tesi, tanto più che sul concetto stesso di profitto di breve periodo non ci sono ancora definizioni chiare. (5)
La sensazione è che dietro la critica vi sia la volontà di salvaguardare la stakeholder society. Una parte dell’opinione pubblica, specie in Europa centrale, è probabilmente rimasta colpita dalla rapidità con la quale le società quotate sono passate da una gestione volta a tutelare gli interessi di tutti gli stakeholder (e quindi anche i dipendenti e i fornitori delle imprese oltre che gli azionisti e i creditori) a una gestione maggiormente indirizzata a garantire dividendi agli azionisti. L’azionariato delle società quotate europee è ormai per una parte importante composto da investitori istituzionali, sia nazionali che esteri, i quali tendono a incrementare il valore delle proprie partecipazioni azionarie al fine di distribuire maggiori dividendi ai propri clienti, che poi sono in primo luogo lavoratori e pensionati europei ed extraeuropei. (6)
Non è probabilmente un caso se proprio in questo periodo, in parallelo alle critiche alle remunerazioni eccessive dei manager, sono in uno stadio avanzato di discussione in Germania due disegni di legge volti a limitare l’attivismo degli investitori istituzionali e l’ingresso in borsa di capitali extra europei. (7)
Tavola 1. Presenza al voto nel 2006
Paese | Partecipazione degli azionisti in assemblea nel 2006 (valori percentuali) | Percentuale di società a controllo diffuso |
---|---|---|
Regno Unito (FTSE 350) | 0.61 | 0.83 |
Paesi Bassi(1) | 0.36 | 0.38 |
Italia | 0.52 | 0.18 |
Francia(1) | 0.57 | 0.38 |
Germania (Dax30) | 0.49 | 0.38 |
Spagna | 0.65 | 0.26 |
US (S&P 500) | 0.87 | NA |
Fonte: nostre elaborazioni basate su PIRC, Proxy Voting Annual Review 2006, London 2007,www.pirc.co.uk e Bianchi, M., M. Bianco, S. Giacomelli, A. M. Pacces, and S. Trento, Proprietà e controllo delle imprese in Italia, Bologna, Il Mulino, 2005.
(1) Il dato comprende Belgio, Francia, Paesi Bassi e Portogallo.
* Le posizioni espresse nell’articolo sono attribuibili esclusivamente all’autore e non coinvolgono in nessun modo la Banca d’Italia.
(1) Vedi Bengt Holmstrom e Steven N. Kaplan, "The State of US Corporate Governance: What’s Rights and What’s Wrong?", 2003, disponibile a: http://papers.ssrn.com/sol3/papers.cfm?abstract_id=441100
(2) Commissione europea, Rapporto sull’applicazione da parte degli Stati membri dell’Unione della Raccomandazione della Commissione in materia di remunerazione degli amministratori, disponibile a: http://ec.europa.eu/internal_market/company/docs/directors-remun/sec20071022_en.pdf
(3) Su questi punti vedi Stefano Cappiello, La remunerazione degli amministratori. Incentivi azionari e creazione di valore, Milano, Giuffr・ 2005 e Stefano Cappiello e Umberto Morera, Del merito e delle ricompense dei vertici dell’impresa bancaria, Analisi Giuridica dell’Economia – 2/2007, p. 409 ss. Da segnalare inoltre che che le nuove disposizioni di vigilanza in materia organizzativa e di governo societario delle banche adottate il 4 marzo dalla Banca d’Italia (http://www.bancaditalia.it/vigilanza/banche/normativa/disposizioni/provv/disposizioni_040308.pdf) hanno introdotto un regime speciale applicabile alla struttura dei compensi variabili degli esponenti bancari, in base al quale si richiede che gli statuti delle banche prevedano il coinvolgimento dell’assemblea nella definizione delle "politiche di remunerazione", con un’adeguata informativa sulle relative modalità di attuazione.
(4) Consob, Relazione annuale per il 2006, disponibile a: http://www.consob.it/main/consob/pubblicazioni/relazione_annuale/relazione.html?symblink=/main/consob/pubblicazioni/relazione_annuale/index.html
(5) Marcel Kahan M. e Edward B. Rock, "Hedge Funds in Corporate Governance and Corporate Control", University of Pennsylvania Law Review, Vol. 155, No. 5, 2007, disponibile a: http://ssrn.com/abstract=919881
(6) Vedi il pi・recente rapporto della Federazione delle borse europee: Fese, "Share Ownership Structure in Europe", febbraio 2007, disponibile a: http://www.fese.eu/_lib/files/FESE%20Share%20Ownership%20Structure%20in%20Europe%202006.pdf
(7) Vedi il Financial Times, 15 maggio 2008, p. 1: "Kler attacks markets ‘monster’". I disegni di legge tedeschi sono stati presentati lo scorso 7 maggio a Roma alla Fondazione Di Vittorio: http://www.fondazionedivittorio.it/news_view.php?id=2497
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Paolo Grassi
Purtroppo i manager meglio pagati sono coloro che sanno fare orperazioni che consentono di stilare bilanci nel modo più gradito agli analisti. Questi ultimi, che ragionano tutti allo stesso modo, visti i bilanci, consigliano di acquistare le azioni dell’azienda interessata. Di conseguenza, il valore dell’azione sale non perchè l’azienda vale veramente di più e produrrà profitti da distribuire come dividenti ma soltanto perchè, secondo gli analisti, le operazioni fatte dal manager sono valide. I manager sono contenti perchè si prendono lauti premi, gli speculatori anche se riusciranno a vendere le azioni al momento giusto. Chi ci rimette? gli ultimi che hanno comprato le azioni e i lavoratori che prima o poi si troveranno davanti all’ennesima ristrutturazione. I costi della cassa integrazione e dei prepensionamenti non li pagano certamente gli azionisti e tantomeno i manager. L’azienda ormai spolpata farà fatica a sopravvivere. Nel frattempo il manager avrà cambiato ditta e la colpa ricadrà sulla solita concorrenza cinese. Il nuovo manager arriverà e provvederà a delocalizzare sempre per colpa dei cinesi ai quali ora possiamo aggiungere gli indiani.
