Da qualche mese si registra un persistente spread tra Libor e tassi di riferimento attesi. Le banche centrali possono intervenire per eliminarlo? E come? Europei e americani hanno sulla questione punti di vista diversi. I primi lo interpretano come la semplice quantificazione da parte del mercato di un rischio di credito. Secondo la Fed, invece, la causa è in una carenza di capitale delle banche. Nessuna delle due posizioni è pienamente convincente.
Da alcuni mesi i mercati sono alle prese con un persistente spread tra Libor, il tasso di interesse a cui le banche si prestano denaro l’un l’altra senza la necessità di garanzie, e i tassi di riferimento attesi, negli Stati Uniti il tasso dei Fed Funds e tassi simili nel Regno Unito e nell’area euro.
Il persistere di un simile spread è sorprendente perché in linea di principio le banche dovrebbero essere capaci di eliminarlo attraverso operazioni di arbitraggio – a meno del costo dell’assicurazione che devono acquistare se vogliono proteggersi da fluttuazioni future dei tassi di riferimento.
Per farlo devono semplicemente ottenere prestiti overnight sul mercato monetario, per esempio al tasso dei Fed Funds, reinvestire le somme per tre mesi e utilizzarle per concedere prestiti a un’altra banca al tasso Libor.
Fino all’estate del 2007 lo spread tra Libor e i tassi di riferimento attesi era molto ridotto, circa 10 punti base, che probabilmente riflettevano il prezzo dell’assicurazione. Da allora, ha registrato oscillazioni tra i 50-60 e i 100 punti base, a seconda del mercato considerato (dollari, sterline o euro).
PUNTI DI VISTA DIVERSI
Perché persiste lo spread? E in che modo le banche centrali potrebbe ridurlo, riportando il Libor a livello del tasso overnight? Ci sono due i punti di vista sulla questione.
Gli europei pensano che il divario rifletta un rischio di credito, proprio perché i prestiti a Libor non richiedono garanzie. E finché rimane una diffusa incertezza sulla solidità dei bilanci delle banche, i prestiti a Libor sono rischiosi e lo spread riflette semplicemente la quantificazione da parte del mercato di tale rischio. Sulla base di questa ipotesi, i banchieri centrali d’Europa pensano che sia inopportuno eliminare un prezzo di mercato, e che dunque si dobba conviverci.
Ciò spiegherebbe, si dice, la riluttanza della Bce e della Bank of England a seguire la Fed nell’annunciare le linee di swap create tra le tre banche centrali e la banca centrale svizzera per permettere alle banche europee di ottenere prestiti overnight in dollari e, simmetricamente, alle banche americane di ottenere prestiti in euro e sterline. La Fed ha proposto questi swap, che sono in realtà linee di credito, per cercare di abbassare lo spread, ma gli europei lo ritengono inopportuno e in ogni caso inutile.
Si può calcolare la stima del mercato sulla probabilità che un prestito non venga rimborsato, cioè che la banca fallisca. Per l’area euro, con tassi overnight (annualizzati) del 4 per cento, uno spread di 50 punti base (il livello di maggio 2008) implica una probabilità di fallimento di circa il 5 per cento per prestiti a tre mesi. (1)
Con uno spread di 80 punti base (com’era nel dicembre 2007), le probabilità di fallimento sono del 7,5 per cento. Negli Stati Uniti, con i Fed Funds al 2 per cento, la probabilità di fallimento è del 10 per cento: in entrambi i casi non si tratta di piccoli numeri.
Il problema con il punto di vista europeo è che il Libor riflette il merito di credito delle banche, e dunque dovremmo osservare spread diversi tra banche, a seconda dello stato percepito dei loro bilanci. Ma non è così.
La Fed sembra avere un punto di vista diverso, fondato sulla convinzione che dopo la vicenda Bear Stearns è molto improbabile che una banca americana sia lasciata fallire. E anche se ciò accadesse, la Fed interverrebbe per proteggere i creditori, comprese le banche che hanno concesso prestiti a tasso Libor all’istituto fallito, e spostare le perdite interamente sugli azionisti. Secondo la Fed, alla base dello spread c’è invece una carenza di capitale delle banche.
COMPORTAMENTI PREDATORI
Prendiamo ad esempio una banca che abbia capitale sufficiente: può ottenere un prestito e concederne uno nuovo con il capitale che ha, senza oltrepassare il livello-obiettivo del suo indice di patrimonializzazione. In altre parole, il prezzo ombra del suo capitale è zero. Una banca con queste caratteristiche potrà effettuare operazioni di arbitraggio tra il Libor e il costo atteso dell’investimento nei fondi overnight, assicurandosi inoltre contro le fluttuazioni dei tassi overnight.
