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TURISMO, NELLA CONFUSIONE VINCONO LE LOBBY

C’è molta confusione in Italia intorno al settore turismo. Non esiste un capitolo di contabilità nazionale che lo comprenda per intero e comunque mai in modo corretto. Così le categorie economiche organizzate fanno il bello e il cattivo tempo. Lo dimostrano una volta di più le misure previste nel decreto sviluppo e nel Codice del turismo sulla proroga delle concessioni demaniali alle imprese balneari e sulla creazione dei distretti marittimi.

 

In Italia non c’è modo di affrontare il tema del turismo con un minimo di chiarezza: non c’è un capitolo di contabilità nazionale che comprenda il settore per intero, e nessuno in modo corretto. Confondiamo i consumi degli ospiti con quelli dei residenti e il risultato è che le categorie economiche organizzate fanno il bello e il cattivo tempo. Anche nel “decreto sviluppo” come nel “Codice del turismo”, approvati in Consiglio dei ministri il 5 maggio.

BATTAGLIA SULLE SPIAGGE

Nel decreto sviluppo si affrontano due temi simbolicamente molto rilevanti. Si prevede, in barba alle direttive comunitarie, la proroga delle concessioni sul Demanio marittimo agli attuali concessionari, con la motivazione della certezza degli investimenti e delle strategie aziendali. (1)
Le imprese balneari italiane sono un numero imprecisato, stimato in circa 24mila. L’incertezza dei numeri deriva dal fatto che le concessioni sono state gestite in passato dalle Capitanerie di porto e poi demandate alle Regioni, che come al solito hanno operato “a macchia di leopardo”. E i concessionari possono essere singoli cittadini, bar, circoli sportivi, alberghi, campeggi, ristoranti, associazioni ed esercenti di attività balneari veri e propri.
Le concessioni hanno attualmente durata variabile e, a meno di rinuncia, “godono” della riassegnazione allo stesso concessionario, fino a far nascere nelle associazioni di categoria la richiesta di una “persistenza”, giustificata anche dalla possibile trasmissibilità ereditaria dell’impresa.
Già da diversi anni è in atto un braccio di ferro, innescato dal ministero dell’Economia, sulla revisione dei canoni di concessione, in molti casi troppo bassi rispetto alla presumibile redditività delle imprese che vi operano.
Il tema è quindi la contendibilità delle concessioni stesse, che le direttive europee vorrebbero garantita e che i concessionari invece vedono come il fumo negli occhi, preferendo contare sulla rassegnazione a lungo termine, con un canone da definire.
La libertà d’impresa e la remuneratività per l’Erario potrebbero invece avvantaggiarsi solo con un meccanismo di assegnazione delle concessioni “ad evidenza pubblica”.
Ma c’è anche una questione “settoriale”: come si fa a parlare di imprese turistiche nel caso degli stabilimenti balneari, quando non è per niente assodato che i clienti siano turisti, e cioè per definizione “pernottanti al di fuori dal proprio comune di residenza”?
E quindi come si fa a contrabbandare per sviluppo (turistico) il sostanziale regalo degli arenili agli attuali concessionari? 

UN PARADISO CHIAMATO DISTRETTO

La seconda previsione del decreto sviluppo, che in qualche modo si è voluta porre in relazione alla prima, istituisce anche nel turismo i “distretti”. Chissà perché solo balneari, e non ad esempio anche termali, benché si tratti del comparto in più evidente difficoltà strutturale in Italia.
Nel disegno del decreto i distretti sono dipinti come paradisi, senza burocrazia né tasse, veri e propri “parchi di impresa”.
Di per sé, si tratterebbe di una proposta molto interessante, peraltro già formulata alcuni anni fa dall’onorevole Sergio Gambini, ma all’epoca del tutto trascurata. (2) E che comunque prevede un iter di tale complessità che se ne riparlerà, se va bene, tra qualche anno.
Ma nella comunicazione, la cosa si dà per già fatta, come è nello stile “decisionista” del governo e del suo ministro del Turismo.
Lo stesso Consiglio dei ministri ha approvato poi il Codice del turismo, anche in questo caso rispondendo alle istanze categoriali.
Ad esempio, ha adottato una definizione estensiva di impresa turistica, che adesso, oltre alle imprese ricettive e dell’intermediazione, includerà anche “le imprese di ristorazione e tutti i pubblici esercizi, gli stabilimenti balneari, i parchi divertimento, le imprese di intrattenimento di ballo e di spettacolo, le imprese di organizzazione di eventi, convegni e congressi, e le imprese turistiche nautiche”.
Qui, con un taglio gordiano, si è deciso di non distinguere tra le imprese che operano solo o prevalentemente con e per i turisti e quelle che potrebbero anche operare con i turisti, ma non è detto lo facciano.
Un impulso alla de-burocratizzazione delle pratiche dovrebbe poi arrivare dalla Scia (segnalazione certificata di inizio attività) per l’apertura o la modifica delle attività imprenditoriali, segnalazione da presentarsi allo sportello unico comunale. Con il corollario, che ha già fatto imbestialire i ristoratori, di poter aprire i ristoranti e i centri benessere degli alberghi anche al pubblico non pernottante.
Anche in questo caso evidentemente si è andati dietro a qualche lobby, ma il risultato non è indolore: quello che si aggiunge da una parte, si toglie dall’altra
Inoltre, come da tempo richiesto a gran voce dagli albergatori, si prevede la fissazione degli standard minimi nazionali dei servizi e delle dotazioni di tutte le strutture ricettive, fino a una classificazione unitaria.
Peccato solo che serva una intesa con le Regioni, non facile da ottenere e infatti manca dal 2001. (3) E d’altra parte, la stessa utilità di una classificazione è messa in dubbio da fonti più che autorevoli. (4) 
Infine, guarda caso su richiesta delle associazioni di categoria, si equiparano in tutto e per tutto le agenzie di viaggi on-line a quelle con sportelli su strada, in particolare nella tutela dei diritti dei consumatori. Ma come regolarsi con gli operatori non residenti sul territorio comunitario?.

