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ELEZIONI EUROPEE: QUI NON C’E’ CONCORRENZA

Con l’avvicinarsi delle elezioni europee, torna d’attualità la discussione sulla legge elettorale. Si parla di correggere la legge in vigore con l’introduzione di una soglia di sbarramento e di liste bloccate. Quest’ultimo è un meccanismo che ha effetti perversi nella selezione dei candidati e impedisce ogni forma di concorrenza all’interno dei partiti. Le primarie sono un buon punto di partenza, ma non la panacea. Occorre anche ridurre al minimo le barriere d¹entrata e concentrare i dibattiti interni sui contenuti. Ed evitare che il Parlamento europeo non diventi una via di fuga per gli amministratori locali che hanno operato male.

C’è chi sostiene che regole fiscali particolarmente complicate e bizantine servono solo a dare lavoro ai commercialisti. Lo stesso si potrebbe dire per il dibattito sulle regole elettorali: fonte inesauribile di studi e commenti per politologi ed economisti. Adesso, è il turno delle elezioni europee. Si parla di correggere la legge proporzionale attualmente in vigore con l’introduzione di una soglia di sbarramento e di liste bloccate o semi-bloccate. I pro e i contro su cui si concentrano i partiti sembrano puramente opportunistici. Con i grandi che vogliono avvantaggiarsi a spese dei piccoli. E i piccoli che, difendendo le proprie rendite di posizione, cavalcano la protesta contro le liste bloccate per far saltare tutto ed evitare lo sbarramento.
Un aspetto solitamente lasciato in ombra riguarda gli effetti della legge elettorale sulla selezione politica. Come se le regole del gioco fossero una variabile indipendente rispetto alla qualità e agli incentivi dei politici. Sarebbe opportuno, invece, introdurre questi elementi di riflessione anche nel dibattito sulla riforma elettorale per le europee.
La classe politica, con lo scopo di accaparrarsi il consenso, ha il vizio di predicare bene e razzolare male. Solo se esistono avversari (interni o esterni), giornali e gruppi indipendenti con la forza per smascherarlo, il politico è spinto a disciplinarsi. Negli Stati Uniti, per esempio, la stampa confronta regolarmente le dichiarazioni di ogni politico con quello che ha detto dagli inizi della sua carriera. Esistono associazioni nate con il solo scopo di monitorare le politiche pubbliche e la loro vicinanza alle promesse elettorali. La concorrenza per il potere è alta: nelle primarie per scegliere presidenti, parlamentari e governatori, si sa chi entra ma non chi esce. In Italia, invece, tutti questi elementi sono fragili. E i risultati si vedono. La legge elettorale e i metodi per la selezione dei candidati potrebbero giocare un ruolo importante per invertire alcuni di questi meccanismi.

LEGGE ELETTORALE E CONCORRENZA POLITICA

Sull’attuale legge elettorale per il parlamento (il famigerato Porcellum) è già stato detto tutto il male possibile (anche da chi non l’ha né proposta né approvata, ma non si è fatto scrupoli a usarla per difendere le oligarchie di partito da qualsiasi concorrenza esterna). In presenza di partiti chiusi e autoreferenziali, il proporzionale con liste bloccate fornisce incentivi perversi nella selezione della classe politica. L’evidenza empirica sui parlamentari eletti con la vecchia legge elettorale per le politiche (il Mattarellum, composto da un 75% maggioritario e un 25% proporzionale) mostra che gli eletti nel maggioritario, anche controllando per le caratteristiche che li distinguono dagli eletti nel proporzionale, hanno un tasso di assenteismo parlamentare più basso. E questo più essere in parte spiegato dal maggiore controllo degli elettori sugli eletti nei collegi uninominali. Siamo proprio sicuri di voler estendere l’esperienza delle liste bloccate alle elezioni europee?
In ogni caso, le regole elettorali, da sole, non bastano. È importante che vi sia una vera concorrenza politica. Sempre ai tempi del Mattarellum, nei collegi uninominali maggiormente contendibili (quelli dove l’esito elettorale era più incerto), i partiti tendevano a presentare candidati forti, cioè persone che vantavano una serie di successi nella professione privata o nella precedente carriera politica a livelli istituzionali più bassi. In particolare, l’incertezza elettorale era positivamente correlata con l’istruzione, il reddito privato prima dell’elezione e le esperienze amministrative. Nei collegi sicuri, invece, venivano presentati, in media, candidati più deboli e con un percorso politico tutto interno al partito. (1) Insomma, anche  in politica, la concorrenza è uno stimolo prezioso.

PRIMARIE APERTE E COMPETITIVE

Generalizzando il precedente risultato sulla concorrenza politica, si può concludere che i partiti dovrebbero far di tutto per potenziare la competizione per il potere al loro interno, piuttosto che averne paura come la peste. Per esempio, usando le primarie aperte a tutti gli elettori nella scelta dei candidati a ogni carica istituzionale. Purché, beninteso, si tratti di primarie competitive, non della semplice ratifica plebiscitaria di decisioni prese in altre sedi. In vista delle prossime europee, al di là della legge elettorale che verrà adottata, tutti i partiti potrebbero impegnarsi proprio a scegliere i loro candidati con primarie vere e aperte a tutti i cittadini.
Intendiamoci, le primarie non sono la panacea da tutti i mali: a volte possono essere catturate dall’elettorato “intenso” e più ideologizzato all’interno dei partiti, oppure possono essere distorte a favore di politici in grado di muovere risorse pubbliche per conquistare piccoli pacchetti di consensi. Ma se iniziamo a radicare il loro utilizzo a tutti i livelli, finiremo per aumentare la partecipazione e ridurre le barriere all’entrata costruite dalle oligarchie di partito. Ciò che serve è un impegno credibile a usarle in maniera aperta e continuata.

