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COME FARE LE RIFORME ED ESSERE RIELETTI

I politici europei temono che procedere sulla strada delle riforme strutturali significhi perdere le elezioni successive. E’ una paura infondata. Perché i benefici che ne derivano per famiglie e imprese possono essere anticipati da mercati finanziari ben funzionanti, riducendo così l’opposizione. I dati mostrano che di tutti i governi riconfermati dopo aver varato una riforma, il 65 per cento era a capo di una nazione con una regolamentazione pro-competitiva dei mercati finanziari. Diventano poi più facili gli interventi sui mercati dei prodotti e del lavoro.

Jean-Claude Junker, primo ministro del Lussemburgo, presidente dell’Eurogruppo e uno dei più influenti policy-maker europei, si è una volta lamentato del fatto che “[noi politici] sappiamo tutti cosa fare, ma non sappiamo come farci rieleggere una volta fatto quello che è necessario fare”. (1)
I capi di Stato europei sono profondamente consapevoli della necessità di riforme strutturali, particolarmente nella zona euro, ma sono riluttanti a intraprenderle per paura di essere puniti dall’elettorato.

UNA PAURA INFONDATA

Ovviamente, la paura si fonda sull’esperienza: le riforme strutturali – dall’abolizione dei monopoli di Stato all’aumento della flessibilità il mercato del lavoro – trovano ineluttabilmente una forte opposizione da parte di rumorosi gruppi d’interesse, mentre i benefici che ne derivano sono più diffusi, ma più diluiti nel tempo e quindi oltre il mandato del governo che le vara. Questo significa che l’elettorato punisce i governi che spingono apertamente per attuare le riforme? Èuna paura largamente infondata, soprattutto in alcune particolari situazioni. (2)
Iniziamo con un’indagine esplorativa degli archivi elettorali e delle riforme strutturali di 21 paesi dell’Ocse nel periodo tra il 1985 e il 2004. I dati mostrano che una leggera maggioranza di governi (50-55 per cento) sono rieletti per il mandato successivo a prescindere dall’aver portato avanti riforme o meno. La figura 1 mostra la percentuale di governi revocati (prima coppia di colonne) o confermati (seconda coppia) in tutte le elezioni e le confronta con quelle votazioni che sono state precedute da riforme.

Figura 1: Probabilità di rielezione e riforme

Questo primo dato conferma i risultati di una ricerca di Munkhammar (3) dove si mostra che i governi che perseguono un programma di riforme strutturali, nonostante debbano superare qualche pregiudizio e riluttanza iniziale, tendono a essere rieletti. Passando a un’analisi più sofisticata, si nota che la probabilità di rielezione di un governo non è significativamente influenzata dall’aver approvato o meno una riforma. L’unico fattore statisticamente significativo sembra essere il ciclo economico: in tempi di forte crescita la probabilità di rielezione del governo in carica aumenta fortemente.
Ma sotto quali condizioni le giuste riforme strutturali possono aumentare la probabilità di essere riconfermati? La nostra tesi è che il livello di sviluppo dei mercati finanziari è molto importante per le possibilità di rinomina dei governi che spingono per le riforme.

MERCANTI FINANZIARI, RIFORME ED ELEZIONI

Mercati finanziari solidi e ben sviluppati permettono alle famiglie di prendere a prestito dal proprio reddito futuro (atteso), aggiustando di conseguenza il consumo presente. In più, la disponibilità di svariate forme di investimento e fonti di reddito aumenta la condivisione del rischio e permette di mantenere un certo tenore di vita anche nel caso di eventi sfavorevoli. Con mercati finanziari che funzionano, anche le imprese possono cogliere le opportunità create dalle riforme. In pratica, mercati finanziari che funzionano adeguatamente permettono a famiglie e imprese di approfittare fin da subito delle occasioni propizie derivanti dalle riforme, anticipandone i benefici di lungo periodo e ammortizzandone i costi di breve.
Questo ha dirette implicazioni sulla fattibilità politica delle necessarie riforme strutturali. Nonostante la presenza di costi di breve periodo, le riforme sarebbero percepite fondamentalmente come proficue, perfino dagli elettori più conservatori o più direttamente colpiti da temporanee perdite legate alle riforme. Di conseguenza ci aspettiamo che le riforme strutturali raccolgano un maggior consenso elettorale se i mercati finanziari funzionano a dovere: diminuendo la percentuale di famiglie con vincoli di liquidità, renderebbero l’economia più “ricardiana”. Questo significa che la politica fiscale sarebbe meno efficace e dunque il governo sarebbe meno tentato di sostenere la domanda aprendo il portafoglio e più incline a percorrere la stoica strada delle riforme.
Uno sguardo veloce ai dati mostra che, di tutti i governi che sono stati riconfermati dopo aver varato una riforma strutturale, il 65 per cento era a capo di una nazione con una regolamentazione pro-competitiva dei mercati finanziari. (4) D’altra parte la quota corrispondente di governi che non avevano attuato riforme è del 50 per cento (si veda la figura 2).

