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SERVIZI PUBBLICI LOCALI: IV TENTATIVO DI RIFORMA

Come è ormai tradizione, qualsiasi sia la maggioranza, all’inizio della legislatura fioriscono i disegni di legge per la liberalizzazione dei servizi pubblici locali. In genere, appassiscono in breve tempo. Stavolta però c’è una novità: il disegno di legge del governo ha significativi punti di convergenza con la proposta presentata alla Camera da Linda Lanzillotta. Anzi, in alcune parti i due testi coincidono alla lettera. Ma le differenze ci sono e significative. Riguardano la visione del settore e, alla fine, misureranno il tasso di innovazione della legge che sarà approvata.

Come è ormai tradizione, qualsiasi sia la maggioranza, all’inizio della legislatura fioriscono i disegni di legge per la liberalizzazione dei servizi pubblici locali. Disegni di legge che, in genere, appassiscono in breve tempo. Stavolta però c’è una novità: il disegno di legge presentato dal governo il 18 giugno (1) ha significativi punti di convergenza con la proposta di legge (n. 948), presentata alla Camera il 9 maggio scorso dall’onorevole Linda Lanzillotta; anzi: in alcune parti i due testi coincidono alla lettera. Ma le differenze ci sono e significative. Esaminiamo convergenze e differenze.

I PUNTI DI CONVERGENZA

Entrambi i testi prevedono che i servizi vengano affidati tramite gara. Il testo del governo, però specifica che alle gare possono partecipare solo società di capitali, mentre il testo della Lanzillotta ammette “imprenditori e società in qualunque forma costituite”. Non è chiaro perché porre dei limiti di legge alla natura delle imprese ammissibili alle gare; certamente non si tratta di un limite che favorisce la numerosità dei partecipanti. Del resto, le “stazioni appaltanti” possono sempre – con i loro bandi – fissare delle soglie minime di fatturato in relazione alla dimensione del servizio messo a gara. Ma non credo che una simile differenza possa impedire l’accordo tra maggioranza e opposizione.
I due testi sono poi identici in merito alla questione degli affidamenti in house, spinosa eredità della storica sentenza Teckal della Corte europea di giustizia (C-107/1998), introdotti per la prima volta nell’ordinamento italiano dal ministro Buttiglione nel 2003. Entrambi i testi limitano la possibilità di ricorrere all’in house ai casi in cui “le peculiari caratteristiche economiche, sociali, ambientali e geomorfologiche del contesto territoriale di riferimento non consentono un efficace e utile ricorso al mercato”. Inoltre, entrambi i testi prevedono che il ricorso all’in house debba essere adeguatamente motivato, in base a valutazioni economiche di confronto con le alternative offerte dai privati, in una relazione da trasmettere “all’Autorità garante della concorrenza e del mercato e alle autorità di regolazione settoriali, ove costituite (…)”. C’è però una differenza nella conclusione del precedente virgolettato. Quella del governo è: “(…) che esprimono il loro parere nel termine di sessanta giorni dalla ricezione della predetta relazione”; quello della Lanzillotta è: “(…) che possono adottare provvedimenti inibitori nel termine di sessanta giorni (…)”. È chiaro che il testo Lanzillotta conferisce alle Autorità indipendenti un potere assai più incisivo rispetto a quello (puramente consultivo) offerto dal testo del governo.

Molte sono le coincidenze tra i due testi in merito alla previsione di una preferenza che le amministrazioni locali devono riconoscere, in sede di gara, alle imprese che si impegnino a mantenere i livelli occupazionali relativi alla gestione precedente. A questo proposito i due testi si distinguono soltanto perché quello della Lanzillotta chiarisce che la “preferenza” in questione scatta soltanto a parità di punteggio, mentre il testo del governo non specifica nulla. La formulazione attuale del governo lascia quindi aperti molti spazi interpretativi, fino al paradosso che le amministrazioni locali, nei bandi, esprimano (sotto pressione sindacale) la “preferenza” per la stabilità dell’occupazione al primo posto di un ordinamento lessicografico, col risultato di togliere qualsiasi peso all’offerta economica.

LE DIFFERENZE

Oltre alle differenze “minori” già evidenziate, ce ne sono alcune più significative, che riguardano la visione del settore e, alla fine, misureranno il tasso di innovazione della legge che verrà approvata. Il Ddl governativo, oltre alla gara per la gestione del servizio, prevede la possibilità di affidamento “a società a partecipazione mista pubblica e privata, nella quale il socio privato detenga una quota non inferiore al 30 per cento, a condizione che quest’ultimo sia scelto mediante procedure ad evidenza pubblica”. Nulla del genere compare nella proposta Lanzillotta. Non è inutile ricordare il favor di cui il sistema della partecipazione mista gode presso gli amministratori locali, che vedono in essa un modo per attirare i capitali e le competenze manageriali dei privati, senza però perdere il controllo praticamente assoluto sull’azienda (perciò una soglia così bassa come il 30 per cento). Tuttavia, c’è da chiedersi quale sarebbe il prezzo (esplicito o nascosto) preteso dai soggetti privati per entrare in partnership con soci così ingombranti e poco orientati al business come gli enti locali.
Da questa differenza ne discende un’altra: la proposta Lanzillotta prevede (articolo 12) degli incentivi per la dismissione parziale o totale delle aziende produttrici di servizi locali che abbiano ottenuto l’affidamento tramite gara, mentre il testo governativo è completamente silente sul punto. A chi scrive sembra che gli incentivi di cui parla il testo Lanzillotta siano assai poco incisivi: si tratta della possibilità di utilizzare i proventi delle privatizzazioni per investimenti degli enti locali, sottraendoli dal saldo di bilancio calcolato ai fini del patto di stabilità interno. Sarebbe assai più efficace agganciare esplicitamente una quota dei trasferimenti agli enti locali di ciascun anno all’entità delle liberalizzazioni e delle privatizzazioni effettuate l’anno precedente, premiando chi più liberalizza e privatizza e penalizzando gli altri.
Sorprendente è che il testo del governo accolga un dogma del programma elettorale dell’Unione prodiana del 2006: la proprietà pubblica delle reti e degli impianti. Al contrario, il testo della Lanzillotta ammette implicitamente la proprietà privata (articolo 9), pur confermando il vincolo all’uso pubblico. Inoltre, la Lanzillotta si cura di definire con una certa precisione i criteri e le modalità con cui devono essere bandite e aggiudicate le gare, al fine di garantire al meglio la terzietà della commissione aggiudicatrice quando alla gara partecipi un’azienda controllata dall’ente locale che bandisce. Il Ddl del governo sorvola su questo punto estremamente delicato. Eppure si sa che gare fatte male possono generare mostri.