(1) La direttiva “Bolkestein” del 27 dicembre 2006 è stata recepita dall’Italia con il decreto legislativo 26 marzo 2010, n. 59.
(2)Società di trasformazione urbana per l’innovazione turistica (Stuit), sulla falsariga delle società di trasformazione urbana (Stu) previste dall’articolo 120 del Testo unico di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000, n 267; Atto Camera del 15 dicembre 2005.
(3)
Legge quadro sul turismo, n. 135, 29 marzo 2001.
(4) Ad esempio il ministro inglese al Turismo John Penrose. 28 gennaio 2011, intervista a Radio 4 – Bbc.

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  1. luciano ardoino

    Ben detto e ben fatto, a tal punto che lo copio/incollo sul mio blog (naturalmente linkandolo) dove si parla molto di queste "cosette". Grazie dell’ospitalità.

  2. taccioli fabio

    Ma guarda il precariato non esiste per ben 90 anni per i 24.000 padroncini degli stabilimenti balneari.

  3. yury

    Ormai da un paio di anni con gli amici i fine settimana non li facciamo più in mezzo a cemento & acqua lurida & assenza di scontrini & prezzi folli italiani… ma all’estero. Prossima tappa Valencia: aereo + 3 notti d’albergo 4 stelle (ovviamente con wi-fi gratuito) 150 euro. Ogni altro commento è superfluo.

  4. bob

    Caro Landi cominciamo ad esser chiari! Io piccolo imprenditore sono contro questa assurdità e panzanata chiamata "federalismo". L’Italia ha esattamente bisogno del contrario: di programmazione e quindi di centralità d’azione per metterla in atto. Se Lei usa la parola "nazionale" riferito alla contabilità, Io Le rispondo che il turismo è di competenza delle Regioni, in pratica ognun per se. Se le Lobby fossero grandi o consistenti potrebbero portare , per assurdo, anche qualche elemento positivo, ma le nostre non sono lobby, sono clan locali che la follia della bufala federalista ha moltiplicato in poteri e ricatti a beneficio solo e soltanto di "4 ombrellari". Vada all’estero a vedere una qualsiasi Fiera e si vergognerà dal misero provincialismo che esprimiamo. Per chiudere le domando: ma lei come la pensa e da che parte sta?

  5. nicolò

    Mi ricordo che ieri sera durante un dibattito sull’argomento è emerso con grande imbarazzo da parte di tutti i presenti, meno del lobbista il caso di uno stabilimento che paga ben 4000, dico quattro mila euro di tasse, a fonte di tre milioni di incasso annuale. Mi pare fosse Forte dei Marmi, è possibile? E’ questa l’Italia, che toglie ai poveri per dare ai ricchi?

  6. bellavita

    Dopo aver cambiato la costituzione per introdurre il federalismo, un parlamento frettoloso e scombinato continua a produrre a getto continuo norme che dovrebbero essere di competenza delle Regioni. Si tratta spesso di leggi confuse, illeggibili, scritte praticamente sull’asse del gabinetto. I servizi legislativi delle Camere sono di ottima qualità, ma i loro tempi non corrispondono con l’esigenza di fare propaganda urlata attribuendosi il merito di avere risolto tutto. Così ci troviamo con norme che obbligano tutti i Comuni a liberarsi in 6 mesi del 40% delle azioni dei loro servizi pubblici, svendendoli con urgenza: ma Cuneo sarà ben diversa da Agrigento, li vogliamo lasciare decidere? Nell’ultima finanziaria si prevede minuziosamente che tipo di spese facoltative può fare un Comune? Ma di cosa si impiccia il Parlamento dopo aver stabilito il federalismo? Adesso anche per le spiaggie e i condoni interviene il Governo. Attendiamo con ansia una legge, firmata anche da Bossi, che prescriva come devono essere vestiti i consiglieri comunali.

  7. AM

    E’ assodato, anche sulla base di esperienze di altri paesi europei, che il turismo delle piccole iniziative ( a livello famiglia) può rappresentare un rimedio contro la disoccupazione e una fonte di reddito importante almeno per la sussistenza. Anche per l’Italia (soprattutto per il Sud) questa offerta turistica potrebbe essere importante, ma vi è poca trasparenza, troppa burocrazia e incertezza fiscale. Come risultato molti rinunciano a quest’attività ed altri optano invece per il sommerso e l’evasione fiscale. Serve un po’ di impegno da parte delle autorità per semplificare e fare chiarezza.

  8. Ajna

    Nicolò ricordava, invero generosamente, il caso del Twiga che fu di Briatore, della famiglia Lippi e penso resti ancora di Brosio (è a Pietrasanta, vicino Forte dei Marmi): pagava di concessione annuale meno di quanto pagano tanti ambulanti che fanno i mercati settimanali in zona; circa 1/1000 del dichiarato. E chi conosce o, meglio ancora, ha lavorato nella realtà di un bagno, sa che abisso può esserci tra dichiarato e fatturato reale. Purtroppo i casi come questo o, più nel piccolo, il sapere di famiglie di 8 persone il cui lavoro è solo dire "siamo aperti" (salvo poi sottopagare terzi) resteranno finché beni pubblici saranno non svenduti, ma proprio regalati a pochi notabili del posto con vantaggi dinastici non da ridere.

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