Figura 2: Probabilità di rielezione e riforme con diversi sistemi finanziari

Un’analisi più sofisticata condotta nel nostro studio conferma questi risultati. Difatti l’interazione tra l’indice di libertà dei mercati finanziari e l’indicatore di riforme strutturali aumenta fortemente la probabilità di essere rieletti. Inoltre anche l’interazione tra il ciclo economico e le riforme strutturali è altamente significativa, indicando che un leader che porta avanti un piano ambizioso di riforma sarà probabilmente rieletto se i mercati finanziari sono liberi di operare e l’economia sta crescendo.
Ma solo i mercati finanziari possono svolgere questa funzione? In teoria anche il governo e lo stato sociale possono ridurre i vincoli di liquidità dei più deboli e di conseguenza aumentare l’orizzonte temporale delle scelte di quest’ultimi. (5) Quindi, se ben calibrato, l’intervento pubblico potrebbe affiancare e rafforzare il ruolo dei mercati finanziari nel ridurre la resistenza alle riforme strutturali.
Mentre in prima battuta potrebbe sembrare scarsa l’evidenza empirica a supporto di quest’ultima tesi, le procedure econometriche più accurate che utilizziamo nel nostro lavoro mostrano come apposite politiche di sostegno sociale possano rendere più popolari i governi che perseguono un programma di riforme strutturali.
Lo sviluppo del sistema finanziario, fino a ora trascurato, rafforza il bacino elettorale a favore delle riforme, aumentando così gli incentivi politici dei governi a progredire su questa via. Riforme strutturali del sistema finanziario giocano un ruolo fondamentale nello sfidare e ridefinire la “maledizione di Junker”. Tutto ciò ha dirette conseguenze sulla strutturazione ottimale del pacchetto riforme: come indicato dalla Commissione nella sua recente comunicazione “Emu@10”, riforme preliminari dei mercati finanziari facilitano poi successivi interventi sui mercati dei prodotti e del lavoro.

* Gli autori lavorano presso la Commissione europea. Le opinioni qui espresse sono esclusiva responsabilità degli autori e non impegnano in alcun modo la Commissione europea.

(1)The Economist, "The Quest for Prosperity", March 15, 2007.
(2)Buti, M., A. Turrini, P. van den Noord e P. Biroli (2008), ‘Defying the ‘Juncker Curse’: Can Reformist Governments be Re-elected?’, European Economy – Economic Papers No. 324, European Commission.
(3) Munkhammar, J. (2007), The Guide to Reform; How Policymakers Can Pursue Real Change, Achieve Great Results and Win Re-Election, Timbro/IEA, Stockholm.
(4) Ogni nazione in ogni anno viene classificata secondo l’indice di libertà dei mercati finanziari costruito dal Fraser Institute.
(5) Sono infatti in grado di livellare il consumo nel tempo e aumentare la condivisione del rischio. Recenti studi mostrano che i mercati finanziari e gli stabilizzatori fiscali automatici possono essere strumenti alternativi per diminuire la volatilità della produzione (Debrun, X., J. Pisani-Ferry e A. Sapir (2008), "Government Size and Output Volatility: Should We Forsake Automatic Stabilization?", European Economy –Economic Papers No. 316, European Commission.) o per promuovere il consenso alla globalizzazione (Bertola, G. (2007) "Finance and Welfare States in Globalizing Markets", in C. Kent e J. Lawson (eds.) The Structure and Resilience of the Financial System, Reserve Bank of Australia.).

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CONFRONTO CON I LETTORI

  1. Franca

    Il ragionamento non fa una piega, ma mi assale un dubbio: Ma quali sarebbero queste importanti riforme strutturali che tutti citano? Tutti (politici intendo) ad annunciare i benefici di queste fantomatiche riforme, ma finora il contenuto mi è ignoto!

  2. DE SANTIS UMBERTO

    E’ la qualità della riforma fatta che provvede a rendere rieleggibile il politico. Ma gli europei tendono a ragionare come i presidenti degli USA che non a caso, visto il loro particolare sistema elettorale, fanno le riforme che caratterizzano il loro governo dopo l’elezione al secondo mandato, dato che il terzo non gli toccherebbe per legge. Invece i sindaci italiani studiano solo come procrastinare il proprio potere, come Putin in Russia. Per questo non si riuscirà mai a fare niente. Una piccola nota polemica: sicuro che gli atti di questo governo si possano definire riforme? O è solo un trucco controriformista chiamare riforma la restaurazione del potere padronale?

  3. Jois

    Per quanto sarei interessato ad un’analisi più ampia del rapporto tra cicli economici, legislazione economica e rieleggibità; devo dire che provo un po’ di sgomento nel notare che alla fine la decisione del voto si riassume nel "mandare bene l’economia". Spero di aver tratto una conclusione affrettata e parziale ma devo ammettere che anche solo l’idea mi spaventa un bel po’.

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