IL RAPPORTO TRA PARTITI, ECONOMIA E SOCIETÀ

Se vogliamo far funzionare primarie e concorrenza politica, dobbiamo ridurre al minimo le barriere all’entrata. Per esempio, riducendo l’invadenza dei partiti in molti gangli della vita sociale: invadenza che si è ridotta soltanto in dosi omeopatiche con il passaggio alla Seconda Repubblica. Non abbiamo più le partecipazioni statali, ma difficilmente si muove un passo per cordate o acquisizioni senza consultarsi con la classe politica. Al posto delle associazioni collaterali di ogni genere (sportive, culturali, etc.) un tempo di diretta emanazione dei partiti, abbiamo un universo di realtà che sopravvivono solo grazie a qualche relazione politica. Al posto dei partiti degli assessori di nenniana memoria, ci sono i partiti dei “collaboratori”, dirigenti politici a libro paga di cariche istituzionali o enti pubblici. Al posto dell’intervento pubblico diretto, si sono moltiplicate società semi-pubbliche dove il management è frutto di una selezione di stretta indicazione partitica. C’è un sindaco o un presidente di regione che hanno amministrato male ed è meglio tenere lontani da prove elettorali o incarichi esecutivi? Nessun problema: bastano un consiglio di amministrazione o un posto alle europee per risolvere l’inghippo.

UN DIBATTITO POLITICO SGANCIATO DAI CONTENUTI

Un’altra distorsione da rimuovere, per poter utilizzare al meglio lo strumento delle primarie, nasce dal fatto che i partiti hanno smesso di essere un luogo in cui si confrontano (magari aspramente) linee politiche alternative. Il dibattito interno sui contenuti è pressoché inesistente, o comunque del tutto ininfluente nei meccanismi di selezione. Si pensi alle candidature per le ultime elezioni politiche. Si è fatto un gran parlare del candidato X presentato in quanto operaio, del candidato Y perché giovane, o del candidato Z in quanto imprenditore. A nessuno è venuto in mente di giustificare una certa candidatura in quanto espressione coerente di una linea politica. Per ridurre il trasformismo, invece, la battaglia interna ai partiti dovrebbe basarsi su un confronto trasparente tra donne e uomini distinti per linea politica, credibilità e competenza.

(1) Galasso V. e T. Nannicini (2009), The Harsher the Better: Micro Evidence on Political Competition and Political Selection, Università Bocconi, mimeo.

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IL COMPROMESSO VIRTUOSO

  1. Roberto Marchesi

    Caro Tommaso, per fortuna qui negli USA siamo gia’ quasi fuori dal tunnel. Non tanto per quanto riguarda l’economia, ma almeno per quanto riguarda la politica fra quattro giorni potremo finalmente voltar pagina in modo serio, reale, realmente effettivo ed efficace (io credo veramente che Obama potra’ dare un grande impulso al rinnovamento e al risanamento della democrazia americana). In Italia invece andiamo ad alta velocita’ verso il baratro. Sono d’accordissimo sulle tue osservazioni, ma sperare che le faine che hanno conquistato il potere grazie alla "porcellum" e a mille altre raffinatezze dello stesso livello cambino registro e’ speranza vana. Lo faranno solo se ci saranno costretti. E purtroppo ormai l’unica cosa che li puo’ costringere e’ una crisi cosi’ forte da mettere l’Italia in ginocchio e provocare una specie di ribellione popolare. Ma anche questo non sara’ sufficiente a salvare la nostra povera democrazia se nel frattempo Berlusconi & C. avranno potuto fare tutte le loro "riforme". Povera Italia, come sei caduta in basso! Roberto Marchesi Dallas, Texas (autore del libro "Scoprire un’altra America")

  2. Massimo

    Mi sembra che il vero problema delle elezioni europee sia che votiamo un Parlamento che non esprime un governo. Questo è uno schiaffo in faccia ai cittadini europei. Sembra ormai praticamente sicuro che il PSE accetterà la candidatura di Barroso già sostenuto dal PPE. Non c’è battaglia politica. La Commissione non risponde al Parlamento Europeo ed in questo modo non ha la forza della legittimità democratica. Tutto ciò rafforza il ruolo del Consiglio e dell’Europa intergovernativa. Il problema della legge elettorale italiana è importante ma il problema che i partiti europei non propongono il proprio candidato alla Commissione è incommensurabilmente più grande. Senza questo passo non c’è democrazia in Europa, i cittadini non vedranno alcun valore nel loro voto, ci ridurremmo ancora una volta a fare un sondaggio sui governi nazionali e ci troveremo ancora una volta con un Europa in grado di affrontare le sfide che abbiamo davanti.

  3. Piero Borla

    Concordo con quanto scrive “Massimo”. La vera innovazione sarebbe che ciascun partito europeo presenti anzitutto un candidato alla presidenza della commissione (per il PSE si fa ora il nome di Carl Bildt, ministro degli esteri svedese). Rammento ciò che scriveva su questo sito Zaki Laidi : “la commissione europea è ormai diventata l’ombra si sé stessa … si è stabilito un direttorio di fatto dei grandi Stati membri, ferocemente ostili a qualsiasi comunitarizzazione”. Quanto alla legge elettorale, l’utilità della soglia del 4 % è fuori discussione. Va invece continuata la discussione sul sistema delle preferenze. Invece di perniciose liste bloccate o incomprensibili sistemi misti, si parli di candidature per collegi uninominali, in analogia alle elezioni provinciali. In questo modo gli eletti sono la diretta espressione di una precisa constituency, in grado di chiedere loro conto.

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