Mauro Allegri
Una semplice legge di poche righe: “In una qualsiasi società o Amministrazione Pubblica la remunerazione lorda più elevata corrisposta ad un dipendente, comprensiva di qualsiasi voce anche non monetaria, non potrà superare di 10 volte quella minima sempre considerata al lordo.” Le Stock Option ai manager costituiscono un grave danno anche per la produttività di tutti gli altri dipendenti che cominciano a stufarsi di lavorare per dei manager incapaci sempre più spesso provenienti dalla calcinculandia politica!
Amedeo Pugliese
Egr. dott. Santella, è sempre interessante conoscere le idee dei regulators sul tema della remunerazione del TMT. Vorrei condividere alcune osservazioni: nel contesto italiano il CEO non è affatto indipendente dallazionista perchè cè sempre un soggetto controllante. Che senso ha ragionare in termini di "allineamento degli interessi" attraverso le SO se l’agent è sotto strettissima sorveglianza del principal? Spesso il TMT è composto dagli stessi azionisti di controllo. La remunerazione eccessiva si spiega proprio con la scarsa autonomia concessa al CEO e al rischio di licenziamento per questioni non legate allandamento del business. Le SO non funzionano neppure negli USA: +212% nel compenso del CEO a fronte di +78% nel valore azionario (Gomez-Mejia & Wiesman, 1997). Prima di pensare di rimuovere gli ostacoli legali bisognerebbe chiedersi: 1) quali sono i costi di monitoraggio per azionisti dispersi; 2) quali i benefici; 3) qualè il livello di disclosure adeguato. Sul tema dello short-termism, pur mancando una sistematica analisi in letteratura, basta osservare in che modo e su quali indicatori di performance si fondano la maggior parte degli SO e SG plans.
Mauro Bernuzzi
Non capisco tutta questa voglia di regolamentazione. La remunerazione di un CEO, CFO, COO, cosi’, come quella di ogni dirigente di alto livello, e’ il frutto di una libera contrattazione fra le parti, e la volonta’ delle parti, in quanto liberamente espressa non puo’ e non deve essere sindacata. I manager di alto livello operano in un mercato del lavoro globale dove il prezzo si forma dall’incontro della domanda e dell’offerta. A titolo di esempio; puo’ Unicredit non offfrire un package in linea con quello delle altre maggiori banche internazionali al suo CEO ? Evidentemente no, altrimenti costui si trasferirebbe overnight a Goldman-Sachs. Il fatto che un top manager si meriti la sua (alta) remunerazione e’ un altro problema, ma per questo esistono le regole di Corporate Governance ed e’ nel rendere queste regole efficaci che il legislatore dovrebbe intervenire, non certo nel porre limiti artificiali alle retribuzioni E’ un po’ come per i calciatori: se vuoi Cristiano Ronaldo lo devi pagare molto , ma se non segna lo cacci, altrimenti ti accontenti di Lucarelli, che forse non segna molto, ma almeno lo paghi poco.
Mauro Bosio
Concordo pienamente con il principio di 1 a 10 per regolamentare gli stipendi in azienda. Non solo rappresenta una questione di risparmio, un top manager guadagna in media come 200 quadri direttivi, ma contribuisce, e non poco, a creare una società più giusta, dove nessuno si sente autorizzato ad agire come meglio crede in virtù del fatto che guadagna cifre da capogiro. Se tale regola venisse applicata a tutti i livelli della società ci si potrebbe permettere di avere dipendenti più soddisfatti e fidelizzati, il che costituisce un risparmio visto che il più grande patrimonio delle aziende, a detta degli stessi top manager, sono i dipendenti, con la loro conoscenza ed esperienza (il turnover ha un costo).
umberto carneglia
Ritengo che si tratti di un tema complesso, con aspetti contraddittori, che andrebbe analizzato approfonditamente prima di giungere a delle conclusioni. MI sentirei, allo stato di indicare alcuni principi generali : occorrere assicurare uno stretto legame fra retribuzioni e performance effettive dei managers , cosa che troppo spesso non accade, ne’ in Europa ne’ negli USA ; occorre un meccanismo di controllo effettivo sulle prestazioni del management da parte di un CDA forte, dotato di potere autonomo , che dovrebbe rappresentare la proprieta’ azionaria; occorre trovare un punto di equilibrio fra l’eseigenza di pagare i managers per quello che sono realmente in grado di produrre e l’esigenza di evitare che eccessive disuguaglianze retributive demotivino i dipendenti e faccaino sparire la middle class ( con le gravi conseguenze macro che ne derivano); sarebbe molto utile l’azione di apposite Authority in grado di vigilare ed intervenire tempestivamenmte laddove si verifichino palesi degenerazioni del marcato – si vedano le vicende del settore finanziario USA ed internazionale, il cui esito finale e’ tuttora ancora lontano dall’essere definito nelle sue dimensioni.
Pierfranco Parisi
Mi sembra semplice: Le SO si danno in quantità proporzionale al livello di responsabilità, a tutto il management (compresi il middle management) al prezzo di oggi e esercitabile a tre anni data. Si elimina la tendenza ai risultati a breve.