Se, invece, per concedere un nuovo prestito, la banca deve prima ottenere nuovo capitale oppure ridurre la quota di capitale assegnata ad altre attività, lo spread tra il tasso a cui dà il prestito e il costo di quello che ha dovuto chiedere deve essere uguale al prezzo ombra del capitale, che è in questo caso diverso da zero.
In linea di principio, la banca centrale può intervenire per ridurre lo spread: semplicemente, la Fed potrebbe liberare le banche dalla necessità di chiedere prestiti ad altre banche a tasso Libor e concedere direttamente i fondi, attraverso la Taf (Term Auction Facility). Si tratta di un meccanismo che permette a una banca di ottenere fondi dalla Fed in cambio di garanzie (di qualunque qualità). Oggi la Taf è uno strumento a 28 giorni, termini che non coincidono con quelli del Libor. La Fed potrebbe perciò avere la necessità di estendere l’orizzonte della Taf da 28 a 90 giorni. (2)
Se la Fed procedesse su questa strada, le banche otterrebbero i prestiti dalla banca centrale in cambio di garanzie, che invece non avrebbero dovuto dare se avessero chiesto prestiti a tasso Libor. Tuttavia, la Fed ormai accetta qualunque attività finanziaria in garanzia, e dunque questo non rappresenterebbe un vincolo.
Anche con questo punto di vista, tuttavia, sorge un problema: tutte le banche dovrebbero avere vincoli di capitale. Ma è difficile che ciò sia vero e sarebbero sufficienti poche banche senza vincoli per eliminare lo spread attraverso azioni di arbitraggio. Questo potrebbe non accadere per due ragioni. Se le banche senza vincoli sono piccole in relazione al mercato, nel loro tendere al Libor, finiranno per incontrare un vincolo di capitale: la loro capacità di arbitraggio è dunque limitata. Ma potrebbe anche verificarsi un comportamento predatorio: le banche che hanno capitale liberamente impiegabile potrebbero avere la tentazione di non concedere prestiti a quelle che hanno invece bisogno di fondi per superare una crisi di liquidità. Poiché non possiamo assumere che la Fed salverà tutte le banche in difficoltà, è possibile che la crisi di liquidità si risolva in un fallimento. L’esperienza della Bear Stearns dimostra che di fronte a un possibile fallimento, la Fed protegge i creditori, ma fa piazza pulita degli azionisti. Questo significa, come nel caso Bear Stearns-JP Morgan, che la banca senza vincoli di capitale può acquisire a un prezzo vicino allo zero un concorrente al quale ha negato un prestito. Il comportamento predatorio può spiegare il persistere di spread anche in presenza di alcune banche senza vincoli di capitale.
E LA BASE MONETARIA?
Ma torniamo alla Fed. Può davvero sottoscrivere un impegno credibile di salvataggio delle banche senza che questo abbia effetti sulla base monetaria? La domanda ricorrente in questi mesi è stata: che cosa accadrà quando la Fed avrà esaurito i Tbills, i Treasury Bills?
Ci sono tre modi in cui la Fed potrebbe espandere il suo bilancio senza conseguenze sullo stock di base monetaria: 1) se le venisse concesso di emettere suoi propri buoni, come fanno altre banche centrali, ad esempio quella cinese; 2) se ciò inducesse le banche a detenere maggiori riserve per ogni dato livello di base monetaria; 3) se il Tesoro americano fosse costretto a emettere altri buoni per finanziare il deficit e la Fed li riacquistasse sul mercato.
L’opzione 3 è semplice, però non è illimitata, a meno che il Congresso non alzi il limite annuale delle emissioni del Tesoro.
Le opzioni 1 e 2 sono correlate, ma solo la prima metterebbe la Fed nella condizione di emettere un ammontare illimitato di buoni per acquistare la carta commerciale bancaria. (…) E non è chiaro se la Fed abbia oggi questa l’autorità. (…)
La seconda alternativa è molto meno forte: certamente, le banche possono essere indotte a detenere un più ampio volume di riserve se per questo vengono remunerate. Perché ciò avvenga a un livello invariato di base monetaria, però, le banche devono liquidare altre attività: possono farlo, ma ci vuole del tempo. Basta confrontare i bilanci della Fed con quelli della Bce, che già paga interessi sulle riserve: si vede che ciò potrebbe aggiungere 100 miliardi di dollari alle passività, una somma non piccola, ma neanche illimitata.
Tutte le speranze della Fed, e le pressioni del suo presidente, si concentrano su una esplicita autorizzazione all’emissione di suoi propri bills: potrebbe essere inserita nella proposta di legge attualmente in discussione al Congresso, che prevede il pagamento di interessi sulle riserve bancarie a partire da ottobre 2011.
(1) Si assume una neutralità al rischio, che potrebbe non essere corretta.