AMMORTIZZATORI SOCIALI TRA STRUZZI E CONTORTI RINVII

Ma il governo sorvola anche in materia di ammortizzatori sociali per i lavoratori dei servizi pubblici locali che si venissero a trovare in esubero a seguito delle gare. Naturalmente, il rischio disoccupazione è una delle ragioni (non l’unica) di opposizione sindacale alle gare nei servizi locali e quindi non prevedere nulla a riguardo può trasformare la legge – qualora venisse approvata – in una grida manzoniana. La proposta Lanzillotta contiene un riferimento (articolo 4) alla riforma degli ammortizzatori sociali che la legge Finanziaria 2008 (L. 247/07) delegava il governo a realizzare entro dodici mesi. Inoltre, nelle more dell’attuazione di tale delega prescrive che si applichi l’articolo 2, comma 28 della legge 662/96 che consentiva al ministro del Lavoro di adottare per decreto misure sperimentali per fronteggiare “situazioni di crisi di enti ed aziende pubblici e privati erogatori di servizi di pubblica utilità, nonché delle categorie e settori di impresa sprovvisti del sistema di ammortizzatori sociali”. Questo contorto insieme di rinvii a provvedimenti di improbabile attuazione non promette niente di buono. (2) Ma mettere la testa sotto la sabbia, come fa il governo, rischia di essere anche peggio.

(1) Si può trovare, per ora, solo sul sito.
(2) È interessante che la legge del 1996 parlava di decreti da emanare entro 180 giorni dalla sua entrata in vigore. Sono passati quasi 12 anni e siamo ancora “in attesa di un’organica riforma del sistema degli ammortizzatori sociali” (che era l’incipit del comma citato)!

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LO SPREAD CHE ALLARGA L’ATLANTICO

  1. dino bellè

    Qualcuno tempo fa mi faceva notare che con l’avvento dalla T.I.A. senza che cambiasse niente a livello del servizio c’era immediatamente un aumento del 20% delle bollette dovuto all’ I.V.A. oggi altre persone mi fanno notare che ai privati che entrano nei servizi viene riconosciuto un "guadagno" del 7% che significa, con i bilanci di una ex municipalizzata con 6 milioni di budget, 12 persone in meno nei ranghi. E’ davvero così? Questa ipotesi è molto allarmante perchè si andrebbe verso un dumping sociale ancora più esasperato perchè i servizi dovranno come minimo essere garantiti, per lo meno, in egual modo e con gli standard attuali. Grazie per l’attenzione.

  2. FabioC

    Riguardo il commento del sig. Bellè posso dire che l’aliquota IVA applicata alla TIA è al 10% e che sostituisce in sostanza l’ex ECA presente nella TARSU anch’essa al 10%; di conseguenza non è il passaggio a TIA che determina automaticamente l’incremento delle bollette, quanto il perseguimento della totale coperturta dei costi per servizio che al momento la maggior parte dei comuni non è in grado di garantire attraverso gli introiti TARSU. Vorrei inoltre chiedere al prof. Boitani se effettivamente l’in house rappresenta una limitazione alla libera concorrenza ed al libero mercato, e se ha effettivamente senso additare l’assetto societario dei soggetti coinvolti (società pubbliche in house) quale causa della mancata liberalizzazione. A me personalmente risulta essere più un tentativo di "privatizzazione" che non di liberalizzazione. Altra domanda, questa volta provocatoria, come può il governo parlare di libero mercato, concorrenza ecc… quando poi cerca (con scarsi risultati) di difendere l’italianità di Alitalia sottraendola di fatto alle dinamiche di mercato?

  3. Riccardo Rossi

    Prof. Boitani, anzitutto un apprezzamento a Lei. Sono anni che leggo i Suoi scritti sulla riforma dei servizi pubblici locali. Dal periodo ante liberalizzazione, credo almeno dal 1996. In questi dodici anni mi sono laureato, fatto un master, ho trovato un lavoro, sono nell’amministrazione di un ente locale e sto maturando un’esperienza nel settore dei rifiuti. Gli SPL li vedo da diversi punti di vista e in tutto questo tempo nessuna riforma che possa dirsi compiuta. Senza entrare nel merito della proposta io ho smesso di crederci. L’unico filo conduttore dei vari DDL succedutisi è stata l’incertezza e la (conseguente?) carenza di investimenti in infrastrutture che porterebbero gli SPL a livelli di efficienza e innovazione degni di un paese avanzato. Risultato: parole, discussioni, testi di provvedimenti modificati e alla fine un "riordino" come la legge 239/04 (Marzano) una legge composta da Un articolo e innumerevoli commi rappresentativi delle più disparate volontà di mettere le mani sulla torta energetica. Cordialità

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