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hayekFan
Egr. professore La ringrazio per l’analisi che ho trovato assai interessante e utile. Varrebbe forse la pena di aggiungere, a fortiori, che lo spread in questione è forse ancora più ampio nella realtà di quanto misurato da un Libor ormai in piena crisi di credibilità. Molte banche anche prestigiose avrebbero infatti minorato il tasso comunicato per la formazione del Libor, al punto che si discute attivamente se rimpiazzare la prestigiosa media con altre metriche più realistiche.
Fulvio Giulio Visigalli
Gentile prof. Giavazzi, lEuribor da qualche settimana ha cessato di muoversi. Basta guardare distrattamente il grafico dellandamento del tasso Euribor a 3 mesi per capire che qualcosa è cambiato nellinterbancario: la corsa al rialzo del 2008 (partita a febbraio) si è arrestata alla fine del mese di aprile, ha subito uno "scatto" al rialzo in data sei giugno e da allora il tasso si muove orizzontalmente. A dieci anni dalla nascita della Banca Centrale Europea i successi dellunificazione della politica monetaria appaiono evidenti e concreti. Tuttavia in situazioni critiche come la recente crisi dei mutui subprime americani appare evidente come il divario tra il tasso di interesse effettivo a breve, ovvero lEuribor, e il tasso di rifinanziamento principale, ovvero il Main refinancing operations della BCE appare consistente e in parte non motivato dai fondamentali economici: la curva a breve dei tassi di interesse è svincolata completamente dagli effetti della politica monetaria della Bce con importanti risvolti nella vita di tutti i cittadini europei. Crede che sia necessario rimodellare da principio il metodo di formazione del tasso interbancario?
karmacoma
Secondo me osservazioni più immediate circa il fenomeno analizzato dal professore potrebbero essere date da il confronto fra Euribor (o Libor) ed Eonia Swap. I primi due (con distinzioni nella metodologia di rilevazione delle medie) evidenziano il tasso lettera che viene quotato dalle banche alla loro primaria clientela per operazioni di finanziamento con uno scambio effettivo di capitale. L’ Eonia Swap invece è un semplice scambio di tasso contro overnight a scopo di copertura su scadenze entro 24 mesi. Non essendovi quindi un effettivo scambio di capitali ma solo regolamento di differenziali sui tassi alle scadenze prestabilite, l’elemento rischio liquidità non viene prezzato o comunque in minima parte. Solo a titolo esemplificativo la quotazione dell’Euribor 6 mesi è 5.14% mentre l’Eonia Swap pari scadenza è 4,38%. Un differenziale di ben 76 punti contro una media che storicamente era rimasta nell’ambito di 15 punti. Un grafico su pari scadenze renderebbe tutto molto più chiaro di quanto sta avvenendo sui mercati finanziari.
Ruggero Quarto
Egr. Dott Giavazzi, Mi permetto di dissentire sul calcolo delle probabilità implicita di default su orizzonti temporali di 3 mesi. La remunerazione di 50bps sopra il tasso risk free (ipotizzando che il tasso overnight possa essere assimilabile al tasso risk free) se interpretata interamente come dovuta al rischio di default comporta, ipotizzando un recovery rate del 40% (ipotesi standard nel mkt dei credit default swaps), una probabilità di default circa del 0,20% su un orizzonte di 3 mesi. Con uno spread di 80bps , mantenendo le stesse ipotesi precedenti (tassi overnight al 4% considerabili come proxy del default risk free rate e recovery al 40%) il tasso di default implicito risulta essere circa dello 0,33% Queste probabilità implicite di default sono calcolate con la seguente formula: 100*(1+(rf)*(t/360))=100*(1+(rf+spread)*(t/360))*(1-PrDef) + 100*RR*(PrDef) Rf= tasso overnight t= orizzonte temporale misurato in giorni PrDef= probabilità di default implicita RR= recovery rate Per formule meno semplificate si rimanda al paper VALUING CREDIT DEFAULT SWAPS: NO COUNTERPARTY DEFAULT RISK di J.Hull e A. White (2000)
Gianni Giacò
L’ Euribor nelle sue varie scadenze è il riferimento più importante per la finanza delle famiglie e delle imprese, eppure non è un indice di mercato. Lo definisce per autodichiarazione un pool di banche e poi tutte lo applicano sui prestiti alla clientela. Finchè il suo andamento era all’incirca parallelo ( con un certo anticipo ) al tasso di riferimento nessuno si era posto il problema della trasparenza ma da quando è cominciata la crisi dei subprime l’Euribor ha iniziato a vivere di vita propria crescendo vertiginosamente con gli effetti che tutti constatiamo. Ce la vendono come crisi di liquidità, che non c’è , crisi di fiducia tra banche che non si sa cosa voglia dire visto che è passato un anno e il sistema continua a funzionare, ma chi tutela il mutuatario che questi tassi pubblicati quotidianamente corrispondano al vero e non solo all’ interesse delle banche?